Nunc flere potestas: Bellum Civile e lamento femminile
p. 105-111
Texte intégral
1. Donne e dolore nel Bellvm Civile
1Il dolore e le sue manifestazioni sono uno dei motivi caratteristici della poesia lucanea ed è possibile leggere sotto questa prospettiva anche la funzione dei personaggi femminili: il dolore è infatti un tratto comune a molte donne del Bellum Ciuile e acquisisce in ciascuna di esse un particolare valore. Prendiamo ad esempio la figura di Cornelia. Costei è magistralmente rappresentata come donna sensibile e sofferente, che tende ad abbandonarsi al lamento ogniqualvolta il destino le impedisce di stare accanto a Pompeo: il suo è quindi il dolore di una moglie profondamente innamorata che non riesce ad accettare la lontananza dal marito e ciò spiega la chiara ripresa da parte di Lucano di topoi e motivi provenienti dalle Heroides ovidiane1. Il dolore e il cultus del lutto è invece per Marzia più formale; la sua maestitia è una sorta di dovere del suo ruolo di uidua e pure un mezzo per suscitare la stima di Catone (2.337: non aliter placitura uiro)2. La scarna cerimonia con cui la coppia rinnova il vincolo coniugale assume altresì le caratteristiche di un rito funebre più che di un matrimonio, in quanto celebrata in concomitanza con la morte della libertà (2.350-380). Prova dello stato di emergenza in cui versa l’Urbe sono invece i gemiti e il cultus del lutto della personificazione di Roma che appare a Cesare sul Rubicone: l’aspetto dimesso della Patria è già indizio del fallimento in partenza del suo estremo tentativo di impedire la guerra (1.186-190: ingens uisa duci patriae trepidantis imago/clara per obscuram uoltu maestissima noctem/turrigero canos effundens uertice crines/caesarie lacera nudisque adstare lacertis/et gemitu permixta loqui).
2Ben diversa è infine la finalità del dolore per Cleopatra, che finge ed esterna questo sentimento consapevole delle potenzialità seduttive che esso potrebbe esercitare su Cesare. Simulando afflizione per la sua condizione di esule, la regina convince il suo illustre interlocutore ad aiutarla a recuperare il trono d’Egitto (10.82-85: Quem formae confisa suae Cleopatra sine ullis/tristis adit lacrimis, simulatum compta dolorem/ qua decuit, ueluti laceros dispersa capillos,/et sic orsa loqui).
3È alle donne infine che spetta il compito nel Bellum Ciuile di accompagnare con il lamento lo scoppio della guerra. In questo contributo vorrei analizzare la scena corale collocata in apertura del libro 2, in cui un gruppo di matrone reagisce allo scoppio della guerra con pubblici lamenti: la manifestazione del dolore diventa per queste donne un mezzo per fare sentire la propria voce e per dare prova della propria coscienza politica. Vedremo che questa scena non rielabora soltanto un momento tipico dell’epica, bensì mette in luce la consapevolezza anche da parte femminile della gravità del bellum ciuile.
2. Bellvm Civile e lutto familiare
4Il libro 2 presenta una chiara struttura tripartita. La prima parte (2.1-233) si articola infatti in tre scene collettive, aventi per protagonisti rispettivamente un gruppo di matrone, uno di uomini in partenza per la guerra e alcuni anziani; esse sono seguite da altre tre scene in cui spiccano nella loro grandezza tre esponenti della uicta causa: Bruto, Catone e Marzia (2.233-391). Tale struttura a sua volta ricalca la tripartizione delle scene divinatorie dell’ultima sezione del libro 1, che erano culminate nella visione profetica dell’anonima matrona invasata da Apollo (1.674-695).
5Per la nostra analisi è di particolare interesse la sezione compresa fra 1.674 e 2.42, in quanto caratterizzata dalla presenza femminile. Tale sezione è articolata nel modo seguente:
61.674-695: visione profetica della matrona in preda al furore apollineo;
72.1-15: riflessione del poeta sul senso della profezia;
82.16-21a: descrizione dello stato di choc in cui versa Roma;
92.21b-28a: similitudine della famiglia appena colpita da un lutto;
102.28b-36a: lamenti delle matrone nei templi;
112.36b-42: commento e “profezia” della matrona anonima.
12Si noti la coerenza della struttura: il nucleo della sezione in questione è costituito dalla descrizione dello stato di choc della cittadinanza romana, la quale è preceduta e seguita dalla profezia di una donna in preda a un intenso stato emozionale.
13Dopo la riflessione del poeta sulla necessità o meno per l’uomo di conoscere il futuro (2.1-15), il lettore si trova davanti a un’immagine di vuoto e di desolazione: di fronte alla rapida avanzata di Cesare a Roma è stato decretato il iustitium, il provvedimento eccezionale che impone la cessazione dell’attività politica (2.16-19). L’atmosfera che si respira in città è surreale, dal momento che non esiste più alcuna autorità e i comuni distintivi del potere, la porpora e i fasci, sono coperti da abiti plebei. In questo desolato scenario i cittadini non riescono nemmeno a lamentarsi, tanta è la paura della disgrazia che si sta per abbattere su Roma: quello dei Romani è infatti un dolore sine uoce (v. 21), che non riesce a trovare espressione. Il loro sbigottimento ricorda al lettore la paura degli abitanti di Rimini dopo l’ingresso in città di Cesare:
Gemitu sic quisque latenti,
non ausus timuisse palam: uox nulla dolori
credita, sed quantum, uolucres cum bruma coercet,
rura silent mediusque tacet sine murmure pontus,
tanta quies (1.257-261).
14I lamenti dei Riminesi, di cui il poeta mette in luce i sentimenti riportandone un monologo interiore, non riescono a trovare espressione di fronte al comandante romano: i loro sono mutos […] questos (v. 247), come viene ribadito ai v. 258-259: uox nulla dolori/credita est. Il loro stato di sbigottimento è paragonato alla quiete degli uccelli durante la stagione invernale e alla calma del mare, con una bella similitudine di argomento naturalistico come è nel gusto lucaneo (1.259-261)3.
15Lo stato di paura e di choc dei Romani è invece illustrato da un’immagine che non proviene dal mondo animale e naturale, bensì dall’ambiente familiare e domestico. Il poeta paragona Roma a una casa appena colpita da un lutto, descritta in quel momento intermedio fra il dolore e la paura in cui il cordoglio è ancora chiuso nel cuore dei familiari del defunto e non trova sfogo nei lamenti funebri:
Tum questus tenuere suos magnusque per omnis
errauit sine uoce dolor. Sic funere primo
attonitae tacuere domus, cum corpora nondum
conclamata iacent nec mater crine soluto
exigit ad saeuos famularum bracchia planctus,
sed cum membra premit fugiente rigentia uita
uoltusque exanimis oculosque in morte minaces ;
necdum est ille dolor nec iam metus: incubat amens
miraturque malum (2.20-28).
16La casa è dominata dal silenzio; senza parole è la madre, che con uno sguardo assente fissa il cadavere del figlio. La particolarità della situazione è espressa tramite verbi e aggettivi indicanti immobilità e silenzio, che ben rappresentano un dolore confinato nel cuore (cf. v. 20: questus tenuere suos; v. 21: sine uoce dolor; v. 22: attonitae tacuere domus; v. 22-23: corpora nondum/ conclamata iacent; v. 25: membra […] rigentia; v. 26: uoltus […] exanimis). La similitudine crea un legame fra il piccolo mondo della famiglia e la ben più ampia dimensione della ciuitas4: il silenzio di Roma è accostato alla prima fase di un lutto domestico, quando non è ancora avvenuta la conclamatio. Essa non fa altro che descrivere in anticipo una situazione tipica della guerra, ossia il momento in cui una famiglia viene a conoscenza della morte di un figlio o di un padre. Ma il bellum ciuile fra Cesare e Pompeo è una guerra particolare, dal momento che nasce in seno alla famiglia. Sotto questa prospettiva l’accostamento di Roma a una casa colpita da un lutto è di particolare effetto e anticipa la similitudine che illustra il rapporto fra Catone e Roma con l’immagine di un padre che accompagna il funerale del figlio (2.297-303): l’esperienza di un lutto familiare si allarga così all’ambito pubblico, assurgendo a simbolo del dolore dell’intera cittadinanza per la morte imminente della libertas.
17La similitudine della madre che fissa il corpo senza vita del figlio–ma anche l’immagine di Catone come pater dell’Urbe–è in qualche modo richiamata dalla toccante scena del libro 3 in cui il padre di Argo non regge alla vista del figlio morente. Come i cittadini romani e quelli di Rimini, l’uomo in un primo momento rimane impietrito, incapace di esprimere quello che prova. Lucano rappresenta efficacemente il suo stato d’animo ricorrendo al procedimento stilistico della negazione per antitesi:
Non lacrimae cecidere genis, non pectora tundit,
distentis toto riguit sed corpore palmis :
nox subit atque oculos uastae obduxere tenebrae
et miserum cernens agnoscere desinit Argum (3.733-736).
18Solo dopo la prima fase di sbigottimento un dolor cruentus risveglia l’uomo dal suo stato e lo spinge a togliersi la vita pur di non sopravvivere al figlio:
Vt torpore senex caruit uiresque cruentus
coepit habere dolor, “Non perdam tempora” dixit
“a saeuis permissa deis iugulumque senilem
confodiam. Veniam misero concede parenti,
Arge, quod amplexus, extrema quod oscula fugi.
Nondum destituit calidus tua uolnera sanguis
semianimisque iaces et adhuc potes esse superstes (3.741-747).
19Al contrario Catone resterà abbracciato a Roma e al fantasma della Libertà fino alla fine:
non ante reuellar
exanimem quam te conplectar, Roma, tuumque
nomen, Libertas, et inanem prosequar umbram (2.301-303).
3. Donne e lamento
20La similitudine che rappresenta la madre impietrita di fronte al cadavere del figlio funge da momento di transizione al lamento collettivo di un gruppo di matrone, che in questo modo danno voce al dolore della cittadinanza romana:
Cultus mtrona priores
deposuit maestaeque tenent delubra cateruae:
hae lacrimis sparsere deos, hae pectora duro
adflixere solo lacerasque in limine sacro
attonitae fudere comas uotisque uocari
adsuetas crebris feriunt ululatibus aures.
Nec cunctae summi templo iacuere Tonantis:
diuisere deos et nullis defuit aris
inuidiam factura parens (2.28-36).
21Pure le matrone partecipano al iustitium: come i senatori avevano abbandonato la porpora e i fasci, esse rinunciano all’abbigliamento usuale, indossano gli abiti del lutto e inondano di lacrime i templi. La loro gestualità è quella propria del lamento funebre: alcune piangono davanti alle statue degli dei, altre si chinano a terra percuotendovi il petto e si strappano i capelli; infine martellano con le loro grida le orecchie degli dei, abituati ad essere blanditi da preghiere. Nella scena delle matrone il livello della narrazione e quello della similitudine precedente si fondono. Il dolore dei cittadini romani, rappresentato mediante l’immagine della madre che fissa il cadavere del figlio, si trasforma infatti in vero e proprio lutto, il lutto per la morte dello stato e della libertà.
22E’già stato messo in luce che la scena lucanea ha come modello alcuni momenti dell’Ilioupersis virgiliana e in particolare le suppliche delle donne troiane e latine prima della distruzione delle loro città rispettivamente in Aen., 1.479-4815 e 11.477-482 (ricordiamo inoltre l’archetipo omerico di Il., 6.293-311). Ciò implica l’assimilazione di Roma a Troia, una città che sta per cadere in mano al nemico, un nemico che paradossalmente è un ciuis Romanus.
23Lucano potrebbe inoltre avere tenuto presente le numerose scene di lamento femminile presenti in Livio e nella storiografia tragica. Lo storico patavino rappresenta in almeno due occasioni una situazione simile a quella lucanea. In 26.9.7-8 ad esempio Livio descrive Roma in preda alla paura per l’avanzata di Annibale: il Senato è pronto a prendere ogni provvedimento sia necessario, mentre le donne cercano con preghiere di ottenere misericordia dagli dei:
Ploratus mulierum non ex priuatis solum domibus exaudiebatur, sed undique matronae in publicum effusae circa deum delubra discurrunt, crinibus passis aras uerrentes, nixae genibus, supinas manus ad caelum ac deos tendentes orantesque, ut urbem Romanam e manibus hostium eriperent matresque Romanas et liberos paruos inuiolatos seruarent (Liv. 26.9.7-8).
24In Liv. 27.50.5 lo storico cerca di rappresentare l’atmosfera di incertezza che attanaglia i Romani in attesa di conoscere l’esito della battaglia del Metauro contro i Cartaginesi. Mentre le donne si lamentano e supplicano gli dei, il senato siede nella curia notte e giorno e il popolo non si allontana dal Foro un momento: matronae, quia nihil in ipsis opis erat, in preces obtestationesque uersae, per omnia delubra uagae suppliciis uotisque fatigare deos. Si deve però notare come nel Bellum Ciuile la situazione sia rovesciata rispetto ai due passi liviani. Nel pieno del iustitium, nell’assenza dell’autorità politica le donne fanno sentire la propria voce e manifestano con il lamento il loro disappunto. Esse dimostrano inoltre intraprendenza e capacità organizzativa, dal momento che si dividono in gruppi per evitare che anche un solo dio sia trascurato.
4. Donne e profezia
25Sarebbe tuttavia riduttivo considerare i lamenti delle donne all’inizio del libro 2 come la semplice rielaborazione di un modello epico e storiografico. Da un punto di vista strutturale essi creano una continuità tematica con il finale del libro 1, in cui l’inquietante visione di un’anonima matrona invasata da Apollo è posta a suggello delle profezie incomplete di Arrunte e di Figulo e apre uno squarcio nel futuro di Roma con la previsione di avvenimenti successivi alla guerra civile, quali la morte dei due duces e la battaglia di Filippi (1.674-695). Pertanto, come la voce profetica di una donna rappresenta il punto di massima tensione delle profezie, così è ancora una voce femminile a rompere il doloroso silenzio dei Romani. Una matrona del gruppo prende infatti la parola:
Quarum una madentis
scissa genas, planctu liuentis atra lacertos:
“Nunc”, ait “o miserae, contundite pectora, matres,
nunc laniate comas neue hunc differte dolorem
et summis seruate malis. Nunc flere potestas,
dum pendet fortuna ducum: cum uicerit alter,
gaudendum est”. His se stimulis dolor ipse lacessit (2.36-42).
26Mentre compie i gesti tipici delle lamentazioni funebri, la matrona invita le donne ad esternare ora il proprio lutto, senza aspettare che la guerra civile sia conclusa. Finché il vincitore della guerra è incerto, c’è ancora libertà di esprimere il proprio dolore; quando invece Cesare o Pompeo avrà vinto, il suo regnum soffocherà tale libertà e allora il dolore verrà rimpiazzato da una gioia coatta (v. 42: gaudendum est).
27Le parole di questa anonima matrona suonano come un asciutto commento agli avvenimenti: senza nominare esplicitamente nessuno (Cesare e Pompeo sono indicati genericamente come duces al v. 41)6, la matrona enuncia infatti una verità politica di carattere “universale” e preannuncia il risultato della guerra civile, cioè l’instaurazione del regnum di un comandante ambizioso. La continuità con la scena conclusiva del libro 1 è data perciò non solo dalla presenza femminile, ma anche dall’elemento della “profezia”. Infine le considerazioni della matrona sulle conseguenze politiche del conflitto denota una consapevolezza e una maturità politica che difficilmente ci si aspetterebbe da parte femminile. Bisogna osservare però che quella delle donne è appunto consapevolezza politica ma non scelta: la matrona non si dichiara a favore di uno dei due schieramenti, bensì condanna parimenti Cesare e Pompeo, che hanno come unico scopo il dominio personale.
28Per concludere, i lamenti delle matrone all’inizio del libro 2 provano che nella storia sono coinvolte anche le donne, le quali trovano in essi una forma di libertà. La scena è importante anche dal punto di vista strutturale, perché anticipa i discorsi degli uomini in partenza per la guerra (2.43-63) e la rievocazione da parte degli anziani del bellum ciuile fra Mario e Silla (2.64-233). Le giaculatorie delle donne costituiscono in tal senso la controparte femminile di questi “commenti corali” allo scoppio della guerra. Ma bisogna considerare anche che questa scena di lamento collettivo, tripartita nel gruppo delle matrone, dei soldati e degli anziani, ha la funzione di anticipare e preparare per contrasto l’ingresso sulla scena della triade costituita da Bruto, Catone e Marzia: i difensori della libertas (rispettivamente un giovane, un uomo più maturo e una donna) non provano paura né trovano motivo di lamentarsi, bensì operano la precisa scelta di partecipare alla guerra civile pur nella consapevolezza della sconfitta.
Notes de bas de page
1 Non a caso durante il Medioevo la Cornelia lucanea assurge a eroina del dolore e del lamento per eccellenza. Brunetto Latini, maestro dell’Alighieri, cita nel suo trattato De pitié i lamenti di Cornelia fra gli esempi retorici atti a muovere a pietà il pubblico.
2 Cf. 2.333-337: Sed, postquam condidit urna/supremos cineres, miserando concita uoltu,/effusas laniata comas contusaque pectus/uerberibus crebris cineresque ingesta sepulchri/(non aliter placitura uiro), sic maesta profatur. I passi lucanei sono citati secondo Badalì 1992.
3 Sull’episodio degli abitanti di Rimini e, più in generale, sul silenzio delle masse in Lucano, cf. Anzinger 2007, 112-123.
4 Cf. Fantham 1999, 223: “The poet conjures up this public lament and its private analogy not to censure such female mourning as disruptive, but to use its desperation, [...] to force upon the reader a full awareness of the death of liberty foreshadowed by this war”.
5 Verg., Aen., 1.479-482: Interea ad templum non aequae Palladis ibant/crinibus Iliades passis peplumque ferebant/suppliciter, tristes et tunsae pectora palmis;/diua solo fixos oculos auersa tenebat. Il destino di distruzione cui Troia andò incontro pare essere ora quello di Roma: il ricordo della città di Enea diventa nel Bellum Ciuile un paradigma mitico.
6 Anche il discorso dei uiri in partenza per la guerra, immediatamente successivo ai lamenti delle matrone, mette in evidenza la responsabilità di entrambi i contendenti senza menzionare esplicitamente né Cesare né Pompeo. Ecco come auspicano l’intervento di Giove prima ancora della fine del Bellum Ciuile: saeue parens, utrasque simul partesque ducesque,/dum nondum meruere, feri. Tantone nouorum/prouentu scelerum quaerunt, uter imperet urbi?/Vix tanti fuerat ciuilia bella mouere,/ut neuter (2.59-63).
Auteur
Università di Padova, Thesaurus Linguae Latinae (München)
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