La teoria delle forme di governo: il punto di vista di Cassio Dione sui poteri di Cesare
p. 545-558
Texte intégral
1Indicherò prima di tutto gli obiettivi di questo lavoro, che si strutturerà, come indica il titolo, in due momenti.
2Nella prima parte cercherò di offrire un quadro generale di come si configura l’interpretazione della storia romana da parte di Cassio Dione alla luce della teoria delle forme di governo. In questa direzione partirò da due quesiti preliminari: a) quali sono i modelli elaborati dal pensiero filosofico-politico greco cui Dione fa riferimento? b) come si colloca la visione delle µεταβολαί politiche della storia di Roma presente nell’opera di Dione rispetto alle periodizzazioni ed ai modelli espressi dalla tradizione storiografica del secolo precedente?
3Entrerò poi in un ambito di indagine più specifico, passando in rassegna i riferimenti alla teoria delle forme di governo presenti nei libri cesariani, allo scopo di determinare come il percorso politico di Cesare venga rappresentato da Dione alla luce di tale griglia interpretativa.
1.1. La teoria delle forme di governo nell’opera di Cassio Dione
4Che Cassio Dione applichi la teoria delle forme di governo alla storia di Roma si può considerare un assunto unanimemente riconosciuto; un passo-chiave in tal senso è l’inizio del libro 52 (1.1)1:
Ταῦτα µὲν ἔν τε τῇ βασιλείᾳ καὶ ἐν τῇ δηµοκρατίᾳ ταῖς τε δυναστείαις, πέντε τε καὶ εἴκοσι καὶ ἑπτακοσίοις ἔτεσι, καὶ ἔπραξαν οἱ ῾Ρωµαῖοι καὶ ἔπαθον· ἐκ δὲ τούτου µοναρχεῖσθαι αὖθις ἀκριβῶς ἤρξαντο, καίτοι τοῦ Καίσαρος βουλευσαµένου τά τε ὅπλα καταθέσθαι καὶ τὰ πράγµατα τῇ τε γερουσίᾳ καὶ τῷ δήµῳ ἐπιτρέψαι.
5Si tratta di un punto nodale dell’opera di Dione, che introduce il dialogo tra Agrippa e Mecenate, dove viene posta ad Ottaviano, in forma dialettica, un’alternativa tra la forma di governo repubblicana e quella monarchica. Tale dibattito, secondo la lettura convincente di Espinosa Ruiz, va interpretato come proposta unitaria e integrata, piuttosto che come espressione di punti di vista contrapposti2. In questo senso l’interpretazione dei termini βασιλεία - δηµοκρατία - µοναρχεῖσθαι non pone particolari problemi: col primo si intendono i re della storia arcaica della città3, col secondo l’età repubblicana4, col terzo il nuovo periodo del Principato5.
6Più discussa all’interno di questo quadro è la funzione, e dunque il significato, da attribuire a δυναστεῖαι6.
7In senso generale è importante premettere che in Dione è possibile distinguere due differenti accezioni di questo termine, una afferente all’ambito della politica estera, l’altra a quello della politica interna7. Nella prima la parola sta ad indicare la sfera di dominio di un δυνάστης, vale a dire di un piccolo sovrano o di un principe legato a Roma. Nella sua seconda accezione δυναστεία si riferisce invece, nella maggioranza dei casi, sulla base delle occorrenze presenti nella Storia romana di Dione8, a singoli personaggi o a gruppi vissuti in un arco cronologico che va dal tribunato di Tiberio Gracco agli anni del secondo triumvirato9.
1.2. La δυναστεία in Appiano
8Da questo punto di vista, l’immediato precedente di Cassio Dione in ambito storiografico è rappresentato da Appiano da Alessandria. Nella prefazione (6.20-23) della sua Storia romana, viene offerta dall’autore una rapida carrellata della storia politico-istituzionale di Roma:
“Dopo aver cacciato i re (τοὺς βασιλέας) ed aver giurato che non avrebbero mai più tollerato la regalità, (i Romani) adottarono una forma di governo aristocratica (ἀριστοκρατίᾳ) e da allora furono governati da dei magistrati annuali (προστάταις ἐτησίοις) … Cesare (Ottaviano), dopo aver imposto la propria δυναστεία (δυναστεύσας), ed aver rafforzato e resa sicura la propria egemonia (τὴν ἡγεµονίαν), mantenne la forma e il nome della πολιτεία, ma si impose a tutti come monarca (µόναρχον δ’ ἑαυτὸν ἐπέστησε πᾶσι). Da allora fino ad oggi il potere è retto da un’unica persona (ἑνὶ ἄρχοντι), e questi non vengono chiamati βασιλέας in ragione dell’antico giuramento, ma αὐτοκράτοραςˮ.
9Anche Appiano, come Dione, denomina βασιλεῖς i primi re di Roma, definendo invece come µοναρχία il sistema politico imperiale ancora vigente ai suoi tempi. Al regime instaurato dopo la caduta dei re dà il nome di ἀριστοκρατία, laddove Dione utilizza il termine δηµοκρατία. I due storici rinviano al medesimo periodo e, al di sotto dei diversi termini utilizzati, soggiace nondimeno una coincidenza di significato: dal discorso di Agrippa del libro 52 a sostegno della δηµοκρατία, questa risulta essere infatti, nella visione di Dione, un sistema in cui l’ἰσονοµία è garantita dal governo dei cittadini migliori per nascita ed educazione (52.4.1; 52.4.8)10.
10Ma soffermiamoci sul participio δυναστεύσας in Appiano. Quale sia il significato da attribuire al termine nella sua Storia romana si chiarisce con più precisione dalla lettura della sezione dedicata alle guerre civili. Nella prefazione ai 5 libri degli Ἐµφύλια le δυναστεῖαι sono dei regimi detenuti da στασίαρχοι µοναρχικοί (espressione che Dione poi fa sua: fr. 96.1): capipartito dotati di forze militari, i quali mirano ad un potere assoluto (App., BC, 1.2.6). Δυναστεία è per Appiano quella di Silla, proclamatosi ἐς αἰεὶ δικτάτωρ (1.3.10); dopo di lui la situazione di conflitto si riapre con Cesare, “ἐπὶ πολὺ δυναστεύων ἐν Γαλατίᾳ, il quale all’ordine del senato di deporlo … mandava un esercito in Italia” (1.4.12). Nel libro 2 il primo triumvirato è definito una δυναστεία τῶν τριῶν ἀνδρῶν (2.19.70) e i loro membri κοινωνοὶ τῆς δυναστείας (2.17.63). La proroga a un quinquennio del governatorato di Cesare in Gallia è un risultato del loro accordo. Tale è il potere di Cesare e Pompeo durante la guerra civile (2.36.145). Il termine è poi riferito ad Antonio (3.7.22; 3.21.78; 3.40.166) e al secondo triumvirato (5.67.283).
11In base ai passi citati possiamo concludere che, almeno in una determinata accezione riscontrabile all’interno alla sezione dedicata alle Guerre civili, il termine δυναστεία in Appiano sta ad indicare un potere che si impone con la violenza delle armi e che si avvale di strumenti istituzionali che non rientrano nella tradizione repubblicana: la dittatura a vita e la proroga pluriennale dei governatorati provinciali.
12I punti di coincidenza che si possono cogliere tra Appiano e Dione sono, in tal senso, significativi (anche se, come vedremo, con alcune interessanti variazioni): a) anche in Dione, come in Appiano, la δυναστεία è un potere che, oltre ad imporsi con la violenza (e col denaro), ha nondimeno una sua dimensione istituzionale, che devia rispetto alla πολιτεία tradizionale; b) in entrambi gli storici il termine è riferito all’età delle guerre civili della tarda repubblica.
13È significativo che i pochi frammenti dell’opera di Dione collocabili nei primi libri della Storia romana in cui compare δυναστεία facciano in realtà riferimento a questo periodo: “La definizione del potere tribunizio come δυναστεία si trova alla fine dell’excursus sui tribuni (Zonar. 7.15.10), dove il termine non si riferisce al tribunato originario, ma alla sua degenerazione tardo-repubblicana: non a caso ritroveremo l’espressione ἡ τῶν δηµάρχων δυvαστείαν (36.38.2, sotto l’anno 67) a proposito della restaurazione del potere tribunizio successiva alla legislazione sillana”11. Δυναστεία è inoltre contrapposta a δηµοκρατία in un passo in cui, riferendosi ai tribuni della plebe Marco Ottavio e Tiberio Gracco, si dice che “rivaleggiando più nel superarsi a vicenda che nel fare il bene dello stato, commisero molti atti di violenza ὥσπερ ἐν δυναστείᾳ τινὶ ἀλλ’ οὐ δηµοκρατίᾳ” (fr. 83.4). Δηµοκρατία mi sembra che qui vada intesa come res publica12 e stia ad indicare l’inizio di una nuova fase, caratterizzata dalla violenza e dalla degenerazione della potestà tribunizia.
14Dell’utilizzo del termine da parte di Dione in rapporto al primo e al secondo triumvirato parlerò più avanti.
15Sulla base dei passi appena citati, δυναστεία risulta dunque riferirsi, in Dione come già in Appiano, ad una fase della storia di Roma che si apre con i Gracchi, caratterizzata dal conflitto e dalla violenza, in cui l’imporsi di singole personalità si fonda sulla strumentalizzazione a fini personali di determinati strumenti istituzionali: un regime, dunque, con una sua dimensione istituzionale (per quanto deviata) che non è più la repubblica (δηµοκρατία), ma non è ancora impero (µοναρχία).
1.3. Alle radici della δυναστεία in Appiano e Cassio Dione: Aristotele e Plutarco
16La radice del ricorso al termine δυναστεία da parte di Appiano e Cassio Dione si può rintracciare nella Politica di Aristotele. Mentre nel libro 3 (3.7.1279a-b) le forme di governo vengono classificate entro uno schema di tipo ternario costituito da sei elementi (tre costituzioni rette e le loro varianti degenerate: βασιλεία / τυραννίς, ἀριστοκρατία / ὀλιγαρχία, πολιτεία / δηµοκρατία), più avanti nei libri 4-6 il filosofo passa ad esaminare le forme di governo più diffuse nella Grecia dei suoi tempi. Queste per Aristotele sono soprattutto due: δηµοκρατία e ὀλιγαρχία, delle quali tutte le altre non sono che deviazioni. Ne consegue una nuova classificazione delle molteplici forme di democrazia e oligarchia, le cui variazioni sono confrontate con quelle delle scale musicali:
“E’ più conforme a verità e preferibile ammettere che, secondo la nostra classificazione, esistono due forme ben costituite, o anche una sola, mentre le altre non sono che deviazioni. Questo vale sia per il modo musicale armoniosamente temperato, sia per la costituzione migliore. Le forme più rigide e più dispotiche sono quelle di tipo oligarchico; quelle più rilassate e molli sono di genere democratico” (Pol. 4.3.8.1290a).
17Dell’ὀλιγαρχία vengono presentate quattro varianti, la più negativa delle quali è appunto definita δυναστεία, corrispondente alla forma degenerata della βασιλεία, la tirannide13:
“Una quarta forma di oligarchia si ha quando si mantiene il principio della ereditarietà e a governare non è la legge (ὁ νόµος), ma i magistrati (οἱ ἄρχοντες). Essa è, tra le oligarchie, il corrispondente di ciò che la tirannide è tra le monarchie (καὶ καλοῦσι δὴ τὴν τοιαύτην ὀλιγαρχίαν δυvαστείαν)” (Pol. 4.5.2.1292b).
18Come ha bene dimostrato Hansen, coesistono dunque all’interno della Politica di Aristotele due modelli classificatori delle forme di governo. Essi solo in parte coincidono, con un progressivo passaggio dal primo al secondo. Laddove lo schema a sei elementi è teoretico e filosofico, il secondo modello è più empirico e storico14.
19È possibile che Dione conoscesse e avesse letto Aristotele e avesse derivato direttamente dalla Politica una certa accezione del vocabolo δυναστεία. L’ampiezza della sua cultura e delle sue letture permetterebbe di ipotizzarlo, per quanto non di dimostrarlo.
20È tuttavia Plutarco che potrebbe più verosimilmente, a mio avviso, aver costituito un tramite tra le teorie aristoteliche e l’utilizzo del termine δυναστεία in riferimento alla storia di Roma da parte di Dione15 e, prima di lui, di Appiano.
21Il De unius in re publica dominatione, populari statu et paucorum imperio è un opuscolo di cui in passato si è discussa l’autenticità, ma della quale mi sembra ormai riconosciuta la paternità plutarchea, sostenuta con argomenti assolutamente convincenti da Cuvigny16.
22Si tratta di un testo mutilo che si interrompe ex abrupto e i cui contenuti erano forse meno schematici di quanto appaia sulla base di ciò che ci è stato trasmesso: “Infatti le cose sono dette in modo molto concentrato e denso e, anche se costituiscono un tutto organico e coerente, danno l’impressione di essere la premessa ad un’analisi molto più ampia delle costituzioni stesse”17. Dopo una breve introduzione generale all’argomento ed una definizione delle differenti accezioni del termine πολιτεία, l’autore passa a parlare delle differenti forme di τάξις καὶ κατάστασις τῆς πόλεως: di queste, tre, cioè µοναρχία (sinonimo di βασιλεία: vd. infra, 827a), ολιγραρχία e δηµοκρατία
“sembrano le più generalmente diffuse. Infatti succede che le altre, come nelle scale musicali dei modi fondamentali quando siano trasportati al grave o all’acuto, siano alterazioni o corruzioni di esse per difetto o per eccesso … Deviazioni e trasgressioni di queste costituzioni, quando si degradano, sono αἱ λεγόµεναι τυραννίδες καὶ δυvαστεῖαι καὶ ὀχλοκρατίαι” (Mor., 826e-f).
23Di tali degenerazioni vengono poi indicate le cause (827a).
24Plutarco perviene dunque ad una sintesi nuova ed originale, elaborata sulla scorta di una riflessione sulle fonti precedenti (articolata, per quanto sintetica): vengono citati esplicitamente Erodoto (826e) e Platone (827a-b), ma sono presenti anche Polibio (ὀχλοκρατία: 826f) e ancor più Aristotele (826e; cf. 827a): l’immagine delle scale musicali paragonate con le loro modalità tonali alle deviazioni dalle costituzioni rette sembra proprio un prestito dal corrispondente confronto presente nel libro 4 della Politica menzionato poc’anzi, comprovato dall’uso del lessico18.
25La medesima similitudine musicale viene anche sviluppata nel successivo ed ultimo capitolo dell’operetta plutarchea:
“Come dunque il musicista esperto in armonia non trarrà accordi giusti da tutti gli strumenti se non li ha accordati ciascuno secondo le regole e se non suona ciascuno in base alla sua conformazione al fine di ottenere suoni melodiosi … allo stesso modo l’uomo di stato
(ὁ πολιτικὸς ἀνήρ) amministrerà bene l’oligarchia che Licurgo ha istituito a Sparta imponendo una dolce costrizione, dopo aver accordato al suo diapason gli uomini uguali in potenza e in onori; saprà trovare l’accordo con i molteplici suoni e le molteplici corde della democrazia se, ora tendendo ora rilasciando le corde della πολιτεία, egli cede quando le circostanze lo esigono, per poter resistere e fronteggiare la situazione in un’altra occasione. Tuttavia, se egli potesse scegliere la forma di governo come il musicista sceglie il proprio strumento … non potrebbe optare che per la monarchia, la sola su cui si può eseguire l’accordo supremo e perfetto della virtù, la sola in cui né la costrizione né la compiacenza possono ostacolare la realizzazione dell’interesse dello stato” (Mor., 827a-b).
26La preferenza finale per la monarchia sembra dettata in Plutarco da un’adesione alla realtà politica del suo tempo. Il modello del Principato degli Antonini rappresenta un valore che senz’altro lo studioso di Cheronea condivide con Appiano e Dione.
27Che tipo di applicazioni concrete alla storia di Roma trova nel resto dell’opera di Plutarco il termine δυναστεία? Un luogo delle Vite parallele è a tale proposito particolarmente significativo: in apertura alla σύγκρισις finale tra Lisandro e Silla, che è poi un confronto più generale tra Sparta e Roma, si dice che:
“Lisandro ricevé tutte le cariche che esercitò per volontà dei suoi concittadini allorché lo stato era sano … mentre a Roma, poiché il popolo era corrotto e lo stato malato, ἄλλος ἀλλαχόθεν ἀνίστατο δυνάστης. Non vi era dunque niente di sorprendente se Silla esercitava il potere, dal momento che dei Metelli erano cacciati dalla città da dei Glaucia e da dei Saturnini, figli di consoli erano fatti a pezzi nelle assemblee popolari, ci si aggiudicava le forze armate con l’oro e l’argento e si compravano i soldati, si imponevano le leggi col ferro e col fuoco, si eliminavano gli avversari con la violenza” (Sull., 39.2-4).
28Anche Plutarco riferisce dunque δυναστεία ad una fase ben precisa della storia di Roma, in cui le istituzioni repubblicane versano in uno stato di crisi e la città è dominata da figure, appartenenti a diversi schieramenti, che rivestono cariche le cui prerogative travalicano quelle ordinarie19, ottenendole con la corruzione e la violenza.
29I testi sovracitati permettono di individuare un contesto all’interno del quale Dione può essere collocato. Il secolo degli Antonini è percorso da una riflessione riguardante il passato e il presente della storia di Roma, che vede il Principato nella sua forma attuale come il traguardo più alto che la storia del Mediterraneo, e non solo, abbia raggiunto. Questa riflessione comporta un’operazione di recupero ed insieme una rielaborazione della teoria delle forme di governo. I modelli a cui gli intellettuali, storici e pubblicisti greco-orientali fanno ricorso sono vari. Elio Aristide nel suo discorso A Roma (Or., 26.90) riprende in modo fedele lo schema polibiano del libro 6 e applica la teoria della costituzione mista all’impero romano dei suoi tempi20. Già Dione di Prusa nei suoi discorsi Sulla regalità di età traianea aveva riprodotto, con qualche lieve variante, il medesimo modello per introdurre la dimostrazione della superiorità “naturale” della monarchia moderata21.
30Plutarco partendo da Platone, ma ancor più da Aristotele, elabora una sintesi originale della teoria delle forme di governo, riprendendo il concetto di δυναστεία che applica alla storia della Roma tardo-repubblicana. Che Appiano abbia ben presente l’opera di Plutarco e ne sia influenzato è dimostrato anche dall’inserimento del parametro interpretativo della σύγκρισις in punti nodali della sua opera22.
31Dione appartiene ad un momento storico diverso. La sua prospettiva non è teleologica come quella appianea, ma critica rispetto alla realtà del suo tempo. Infatti egli non interrompe la sua Storia romana con Augusto, ma la prosegue sino alla contemporaneità. Non solo cittadino romano, ma soprattutto membro del senato, Dione ha una sensibilità e una conoscenza delle istituzioni che gli vengono dalla sua formazione e dalla sua esperienza.
32È alla luce dei suoi interessi e delle sue esperienze che egli adotta modelli politico-teorici della tradizione filosofica classica – ripresi da autori del secolo precedente al suo – esprimendo attraverso tali modelli una propria originale lettura della storia e del processo di evoluzione politico-istituzionale che ha condotto alla formazione del Principato.
2.1. Il percorso politico di Cesare: dalla δυναστεία alla µοναρχία
33Il problema della collocazione di Cesare all’interno della griglia interpretativa della teoria delle forme di governo elaborata da Cassio Dione mi sembra particolarmente stimolante sotto questo aspetto. Nei libri della Storia romana in cui appare la figura di Cesare, Dione descrive il processo attraverso il quale il potere di un individuo s’impone all’interno della res publica e ne fa una monarchia23.
34La fase iniziale di questo processo si declina come δυναστεία e tale termine – nell’utilizzo che ne fa Dione – assume una valenza istituzionale. Alcuni passi appaiono significativi a questo proposito.
35La proroga a cinque anni del proconsolato di Cesare in Gallia negli anni del primo triumvirato viene definita retrospettivamente in questi termini:
“Inoltre, poiché nei molti anni passati senza interruzione al governo della Gallia lui stesso era stato indotto a un sempre maggior desiderio di potere ed era riuscito ad accrescere la propria forza (ὅτι τε αὐτὸς πολλοῖς τῶν Γαλατῶν ἐφεξῆς ἔτεσιν ἄρξας ἔς τε τὴν ἐπιθυµίαν ἀπ’ αὐτοῦ τῆς δυναστείας µᾶλλον προήχθη καὶ ἐς τὴν παρασκευὴν τῆς ἰσχύος ἐπηυξήθη), limitò con una legge il governo dei propretori ad un anno e quello dei proconsoli a due e a nessuno fu permesso di esercitare il potere per un periodo più lungo” (43.25.3).
36Dal punto di vista dello stesso Cesare, che introduce nel 45 delle limitazioni alla durata del proconsolato e della propretura, un potere straordinario esercitato troppo a lungo in una provincia può costituire la base di partenza per la costituzione di una δυναστεία24. Anche il potere esercitato da Pompeo in questo stesso periodo viene definito da Dione una δυναστεία (39.55.2)25.
37Nel racconto della guerra civile, Dione definisce le modalità di esercizio del potere da parte di Cesare dopo il suo arrivo a Roma nel marzo del 49 a.C., facendo ricorso anche qui a δυναστεία:
“E anche in tutte le altre cose si seguiva, come ho detto più volte, lo stesso metodo : si votava e si agiva in nome della parità di diritti (ὀνόµατι µὲν ἰσονοµίας…καὶ ἐψηφίζετο καὶ ἐπράττετο), ma di fatto (ἔργῳ δὲ) della δυναστεία (infatti la maggior parte delle proposte di legge erano presentate tramite Antonio)” (41.17.3).
38La δυναστεία di Cesare si contrappone all’ἰσονοµία; egli agisce per il tramite di Antonio, tribuno della plebe26.
39Un’accezione del termine δυναστεία all’interno dei libri cesariani sembra dunque riferirsi a personaggi (nella fattispecie Cesare e Pompeo negli anni del primo triumvirato e della guerra civile) che si impongono strumentalizzando a fini personali determinate cariche istituzionali, deviando dalla tradizione repubblicana, con gravi conseguenze sulla legalità e la libertà di popolo e senato: tale strumentalizzazione riguarda in particolare il tribunato della plebe e l’imperium, proconsolare e consolare. In questo senso mi sembra si possa parlare di un regime, per quanto deviato e solo in apparenza legale: una degenerazione, appunto, del sistema repubblicano.
40Un punto nodale all’interno dei libri cesariani, che segnala una duplice transizione svolgendo dunque una funzione bifronte per quanto riguarda l’interpretazione della storia di Roma alla luce della teoria delle forme di governo è l’apertura del libro 44. Esso contiene un elogio della monarchia, ben noto e citato dagli studiosi, ma forse non adeguatamente analizzato e contestualizzato. Si tratta di un testo di forte portata teorica, che introduce il punto di vista di Dione in una posizione di rilievo all’interno della struttura tematica dell’opera. Esso è una prima valutazione della µοναρχία, la nuova forma di governo che si sarebbe imposta a Roma, che ne presenta gli aspetti positivi e, al contempo, l’ineluttabilità. Mi sembra indubitabile che qui sia lo storico, in prima persona, a parlare. Dopo aver definito l’uccisione di Cesare un atto illegale (ἀνόµως) ed empio (ἀσεβῶς), che aveva nuovamente gettato nella guerra civile una città saggiamente governata (44.1.1), Dione contrappone la µοναρχία alla δηµοκρατία:
Δηµοκρατία γὰρ ὄνοµα µὲν εὔσχηµον ἔχει καί τινα καὶ ἰσοµοιρίαν πᾶσιν ἐκ τῆς ἰσονοµίας φέρειν δοκεῖ, ἐν δὲ δὴ τοῖς ἔργοις ἐλέγχεται µηδὲν ὁµολογοῦσα τῷ προσρήµατι· καὶ τοὐναντίον ἡ µοναρχία δυσχερὲς µὲν ἀκοῦσαι, χρησιµώτατον δὲ ἐµπολιτεύσασθαι ἐστί … τά τε γὰρ ἀµείνω πολὺ µείζω καὶ πλείω καὶ πόλεσι καὶ ἰδιώταις ἐκ βασιλέων ἢ δήµων ἀεί ποτε ἐγένετο, καὶ τὰ δυσχερέστερα ἐν ταῖς µοναρχίαις ἢ ταῖς ὀχλοκρατίαις συµβαίνει (44.2.1-3)27.
41Questo testo pone preliminarmente un problema interpretativo: quale significato va attribuito in questo contesto a δηµοκρατία? Sta ad indicare la libera res publica in senso generale28, oppure qualcosa di diverso e di più specifico? In questo caso δηµοκρατία va posta in relazione con un altro termine che qui si sovrappone ad essa contrapponendosi alla µοναρχία: ὀχλοκρατία. Si tratta all’interno dell’opera di Dione di un (quasi) ἅπαξ λεγόµενον, cui lo storico fa ricorso solo in un’altra occasione: all’interno del discorso pronunciato da Ottaviano Augusto nel 27 a.C., laddove egli restituisce al popolo e al senato i poteri straordinari rivestiti fino a quel momento (53.8.4). In entrambi i casi il trapasso lessicale da δηµοκρατία ad ὀχλοκρατία serve ad evidenziare i rischi che un governo popolare comporta, soprattutto in termini di deriva demagogica. Questi passi hanno una loro importanza per l’interpretazione del giudizio sintetico del principato augusteo dato dallo storico nel libro 56.
42Ma torniamo all’analisi del passo. La monarchia è una soluzione resa inevitabile, agli occhi di Dione, dall’ampiezza delle conquiste che si estendono all’intera ecumene:
Πόλιν τε αὐτήν τε τηλικαύτην οὖσαν καὶ τοῦ τε καλλίστου τοῦ τε πλείστου τῆς ἐµφανοῦς οἰκουµένης ἄρχουσαν, καὶ πολλὰ µὲν ἀνθρώπων ἤθη καὶ διάφορα κεκτηµένην πολλοὺς δὲ καὶ µεγάλους πλούτους ἔχουσαν, ταῖς τε πράξεσι καὶ ταῖς τύχαις παντοδαπαῖς καὶ ἰδίᾳ καὶ δηµοσίᾳ χρωµένην, ἀδύνατον µὲν ἐν δηµοκρατίᾳ σωφρονῆσαι, ἀδυνατώτερον δὲ µὴ σωφρονοῦσαν ὁµονοῆσαι (44.2.4)29.
43In questo senso, afferma Dione, Bruto e Cassio hanno agito contro il bene dello stato:
Ὥστ’ εἴπερ ταῦτα οὕτως ὅ τε Βροῦτος ὁ Μᾶρκος καὶ ὁ Κάσσιος ὁ Γάιος ἐξελογίσαντο, οὐκ ἄν ποτε τόν τε προστάτην καὶ τὸν κηδεµόνα αὐτῆς ἀπέκτειναν, οὐδ’ ἂν µυρίων αἴτιοι κακῶν καὶ ἑαυτοῖς καὶ τοῖς ἄλλοις τοῖς τότε ἀνθρώποις ἐγένοντο (44.2.5)30.
44È importante tener conto della collocazione di questo elogio, che possiamo considerare una digressione, ovvero una pausa narrativa. Non è solo la sua posizione ad apertura del libro 44, che contiene il racconto della uccisione e dei funerali di Cesare, ad evidenziare questo testo all’attenzione dei lettori. Una spia dell’importanza delle riflessioni in esso contenute e della sua funzione in ordine all’interpretazione degli avvenimenti del periodo è rappresentata dallo scarto rispetto alla struttura annalistica nel passaggio dal libro 43 al 44. Il 43 si chiude infatti con l’indicazione di una serie di misure prese da Cesare nella prima metà di gennaio del 44 a.C. Il racconto del libro 44 prende l’avvio, invece, dall’elencazione degli onori attribuiti a Cesare tra la fine del gennaio 44 e la cerimonia del Lupercali del 15 febbraio.
2.2. I poteri attribuiti a Cesare dopo Munda
45L’elogio della monarchia – rispetto a questi due momenti – assume una funzione di spartiacque, di cerniera.
46Da una parte, esso costituisce uno sguardo retrospettivo sul potere di Cesare31. Questo sguardo retrospettivo investe in particolare gli onori attribuitigli e, in senso più generale, le riforme istituzionali realizzate tra il suo ritorno dalla Spagna dopo Munda (aprile 45) e il gennaio del 44. In questi provvedimenti Dione ravvisa un nesso di continuità col sistema politico imperiale e con la realtà del proprio tempo, che con intenzione sottolinea ripetutamente con alcuni commenti personali:
a) A Cesare per primo e per la prima volta viene attribuito titolo di imperator “non nell’antico significato (οὐ κατὰ τὸ ἀρχαῖον) … ma una volta e per sempre, a titolo personale, come anche oggi viene dato a coloro che detengono il potere perpetuo (ἀλλὰ καθάπαξ τοῦτο δὴ τὸ καὶ νῦν τοῖς τὸ κράτος ἀεὶ ἔχουσι διδόµενον … ὥσπερ τι κύριον)” (43.44.2). Come commenta Ferrary, l’autorizzazione ad avvalersi in modo permanente del titolo di imperator viene qui confusa con la concessione di imperator come praenomen, una pratica che fu in realtà un’innovazione di Augusto e che non è invece attestata né dalle iscrizioni né dalle monete cesariane32. Ci troviamo dunque di fronte ad una proiezione attualizzante di Dione.
b) La rinuncia, da parte di Cesare, alla carica di console prima che fosse terminato l’anno 45 a favore di Quinto Fabio e Gaio Trebonio (43.46.2). La notizia viene riportata anche da Svetonio (Iul. 80.3), che non aggiunge ad essa alcun commento. Dione invece sottolinea l’importanza dell’avvenimento, in cui ravvisa l’origine dell’istituzione dei consules suffecti: “Da quel momento nessuno ha più rivestito il consolato per l’intero anno (ἐκ δ’ οὖν τοῦ χρόνου ἐκείνου οὐκέτι οἱ αὐτοὶ διὰ παντὸς τοῦ ἔτους) … e ora nessuno riveste il consolato col collega per un intero anno o per un tempo superiore a due mesi. E noi consoli non ci distinguiamo in nulla l’uno dall’altro, se non per il fatto che quelli che rivestono la carica all’inizio danno il nome all’anno” (43.46.5-6).
c) Interessante è anche il riferimento alla ripresa dell’antica praefectura Vrbi (43.48.1), con cui si crea un importante precedente a quello che sarebbe stata questa carica in età imperiale33: “L’amministrazione delle finanze da allora non fu più affidata ai questori … ma alla fine agli ex pretori” (43.48.3).
d) L’istituzione nel gennaio del 44 di due edili Cereales introdusse una denominazione che, commenta Dione, “creata allora è giunta fino ai nostri tempi (ὅπερ που καὶ ἐς τόδε ἐξ ἐκείνου καταδειχθὲν ἐµµεµένηκε)” (43.51.3).
47Queste annotazioni dello storico a margine dei decreti successivi a Munda, cui fa seguito, in apertura del libro 44, l’elogio della monarchia e la sua storica necessità, inducono a ritenere che Dione consideri Cesare come il fondatore della monarchia imperiale e, in senso lato, come l’ideatore di una serie di riforme politico-istituzionali i cui esiti erano ancora ravvisabili ai suoi tempi. In questo Dione è in linea con gli storici del secolo precedente, Appiano in particolare34; si tratta di una visione condivisa anche da Svetonio, che si afferma a partire dall’età traianea35.
48L’aspetto veramente originale del racconto di Dione sta nella scansione temporale dei poteri attribuiti a Cesare36 e nell’individuazione dei fattori che portarono al fallimento del suo tentativo di riforma e alla ripresa delle δυναστεῖαι.
49È proprio da questo punto di vista che l’elogio della monarchia svolge una funzione di spartiacque. Ad esso fa seguito la valutazione delle ragioni che hanno determinato il cesaricidio. Se Dione indica come principali responsabili Bruto e Cassio, autori di un delitto empio e gravido di conseguenze (vd. supra, 44.2.5), egli aggiunge però che Cesare – per parte sua – si era acquistato un odio non del tutto immotivato (οὐ γὰρ δὴ καὶ ἀναίτιον πάντῃ τὸ ἐπίφθονον ἐκτήσατο) e che colpevoli della sua morte erano stati anche i senatori che lo avevano gonfiato di omaggi stravaganti (ταῖς ὑπερβολαῖς τῶν τιµῶν) (44.3.1). Gli onori attribuiti a Cesare a partire dalla fine di gennaio-inizi di febbraio del 44 vengono presentati dunque da Dione sotto una luce diversa rispetto a quelli conferitigli in precedenza, riportati nel libro 43.
50All’interno di questo elenco (44.4-6), Ferrary individua una serie di tappe che conducono a delle onorificenze propriamente cultuali37:
a) “Decretarono (ἐψηφίσαντο) che fossero portati nei teatri il suo seggio dorato e una corona aurea gemmata, come quelli degli dei (ἐξ ἴσου τοῖς τῶν θεῶν), e che nelle corse dei cocchi venisse guidato un suo carro (ὀχόν)” (44.6.3). Quest’ultimo era una tensa, vale a dire un carro utilizzato per trasportare le divinità della Triade capitolina nel puluinar del circo. Cesare stesso veniva dunque in qualche modo assimilato alla Triade capitolina, come risulta confermato da quanto segue:
b) “Alla fine lo proclamarono senz’altro Giove Giulio (καὶ τέλος Δία τε αὐτὸν ἄντικρυς ᾿Ιούλιον προσηγόρευσαν) e stabilirono che fosse consacrato un tempio a lui e alla sua Clementia, nominando Antonio sacerdote di entrambi come Flamen Dialis (καὶ ναὸν αὐτῷ τῇ <τ’> ᾿Επιεικείᾳ αὐτοῦ τεµενισθῆναι ἔγνωσαν, ἱερέα σφίσι τὸν ᾿Αντώνιον ὥσπερ τινὰ Διάλιον προχειρισάµενοι)” (44.6.4). La decisione – che è il solo Dione a menzionare – di dedicare un culto al Diuus Iulius mentre Cesare era ancora in vita era, come sottolinea Ferrary38, un’iniziativa propriamente rivoluzionaria, che Augusto si guarderà bene dal riprendere per se stesso. Le difficoltà che noi abbiamo ad interpretare gli onori cultuali tributati a Cesare nel 44 sono dovute al fatto che la loro attuazione venne interrotta dagli stessi capi del partito cesariano: Antonio, designato Flamen Dialis, si guardò bene dal farsi inaugurare dopo le Idi di marzo. Lo stesso Antonio alla fine del 44 fece anche approvare una legge che aboliva la dittatura.
51Se resta dubbio che gli onori che implicavano la divinizzazione in vita di Cesare, messi a punto dal senato in sua assenza, fossero stati da lui stesso sollecitati e graditi39, è certo invece che egli abbia accettato la dittatura a vita, che Dione pone come elemento conclusivo della sua disamina (δικτάτωρ διὰ βίου µετὰ ταῦτα ἀποδειχθεὶς ἠνέσχετο) (44.8.4).
52Questo è uno degli aspetti in cui Dione si discosta da Appiano. Mentre lo storico alessandrino definisce ἐς αἰεί la dittatura sillana (BC, 1.3.10) e vede quella cesariana in continuità con essa (1.4.15)40, Cassio Dione interpreta la dittatura perpetua del 44 come un elemento di forte discontinuità e di rottura. A conferma di questo sta il finale dell’excursus di Zonara sulla dittatura (7.13.14)41, in cui, in relazione al limite massimo di 6 mesi, si fa un finale riferimento alla novità di quella cesariana come esempio di amore per la µοναρχία42. Il fatto che questo sia l’unico riferimento ad un personaggio di epoca posteriore riportato in un excursus e che in un analogo passo sulla degenerazione della dittatura Dionigi (5.77.4) l’avesse attribuita piuttosto a Silla43 (come fa anche Appiano) potrebbero stare ad indicare che qui Dione esprima una propria opinione non in linea con la tradizione precedente.
53Il ricorso alla dittatura venne messo in opera da Cesare nel modo più radicale, che ne causò l’uccisione. La recusatio accuratamente orchestrata del titolo di rex e dei simboli più ellenistici della monarchia inscenata in occasione dei Lupercali non furono sufficienti a far accettare la realtà del potere monarchico.
Conclusioni
54In conclusione: permane un’incertezza sull’esatta cronologia degli onori attribuiti a Cesare tra l’aprile del 45 e il febbraio del 44. Ciò che è certo è però il fatto che Cassio Dione sia l’unico, tra gli storici antichi, a fornirne un’articolata scansione44. Lo storico senatore ha una sensibilità tutta particolare per le problematiche istituzionali. Questo lo induce ad interpretare in modo tanto critico quanto equilibrato il ruolo assunto da Cesare all’interno del processo che porterà alla formazione del Principato. L’elogio della monarchia ha la funzione di segnalare e di distinguere quali aspetti, tra le ultime riforme istituzionali del 45-44, costituirono una prima tappa nella formazione della monarchia imperiale e quali aspetti ne determinarono la sospensione e il momentaneo fallimento, segnando una ripresa delle δυναστεῖαι negli anni successivi con Antonio, Ottaviano e il secondo triumvirato.
55Dione dunque riprende la teoria delle forme di governo, ma la applica alla realtà storica di Roma in modo consapevolmente problematico e dialettico. Anche in questo è uno storico “di razza”, di altissima statura. Le griglie teoriche gli forniscono degli strumenti interpretativi che non lo conducono ad appiattire la complessità del farsi concreto della Storia. L’istituzione del Principato è il risultato di una lunga gestazione, non lineare, presentata da Dione come un percorso segnato da pause, fallimenti, ritorni ai conflitti e alle δυναστεῖαι, progressiva ricostruzione sulla linea del compromesso. Esiste in questo senso un forte nesso tra i libri 43-44 e quelli augustei, 52-53 e 56.
56Il fallimento del tentativo cesariano di istituire una monarchia è determinato, secondo Dione, da una serie di corresponsabilità: esse vengono attribuite ai congiurati, allo stesso Cesare. Un ruolo importante lo gioca però anche il senato, agitato da disaccordi, probabilmente diviso tra adulatori sinceri, provocatori travestiti da adulatori e moderati. Dione sottolinea questa mancanza di sinergia tra Cesare e il senato e l’ambivalenza di quest’ultimo (44.3.1-2) ed è sulla responsabilità del senato che egli, in definitiva, insiste di più.
57La costituzione definitiva del Principato da parte di Augusto prende l’avvio dal confronto dialettico tra res publica e monarchia imperiale del libro 52. Il dialogo Agrippa-Mecenate non è tanto, come ha dimostrato in modo convincente Espinosa Ruiz45, una contrapposizione tra due sistemi, ma piuttosto un’integrazione del primo nel secondo. È significativo il fatto che i primi atti politici compiuti da Ottaviano dopo aver ascoltato i suoi consiglieri siano, nel racconto che ne dà Dione, l’assunzione del titolo di imperator, “con lo stesso valore di quello che era stato votato per Cesare” e la lectio senatus (52.41.3-42.8), dando la priorità alla ricomposizione dei conflitti: sono queste le premesse che Dione ritiene indispensabili alla costituzione del principato augusteo. Espressione ne è la valutazione sintetica che, ancora una volta attraverso un’immagine tratta dalla teoria delle forme di governo, viene data di Augusto dopo la sua morte:
Τὴν µοναρχίαν τῇ δηµοκρατίᾳ µίξας τό τε ἐλεύθερόν σφισιν ἐτήρησε καὶ τὸ κόσµιον τό τε ἀσφαλὲς προσπαρεσκεύασεν, ὥστ’ ἔξω µὲν τοῦ δηµοκρατικοῦ θράσους ἔξω δὲ καὶ τῶν τυραννικῶν ὕβρεων ὄντας ἔν τε ἐλευθερίᾳ σώφρονι καὶ ἐν µοναρχίᾳ ἀδεεῖ ζῆν, βασιλευοµένους τε ἄνευ δουλείας καὶ δηµοκρατουµένους ἄνευ διχοστασίας (56.43.4)46.
58L’immagine della mescolanza tra monarchia e res publica sta appunto ad indicare la realizzazione di un sistema fondato sulla collaborazione tra imperatore e senato; un modello che lo storico senatore Cassio Dione ripropone ai suoi contemporanei.
Notes de bas de page
1 Vd. in particolare negli ultimi decenni Millar 1964, 74; Espinosa Ruiz 1982, 60-75; Aalders 1986, 297; Fechner 1986, 176-182; Carsana 1990, 83-85; Freyburger-Galland 1997, 113-140; Sion-Jenkis, 2000, 50; Kuhn-Chen 2002, 182.
2 Espinosa Ruiz 1982, 91-101.
3 Vd. Espinosa Ruiz 1982, 60-63 ; Freyburger-Galland 1997, 113-116; Sion-Jenkis 2000, 45-46.
4 Vd. Roddaz 1983, 80; Fechner 1986, 176-177 ; Reinhold 1988, 168; Freyburger-Galland 1997, 117; Sion-Jenkis 2000, 43.
5 Vd. Espinosa Ruiz 1982, 69-72 ; Reinhold 1988, 170; Freyburger-Galland 1997, 141-142.
6 Vd. in particolare Cordier 2003, secondo il quale δυναστεία in Dione, anche nel caso specifico, “ne renvoie pas non plus exactement à un type déterminé de régime politique, mais désigne une situation de fait où s’exerce un pouvoir personnel” (233). Sulla stessa linea anche Sion-Jenkis 2000, 48-50, secondo la quale le δυναστεῖαι sarebbero forme non legali del potere personale manifestatesi durante la repubblica, ma non riconducibili ad un preciso periodo. Il riscontro con Appiano sembrerebbe dimostrare il contrario: vd. infra.
7 Vd. Freyburger-Galland 1996. Per una panoramica generale sulla storia di questo concetto e sull’occorrenza del termine a partire dal v s. a.C., vd. Martin 1978.
8 Vd. Fechner 1986, 155-162.
9 Vd. Martin 1978, 238-239; contra Sion-Jenkis 2000, 48-50.
10 Vd. Espinosa Ruiz 1982, 79; Roddaz 1983, 80-81.
11 Urso 2013a, 96-97.
12 Traduzione proposta da Urso 2013a, 94.
13 Sulle forme dell’oligarchia nella Politica di Aristotele (libro 4), vd. Bertelli & Moggi 2014, 214-219.
14 Hansen 1993, 98.
15 Vd. in questo senso Carsana 1990, 94; Plácido 1995, 389.
16 Cuvigny, in : Carrière & Couvigny 1984, 149-151.
17 Caiazza 1993, 10.
18 Vd. Caiazza 1993, 62. Sulla fondamentale impronta aristotelica del pensiero politico di Plutarco vd., in generale, Masaracchia 1995.
19 In questo senso anche il potere di Pericle, fondato sull’annuale iterazione della carica di stratego per quindici anni, viene definito da Plutarco una forma di δυναστεία; vd. Canfora 1995, 86-88.
20 Vd. Carsana 1990, 65-81.
21 Ibid., 57-64.
22 Vd. Carsana 2007, 15-20.
23 Vd. a tale proposito in questo volume le considerazioni conclusive di M. Coudry, “Contexte d’énonciation et vocabulaire politique”.
24 Il fatto che si tratti di una “base di partenza” risulta dall’espressione ἔς τε τὴν ἐπιθυµίαν ἀπ’ αὐτοῦ τῆς δυναστείας: vd. in tal senso M. Coudry (supra, n. 23).
25 Nel 55, anno del suo secondo consolato, Pompeo esercita pressioni su Gabinio, governatore della Siria, per consentire il rientro in Egitto di Tolemeo Aulete: “A tal punto le δυναστεῖαι e la forza del denaro ebbero il sopravvento sui decreti del popolo e del senato (παρὰ τὰ ψηφίσµατα τά τε τοῦ δήµου καὶ τὰ τῆς βουλῆς ἴσχυσαν)”.
26 Cf. le parole di conforto rivolte da Filisco a Cicerone dopo la sua condanna all’esilio in seguito all’accusa intentatagli da Clodio (38.25.2-3): Cicerone da console ha agito nel rispetto dei decreti del senato per il bene dello stato; contro di lui si sono macchinati terribili danni ἐκ δυναστείας; anche in questo caso Cesare aveva agito attraverso un tribuno della plebe, Clodio.
27 “La democrazia ha infatti un bel nome e sembra dare a tutti i cittadini una parità di diritti in base all’equità delle leggi, ma nella realtà dei fatti dimostra di non essere affatto coerente con quanto dichiara. Al contrario la monarchia ha un nome odioso, ma è di grande vantaggio per i cittadini … Infatti dai re è sempre venuto un maggior bene alle città e ai privati cittadini che non dalla democrazia e i mali sono meno frequenti nelle monarchie che nel governo delle masse”.
28 Come avviene altrove: cf. in particolare 52.1.1; vd. supra.
29 “Ma uno stato di tali dimensioni, che governa sulla parte più bella e più ampia del mondo conosciuto, che ha conquistato molti e differenti generi di uomini e che possiede molte e grandi ricchezze, impegnato in imprese e vicende di ogni sorta sia collettivamente che individualmente, è impossibile che si mantenga saggio in una democrazia e ancor più impossibile che, non essendo saggio, possa vivere nella concordia”.
30 “Perciò, se Marco Bruto e Gaio Cassio avessero ragionato su questo, non avrebbero ucciso il capo e il protettore di questo stato, e non si sarebbero resi responsabili di infinite disgrazie per se stessi e per gli altri uomini del loro tempo”.
31 Vd. M. Coudry (supra, n. 23).
32 Ferrary 2010, 18-19.
33 Vd. Gabba 2000, 143.
34 “Infatti suo figlio Ottaviano … consolidò maggiormente il potere fondato da Cesare e che esiste ancora oggi (τήν τε ἀρχὴν τὴν ἐπικρατοῦσαν ἔτι νῦν, ἐρριζωµένην ὑπ’ ἐκείνου, µειζόνως ἐκρατύνατο)” (App., BC, 2.148.617).
35 Vd. Carsana 2007, 19.
36 È il solo a non appiattirli in un’unica lista, ma a distinguere diverse fasi nella loro attribuzione; vd. Sordi 2000, 305-307.
37 Ferrary 2010, 20-22; vd. anche Weinstock 1971, 281-286.
38 Ferrary 2010, 21.
39 Vd. discussione in Zecchini 2001, 57-63, il quale, pur ammettendo che il senatoconsulto “implicava la divinizzazione in vita dell’onorato” (p. 58), dubita in modo fondato che tali onori tributati in absentia fossero stati sollecitati e accolti dal dittatore.
40 Δεύτερος ἐπὶ Σύλλᾳ δικτάτωρ ἐς τὸ διηνεκὲς ᾑρέθη.
41 Vd. Urso 2005, 44-45, 51-52.
42 Οὐκ ἐπὶ πλέον δὲ τῶν ἓξ µηνῶν ἡ τῆς δικτατωρίας ἀρχὴ παρετείνετο, ἵνα µή τις αὐτῶν ἐν τοσούτῳ κράτει καὶ ἐξουσίᾳ ἀκράτῳ χρονίσας ὑπερφρονήσῃ καὶ πρὸς ἔρωτα µοναρχίας ἐκκυλισθῇ. ὅπερ ἐς ὕστερον καὶ ὁ Καῖσαρ ᾿Ιούλιος ἔπαθεν, ἐπεὶ παρὰ τὰ νενοµισµένα τῆς δικτατωρίας ἠξίωτο.
43 Ἐπὶ δὲ τῆς κατὰ τοὺς πατέρας ἡµῶν ἡλικίας ὁµοῦ τι τετρακοσίων διαγενοµένων ἐτῶν ἀπὸ τῆς Τίτου Λαρκίου δικτατορίας διεβλήθη καὶ µισητὸν ἅπασιν ἀνθρώποις ἐφάνη τὸ πρᾶγµα Λευκίου Κορνηλίου Σύλλα πρώτου καὶ µόνου πικρῶς αὐτῇ καὶ ὠµῶς χρησαµένου.
44 Vd. Sordi 2000, 305-307.
45 Espinosa Ruiz 1982.
46 “Mescolando la monarchia alla res publica egli conservò per loro (i Romani) la libertà e nello stesso tempo stabilì ordine e sicurezza, cosicché essi, essendo lontani sia dalla licenza di una democrazia che dall’insolenza di una tirannia, vivevano in una libertà moderata e in una monarchia senza terrore, sudditi di una monarchia senza essere schiavi e cittadini di una res publica priva di discordie civili”.
Auteur
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