L’uso degli acta senatus nella Storia romana di Cassio Dione
p. 243-257
Texte intégral
Premessa
1Riprendo qui l’indagine che avevo avviato nel convegno di Gubbio sull’uso dei documenti nella storia antica1. In quell’occasione mi ero limitato a una campionatura fino alla morte di Augusto; ora vorrei completare l’analisi offrendo un panorama il più possibile completo, riprendendo anche le considerazioni che avevo fatto fin dal 1979 sull’uso di documenti d’archivio nei libri dedicati da Dione all’età contemporanea2.
2Per brevità non riporterò qui le considerazioni sul metodo di lavoro di Dione da cui avevo preso le mosse nel 2003, in netto contrasto con le posizioni espresse da P. M. Swan3, e mi limiterò a indagare l’uso degli acta senatus, rinviando al mio articolo in SCO per gli acta urbis e le iscrizioni. Credo comunque che da quanto dirò risulteranno chiari i motivi per cui ritengo che Dione abbia cercato e utilizzato documenti d’archivio non solo per l’età contemporanea, ma in pratica per tutto il periodo coperto dagli acta senatus e dagli acta urbis.
Versioni ufficiali presentate come tali
3Coerentemente con alcune sue dichiarazioni di metodo (53.19; 54.15.3), Dione mostra in alcuni casi di riportare non le versioni fornite dalle fonti letterarie disponibili, ma quella ufficiale diffusa dalle autorità, il che sembra implicare la consultazione di documenti ufficiali. L’esempio più significativo è offerto dal lungo resoconto delle campagne condotte in Mesia e in Tracia nel 29 e 28 a.C. da M. Licinio Crasso, nipote del triumviro e console nel 30 a.C. (51.23-27)4. In esso Dione fornisce notizie molto precise e particolareggiate, che non trovano riscontro in altre fonti, e sente il bisogno di avvertire il lettore che il quadro etnico dell’area è profondamente mutato rispetto ai tempi di Crasso, ma che egli darà le notizie così come sono state tramandate (51.27.2: γράφω δὲ τά τε ἄλλα ὥς που παραδέδοται, καὶ αὐτὰ τὰ ὀνόµατα). Molto probabilmente qui Dione si riferisce ai rapporti scritti inviati da Crasso al senato e registrati negli acta senatus.
4Questa indicazione è particolarmente importante se la confrontiamo con quanto Dione afferma al capitolo 25 a proposito del mancato riconoscimento del titolo di imperator a Crasso: per le sue vittorie gli fu decretato dal senato (ἐψηφίσθη) il trionfo, ma non τὸ αὐτοκράτορος ὄνοµα, e Dione contrappone questa sua versione, in cui il verbo ἐψηφίσθη è un esplicito riferimento a un senatus consultum, a quella di non meglio precisati autori (ὥς γέ τινές φασι). Egli sembra dunque contrapporre la versione da lui seguita, che per lui è quella ufficiale fondata sugli acta senatus, ad alcune narrazioni letterarie, che pure conosce ma da cui prende le distanze.
5A questo proposito va subito sgombrato il campo da un equivoco. Per lo più si ripete che l’affermazione di Dione è sbagliata, perché in realtà almeno due iscrizioni attestano per Crasso il titolo di imperator5. Ma, come ho già detto, Dione qui non sta parlando dell’acclamazione da parte delle truppe, bensì del suo riconoscimento da parte del senato (ἐψηφίσθη) e per questo si appella all’autorità degli acta senatus per ribadire che nel 29 a.C. il senato decretò per Crasso solo il trionfo.
Casi in cui Dione dà erroneamente come attuate decisioni del senato
6Una derivazione diretta dagli acta senatus sembra la spiegazione migliore anche in alcuni casi in cui Dione dà erroneamente per applicato un senatus consultum che, pur essendo stato approvato, era rimasto in tutto o in parte inapplicato o era stato formalmente rifiutato dal principe che intendeva onorare.
7Questo vale per l’ampliamento del pomerium da parte di Cesare (43.50.1; 44.42.1)6 come per la fondazione della colonia di Lugdunum, che Dione attribuisce non solo a Munazio Planco, ma anche a Emilio Lepido (ἔκτισαν), come prescriveva il senatus consultum (46.50.4‑5), mentre dalle altre fonti apprendiamo che in realtà essa fu opera del solo Planco7.
8Ancora più significativo mi sembra il caso delle decisioni votate dal senato nel 20 a.C., all’annuncio dell’avvenuta restituzione delle insegne partiche (54.8.2-3), che Dione dà tutte per eseguite. Per la costruzione di un tempio di Marte Ultore sul Campidoglio, di cui in realtà non c’è traccia, dice esplicitamente che Augusto lo ἐποίησε; ma sono date per realizzate anche la costruzione di un arco e l’ouatio, sebbene quest’ultima sia smentita poi dallo stesso Dione (54.10.4). Ritengo che su questo complesso di notizie abbia fatto definitivamente chiarezza J. Rich, dimostrando che per volontà di Augusto rimasero lettera morta non solo l’ouatio, ma anche il tempio sul Campidoglio e l’arco8. Tuttavia egli non trae da questa constatazione la conclusione più naturale, che per queste notizie il nostro storico si sia basato esclusivamente sugli acta senatus e pensa piuttosto che egli abbia “misinterpreted” ciò che trovava “in one or more of the early imperial historians who were Dio’s principal sources”9. Non mi sembra tuttavia credibile che una fonte del i s. potesse parlare di questo senatus consultum del 20 a.C. senza dire subito che per volontà di Augusto esso non aveva avuto seguito, almeno in quella forma, o che Dione potesse fraintendere notizie di questo tipo.
Citazioni testuali di documenti ufficiali da Cesare a Marco Aurelio
9Bisogna poi considerare i casi in cui Dione cita testualmente documenti ufficiali (senatus consulta, lettere ufficiali, discorsi in senato, costituzioni imperiali) o ne segnala qualche particolare testuale significativo sul piano dell’esegesi, della lingua o del protocollo, per cui è ragionevole ammettere che li abbia riscontrati direttamente negli archivi disponibili.
10Partirò dalle citazioni che riguardano il periodo da Cesare a Marco Aurelio, cioè vicende anteriori all’epoca di Dione, per le quali è escluso che egli possa basarsi sulla propria memoria di testimone diretto anziché sulla consultazione degli archivi.
11Particolarmente interessante è la citazione di una profezia dei Libri Sibillini relativa al re d’Egitto, divulgata nel 56 a.C. per iniziativa del tribuno della plebe C. Catone (39.15.2-3). Per far questo il tribuno dovette ottenere il permesso del senato, che secondo Dione era condizione indispensabile, e quindi il testo della profezia dovette essere registrato negli acta senatus.
12Per il regno di Augusto Dione ricorda un interessante carteggio diplomatico del 2 a.C., riservando una particolare attenzione alle formule protocollari utilizzate (55.10.20-21): Augusto si rivolge a Fratace (= Fraate V) senza riconoscergli alcun titolo; Fratace gli risponde usando orgogliosamente il titolo di “re dei re” e chiamandolo semplicemente “Cesare”; Tigrane (= Tigrane IV d’Armenia), invece, scrive ad Augusto senza definirsi re e chiedendo che sia lui a investirlo del titolo10. È probabile che di tutto il carteggio fosse stata data lettura in senato e che quindi Dione avesse potuto consultarlo negli acta senatus.
13Già per i primissimi tempi di Tiberio (14 d.C.) vengono riportate alcune parole di un editto (57.9.2) che forse Dione poteva leggere negli acta urbis o negli acta senatus: al divieto di erigere templi o statue in suo onore Tiberio aveva aggiunto le parole ἂν µὴ ἐγὼ ἐπιτρέψω, ma aveva aggiunto anche οὐκ ἐπιτρέψω.
14Più avanti, nella narrazione degli eventi del 30 d.C., si afferma che nelle lettere indirizzate al senato Tiberio chiamava Seiano “il mio Seiano” (58.4.3), ma già poco dopo, tra i segnali dell’imminente caduta del potente prefetto del pretorio, egli dice che in una lettera al senato del 31 d.C. Tiberio lo nominava senza aggettivi (ἁπλῶς) e senza alcun titolo. Anche in questo caso, come abbiamo già visto per il carteggio diplomatico del 2 a.C. relativo all’Armenia, l’esame del formulario sembra esteso all’intero dossier, di cui Dione cita solo un campione, e denota in lui un’attenzione alle formule protocollari che ritroveremo come una costante nei suoi riferimenti alla corrispondenza imperiale.
15Passando ai primi tempi del regno di Caligola, si riportano testualmente le parole con cui l’imperatore spiegò la sua decisione di bruciare le denunce di maiestas (59.6.3). Molto probabilmente si tratta di un discorso pronunciato in senato, o di una lettera ad esso inviata, in ogni caso di un documento che Dione poteva leggere negli acta senatus.
16Viene poi fornito un resoconto particolareggiato, che comprende varie citazioni, presentate come testuali, del discorso pronunciato da Caligola nel 38, in cui inaspettatamente difendeva Tiberio e accusava di maiestas chi ora ne parlava male (59.16.1-7): lo storico aggiunge anche che Caligola fece incidere il suo discorso su una stele di bronzo (59.16.8); è chiaro che questa non esisteva più fin dall’avvento di Claudio, ma ancora al tempo di Dione doveva essercene traccia negli acta senatus.
17Di Claudio sono riportate le parole, evidentemente pronunciate in senato, con cui, appena diventato imperatore, rifiutò gli onori eccessivi che gli erano stati votati (60.5.5). Su una dichiarazione di Claudio sembra basato (60.5.3) anche l’accenno alle corse di cavalli del 1° agosto, che per suo volere dovevano continuare a celebrare il natalis del tempio di Marte anziché quello dell’imperatore. Questo particolare è stato spesso considerato sospetto, perché la dedica del tempio di Marte Ultore sembra da collocare piuttosto al 12 maggio11. Ma poiché nel passo di Dione si parla genericamente di “tempio di Marte”, la festa del 1° agosto potrebbe riferirsi a uno dei tanti templi di Marte anteriori a quello di Marte Ultore.
18Un’altra lunga citazione testuale è tratta dal discorso (in senato) con cui nel 42 a.C. Claudio vietò che i governatori scelti extra sortem pronunciassero discorsi di ringraziamento davanti al senato (60.11.7).
19Per Nerone si cita, non è chiaro se dagli acta urbis o dagli acta senatus, l’editto in cui, nel 60 d.C., l’imperatore affermava di aver istituito i Neronia ὑπὲρ δὲ δὴ τῆς σωτηρίας τῆς τε διαµονῆς τοῦ κράτους αὐτοῦ (62[61].21.1).
20Viene poi riportata testualmente la formula con cui venivano proclamate le vittorie di Nerone nelle varie città greche da lui visitate nel 66 d.C. (62[63].14.4). Dione potrebbe aver desunto questo testo da una delle lettere che Nerone dovette scrivere al senato durante la sua tournée in Grecia, ma potrebbe anche averlo letto in una o più iscrizioni a Olimpia, a Delfi, a Corinto o altrove12.
21Subito dopo (62[63].15.1) Dione dichiara espressamente di riportare verbatim le parole pronunciate contro Nerone da Vatinio: µισῶ σε, Καῖσαρ, ὅτι συγκλητικὸς εἶ. Sembrerebbero parole tratte dal verbale di un processo contro un senatore, probabilmente celebrato in senato e quindi documentato negli acta senatus.
22Solo da un verbale del senato Dione poteva ricavare il testo dell’iscrizione dedicatoria del tempio eretto a Poppea divinizzata nel 68 d.C. (63.26.3): è chiaro, infatti, che né il tempio né l’iscrizione sopravvissero alla caduta di Nerone.
23Con l’attenzione già segnalata per il formulario delle lettere ufficiali, Dione riporta uno scambio epistolare del 70 d.C. tra il re dei Parti Vologese I e Vespasiano (65[66].11.3), in cui il primo chiamava se stesso Arsace e si autodefiniva “re dei re”, mentre chiamava il suo interlocutore semplicemente “Flavio Vespasiano” e il secondo, senza protestare, aveva firmato allo stesso modo la sua risposta13. Anche di questo carteggio, come già di quello armeno di Augusto, Dione doveva trovare traccia negli atti del senato.
24A proposito di Adriano, già G. Migliorati ha riconosciuto una citazione tratta dagli acta senatus nelle promesse contenute in una lettera scritta dall’imperatore al senato all’inizio del suo regno (69.2.3 = EV 293a)14. Dione segnala poi che nel 132 d.C., a causa dei molti caduti romani nella guerra in Giudea, nelle sue lettere al senato l’imperatore omise la formula di saluto consueta: εἰ αὐτοί τε καὶ οἱ παῖδες ὑµῶν ὑγιαίνετε, εὖ ἂν ἔχοι· ἐγὼ καὶ τὰ στρατεύµατα ὑγιαίνοµεν (69.14.3).
25Un’altra citazione testuale (αὐτὸ τοῦτο) è quella dalla lettera in cui Adriano, negli ultimi tempi della sua vita, lamentava quanto sia duro desiderare la morte e non poter morire (69.17.3). Il contesto è aneddotico, visto che la lettera viene ricordata dopo la maledizione di Serviano, che prima della propria esecuzione avrebbe per l’appunto augurato ad Adriano di desiderare la morte e non poter morire (69.17.2), per cui si potrebbe pensare che la lettera sia solo un’invenzione letteraria per mostrare il compiersi della maledizione. Io credo piuttosto che l’invenzione letteraria sia la maledizione, costruita a partire dalla lettera. Questa potrebbe essere stata una lettera ufficiale al senato, in cui Adriano non si lamentava che la morte desiderata non arrivasse (implicitamente ammettendo di non avere il coraggio di suicidarsi), ma dichiarava che il suo dovere di imperatore, preoccupato di risolvere il problema della successione nel superiore interesse della res publica, gli impediva di darsi la morte da sé, come pur avrebbe desiderato.
26Più avanti, menzionando la lettera inviata da Marco Aurelio al senato dopo la morte di Faustina (176 d.C.) per chiedere che nessuno degli uomini compromessi con Avidio Cassio fosse messo a morte, Dione inserisce la citazione letterale (ταῦτα) di due frasi particolarmente significative (72[71].30.1-3).
27Un’altra citazione letterale è tratta invece da un discorso pronunciato da Marco Aurelio in senato per la ripresa della guerra danubiana nel 178 d.C. (72[71].33.2).
Citazioni testuali di documenti ufficiali per l’età di Dione
28Riprendendo l’analisi che avevo avviato nel 1979, cercherò di distinguere le citazioni di documenti per gli anni da Commodo a Elagabalo presenti nell’opera di Dione in base alla loro origine: ricordi personali, appunti presi sul momento da testimone diretto, consultazione retrospettiva in archivio.
Citazioni basate solo su ricordi personali
29Quasi certamente basato solo su ricordi personali è il brano (73[72].15.5) in cui Dione riporta minuziosamente la titolatura completa usata da Commodo nell’ultimo anno di regno (192 d.C.) nelle sue lettere al senato15.
30Nella stessa prospettiva bisognerà considerare una serie di altri documenti: la lettera in cui Settimio Severo, dopo la vittoria di Lugdunum nel 197 d.C., si definiva sistematicamente figlio di Marco e fratello di Commodo (76[75].7.4); le citazioni letterali dal discorso pronunciato poco tempo dopo dallo stesso Severo in senato (76[75].8.1-3); la frase di una lettera del 200 d.C. in cui egli si augurava di morire prima di Plauziano (76[75].15.2); le parole da lui pronunciate in senato nel 205 d.C. per bloccare onori eccessivi per i suoi liberti (77[76].6.1); le adclamationes pronunciate per lui dai senatori nello stesso anno 205 (77[76].6.2). In tutti questi casi si tratta di espressioni che devono aver colpito profondamente Dione, restando impresse nella sua memoria anche a distanza di anni.
Citazioni basate su appunti presi al momento
31La situazione dovette cambiare quando Dione cominciò a preparare la sua opera maggiore. È presumibile che da quando egli cominciò a raccogliere materiali sulla storia passata abbia anche cominciato a prendere sistematicamente appunti per il presente, annotando in primo luogo gli elementi a suo giudizio più significativi delle sedute senatorie a cui partecipava.
32Non è qui il luogo per riprendere la querelle sull’esatta cronologia dei dieci anni di raccolta di materiali sulla storia di Roma dalla fondazione della città alla morte di Severo (73[72].23.5). Mi limito a rimandare agli argomenti con cui ho sostenuto una cronologia bassa, con inizio al 211, dopo che un sogno inviatogli dalla Τύχη tra la morte di Severo e quella di Geta (79[78].10.1-2) ebbe convinto Dione a rompere gli indugi e mettersi all’opera16.
33Sulla base di questa premessa si può presumere che a partire dal 211 le citazioni di parole pronunciate o lette in senato quando Dione non era presente a Roma siano basate su appunti presi sul momento col preciso intento di utilizzarli nell’opera. Un criterio abbastanza sicuro per stabilire se Dione parla come testimone diretto o solo in base a successivi riscontri in archivio è offerto dal diverso modo in cui egli si riferisce al senato: quando dice “noi” vuol segnalare che era presente anche lui; quando parla di βουλή o di γερουσία vuol far capire che in quell’occasione non c’era.
34Mi limito qui a un rapido elenco dei passi in cui Dione sembra riportare citazioni testuali come testimone diretto: 78[77].3.3 (parole con cui Caracalla nel 212 d.C. annunciò in senato l’amnistia per la morte di Geta); 78[77].7.2 (lettera del 212 in cui Caracalla dichiarava che Alessandro riviveva in lui); 78[77].13.6 (lettera del 213 in cui Caracalla lodava l’auriga Pandione); 79[78].16-17 e 79[78].37.5 (prima lettera di Macrino al senato); 79[78].37.5-6 (lettera di Macrino a proposito del figlio Diadumeniano, di cui viene rilevata una serie di improprietà protocollari); 79[78].16.4 (invio da parte di Macrino di ὑποµνήµατα allo scopo di screditare la memoria di Caracalla).
Citazioni basate sulla consultazione degli acta senatus
35Per i periodi in cui Dione fu assente da Roma bisogna ammettere che le citazioni letterali possono derivare solo da ricerche effettuate successivamente nell’archivio del senato. Questo vale innanzi tutto per il periodo della permanenza di Caracalla a Nicomedia, dalla fine del 213 fino all’aprile del 215, perché Dione attesta di essere stato presente (78[77].17.1-4; 78[77].18.1).
36In un primo passo (78[77].18.2) si dice che nelle sue lettere da Nicomedia πρὸς τὴν βουλήν Caracalla includeva il nome della madre nella formula iniziale sullo stato di salute dell’imperatore e dell’esercito, che abbiamo già ricordato in precedenza per una lettera di Adriano (69.14.3).
37Successivamente (78[77].20.2) si riportano le parole sprezzanti e minacciose nei confronti del senato (τῇ γερουσίᾳ, σφᾶς) contenute in una lettera inviata da Antiochia nel 215.
38Particolarmente significative sono due lettere17 che Caracalla inviò al senato (τῇ βουλῇ, τῇ γερουσίᾳ) da Alessandria durante la sua burrascosa visita in Egitto (dal dicembre del 215 alla fine di aprile del 216). Di esse mi sono occupato più diffusamente altrove18. In questa sede mi limito a ricordare che la prima si riferisce a una serie di esecuzioni di ἐργολάβοι (78[77].22.3); appare molto significativo che di ἐργολάβοι (impresari o appaltatori) si parli anche in un papiro di Hermoupolis certamente relativo agli stessi eventi19: è la conferma che Dione si basa davvero su documenti ufficiali.
39Poiché Dione risulta ancora assente da Roma quando giunse l’ultima lettera di Caracalla (79[78].8.3: τῇ γερουσίᾳ), è probabile che anche le lettere che l’imperatore inviò dal fronte partico nel 216 siano state riscontrate da Dione nell’archivio del senato.
40In particolare egli cita una lettera (ἐπέστειλεν) sulla campagna condotta in Media (79[78].1.4-5), in cui Caracalla parlava spavaldamente di vittoria schiacciante, sorvolando del tutto sulla mancanza di qualsiasi resistenza da parte del nemico, che aveva sistematicamente evitato lo scontro, e raccontava invece diffusamente che un leone disceso dai monti aveva combattuto al suo fianco.
41Subito dopo (79[78].2.1) comincia per noi il Codice Vaticano 1288, che ci fornisce di nuovo il testo originale di Dione, anche se comincia a metà frase, per cui resta incerto il contesto. Quel che mi sembra certo, tuttavia, è che il βιβλίον di cui qui parla Dione, affermando di averlo consultato personalmente, non può essere inteso né come un’autobiografia di Caracalla20 né come un suo commentarius de bello Parthico21. In realtà la vicenda in lacuna a cui si riferiva il βιβλίον doveva riguardare i rapporti tra Caracalla e il senato e non lo svolgimento della campagna partica, come indica chiaramente il successivo riferimento a episodi persecutori verificatisi non certo al fronte e probabilmente distribuiti lungo tutto il regno. Perciò l’οὖν di 79[78].3.1 non è la prova di un legame tra il βιβλίον e la guerra partica, come sostiene R. Westall, ma al contrario il segnale che il brano in cui si parla del βιβλίον è una digressione: οὖν indica che si riprende l’argomento della guerra dopo una parentesi in cui si è parlato d’altro.
42Quanto al contenuto e alla natura del βιβλίον, credo che περὶ αὐτοῦ significhi “su di lui”, cioè su Caracalla, e che quindi γραφέντι οἱ non possa significare “scritto da Caracalla”, ma vada riferito a un altro personaggio, per noi ignoto, che era nominato nella parte perduta: l’autore del βιβλίον, dunque, non era Caracalla, ma piuttosto una sua vittima, e quindi si sarà trattato di un libello contro l’imperatore, che probabilmente fu sequestrato e usato come prova a carico per giustificare le azioni repressive ricordate da Dione.
43Come ho già accennato, fu sicuramente riscontrata in archivio l’ultima lettera di Caracalla τῇ γερουσίᾳ (79[78].8.3), di cui vengono riportate alcune espressioni, mentre Dione era certamente presente in senato quando fu data lettura delle prime lettere di Macrino (v. supra, p. 248). Ma le lettere successive giunsero quando Dione non era più a Roma, evidentemente perché era già partito per l’Asia, essendo stato nominato λογιστής di Pergamo e Smirne dallo stesso Macrino (80[79].7.4).
44Possiamo dunque considerare desunte dagli acta senatus tutta una serie di citazioni di lettere di Macrino ed Elagabalo. Ricordo innanzi tutto quella in cui Macrino parlava di Elagabalo, definendolo παιδίον ed ἔµπληκτον e che quindi risale già al 218 (79[78].36.1). Dione precisa che la stessa lettera era stata inviata anche a tutti i governatori provinciali, e molto probabilmente ad essa si riferisce anche 79[78].38.1-2, dove si aggiunge che insieme ad essa fu letta anche l’allocuzione all’esercito, in cui Macrino chiamava se stesso “padre” e Diadumeniano “figlio” e rinfacciava ancora a Elagabalo di essere troppo giovane.
45Ancor più significativa è una lettera inviata in questa stessa fase da Macrino al praefectus urbi (Mario) Massimo sulle pretese eccessive dei soldati (79[78].36.1-5; 79[78].37.1-2), che era destinata a rimanere segreta e fu letta in senato (τῇ γερουσίᾳ) solo l’anno dopo, per ordine di Elagabalo (80[79].2.1). Questo spiega come mai Dione possa registrare anche certi commenti ostili a Macrino fatti a gran voce in senato, impossibili se Macrino fosse stato ancora vivo.
46Anche all’arrivo della prima lettera di Elagabalo al senato (80[79].2.2) Dione non era presente e lo segnala (πρὸς τὴν βουλήν), mentre rileva la titolatura abusiva di cui il nuovo imperatore si fregiava. Alla titolatura da lui usata in questa prima lettera si allude anche in un altro passo (80[79].8.1) e probabilmente una citazione testuale (τοῦτο) da essa è 80[79].18.4 (= ES 153), visto che in essa si parla dei titoli Pius e Felix.
47Egualmente negli acta senatus Dione dovette trovare la lettera inviata da Elagabalo τῇ βουλῇ καὶ τῷ δήµῳ dopo la vittoria su Macrino (80[79].1.2-4), di cui riporta il contenuto e due ampie citazioni, sottolineando espressamente il carattere letterale della seconda (αὐτὸ τοῦτο).
48Ricordo ancora le notizie sulla lettera τῇ γερουσίᾳ (80[79].4.4) in cui Elagabalo annunciava la riabilitazione di (C. Giulio Settimio) Castino e di (Giulio) Aspro, e soprattutto la citazione testuale (80[79].5.1-3) dell’atto di accusa contro Silio Messalla e Pomponio Basso inviato da Elagabalo al senato (τῇ βουλῇ), che su quella base dovette giudicarli e condannarli a morte.
49Molto interessante mi sembra poi quel che Dione afferma a 80[79].8.2: Elagabalo inserì a posteriori il proprio nome come console del 218 al posto di Macrino, sebbene non fosse stato mai eletto e l’anno fosse ormai terminato e sebbene in tre precedenti lettere al senato avesse menzionato quell’anno con riferimento al solo (Oclatinius) Adventus. Il fatto che Dione possa precisare l’esatto numero di queste lettere presuppone, a mio giudizio, che le abbia riscontrate nell’archivio del senato.
50Un’ultima citazione (80[79].18.5 = ES 154) è tratta dalle parole pronunciate da Elagabalo in senato nel 221, in risposta alle lodi di cui era stato fatto oggetto.
51È bene quindi ribadire che per questo periodo Dione poté sicuramente consultare l’archivio del senato nella breve sosta che fece in Italia dopo il suo “comando in Africa” (che ritengo debba intendersi come il comando della legio III Augusta in Numidia e non come il proconsolato d’Africa) e prima dell’invio in Dalmazia (80.1.2). Come ho già detto altrove, in questa sosta, da collocare nella prima metà del 222, Dione deve aver rivestito il suo primo consolato22 ed è egli stesso a dirci che proprio quando era console (per la prima volta) condusse ricerche nell’archivio imperiale che gli permisero di accertare il numero complessivo delle denunce per adulterio sotto Severo (77[76].16.4).
Notizie particolareggiate su deliberazioni del senato
52Naturalmente è molto più difficile dimostrare un diretto rapporto coi documenti presenti nell’archivio del senato nei molti casi in cui Dione parla di deliberazioni senatorie senza inserire citazioni puntuali. Ritengo tuttavia di poter segnalare un numero abbastanza consistente di casi in cui Dione fornisce un resoconto talmente particolareggiato e ricco delle decisioni prese dal senato in determinate occasioni, e talmente in linea coi suoi interessi prevalenti, da giustificare l’ipotesi che fossero frutto di ricerche mirate negli acta senatus.
53Questo vale in primo luogo per gli onori votati per Cesare vivo in tre diverse occasioni23 e per quelli postumi votati dai triumviri nel 42 a.C. (47.18-19).
54Sulle decisioni prese dal senato alla morte di Augusto vengono dati molti particolari assenti nelle altre fonti. Ci viene ad esempio segnalato che il giorno dopo l’arrivo a Roma della salma di Augusto i senatori si riunirono indossando la toga equestre in segno di lutto (56.31.2)24 e si danno altri particolari del cerimoniale di quella seduta, come il fatto che il testamento di Augusto fu letto dal suo liberto Polibio (56.32.1).
55Al capitolo successivo (56.33) si parla dei βιβλία τέσσαρα lasciati da Augusto, che in quella stessa seduta furono letti integralmente in senato da Druso minore, un particolare che manca in Svetonio e in Tacito. Dione menziona nell’ordine le disposizioni sui funerali, le Res gestae, il breuiarium totius imperii e i mandata per Tiberio (56.33.3).
56Si è molto discusso di queste notizie, e in particolare dell’ultimo βιβλίον, il cosiddetto testamento politico di Augusto, perché Svetonio (Aug., 101.6) parla solo dei primi tre (tribus uoluminibus), senza precisare l’occasione in cui furono letti, mentre Tacito (Ann., 1.11.3-4) parla solo del breuiarium, che dice letto in senato nella seduta dopo il funerale anziché in quella prima, e aggiunge un accenno non del tutto chiaro alla parte più significativa del testamento politico, dando l’impressione di considerarlo parte dell’unico libellum letto in quell’occasione: quae cuncta sua manu perscripserat Augustus, addideratque consilium coercendi intra terminos imperii, incertum metu an per inuidiam.
57Anche Dione dice che i mandata per Tiberio si concludevano con l’esortazione a non estendere ulteriormente l’impero (56.33.5), ma ricorda anche la raccomandazione di limitare le manomissioni di schiavi e le concessioni della ciuitas Romana (56.33.3) e quella di affidare la gestione della cosa pubblica a persone competenti e capaci, evitando di concentrare i compiti nelle mani di una sola persona (56.33.4). Inoltre, a proposito dell’esortazione a non estendere l’impero, Dione aggiunge un commento che può apparire in contrasto con la realtà delle conquiste di cui Augusto si vanta nelle Res gestae: “In effetti così egli ebbe cura di agire, non solo a parole, ma anche nei fatti: sebbene avesse la possibilità di annettere molti territori delle zone abitate dai barbari, non volle farlo” (56.33.6).
58Le differenze che ho segnalato rispetto a Svetonio e Tacito e soprattutto il commento sulla presunta politica di rinuncia alle conquiste attuata da Augusto hanno indotto molti studiosi a dubitare delle notizie date da Dione25, ma nessuno degli argomenti addotti appare convincente.
59Il silenzio di Svetonio, come ogni argumentum ex silentio, non è particolarmente significativo, mentre pesa la testimonianza di Tacito, secondo il quale anche il consilium coercendi intra terminos imperii era scritto di suo pugno da Augusto. Secondo J. Ober questa precisazione si riferiva solo al breuiarium, mentre addideratque consilium alluderebbe a un consiglio dato oralmente e la notizia deriverebbe da un’affermazione di Tiberio che, mentendo, avrebbe dichiarato in senato di aver ricevuto verbalmente questo consiglio da Augusto sul letto di morte26. Questo significa forzare le parole di Tacito: costui afferma che il testo fu letto non da Tiberio (che recitari … iussit) ma da Druso e dalla semplice lettura di un testo scritto di suo pugno da Augusto e letto da una persona diversa da Tiberio non potevano in alcun modo risultare delle distinte raccomandazioni orali di Augusto a Tiberio.
60Quanto al problema delle date, mi sembra che la soluzione più probabile sia quella proposta da Swan: nella seduta prima del funerale furono letti tutti e quattro i βιβλία, come afferma Dione, mentre nella seduta convocata da Tiberio dopo il funerale (probabilmente il 17 settembre) per discutere de re publica furono (ri)letti solo il breuiarium e i mandata, come afferma Tacito27.
61Passando al contenuto dei mandata, il fatto che essi risultino in linea con alcune idee politiche di Dione per il proprio tempo può spiegare il particolare interesse che egli manifesta per essi, ma non è sufficiente per dimostrare che si tratti di sue invenzioni o trasposizioni.
62Va anche chiarito che il consiglio contro un’ulteriore espansione dell’impero non patrocina una linea “antimperialistica” in contraddizione con l’operato concreto dello stesso Augusto e con le sue orgogliose affermazioni nelle Res gestae. Come indica assai bene la sintesi di Tacito (coercendi intra terminos imperii), esso è la coerente difesa di alcune calcolate scelte di rinuncia all’espansione fatte realmente da Augusto, alcune da subito, come la rinuncia a sottomettere i Daci, i Parti e i Britanni, altre maturate solo dopo, come quella alla Germania oltre il Reno. In pratica, Augusto indicava ai suoi successori quattro confini (termini) che riteneva saggio non oltrepassare: l’Eufrate, il Danubio, il Reno e l’Oceano (cioè la Manica). Lo confermano da un lato le parole di Tacito, pur ammiratore di Germanico, sul senso che Augusto attribuiva alle ultime spedizioni germaniche (Ann., 1.3.6: abolendae magis infamiae … quam cupidine proferendi imperii) e dall’altro le parole dello stesso Tacito a proposito della conquista della Britannia (Agr., 13.3), la censura sulla guerra dacica di Crasso, che cancellò i Daci dall’agenda politica di Augusto fin dal 29 a.C.28, e infine la grande operazione di propaganda intorno al recupero delle insegne partiche nel 20 a.C.
63Appunto a queste rinunce, che Augusto seppe presentare come libere scelte fatte da una posizione di forza e non come frutto di sconfitte o paure, si riferisce l’affermazione conclusiva di Dione (56.33.6) sulle molte annessioni di territori barbarici che Augusto, pur potendo, non volle realizzare. Lungi dall’essere la prova di una pretesa falsificazione operata da Dione, esse rispecchiano molto probabilmente affermazioni che poteva leggere nei mandata dello stesso Augusto e sono la migliore conferma della sostanziale autenticità della notizia.
64La conclusione che mi sento di trarre è dunque che Dione, spinto dal suo interesse per i problemi in gioco, è andato a consultare negli acta senatus i documenti letti nella seduta che precedette il funerale di Augusto.
65Oltre alle notizie appena esaminate sui mandata, da questa consultazione potrebbero essere derivati anche due interessanti excursus inseriti da Dione in altri punti della sua narrazione, che potrebbero essere basati sul breuiarium totius imperii: l’elenco delle province nel 27 a.C. (53.12.4-9) e quello delle legioni augustee nel 5 a.C. (55.23.2-7), testimonianze dello spiccato interesse di Dione per gli aspetti istituzionali e amministrativi. In entrambi i casi l’analisi è resa più difficile dalla scelta operata da Dione di rapportare la situazione sotto Augusto a quella del suo tempo, ma si possono ancora riconoscere significative tracce del documento di partenza29.
66In particolare per quanto riguarda le legioni Dione non dà una lista completa di quelle esistenti al tempo di Augusto, ma menziona solo quelle augustee che esistevano ancora al suo tempo, spesso con nuovi epiteti, e ne indica solo la dislocazione attuale. Sembra quindi probabile che egli abbia lavorato confrontando un elenco di età augustea, verosimilmente il breuiarium, con un registro (κατάλογος) di età severiana a cui sembra alludere 55.24.530.
67Questo può spiegare l’errore di 55.23.6, dove si parla di una legio XX in Germania Superiore: si tratta probabilmente della legio XX<II>, ma Dione sembra aver confuso la legio XXII Deiotariana, certamente presente nel breuiarium ma non più esistente quando egli scriveva, con la legio XXII Primigenia, realmente stanziata in Germania Superiore al suo tempo, ma non ancora costituita al tempo di Augusto.
68Un altro motivo di confusione può essere derivato dal fatto che Dione utilizzi per descrivere la situazione del 5 a.C. (prima della scomparsa delle tre legioni di Varo) un documento come il breuiarium, che rispecchiava in realtà la situazione del 14 d.C. Questo può bastare a spiegare l’incertezza di Dione sul totale delle legioni augustee (55.23.2: ventitré, oppure, ὥς γε ἕτεροι λέγουσι, venticinque), dal momento che in realtà esse erano quasi certamente 28 nel 5 a.C. e 25 nel 14 d.C.31.
69Considerazioni analoghe possono farsi anche per l’elenco delle province, nel quale gli apparenti anacronismi nascono solo dallo sforzo, esplicitamente dichiarato da Dione (53.12.8), di presentare il quadro del tempo di Augusto con riferimento alla situazione del suo tempo. Le critiche che spesso gli sono state mosse nascono dunque da un fraintendimento di fondo, come ha ben sottolineato D. Fishwick32, che però a mio giudizio non ne ha tratto tutte le conseguenze. Dione usa province del suo tempo come semplici indicazioni geografiche che ritiene di più immediata comprensibilità per il suo pubblico, e quindi utili per far capire le aree dell’impero coinvolte nella “spartizione” del 27 a.C. Così si spiegano anacronismi quali la menzione dell’Epiro, della Cilicia o della Numidia, che non costituivano ancora province.
70D’altra parte, anche quando si tratta di province già esistenti al tempo di Augusto, l’elenco rispecchia in qualche caso situazioni posteriori al 27 a.C.: così è per le Gallie, le Spagne e Cipro. Sembra quindi giustificato il sospetto che Dione si basi su un elenco risalente non al 27 a.C., ma alla fine del regno di Augusto: quindi molto probabilmente sul breuiarium totius imperii. Una conferma di questo è nella mancanza della Mauretania, che era stata brevemente provincia dal 33 al 25 a.C. (dunque anche nel 27), ma al tempo del breuiarium era un regno cliente33.
71Dal verbale della seduta del senato che precedette il funerale potrebbe derivare anche la descrizione particolareggiata della cerimonia (56.34). In quel verbale dovevano infatti essere riportate, oltre alle disposizioni dello stesso Augusto per il suo funerale, contenute nel primo dei quattro βιβλία, anche ulteriori iniziative decise dai senatori, come il volo simbolico di un’aquila dalla pira verso il cielo, un particolare fornito dal solo Dione e spesso rifiutato senza motivo34.
72La stessa insistenza sulle deliberazioni del senato si ritrova al capitolo 46 a proposito degli onori divini tributati ad Augusto. Dione dà notizie puntuali e non generiche anche quando menziona il senatus consultum relativo agli onori da tributare a Livia alla sua morte (58.2.1-3), o quelli sugli onori a Seiano vivo (58.4.4; 58.7.4), sui festeggiamenti per la sua morte (58.12.4-6), sugli onori decisi per Macrone nel 31 d.C. e da lui rifiutati (58.12.7-8), su quelli decisi nello stesso anno per Tiberio e da lui egualmente rifiutati (58.12.8).
73Dione è poi in grado di registrare un particolare cerimoniale che non troviamo in alcun’altra fonte: nel 32 d.C. i senatori tornarono a pronunciare singolarmente il giuramento d’inizio d’anno (58.17.1-3).
74Descrizioni molto particolareggiate si trovano per i festeggiamenti in occasione della dedica del tempio del divo Augusto il 30 e 31 agosto del 37 d.C. (59.7) e per le decisioni prese dal senato alla morte di Drusilla l’anno dopo (59.11.1-5).
75Forse dagli acta senatus è tratta anche la notizia secondo cui nel 37 d.C. Caligola aveva fatto annullare un senatus consultum che ordinava sacrifici per il suo Genius e aveva fatto incidere questa sua decisione su una stele (59.4.4). Come abbiamo già visto per un altro intervento di Caligola che fu inciso su una stele (59.16.8), è chiaro che l’iscrizione non esisteva più, ma una traccia della sua esistenza doveva restare negli acta senatus.
76Dione descrive poi minuziosamente le vacue attività (sacrifici in Campidoglio, riunioni in curia solo per adclamationes e preghiere) in cui fu impegnato il senato quando, nel 40 d.C., Caligola assente da Roma restò consul sine collega (59.24.2) e fornisce interessanti particolari sull’iter che portò subito dopo alle decisioni per festeggiare il natalis dell’imperatore e quello di Drusilla ormai diua (59.24.7-8).
77Piuttosto particolareggiate sono le notizie sugli onori votati dal senato per Claudio dopo la vittoria britannica (60.22.1-2), che trovano solo in parte riscontro in Svetonio (Claud., 17.6).
78Penso che Dione avesse una conoscenza diretta dell’editto con cui Claudio, nel 45 d.C., preannunciava e spiegava un’eclissi di sole che si sarebbe verificata di lì a poco nel suo dies natalis (60.26.1); sarei infatti tentato di credere che il piccolo excursus che subito dopo Dione dedica alla spiegazione scientifica del fenomeno sia basato proprio sul testo di Claudio, come gli excursus antiquari di Tacito sull’alfabeto, sugli aruspici, sul pomerium e sul Celio35. Probabilmente di questo editto c’era memoria non solo negli acta urbis, ma anche negli acta senatus, se anche per esso vale quanto Dione afferma poco oltre (61[60].33.10): Agrippina convinse Claudio a dichiarare con un editto e una lettera al senato che in caso di sua morte Nerone era già idoneo a governare.
79Si può pensare che un senatus consultum accessibile a Dione fosse anche alla base del decreto (ψήφισµα) per le celebrazioni nel teatro di Pompeo in onore di Tiridate nel 66 d.C., che lo storico ricorda dando una minuziosa descrizione degli addobbi dorati e del uelarium di porpora in cui era ricamata l’immagine di Nerone su un carro tra le stelle (62[63].6.1-2).
80Da rendiconti letti in senato Dione potrebbe aver desunto la notizia delle elargizioni di Nerone agli Ἑλλανοδίκαι di Olimpia e alla Pizia di Delfi, di cui Galba pretese la restituzione, visto che riporta con precisione il loro importo (62[63].14.1-2).
81La stessa origine potrebbero avere le indicazioni sul carattere autografo della lettera con cui Traiano annunciava solennemente al senato la sua decisione di non uccidere né destituire alcun senatore (68.5.2): probabilmente nella sua lettera l’imperatore stesso dichiarava di averla scritta di suo pugno, per sottolineare la solennità e la serietà del suo impegno.
82Gli acta senatus sembrano l’unica fonte possibile anche per le notizie sulle decisioni prese dal senato per celebrare le vittorie partiche di Traiano (68.28.3; 68.29.2-3), visto che poi, a causa della morte dell’imperatore, non fu possibile né celebrare “quanti trionfi volesse”, né andargli incontro con un corteo straordinario, né erigergli un arco nel suo foro. Ancora sugli acta senatus Dione potrebbe fondare l’affermazione che la lettera in cui si annunciava al senato la decisione di Traiano di adottare Adriano non era firmata dall’imperatore, ma dalla moglie Plotina (69.1.4).
83Narrando l’episodio della rivolta di Avidio Cassio nel 175 d.C., dopo il discorso di Marco Aurelio ai soldati, sicuramente riscritto con parole sue da Dione (72[71].24-26), egli dichiara che queste cose l’imperatore le scrisse anche al senato e che in quella lettera non rivolse alcuna accusa ad Avidio Cassio, ma si limitò a definirlo sistematicamente ingrato: ἀχάριστον αὐτὸν συνεχῶς ἀνεκάλει (72[71].27.1). In questo caso non si può parlare di una vera e propria citazione testuale, ma l’avverbio συνεχῶς sembra indicare che Dione avesse letto davvero quella lettera.
84Troviamo di nuovo un resoconto molto particolareggiato di decisioni del senato quando si parla degli onori decretati nel 176 d.C. per Faustina defunta (72[71].31.1-2).
85Se consideriamo, infine, il periodo di cui Dione fu diretto testimone, quanto abbiamo già detto ci autorizza a pensare che siano fondate sugli acta senatus le notizie su sedute senatorie a cui Dione non poté partecipare perché lontano da Roma. Purtroppo lo stato lacunoso del testo ci impedisce di valutare appieno le notizie sulla guerra di propaganda tra Macrino ed Elagabalo basata sulla divulgazione di lettere compromettenti e pamphlets (ὑποµνήµατα) che circolavano tra i soldati e furono fatti conoscere al senato (79[78].37.1‑3; 80[79].2.1; 80[79].2.3‑6)36, ma quanto si è già visto per le citazioni letterali dalla lettera di Macrino al praefectus urbi Mario Massimo, di cui fu data lettura in senato per iniziativa di Elagabalo, è sufficiente a farci capire che Dione ebbe modo di consultare tutto questo materiale nell’archivio del senato.
Conclusioni
86Come avevo già concluso nel mio studio del 1979, l’uso di documenti, attinti soprattutto agli acta senatus, appare in Dione consistente, anche se discontinuo e caratterizzato dalla tendenza a far confluire nell’opera solo una piccola parte dei molti materiali raccolti: in molti casi questa scelta è esplicitamente affermata; in altri la si può intuire e nel lettore moderno resta il disappunto di non poter più raggiungere le parti che Dione ha lasciato cadere e di doversi accontentare delle sue scelte (e di quelle dei suoi epitomatori), non sempre soddisfacenti ai nostri occhi.
87Si può forse supporre che Dione abbia avviato le sue ricerche d’archivio per colmare le lacune delle sue informazioni sull’età contemporanea; questo, però, deve aver sollecitato in lui alcune curiosità anche su epoche più lontane, inducendolo a sondaggi negli archivi disponibili per gli argomenti che più lo interessavano.
88Questo potrebbe spiegare la particolare attenzione da lui riservata alla fase fondativa del principato, per la quale la documentazione degli acta senatus gli consentiva di approfondire gli aspetti istituzionali e amministrativi che gli stavano a cuore, anche in riferimento alle sue riflessioni politiche sui problemi del suo tempo. Più in generale, gli indizi che ho cercato di raccogliere mostrano in Dione uno spiccato interesse per il cerimoniale, il protocollo e il formulario della cancelleria imperiale.
Notes de bas de page
1 * Sono molto grato ai membri del gruppo “Dioneia” per avermi voluto coinvolgere in un progetto così importante. Per ragioni di spazio darò qui solo una sintesi dello studio più ampio appena comparso in Studi Classici e Orientali (Letta 2016a).
Letta 2003.
2 Letta 1979.
3 Swan 1997.
4 Cfr. Reinhold 1988, 160-164; Rich 1990, 137; Freyburger & Roddaz 1991, 162-168.
5 D. 8810 (da Atene); AE, 1928, 44 = IG, II-III2, 4118 (da Thespiae).
6 V. ora Maccari 2015, 320-322.
7 Cfr. Letta 2003, 605-606, con rinvio a Carsana 2000, 206-207.
8 Rich 1998.
9 Rich 1998, 78.
10 Cfr. Swan 2004, 118-120, che però non si chiede come Dione potesse conoscere questi particolari, dando evidentemente per scontata la derivazione da una fonte letteraria.
11 Così Rich 1998, 84 (ma per Swan 2004, 95-96 si può ammettere la compresenza di ludi Martiales al 12 maggio e di ludi per la dedica del tempio di Marte Ultore al 1° agosto).
12 V. già Letta 2003, 604.
13 Cfr. Murison 1999, 157.
14 Migliorati 2003, 217-221.
15 Per la data del cambiamento di titolatura v. Letta 1995, 866-867.
16 Letta 1979, 148-151; Letta 2003, 616-618 (contro Swan 1997); Letta 2007 (contro le nuove argomentazioni di M. Sordi e F. Millar).
17 78[77].22.3 (e ES 149); 78[77].23.2a (= EV 392).
18 Letta 2016b.
19 Musurillo 1954, 77-79, n. xviii.
20 Sidebottom 2007, 55.
21 Westall 2012.
22 Letta 1979, 117 s., 135-137. Ritengo che gli argomenti allora da me addotti contro Schwartz e Millar mantengano intatta la loro validità anche contro chi continua a riproporre una datazione al 205 o 206 per il primo consolato di Dione (Reinhold 1988, 4; Rich 1990, 2; Murison 1999, 7; Swan 2004, 2).
23 Nel 46 a.C., dopo la vittoria africana di Tapso (43.14.3-6); nel 45 a.C., dopo Munda (43.44-46); nel 44 a.C. (44.4-7). Cfr. già Freyburger-Galland 1993, 128.
24 Cfr. Freyburger-Galland 1993, 120-121; Swan 2004, 306-308.
25 V. soprattutto Ober 1982, seguito da Reinhold & Swan 1990, 163-164; Rich 1990, 17; Swan 2004, 317-319. Più in generale tra quanti attribuiscono a Tiberio anziché ad Augusto l’abbandono dei progetti di conquista oltre il Reno ricordo Eck 2011; Dahlheim 2010, 302-303.
26 Ober 1982, 312 (sua manu), 321 (dichiarazione di Tiberio).
27 Swan 2004, 214-215.
28 Mócsy 1966.
29 V. già Letta 2003, 603, 608. Per le province cfr. Rich 1990, 141; Noè 1994, 107. Per le legioni Swan 2004, 158-170.
30 Cfr. Swan 2004, 168.
31 Swan 2004, 159.
32 Fishwick 1994; cfr. anche Rich 1990, 141-152; Noè 1994, 107 ss.
33 Fishwick 1994, 127-128.
34 L’autenticità della notizia è ora giustamente difesa da Gradel 2002, 291-295; Swan 2004, 344.
35 Tac., Ann., 11.14 (alfabeto); 11.15 (aruspici); 12.23-24 (pomerium); 4.65 (Celio).
36 Cfr. Rubin 1980.
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