Le ricerche sulla religione etnisca fra la prima e la seconda guerra mondiale, con particolare riferimento alla situazione italiana
p. 251-271
Texte intégral
La religione etrusca fra gli anni Venti e gli anni Quaranta del Novecento
1Nel periodo in cui in Europa si affermavano il Fascismo e il Nazismo, l’Etruscologia imboccava il tratto decisivo del suo percorso di Istituzionalizzazione, pervenendo a una piena legittimazione culturale, epistemologica e accademico-curricolare. Le tappe di questo lungo e graduale processo furono la creazione del Comitato permanente per l’Etruria (1925), prologo della fondazione dell’Istituto fiorentino di Studi Etruschi e Italici (1931) la creazione di una cattedra di Etruscologia presso l’Università di Roma (1925)1, la fondazione di un periodico ufficiale della disciplina (Studi Etruschi, 1927), l’internazionalizzazione della ricerca attraverso l’organizzazione di importanti congressi etruscologici aperti alla collaborazione degli studiosi stranieri (1926 e 1928)2 e la creazione di una seconda Soprintendenza etrusca a Roma, che veniva ad affiancare quella toscana già esistente, che aveva sede a Firenze3.
2Visti retrospettivamente senza pregiudizi, da una prospettiva storica e storiografica, quegli anni ormai lontani – cruciali per la legittimazione dell’Etruscologia come disciplina antichistica – paiono oggi caratterizzati innanzitutto da una lucida operosità concreta da parte degli uomini delle istituzioni: i più capaci fra gli amministratori pubblici e fra gli studiosi che si interessavano, a vario titolo, della civiltà etrusca, diedero infatti il loro personale contributo, organizzativo e intellettuale, per la costruzione della “casa comune”, gettando così le fondamenta dell’Etruscologia contemporanea.
3Sul versante fiorentino, si possono ricordare le iniziative di Antonio Minto per dar vita al Comitato permanente per l’Etruria, andate a buon fine grazie all’entusiasmo e al disarmante candore dell’uomo, che riuscì a convincere il Monte de’ Paschi di Siena a sostenere il progetto4.
4Sul versante romano si può prendere ad esempio il caparbio impegno del Soprintendente Aurigemma e del giovane ma già intraprendente M. Pallottino, per ottenere dal Ministro Bottai finanziamenti adeguati per ammodernare il Museo di Villa Giulia e per avviare nuovi scavi a Veio e Cerveteri5 (fig. 1).
5Dal punto di vista accademico e curricolare, si mise in moto un orgoglioso processo di crescita e auto-definizione epistemologica, al termine del quale l’Etruscologia venne ad assumere un profilo che oggi verrebbe definito multi- o pluri-disciplinare6, con inclusione anche delle scienze naturali7, nella misura in cui si percepiva che esse potessero contribuire allo studio e alla ricostruzione dei vari aspetti della civiltà etnisca, operando in maniera sussidiaria rispetto alla storia e all’archeologia8.
6Tale impostazione metodologica doveva garantire quel salto di qualità che era mancato, fino a quel momento, per allineare l’Etruscologia alle grandi discipline antichistiche pre-classiche già affermatesi nel panorama accademico mondiale, al fianco dunque dell’Assiriologia e della Egittologia9.
7In questo rinnovato orizzonte disciplinare dai confini dilatati, anche la promozione dello studio della religione etrusca – cui è dedicato questo contributo – assumeva carattere programmatico. La tematica “Religione”, infatti, si ritrova ad occupare un importante spazio autonomo nelle più importanti iniziative istituzionali che abbiamo testé richiamato, e in primo luogo nel palinsesto del I congresso internazionale etrusco, nonché in quello della rivista Studi Etruschi, in coabitazione significativa con la Storia e l’Archeologia10. Si tratta di una indicazione importante – perché attiene agli aspetti programmatici e, per così dire, fondativi della disciplina – della centralità della tematica religiosa nelle ricerche etruscologiche moderne, che del resto si può riscontrare ancora oggi sia in Europa che negli Stati Uniti11, a testimonianza della validità dell’impostazione data a questo tipo di ricerche dai pionieri del primo Novecento.
8La latitudine e l’importanza delle ricerche sulla religione etrusca realizzate fra le due guerre mondiali (soprattutto – ma non solo – in Italia), non sono peraltro un fenomeno improvviso e occasionale12. Il terreno infatti era stato preparato dalle ricerche condotte a cavallo fra Ottocento e Novecento, che avevano subito una prodigiosa accelerazione a seguito della scoperta e della tempestiva pubblicazione dei principali testi sacri della lingua etrusca, ovvero il Liber Linteus di Zagabria e la Tegola di Capua13. A queste scoperte, si era poi aggiunta, come novità addirittura rivoluzionaria, la scoperta (nel 1877) del fegato iscritto di Piacenza14, che dopo l’agnizione ad opera del Körte, era diventato argomento principale di tutti gli studi sulla divinazione etrusca15.
9A questo periodo fondativo degli studi moderni sulla religione etrusca risale anche l’importante opera di sistemazione dei dati filologici ad opera dello studioso scandinavo Carl Thulin16, la cui utilità, a oltre cent’anni di distanza, è rimasta inalterata.
10In definitiva, dunque, la fioritura degli studi storico-religiosi di ambito etruscologico condotti fra gli anni Venti e Quaranta del Novecento affonda le radici in una positiva congiuntura scientifica verificatasi in Europa circa mezzo secolo prima, a cavallo fra Ottocento e Novecento, che aveva fatto diventare i fatti religiosi un osservatorio privilegiato per lo studio della civiltà spirituale degli Etruschi, in continuità, del resto, con le linee di ricerca varate sin dal xviii secolo17.
11Non stupirà dunque di constatare che la mappa dei filoni di ricerca sulla religione etrusca, così come essi si sviluppano e si diramano in varie direzioni fra gli anni Venti e Quaranta del Novecento, ricalchi quella disegnata negli studi tardo-ottocenteschi e dei primi del xx secolo: basta leggere la documentata rassegna bibliografica redatta da B. Nogara nel 191018, per rendersi conto che i temi di ricerca in campo religioso erano a quell’epoca più o meno gli stessi coltivati anche successivamente, ovvero il pantheon, la disciplina etrusca, l’escatologia, i rapporti con l’Oriente e con Roma e, ovviamente, l’interpretazione dei principali testi epigrafici a contenuto sacrale19.
12Fra questi filoni di ricerca, venivano ad assumere una ovvia rilevanza tematica, nel periodo che qui interessa, i rapporti fra l’Etruria e l’Oriente, da un lato, e quelli fra Roma e l’Etruria, dall’altro. Il primo di essi20 può essere considerato una “variabile dipendente” dell’annoso problema dell’etnogenesi etrusca: esso veniva infatti a porsi automaticamente ogniqualvolta veniva affrontato il tema della provenienza degli Etruschi, soprattutto quando si intendeva risolvere la questione “alla maniera di Erodoto”21. L’altro tema, invece, benché già presente nella riflessione storico-religiosa dei primi del Novecento22, avrebbe potuto presentare, almeno teoricamente, aspetti di suggestiva attualità proprio per gli studiosi del mondo romano che si trovavano ad operare nel ventennio fascista, offrendo la possibilità, ai più zelanti, di dimostrare l’assunto, dalle rilevanti implicazioni ideologiche, della continuità storica e culturale etrusco-romana. Su questo specifico versante, tuttavia, la ricerca non si incanalò in una direzione univoca e sulla questione si cimentarono soprattutto gli studiosi stranieri, assumendo posizioni critiche alquanto diverse23.
13Accanto a quelle già menzionate vanno ricordate per la oggettiva rilevanza tematica le ricerche sulle credenze ultraterrene degli Etruschi, il cui picco può essere collocato agli inizi degli anni Venti24, benché, anche in questo caso, si possano individuare prodromi significativi risalenti almeno ai primi del Novecento25.
14Spunto inesauribile per questo tipo di indagini e per tutta una serie di speculazioni più o meno fondate sul presunto orfismo etrusco, erano le tombe dipinte di Tarquinia, e soprattutto le testimonianze più recenti del dossier, datate fra il iv e il ii secolo a.C. Dopo la pubblicazione dell’opera del Weege e i contributi del Bulle e del van Essen26, ne troviamo un’eco significativa ancora nella discussione del congresso internazionale di Firenze27, la cui sessione religiosa, come si sa, aveva potuto giovarsi della sapiente regía di R. Pettazzoni28. Si trattava dunque di un tema di pulsante attualità che permetteva alla ricerca etruscologica di tenersi al passo con i più recenti sviluppi della Religionsgeschichte internazionale, che in quegli stessi anni si cimentava con i temi delle religioni dei misteri. Raramente, tuttavia, i contributi etruscologici su questi argomenti riuscirono a eguagliare la vette speculative raggiunte da una riflessione come quella condotta sul versante classico da Vittorio Macchioro29 e che avrebbero poi caratterizzato i più originali studi storico-religiosi italiani del dopoguerra30.
15Originavano dalla stessa matrice, ovvero da spunti di carattere per lo più iconografico, anche le ricerche religiose di quegli anni sulla demonologia etrusca31, campo molto fecondo di indagine soprattutto per merito della scuola etruscologica belga, la cui intensa produzione scientifica in lingua francese rappresenta una novità positiva nel panorama francofono di quegli anni, che appare per certi versi stagnante32.
16A margine di questo quadro possono essere ricordate le originali ricerche di carattere storico-topografico di Lily Ross Taylor33 e quelle altrettanto originali di Stefan Weinstock, il grande filologo ungherese, studioso della religione romana arcaica, costretto ad abbandonare la Germania nazista nel 1937 a seguito della persecuzione anti-ebraica34. A lui si deve l’accurata ricerca sullo spazio consacrato nell’Italia romana e preromana pubblicata agli inizi degli anni Trenta35, che aprì la via ai lavori dello studioso sulla cosmologia etrusca pubblicati negli anni Quaranta e Cinquanta36.
17Nel quadro sommariamente tracciato fin qui, come si è appena detto, il I congresso internazionale etrusco svoltosi a Firenze alla fine del mese di aprile del 1928, con il Fascismo in piena ascesa37, costituì anche per gli studi sulla religione etrusca un importante momento di verifica e confronto38. Possiamo anzi aggiungere che grazie alla portata internazionale di quell’evento si raggiunsero livelli di intensità e di ampiezza nella discussione scientifica che raramente si sono riscontrati in seguito in questo ambito di studi39.
18Se il ruolo organizzativo di Pettazzoni in quella circostanza fu determinante40, come tutto lascia credere, avremmo la conferma del radicamento profondo degli interessi etruscologici in questa poliedrica figura di studioso41, noto per lo più come storico delle religioni antiche, ma che fu anche raffinato archeologo42. In realtà, gli interessi per la civiltà etrusca da parte di Pettazzoni risalgono almeno agli inizi del Novecento, allorquando le sue ricerche “cabiriche” lo portarono fatalmente a incrociare nel suo percorso scientifico gli studi etruscologici43. Negli anni cruciali per l’etruscologia richiamati all’inizio di questo contributo, Pettazzoni si interessava soprattutto dell’organizzazione del pantheon etrusco e delle origini, secondo lui avventizie, della mantica etrusca44, due temi, come si è detto, che erano diventati centrali da molto tempo nella riflessione critica. Da una ricognizione capillare della sterminata produzione scientifica di Pettazzoni si evince però che si tratta soltanto della punta emergente di un iceberg, e che lo studioso era al corrente in realtà anche degli altri orientamenti di studio nel campo della religione dell’antico popolo preromano45, come per esempio quello relativo alle presunte sopravvivenze etrusche nelle credenze popolari tosco-romagnole, cui aveva dato un forte impulso l’americano Leland46. Tale interesse gli valse qualche critica ingenerosa da parte di studiosi di folklore inclini alla polemica provinciale, che lo costrinsero a puntigliose precisazioni sulla rivista, da lui stesso fondata, Studi e Materiali di Storia delle Religioni47. Che Pettazzoni nutrisse però uno spiccato e genuino interesse per questo tema di ricerca è dimostrato oggettivamente da due circostanze specifiche: dall’auspicio di promuovere questo tipo di ricerche anche nella cornice istituzionale dell’etruscologia e dalla sua presenza nel comitato organizzatore del convegno di Londra48.
19Possiamo pertanto concludere che se un salto di qualità negli studi sulla religione etrusca vi fu in occasione del congresso internazionale etruscologico, soprattutto per quanto attiene alla ampiezza degli orizzonti di discussione, ciò avvenne proprio e perché fu Pettazzoni a concepirne – almeno in parte – il palinsesto, riversandovi il frutto dei suoi interessi particolari e coinvolgendo gli studiosi stranieri con cui aveva rapporti diretti49.
20Uno dei risultati più cospicui di questo allargamento della platea della discussione e del coinvolgimento nel dibattito di studiosi con competenze diversificate fu la comparsa di tentativi globali di analisi della religione etrusca. Questo fatto, se da un lato era molto positivo perché induceva a trattare i fenomeni religiosi non come fatti a sé stanti, ma come parte della cultura di un popolo, dall’altro lato esponeva al rischio dello stereotipo etnico. E, infatti, in alcuni di questi tentativi globali di lettura si fece ampio utilizzo di categorie interpretative di tipo psicologico ed etico e si cercò di attingere al presunto carattere immanente del comportamento religioso degli Etruschi, caratterizzandolo per differenza o per analogia rispetto a quello degli altri popoli, antichi o moderni che fossero. Così possono comprendersi suggestioni di segno completamente opposto come quelle di R. Leopold e T. Zielinski nelle rispettive relazioni al convegno etruscologico fiorentino50, in cui i due studiosi volendo caratterizzarne il comportamento religioso paragonarono rispettivamente gli Etruschi agli invasati islamici inneggianti alla Guerra Santa e ai Cristiani personificatori del Bene e del Male51.
21Cimentandosi con temi storico-religiosi di ampia portata, cadde nell’errore dello stereotipo etnico anche Robert Seymour Conway, l’autore del fortunato volume sui dialetti italici52. Trattando del tema dell’influenza etrusca sulla religione romana53 Conway postulò infatti astoricamente una ancestrale propensione alla crudeltà del popolo etrusco, argomentata peraltro in modo risibile54, e ascrisse agli Etruschi una concezione primitiva del divino assetato di sangue umano e di vendetta, considerandolo una sorta di “marchio di fabbrica” orientale, trasferito poi sia al Protestantesimo che alla dottrina cristiana della Penitenza come relitto di una antica pratica barbara55.
22Lo stesso fuorviante tentativo di saldare nell’analisi critica caratteristiche razziali e comportamenti religiosi condurrà poi alle farneticazioni sulla razza etrusca della Germania nazista su cui si è soffermata recentemente M.-L. Haack56, che però rappresentano, con ogni evidenza, una sorta di tragico capolinea nel dibattito etruscologico degli anni Trenta e Quaranta, oltre che un caso-limite nell’applicazione dei criteri razziali al dibattito antichistico.
23Non meno interessanti da un punto di vista storico-storiografico sono le analisi comparative fra la civiltà religiosa etrusca e quella ebraica, che non risultano però inquinate dal dibattito sulla razza. Alcune di queste analisi comparative, come le annotazioni di A. Della Seta su cui ha richiamato recentemente l’attenzione M. Harari57, presentano, per esempio, gli Etruschi immigrati in Italia in una maniera che ricorda inequivocabilmente gli Ebrei della diaspora, gli uni e gli altri considerati evidentemente piccoli popoli “diversi” dagli altri, racchiusi nella propria religione come in una fortezza58. La stessa spiccata sensibilità nel valorizzare l’identità religiosa nel contesto del “caso-studio” etrusco, si riscontra non a caso nella riflessione di una folta schiera di antichisti, fra i quali possiamo annoverare anche M. Sordi e M. Pallottino59.
24Molto più settoriale, ma al tempo stesso più ancorato al dato filologico – sia rispetto a tutte le fuorvienti indagini pseudo-scientifiche ricordate in precedenza, che agli spunti e alle suggestioni sulle analogie etrusco-ebraiche in materia religiosa cui si è appena fatto cenno – è infine un altro filone molto vitale degli studi etruscologici risalenti al primo Novecento, ovvero quello che riversava nell’indagine storico-religiosa i risultati della ricerca linguistica60. A questo tipo di ricerche contribuirono con risultati importanti alcuni glottologi “puri” di varia nazionalità come G. Devoto, E. Fiesel, E. Vetter, K. Olzscha e altri ancora61, dissodando un terreno di indagine che nel secondo dopoguerra avrebbe portato a vette d’eccellenza H. Rix62.
25Per il resto, molta parte della produzione scientifica relativa alla religione etrusca di quegli anni, se considerata complessivamente, appare segnata – almeno nel giudizio dei contemporanei – da ripetitività e scarsa originalità nella trattazione dei temi, al punto che M. Pallottino, analizzando la monografia di C. Clemen, poteva concludere che sull’argomento ancora non era stata scritta un’opera esaustiva63.
26Di segno analogo appare anche il giudizio, complessivamente negativo, espresso da Luisa Banti nelle sue puntuali rassegne bibliografiche pubblicate negli anni Trenta sul periodico Studi Etruschi64, nelle quali la studiosa dimostrava tutta la sua eclettica competenza, di cui si era accorto anche R. Pettazzoni, al punto da favorirne la carriera accademica come assistente volontaria di storia delle religioni alla Sapienza, in sostituzione di Angelo Brelich65.
27Ad onta del giudizio liquidatorio formulato dalla Banti e da Pallottino, la produzione scientifica sulla religione etrusca risalente a quegli anni appare di un certo interesse per lo storico della storiografia etruscologica. Si tratta infatti di una variegata serie di studi e ricerche che spaziano, come si è accennato, dalla divinazione al folklore, dalle credenze ultraterrene alle particolarità del culto, fornendo una idea molto fedele della forte espansione degli studi etruscologici fra le due guerre mondiali e della feconda congiuntura che questa disciplina antichistica stava attraversando in quel periodo66. E non dovrà stupire se non tutto quello che fu pubblicato in quegli anni presenti caratteri di originalità e se nella massa delle pubblicazioni degli anni Venti-Quaranta si trovi un numero pletorico di notiziari a tema, rassegne bibliografiche e di recensioni, sia di quelle puramente informative, che di quelle critiche, secondo il modello interpretativo teorizzato da A. Gramsci67. Si tratta, infatti, a nostro avviso, di un aspetto, e non dei meno significativi, di quella strategia organizzativa messa in campo, più o meno consapevolmente, dai protagonisti della scena etruscologica del Ventennio, nel corso del processo di istituzionalizzazione della disciplina a cui si è fatto riferimento sopra68.
28In questa cornice si comprende meglio anche il senso e la funzione culturale della debordante opera di divulgazione scientifica condotta, soprattutto in Italia, dai protagonisti della ricerca etruscologica attivi fra le due guerre mondiali. Questo fenomeno rappresenta, a nostro avviso, l’altra “faccia della medaglia” del fenomeno analizzato sopra, ovvero l’istituzionalizzazione dell’etruscologia e la sua promozione socio-culturale ed accademica nel panorama degli studi classici. L’opera esplicativa e divulgativa degli studiosi accreditati della disciplina, era oltretutto sollecitata – nel caso specifico – dalla necessità di arginare l’avanzata dilagante della disinformazione dilettantesca, un’esigenza avvertita come particolarmente urgente per tutto il corso della propria carriera accademica da quello che può essere considerato, soprattutto nel dopoguerra, uno dei protagonisti più importanti dell’Etruscologia contemporanea, Massimo Pallottino69.
29Campioni della divulgazione etruscologica in Italia furono Ducati, Nogara, Giglioli e lo stesso Pallottino, i quali con il loro instancabile operare forniscono un bell’esempio di quella funzione educativa e sociale della divulgazione cui viene prestata oggi scarsa attenzione70.
30Anche se si prendono in considerazione gli studi sulla religione etrusca, che costituiscono il nostro angolo di osservazione privilegiato, non si avrà difficoltà a individuare proprio nell’opera degli studiosi testé ricordati i risultati più importanti di questo tipo di indagine. Tutti gli studiosi menzionati produssero infatti lavori sulla religione etrusca di carattere riassuntivo (si tratta, senza eccezione, di capitoli di libri)71; alcuni di questi contributi, in particolare la sintesi di Giglioli, venivano e vengono tuttora definiti, in modo un po’ sbrigativo, per la verità, esclusivamente come informativi e descrittivi72, come se il contenuto intrinseco di questi scritti fosse di scarso valore scientifico. Ma se quella della raccolta e della sistemazione dei dati, fu indubbiamente la preoccupazione principale degli autori di queste sintesi73, non sfuggirà che in ciascuno di questi contributi si possano cogliere anche spunti originali di ricerca che, almeno in una prospettiva storico-storiografica, meritano di essere ricordati.
31Uno di questi è costituito, a nostro parere, dall’idea di P. Ducati sulla presunta triade divina etnisca74, che sviluppava in maniera inedita una intuizione del grande filologo tedesco Hermann Usener, autore di un lavoro sulla tripartizione del divino75, che avvrebe poi aperto la strada alla trattazione, di ben altra organicità, che fece pochi anni dopo L. Banti76. Qualche spunto interessante di riflessione su temi affini si può cogliere anche nel lavoro di Giglioli del 1944, che mette in rapporto di derivazione genetica la tipologia del tempio tripartito e quella della casa e della tomba aristocratica77, confermando in questo modo la robusta preparazione archeologica del Giglioli che aveva notato nell’opera del suo Maestro anche M. Pallottino78. A questo proposito, non è forse inutile raccontare un piccolo aneddoto su questo scritto di Giglioli, che conferma però il rapporto di stima reciproca che univa i due studiosi: l’Autore fece omaggio a Pallottino di un estratto dell’articolo con dedica autografa79 (“Al mio carissimo Massimo, con riconoscenza e affetto”: fig. 2), in cui è fatto cenno a un debito di riconoscenza verso il giovane allievo. Forse Pallottino aveva avuto un qualche ruolo (raccolta di notizie?) nella stesura o quanto meno nella preparazione dell’articolo, per il quale Giglioli gli era riconoscente?80
Etruscologia e fascismo
32Nella vasta opera etruscologica del Ventennio in cui rientrano anche le pubblicazioni sulla religione etnisca, di cui si è detto fin qui, figurano alcuni scritti e alcune iniziative che si devono in Italia a personaggi che furono organici al Fascismo81. Fra questi vanno ricordati soprattutto Pericle Ducati e Giulio Quirino Giglioli, due studiosi rinomati della civiltà etrusca che, secondo la definizione del Manacorda, incarnarono consapevolmente la figura del fascista archeologo82, ovvero dell’intellettuale militante “schierato in prima fila”. Lo stesso Pettazzoni può essere annoverato fra gli studiosi di apparente fede fascista, come dimostra il fatto che non si sottrasse al giuramento imposto ai professori universitari, si iscrisse al partito nazionale fascista e fu fra i firmatari del manifesto della razza83.
33Queste circostanze sollecitano qualche considerazione ulteriore e offrono la possibilità di esplorare, anche dall’osservatorio etruscologico che abbiamo individuato, la natura del rapporto che venne a instaurarsi in quegli anni fra politica e scienza, e in particolare, fra l’ideologia nazi-fascista e le varie branche delle Scienze dell’Antichità, con particolare riferimento alla situazione che venne a determinarsi in Italia84.
34Si tratta di un tema molto dibattuto, in tutti i suoi numerosi risvolti85, che tuttavia, proprio sul versante della storiografia etruscologica, presenta ancora un’opacità di fondo non del tutto diradata.
35Considerato come acquisito il dato di fondo – cioè che anche la “nicchia” etruscologica non rimase immune dalle ripercussioni che si ebbero sugli studi classici durante il fascismo86 – il problema principale è stabilire se, ed eventualmente come, in quale misura e attraverso l’opera di quali studiosi anche le ricerche sulla civiltà etrusca furono inquinate dalla pressione ideologica del nazi-fascismo e, si può aggiungere, se i condizionamenti agirono anche nel campo degli studi etruscologici di carattere storico-religioso, di cui nelle pagine precedenti si è ricostruito per sommi capi lo sviluppo.
36Per quanto riguarda il primo fascio di domande, Maurizio Harari87, che da ultimo ha cercato di rispondervi con una indagine a tutto campo, che privilegiava tuttavia i problemi della cultura figurativa, ha negato che l’etruscologia italiana abbia consapevolmente tentato di elaborare un modello interpretativo originale della civiltà etrusco-italica condizionato dall’ideologia fascista88. Secondo Harari, infatti, i percorsi individuali di confronto con l’ideologia del regime imboccarono nella ricerca etruscologica per lo più la strada di “italicizzare” gli Etruschi, con il fine ultimo, perseguito anche dalla ricerca preistorica e protostorica, di dimostrare che dall’antichità ai nostri giorni ci sarebbe stata sul suolo italiano una continuità culturale ininterrotta89. Si tratterebbe, in altre parole, dell’ennesima conferma delle linee di continuità che possono individuarsi a livello politico-culturale fra nazionalismo e fascismo90 e degli orientamenti comuni che assunsero la ricerca protostorica italiana, quella etno-antropologica e quella sulle civiltà dell’Italia preromana quando si trattò di fare i conti, nei rispettivi ambiti di studio, con il postulato della gerarchia delle razze e della incidenza dei fattori endogeni e di “sostrato” nello sviluppo culturale dei popoli91.
37Degna di nota in queste dinamiche, nella lettura propostane da Harari, appare la vicenda personale di due influenti studiosi della civiltà etrusca più volte menzionati, Giulio Quirino Giglioli e Pericle Ducati92 (figg. 3-4). Benché sicuramente organici al Regime, secondo Harari, essi sarebbero stati propugnatori di un approccio ideologicamente neutro e sostanzialmente “filologico” al record archeologico, che li avrebbe messi al riparo dalla deformazioni speculative promananti dall’ideologia fascista93. Tale ipotesi, che appare fondata su dati di fatto e ragionevoli deduzioni, sebbene si ponga in forte contrasto con la vulgata94, risulta tanto più interessante perché, com’è noto, gli studiosi chiamati in causa pagarono un prezzo altissimo per la loro lealtà al fascismo, l’uno – Ducati – perdendo la vita per i postumi di un attentato politico antifascista95, l’altro – Giglioli – con l’umiliazione dell’epurazione universitaria e del confino96. Anche quegli strumenti rivelatori che sono gli epistolari, quando sono attingibili – e questo è ora il caso anche di Ducati97 – tutto sommato non consentono se non di rado e in via indiretta di cogliere qualcosa del sentire politico dello studioso98, come se il lato intimo e “privato” della sua personalità fosse rimasto immune da quegli eccessi che si notano invece, sul versante pubblico, in scritti fortemente ideologizzati come il vituperato volumetto sulla “stirpe italica”99. Appare inoltre degno di nota che Ducati e Giglioli, prima di essere etruscologi, furono archeologi classici, con un’ampiezza di interessi considerevole. Ciò li esponeva maggiormente (e li rendeva più vulnerabili) alle influenze che l’ideologia fascista esercitava in quegli anni sugli studi classici, soprattutto dove il terreno era più fertile, per esempio nell’elaborazione dei temi della retorica del destino di Roma e della missione storica del popolo italiano (colonialismo)100.
38Questo dato può forse contribuire a spiegare perché nel loro febbrile operare scientifico si possa spesso rintracciare un doppio binario, da un lato quello dell’ossequio esteriore alle idee e al dettato dell’ideologia fascista, manifestato formalmente con la fastidiosa retorica che è propria di tutta la pubblicistica fascistizzata di quegli anni101, e dall’altro quello della lettura biologica asettica dei documenti archeologici, in cui la competenza degli studiosi agiva più o meno libera da condizionamenti102.
39Ad esempio di questo atteggiamento, solo apparentemente contraddittorio, si prenda il celebre articolo di G.Q. Giglioli sulla oinochoe della Tragliatella, che dopo una impeccabile e serrata analisi della documentazione archeologica e letteraria che nulla concede alle divagazioni extra-archeologiche103, si conclude con un enfatico richiamo ai “vincoli strettissimi tra l’Etruria e Roma, che, in tempi così antichi, già erano presagio della futura grandezza della Città Eterna”104.
40Ma anche al di là di queste considerazioni, che riguardano gli aspetti più formalistici e retorici del lavoro di Giglioli e Ducati, l’impressione è che la valutazione equilibrata di Harari colga effettivamente nel segno anche per quanto riguarda il lato più genuinamente ideologico della produzione scientifica di questi due autori. A ben guardare, infatti, anche le opere più connotate a livello ideologico come il già ricordato opuscolo propagandistico di Ducati – tralasciando altri scritti di occasione, che pure sono importanti – recano in filigrana la traccia di una reticenza di fondo nei confronti del deragliamento razzistico a cui stava andando soggetta la scienza italiana delle antichità e lo sforzo di edulcorarne la portata con varianti interpretative che si rintracciano, significativamente, anche nella ricerca preistorica di quegli anni105.
41Infatti, nel trattatello pseudo-scientifico sulla stirpe italica106, tutto teso a presentare la civiltà romana come forma superiore di umanità e a dimostrare che la “stirpe romana” è diventata tout court italiana, Ducati – pur indulgendo alle più scontate banalizzazioni ideologiche del regime – considera inequivocabilmente le caratteristiche spirituali e culturali come fattori più importanti nello sviluppo storico del popolo italiano, rispetto a quelle materiali e fisiche107. Si tratta di una sfumatura di non poco conto, che può forse attenuare il giudizio pesantissimo – praticamente una condanna senza appello – dato a questo libro e al suo autore da Daniele Manacorda108, fermo restando che l’indulgenza può valere soltanto per le “intenzioni” del libro e non certo per il suo contenuto, che in ogni caso è aberrante.
42Per quanto riguarda poi la figura di Giglioli, ci sono episodi della sua parabola esistenziale e professionale che appaiono rivelatori della sua sostanziale buona fede e della sua distanza intellettuale rispetto alle distorsioni speculative sulla razza esplose – in Italia – a seguito della pubblicazione del Manifesto del luglio 1938109: si pensi all’episodio ricordato da Pallottino del dibattito parlamentare sulle leggi razziali110, oppure alla vibrante e nient’affatto scontata commemorazione lincea di Loewy nel 1938111, per non parlare del testamento spirituale dello studioso, su cui giustamente insistette il Pallottino nella sua commemorazione all’Istituto di Studi Romani112.
43Non bisogna poi dimenticare che negli ambienti scientifici italiani – al di là di poche notevoli eccezioni113 – si era affermato come prassi un certo atteggiamento di tipo “nicodemico”114, che portava a esteriori manifestazioni di consenso nei confronti dell’ideologia fascista, senza tuttavia adesione intima e convinta ai temi della propaganda del regime115.
44Anche senza considerare le pubblicazioni più orientate a livello politico-ideologico, d’altra parte, la lettura di opere molto impegnate a livello teorico, come l’Italia antica di A. Della Seta, insinua il dubbio che nel campo degli studi antichistici il sentimento della grandezza e della continuità gloriosa della stirpe “italica”, e l’idea conseguente di uno sviluppo storico concepito in guisa di coronamento progressivo della civiltà italiana, furono in qualche caso, almeno inizialmente, proposte meditate o quanto meno “fatte proprie” e non semplicemente tributi esteriori all’ideologia fascista116.
45E, in ogni caso, la scuola etruscologica italiana, tutte le volte che ebbe l’occasione di farlo, mise in campo un atteggiamento di prudenza critica lucido e calcolato nei confronti delle tentazioni e delle sollecitazioni pericolose che venivano dalla Germania sui temi che spostavano il baricentro del dibattito scientifico e culturale sul problema della razza117. Ne è un buon esempio la ricezione critica in Italia delle idee del genetista nazista Eugen Fischer, perché essa rispecchia molto bene l’atteggiamento ambiguo e prudente dell’etruscologia italiana rispetto alle speculazioni razziste. Come è noto, le stravaganti teorie di Fischer pubblicate alla fine degli anni Trenta ebbero una certa eco, oltre che nella stampa non specializzata118, anche nel paludato clima dell’etruscologia accademica italiana. A questo proposito si tende per lo più a ricordare la recensione di Ranuccio Bianchi Bandinella che negava con sferzante ironia ogni valore scientifico alle teorie di Fischer119, ma non meno significative sono le assai più guardinghe e diplomatiche reazioni di altri esponenti autorevoli dell’etruscologia italiana, come B. Nogara e M. Pallottino120. I due studiosi si trovarono evidentemente in forte imbarazzo nel momento in cui furono chiamati, dal loro ruolo di recensori, ad accreditare o destituire di fondamento le ipotesi del genetista tedesco. Particolarmente significativa in quest’ottica appare la valutazione critica di B. Nogara121, improntata a estrema cautela, che suscitò il plauso anche di Carlo Battisti122: essa può essere assunta a emblema di un atteggiamento che potremmo definire di prudenza a oltranza, attento a evitare ogni compromissione, in un senso come nell’altro.
46Questa chiave di lettura, incentrata sull’idea di un rapporto edulcorato fra ideologia fascista e ricerca etruscologica italiana aggira, in ogni caso, – è impossibile negarlo – il problema del ruolo giocato in queste vicende dal demiurgo dell’etruscologia contemporanea, Massimo Pallottino123, che nel suo ritratto pungente D. Manacorda124 ha considerato uno degli esponenti principali della categoria degli archeologi italiani “nati fascisti”, incapaci di fare i conti con la storia. Quello che qui interessa evidenziare è che il tema del rapporto fra Pallottino e il Fascismo si pone in tutta la sua evidenza e rilevanza perché indubbiamente Pallottino – a differenza dei suoi predecessori, ivi inclusi quelli più diretti al cui magistero si era formato e che appartenevano a una generazione differente – aspirò, riuscendoci, a proporre una nuova visione dell’etruscologia e ad elaborare un modello interpretetativo originale della civiltà etrusca. Almeno a livello teorico, dunque, vi erano i presupposti per assorbire a livello di “sistema” e per teorizzare di conseguenza, le linee portanti dell’ideologia fascista in campo antichistico, e cioè il romano-centrismo, l’idea dell’antichità e dell’autoctonia del popolo italiano e la visione teleologica del passato nazionale.
47Per comprendere fino in fondo la portata, ma anche, per così dire, il contesto e il retroterra, dell’operazione critica fatta da Pallottino non bisogna, innanzitutto, dimenticare che quel ruolo e quella proposta maturarono all’interno di un tormentato percorso esistenziale negli anni immediatamente precedenti il 1945, che una recente biografia intellettuale ha messo a nudo con documenti inediti125.
48In quegli anni Pallottino, ancora relativamente giovane126, elaborava la sua tesi dell’etnogenesi etrusca incentrata sui processi formativi127, con approdo finale a una visione micaliana della storia della Prima Italia che peraltro, dal punto di vista prettamente scientifico, non denunciava vistosi debiti critici nei confronti delle teorie autoctoniste di matrice antiquaria128. Fulcro di questa riflessione era dichiaratamente l’idea dell’italianità della nazione e della civiltà etrusca129, con l’importante corollario che l’esperienza storica dell’antico popolo preromano realizzava in embrione una prima forma di unità culturale italiana, anticipando – di fatto – il risultato dell’unificazione politica dell’Italia compiuta da Roma.
49Come è stato ricordato in una recente analisi130, questa originale impostazione metodologica applicata al passato della nazione italiana – che assumeva simbolicamente il significato di una rivoluzione copernicana negli studi italicistici ed etruscologici – si era andata formando nella mente dello studioso nello stesso periodo in cui Egli scriveva articoli di propaganda per le riviste di Regime, come la Rassegna sociale dell’Africa italiana131, auspicando una prosecuzione delle glorie antiche di Roma nella politica coloniale italiana132. In questi scritti “d’occasione”, il Pallottino forniva il suo piccolo contributo a porre le basi teoriche e concettuali del colonialismo italiano, riversando nella discussione anche il caso-studio etrusco, con il fine ultimo di dimostrare che i rapporti fra le due sponde del Mediterraneo, quella europea e quella africana, erano una necessità storica ineluttabile, e che anche da essi dipendeva il progresso dell’umanità133. In questo tentativo, con ogni evidenza, Pallottino non riusciva a sottrarsi all’influenza esercitata anche sugli antichisti dalla corrente allora dominante di pensiero, che in quegli anni esplorava in tutti i suoi risvolti il rapporto tra razza e civiltà, portandolo alle estreme conseguenze134. Erano passati, non a caso, solo pochi anni da quando anche la scienza etnologica europea – e italiana in particolare – si era posto lo stesso problema, contribuendo a sviluppare le basi teoriche delle politiche coloniali europee, con argomenti ora di ordine storico-culturale, ora di tipo biologico-razziale135.
50Tornando a Pallottino, è però importante sottolineare che la sua convinta partecipazione alla riflessione collettiva che caratterizzò gli studi di antichistica in Italia e nel resto d’Europa fra la fine degli anni Trenta e gli inizi degli anni Quaranta, ebbe carattere per così dire processuale e conobbe una importante evoluzione che ha segnato profondamente il corso successivo degli studi sull’Italia preromana. Infatti, se inizialmente l’urgenza di Pallottino era quella – per usare le sue stesse parole – di lasciarsi alle spalle “l’ansiosa ricerca di parentele” per affermare l’italianità della civiltà etrusca136, successivamente la cifra peculiare del suo percorso di ricerca è stata indubbiamente un’altra, e va ravvisata nel tentativo di mettere a fuoco i caratteri originali e processuali della civiltà etrusca e di tutte le culture dell’Italia preromana, con un bagaglio metodologico innovato. Il frutto di questa evoluzione – è importante ricordarlo – fu la grandiosa riflessione metodologica sulle origini storiche dei popoli italici137, che rappresenta una delle conquiste scientifiche di maggior valore in questo campo di studi. Questa riflessione, sul versante accademico, ebbe anche il grande merito di accreditare ulteriormente e nobilitare a livello internazionale una scienza storica nata da poco – l’etruscologia e l’archeologia italica – al termine di un lungo processo di istituzionalizzazione.
Conclusioni
51E’ opinione largamente condivisa che la coltre opprimente dell’ideologia nazifascista si depositò con gravi conseguenze anche sulle Scienze dell’Antichità, inquinando profondamente l’impostazione e il libero svolgimento delle ricerche e degli studi individuali sul mondo antico.
52Condizionamenti di vario tipo si possono notare soprattutto in Italia e in Germania anche negli studi sulla civiltà etrusca, ma, come ha osservato M. Harari, se si concentra l’analisi sul caso italiano non si riscontrano effetti distorsivi equiparabili a quelli che ci verificarono, con gravi conseguenze, soprattutto in Germania, sull’archeologia classica, sulla storia antica e sulle discipline preistoriche138. Infatti, se si eccettua il caso-Pallottino, che – come si è visto – è assolutamente sui generis e merita pertanto un discorso a se stante, nell’etruscologia italiana non si rintracciano tentativi organici, deliberati e convinti di dar vita a una visione fascista della storia dell’Italia preromana nemmeno in quelle personalità che pure ebbero un ruolo pubblico durante il Ventennio.
53Quello che si può dire pertanto è che, nell’ambito degli studi etrusco-italici, si ebbero per lo più reazioni fisiologiche alla propaganda ideologica e retorica del regime, con produzione di una vastissima letteratura specializzata e di divulgazione che di uniforme presenta, a ben guardare, soltanto una patina superficiale. Il minimo comune denominatore di queste posizioni critiche sostanzialmente indipendenti, ma formalmente rispettose del sistema di valori propagandato dal fascismo, può essere considerato il sentimento di orgoglio nazionale che da Della Seta a Pallottino, passando per Ducati, Nogara e Giglioli, caratterizza praticamente tutta la letteratura etruscologica italiana del Ventennio, traboccante di concetti come l’eredità di Roma, il genio della stirpe, l’anima italica, il glorioso destino dell’Italia139.
54Ma se questo è quanto emerge dalla lettura delle opere che aspirarono a una sintesi e che in ogni caso sono il frutto di uno sforzo di teorizzazione – come la monografia di Alessandro Della Seta sull’Italia antica140 – lo svolgersi delle ricerche particolari sulla civiltà etrusca, ivi comprese quelle sulla religione, di cui si è dato conto sommariamente nelle pagine precedenti, indica un fenomeno affatto diverso, ovvero che la ricerca sugli Etruschi seguì durante il Fascismo il suo corso naturale, sovente senza ambizione di approdare a ricostruzioni storico-culturali di qualche respiro, in linea con quanto fece la gran parte della cultura accademica italiana141.
55Ne fanno fede le numerosissime ricerche di carattere puntuale sulla civiltà e sulla religione degli Etruschi, che presentano una straordinaria varietà di approccio, storicotopografico, storico-archeologico, epigrafico-linguistico ed antiquario, senza mostrare condizionamenti di carattere ideologico. Le ricerche sulla religione esaminate in questo contributo confermano in pieno questo quadro, perché anche quelle che si possono ricondurre a studiosi di fede fascista che svolsero attività politica militante non mostrano tracce di interferenze ideologiche.
56Utilizzando una metafora, potremmo pertanto concludere questo contributo affermando che il treno dell’Etruscologia, come tutte le discipline antichistiche, fu investito in pieno dall’onda d’urto dell’ideologia nazi-fascista, senza però deragliare, e riuscendo a continuare la sua corsa seguendo il binario che proprio in quegli anni la stava portando a diventare una disciplina di indirizzo storico riconosciuta nel panorama accademico mondiale. L’unico vero punto di fragilità in questo assetto, per il resto abbastanza stabile, fu rappresentato dal dibattito sulla razza, che ebbe pesanti ripercussioni anche nel campo delle scienze umane. Qui, in particolare, si determinò una convergenza negativa degli studi antropologici, di quelli protostorici nonché di parte di quelli archeologici che tentavano di ricostruire gli antecedenti e poi albori delle civiltà dell’Italia preromana, inclusa quella etrusca, che ha lasciato traccia anche negli studi di argomento religioso che abbiamo passato in rassegna in questo contributo. Le prese di distanza e i tentativi di attenuare la rigidità della dottrina fascista della razza, che si possono osservare anche nella ricerca etruscologica del Ventennio, d’altra parte, dimostrano che in Italia la discussione si incanalò su un binario morto, senza eccessive conseguenze. Anche se oggi si stenterebbe a crederlo, utilizzando le parole di Antonio Gramsci142, si potrebbe dire che “l’italiano sente la razza meno del tedesco” e che il razzismo italiano si tradusse per lo più nel “ritorno storico al romanesimo, poco sentito oltre la letteratura” e nell’“esaltazione della stirpe”143.
Notes de bas de page
1 Michetti 2015. Nel 1934 ci fu anche un tentativo di attivare a Roma una cattedra di Epigrafia etrusca per M. Pallottino, non andato a buon fine nonostante gli auspici di Giglioli (Delpino 2007, 7). Verso la metà degli anni Trenta il Rettore dell’Università di Firenze cercò di far istituire una cattedra di Etruscologia anche a Firenze, senza esito: sulla vicenda, che vide indirettamente coinvolto anche R. Bianchi Bandinelli, cf. Barbanera 2009b, 28-29.
2 Atti Firenze 1926 e 1929.
3 Minto 1950. Come si evince da un breve ma incisivo intervento di Pallottino 1951, la circostanza acuì la competizione fra Firenze e Roma in campo etruscologico.
4 Romanelli 1957, XXII.
5 La vicenda è ricostruita nei dettagli nel documentato lavoro di F. Delpino 2006.
6 Teorizzatore di questo assetto autonomo della disciplina è tradizionalmente considerato M. Pallottino (si leggano a questo proposito le dichiarazioni di Pallottino 1942, 16), che aveva seguito la strada indicata già da B. Nogara (Vistoli 2013, 665). Oggi il paradigma dell’etruscologia “enciclopedica” appare in crisi: Harari 2012b, 42; G. Sassatelli, in Sassatelli & Della Fina 2013, 19. Sugli orientamenti dell’etruscologia contemporanea, cf. Haack 2011 e 2013.
7 Questo aspetto è indagato da Tarantini 2002b.
8 Perseguì questa politica, con lungimiranza, A. Minto, al cui impegno vanno ricondotte iniziative indubbiamente molto felici, che ebbero l’effetto di ampliare l’orizzonte degli studi etruscologici. Sulla figura di A. Minto, si veda Romanelli 1957.
9 Cf. Pallottino 1968, 15-16.
10 Nell’architettura di Studi Etruschi, la sezione religiosa è prevista sin dall’inizio, sebbene nel primo numero della rivista manchino specifici articoli di argomento storico-religioso; già nei numeri immediatamente successivi (II-III), infatti, la sezione storico-archeologica della rivista venne ampliata per ricomprendere anche la tematica religiosa. L’istituto di Firenze aveva programmato inoltre di dare alle stampe una trattazione monografica sulla religione etrusca, affidata a Raffaele Pettazzoni (cf. Atti Firenze 1926, 31), studioso di cui si dirà in seguito (v. Casadio 2011), che tuttavia non ebbe esito.
11 Fra le pubblicazioni più recenti sulla religione etrusca, limitando l’elenco a pochi titoli, si possono ricordare la monografia di Jannot 1998, gli atti del convegno di Parigi (Atti Paris 1997), la raccolta di saggi curata da N. Thomson de Grummond & E. Simon 2006 e la recente sintesi di Maggiani 2012. Il record archeologico è invece trattato esaustivamente nel volume di N. Thomson de Grummond & I. Edlund-Berry 2011, con amplia bibliografia (ibid. 143-165).
12 Storie degli studi aggiornate si reperiscono in Thomson de Grummond 2006 e Maggiani 2012, 395-399.
13 Cf. Krall 1892 e Bücheler 1900.
14 Poggi 1878.
15 V. Bellelli, in Bellelli & Mazzi 2013, 6-7.
16 Thulin 1906a-c, 1909.
17 Su queste prime fasi della ricerca si veda Maggiani 2012, 395-397.
18 Nogara 1910. Cf. anche Herbig 1908.
19 Si tratta, non a caso, dei nodi tematici attorno ai quali si sviluppa anche l’architettura delle trattazioni enciclopediche di argomento etruscologico della prima metà del Novecento, fra le quali si possono ricordare la voce Etrusker della Pauli-Wissowa (Pontrandolfi 1909), quella curata da G. Herbig per 1’Encyclopedia di Hastings (Herbig 1912), e quella curata da N. Turchi e A. Neppi Modona per l’Enciclopedia italiana (Neppi Modona & Turchi 1932). Presenterà più o meno lo stesso impianto anche il lavoro di Grenier 1948, che si caratterizza per l’ampio uso delle fonti classiche.
20 Ne tratta ampiamente il Clemen 1936b.
21 V. Bellelli, in Bellelli & Mazzi 2013, 50-52.
22 Cf. per es. Wissowa 1912.
23 Carter 1925; Rose 1929; Conway 1933, 50-74; Altheim 1938a, 46-64.
24 Weege 1921; Bulle 1922; van Essen 1927.
25 Si veda per esempio lo studio di Frova 1908.
26 Riferimenti supra a nota 24.
27 Atti Firenze 1929, 158-160.
28 Atti Firenze 1929, 117-165.
29 Macchioro 1930. La personalità di Macchioro affascinò probabilmente anche Benedetto Croce, che ne si adoperò presso l’editore Laterza per favorire le sue pubblicazioni: Baroni 2011, 271-278.
30 Si allude qui, evidentemente, al contributo di Ernesto De Martino e della Scuola storico-religiosa romana.
31 Aveva aperto la strada l’indagine sul Caronte etrusco di De Ruyt 1934. Cf. anche De Ruyt 1936; Enking 1942, 1943 e 1947.
32 La valutazione è di Bloch 1952. Sull’etruscologia francese prima della seconda guerra mondiale v. ora Rey 2015.
33 Ross Taylor 1923.
34 Un bel profilo dello studioso ungherese è tratteggiato da Parsons 1974.
35 Weinstock 1932.
36 Weinstock 1946. Successivamente, lo studioso ebbe modo di occuparsi anche di demonologia etrusca: Weinstock 1965.
37 Sul clima fascista in cui si svolsero i convegni fiorentini del 1926 e del 1928 si veda l’efficace ricostruzione di Gandini 1999, 117-121 e Gandini 2000, 99-107.
38 Rapido compte-rendu, pressoché contemporaneo all’evento congressuale, in Neppi-Modona 1928.
39 Si dovrà aspettare il secondo congresso internazionale etruscologico (Atti Firenze 1989) e il Convegno di Parigi (Atti Paris 1997) per registrare una partecipazione internazionale di studiosi altrettanto ampia.
40 Pettazzoni, non a caso, fu sin dall’inizio membro effettivo dell’Istituto di Studi Etruschi. Nel discorso inaugurale della sessione del 29 aprile, egli esordì esprimendo la sua personale soddisfazione nel vedere realizzato il suo progetto di una sezione speciale dedicata allo studio della religione etrusca: Gandini 2000, 100.
41 M. Gandini 2000,106, per esempio, sostiene che Pettazzoni continuò a seguire gli studi etruscologici anche in seguito, pur senza occuparsene in modo specifico.
42 Su questo aspetto poco conosciuto dell’attività di Pettazzoni, si vedano i contributi di Rambaldi 2012a; Rambaldi 2012b. Attira l’attenzione su Pettazzoni-archeologo anche la recente mostra di San Giovanni in Persiceto (in corso di stampa). Particolarmente notevoli, per le capacità di analisi, paiono alcuni lavori di Pettazzoni di taglio squisitamente archeologico, come quello sull’iconografia hathorica (Pettazzoni 1910), che dedica ampio spazio alla documentazione etrusca (ibid. 193-203).
43 Cf. Pettazzoni 1908; Pettazzoni 1909.
44 Pettazzoni 1927, 1928a-b.
45 Si legga per esempio la recensione all’opera del Ducati (Pettazzoni 1925), che contiene alcune interessanti integrazioni bibliografiche all’opera recensita.
46 Leland 1892. Si è riacceso, di recente, l’interesse per questa singolare figura di antropologo e per i suoi studi etruscologici: si vedano, per esempio, i contributi di Di Fazio 2008 e Capdeville 2011. Un cenno sull’originalità dell’indagine di Leland è anche nel recente manuale di Camporeale 2011, 216.
47 Pettazzoni 1929a-b.
48 Atti Firenze 1929, 164; Pettazzoni 1929b.
49 Ciò vale sicuramente per il canadese Rose (Accorinti 2012, 84-85; 2014), ma forse anche per Tadeus Zielinski, studioso polacco autore di una sintesi sulla religione greca, tradotta anche in inglese (Zielinski 1926).
50 Cf. Leopold 1929, 54 e Zielinski 1929, 197.
51 Sulla tesi di Zielinski – dopo un periodo di prudente scetticismo (cf. a questo riguardo Pallottino 1942, 183)-espresse severe critiche M. Pallottino (1984, 337, nota 24) negando ogni contenuto etico alla concezione etrusca del divino.
52 Conway 1897.
53 Conway 1933, 65-69.
54 L’Autore, per esempio, riversa nella discussione anche una valutazione storico-artistica dell’Apollo di Veio alquanto discutibile (Conway 1933, 69): con il suo aspetto terrificante e anti-classico, quest’opera d’arte dimostrerebbe, secondo Conway, il carattere spietato e inumano della divinità etrusca rappresentata.
55 Conway 1933, 70-73.
56 Haack 2014.
57 Harari 2001, 53-55.
58 Harari 2001, 54.
59 Sordi 1995, 193-194; Pallottino 1996. Tale originalità, secondo questi studiosi, consisterebbe nel carattere rivelato della religione etrusca e di quella ebraica, di cui sarebbe conseguenza l’importanza assegnata, in entrambe le civiltà, al libro e alla parola scritta.
60 Particolarmente notevoli furono le analisi dedicate al Liber Linteus: Vetter 1937 e Olszcha 1939.
61 Si rinvia ai contributi di Miller 2015; Benelli 2015; Belfiore e Benelli in: Haack & Miller 2016.
62 Rix 1981 e 1998. Il recente intervento di Torelli 2009 dimostra che si tratta di uno dei settori più dinamici e prolifici della ricerca sulla religione etrusca, che sarà passibile di ulteriori sviluppi, di pari passo con il progresso delle indagini di tipo squisitamente linguistico. Sull’importanza di questi studi si vedano anche i nostri cenni in Bellelli 2012b, 24-25.
63 Pallottino 1942, 173-174. Pallottino ha mantenuto questa opinione anche in seguito, individuando solo nella monografia di Pfiffig (1975) l’opera in grado di colmare la lacuna: Palllottino 1984, 324.
64 Banti 1937 e 1938, 392.
65 Gandini 2000, 107. La Banti collaborò assiduamente alla rivista fondata da Pettazzoni Studi e Materiali di Storia delle Religioni e conseguì nel 1943 la libera docenza in Storia delle Religioni.
66 Un’ampia selezione di titoli è inclusa nel repertorio di P. Defosse (1976), che purtroppo è ordinato con un criterio (alfabetico) che facilita sì la consultazione, ma rende problematiche eventuali ricerche trasversali condotte per temi. Per la Germania, si veda la messa a punto di Koch 1934. Per un panorama più generale sugli studi di etruscologia in Germania prima della seconda guerra mondiale, v. ora Miller 2015.
67 Gramsci 1953, 144.
68 Sviluppi simili in termini di strategia organizzativa, ebbe – non a caso – anche un’altra disciplina che si stava consolidando a livello accademico in quello stesso periodo, ovvero lo studio storico-religioso condotto con metodo comparativo, che sotto l’egida di Pettazzoni, proprio come l’Etruscologia, cercava di ritagliarsi in Italia i suoi spazi autonomi con la creazione di cattedre universitarie, la fondazione di riviste di settore, l’internazionalizzazione delle iniziative di studio, l’attività di censimento bibliografico, come quella – accuratissima – svolta da A. Brelich (1948 e 1949). Su questi temi, cf. Severino 2006 e Spineto 2012. Anche questa disciplina subì forti interferenze ideologiche durante il Fascismo: il tema è trattato collegialmente in Junginger 2008 (si veda anche Alciati 2011).
69 Basti pensare che nel sommario del libro che stava preparando prima di morire – Lingua e letteratura degli Etruschi – pubblicato postumo nel 1996, Pallottino aveva inserito in calce al primo capitolo un paragrafo interamente dedicato agli studi di carattere dilettantesco, intitolato “Un fenomeno caratteristico al margine degli studi sulla lingua etrusca: morboso interesse del grande pubblico, dilettantismo, ignoranza”: Pallottino 1996, 208.
70 A testimonianza di questo impegno, si ricordino a titolo esemplificativo i numerosi scritti di “segnalazione e divulgazione” di Giglioli inseriti nella bibliografia dello studioso compilata da R.A. Staccioli (Appendice a Pallottino 1958, 21-41, 34-37) e il richiamo di B. Nogara (1923, 69) all’importanza del “mettere alla portata di tutti i risultati del lavoro scientifico”. Come ricorda N. Parise (1992, 729), particolarmente notevole in questo campo fu l’attività di P. Ducati, il quale fra gli anni Venti e gli anni Quaranta scrisse diversi volumetti sugli Etruschi di taglio divulgativo: Ducati 1925; 1928; 1938; 1939.
71 Ducati 1925, I, 95-130; Nogara 1933, 156-263; Giglioli 1944; Pallottino 1950. Il più organico e strutturato di questi lavori è senza dubbio il capitolo scritto da Giglioli per un’opera di grande successo, la storia delle religioni curata dall’abate Pietro Tacchi Venturi. Su questo personaggio e sul suo ruolo negli ambienti ufficiali degli studi storico-religiosi nell’Italia fascista, cf. da ultimo Saggioro 2014.
72 E’il giudizio, per esempio, di M. Pallottino (1948, 357), che tuttavia apprezza l’impianto del lavoro di Giglioli e ne esalta l’ampia informazione archeologica.
73 B. Nogara (1923, 76), polemizzando con Della Seta, ebbe modo di tessere l’elogio di questo modus operandi virtuoso, che rappresenterebbe la vera ricerca scientifica, la quale “non si affretta, osserva, studia e raccoglie”. Dello stesso avviso è evidentemente anche Giglioli (1944, 847), quando descrive il proprio lavoro come una “esposizione di dati informativi”, in grado tuttavia di apportare sulla religione etrusca anche qualche "contributo personale". A entrambi gli autori, Pallottino riconosceva come principale qualità scientifica la raccolta diligente delle informazioni: cf. Pallottino 1948, 357 a proposito di Giglioli e Pallottino 1968,17 a proposito di Nogara.
74 Cf. Ducati 1923; Ducati 1925, 95-99; Ducati 1937, 201. Sull’idea di Ducati, recentemente ha richiamato l’attenzione Maggiani 2012, 398.
75 Usener 1993. In quest’opera singolare, vi è anche uno spunto sull’Etruria (ibid. 89). Allo stesso argomento era dedicato un lavoro di Weinreich 1928.
76 Banti 1943.
77 Giglioli 1944, 839.
78 Riferimenti supra a nota 72.
79 L’estratto è custodito nella Biblioteca M. Pallottino ospitata attualmente presso il Polo museale di Villa Giulia a Roma: C.N.R. – Biblioteca centrale – Fondo Pallottino, n. inv. 242593.
80 Fra le varie occasioni che i due ebbero di collaborare, la più importante è sicuramente l’organizzazione della mostra augustea della romanità (1937), di cui Giglioli fu ideatore e regista. Se ne veda l’entusiastica recensione di Pallottino 1937.
81 Per un inquadramento generale del problema, con riferimento all’archeologia classica, ma con numerosi riferimenti ai protagonisti degli studi etruscologici, si rimanda al saggio di Manacorda 1982a e alle osservazioni di Barbanera 1998, 147-152.
82 Manacorda 1982a, 451-452.
83 Gandini 2001; Stausberg 2008; Spineto 2012, 709, con ulteriori riferimenti. Sui professori che si rifiutarono di giurare, v. da ultimo Goetz 2000 e Boatti 2001.
84 L’argomento è molto vasto ed è stato conseguentemente trattato in numerosi studi, fra cui si ricordano quelli particolarmente rilevanti di Schnapp (1977 e 1980), Losemann (1977) e Arnold (1990), che analizzano la situazione tedesca. Fra le iniziative collettive recenti si ricorda quella coordinata da Bernsdorff et al. nel 2010, che include anche due importanti studi di M. Barbanera e H. Manderscheid.
85 Nel campo delle scienze umane i sotto-temi esplorati più a fondo sono le influenze dell’ideologia fascista sugli studi filologici e di critica letteraria (su cui si vedano i contributi di Canfora 1976; 1977; 1980 e di Degani 1979), le influenze sugli studi giuridici e nel campo dell’amministrazione dei beni culturali (Cazzato 1980; Crifò 1989; De Napoli 2006), e le influenze sugli studi di storia antica (Mazza 1995). Si ricordano inoltre gli studi sul rapporto fra recupero dell’antico, nazionalismo e politica coloniale (Cagnetta 1979), quelli dedicati all’Enciclopedia italiana (Cagnetta 1990 e Giordano 1993) e quelli relativi specificamente all’archeologia, in particolare quelli confluiti nel volume curato da La Rosa 1986.
86 Basterebbe a dimostrarlo la rimozione dalla cattedra romana di Etruscologia di A. Della Seta a causa della "bufera antisemitica”: Pallottino 1944-1945, 4. L’impatto delle leggi razziali sul mondo universitario italiano è studiato da Finzi 2003.
87 Harari 2012a. Il lavoro rappresenta l’elaborazione di un intervento dell’Autore nell’ambito di un interessante convegno organizzato da G. Saimeri, Fascismo e antichità, le cui risultanze purtroppo non hanno avuto esito a stampa.
88 Harari 2012a.
89 Si rinvia a questo proposito alla esaustiva analisi di Tarantini 2002b.
90 Cf. i cenni di Giarrizzo 1986.
91 Del resto, come ha ricordato A. Schnapp (1980, 24-30), negli anni Trenta si nota una simpatia generalizzata verso le teorie razziali, capace di far breccia anche nell’establishment accademico più insospettabile. L’uso politico dell’antichità e del passato delle nazioni non erano in quegli anni prerogativa della sola Europa e anche oltreoceano si avviavano percorsi di ricerca che utilizzavano impropriamente categorie euristiche come quella di “razza”. Un caso interessante, recentemente indagato, è rappresentato dalle ricerche di antropologia fisica condotte in Giappone sulla scia del modello tedesco: Nanta 2008.
92 Su queste due importanti figure dell’archeologia italiana del Ventennio, v. Pallottino 1958; Parise 1992; Barbanera 2000.
93 Nella ricerca etruscologica non avremmo, in altri termini, personaggi a tutto tondo, protagonisti di operazioni culturali complesse, come quelle messe in campo sul versante dell’archeologia classica e della storia antica da Paribeni, Pace, Pais, De Francisici ed altri. Il caso-Paribeni è stato studiato recentemente da Munzi 2008. Per quanto riguarda Pais, cf. Atti Acquasparta 2002.
94 Si ricordi a questo proposito, che le figure di Ducati e di Giglioli sono considerate emblematiche del rapporto fra Archeologia e Fascismo: se ne veda il giudizio tagliente di Manacorda 1982a, 451-452.
95 Parise 1992, 730.
96 Pallottino 1958, 11-12; Barbanera 2000, 710. Il fenomeno delle epurazioni universitarie e della messa all’indice dei professori fascisti nell’immediato dopoguerra è ancora poco studiato. A G. E. Rizzo fu affidato l’incarico di presiedere la commissione incaricata di ricostruire l’Accademia dei Lincei (Rizzo 1947, 29-30). Sulla revisione delle nomine per “alta fama” cf. Montroni 2010.
97 Cairo 2012.
98 Cairo 2012, 157-158.
99 Ducati 1940.
100 Sul mito della Romanità, cf. Perelli 1977; Visser 1992; Barbanera 1998, 144-145; Giardina & Vauchez 2000, 212-287; Torelli 2010; Nelis 2012, con ulteriori riferimenti. La ricezione dell’antico e, in particolare, il mito della romanità ebbero notevole risonanza durante il fascismo nella produzione filatelica e in quella numismatica: cf. Livadiotti 2013 e Munzi 2013.
101 Sull’atteggiamento degli intellettuali durante il Fascismo, cf. Turi 1980 e Scoppola 2011.
102 Può essere utile, a questo proposito, ricordare le valutazioni di M. Cagnetta sulle vicende legate all’Enciclopedia italiana, e all’operato del suo coordinatore, Giovanni Gentile, e soprattutto al metodo di selezione dei collaboratori e di assegnazione delle “voci” (Cagnetta 1990). V. anche, con prospettiva circoscritta agli studi di letteratura latina, Giordano 1993.
103 M. Barbanera 2000, 709 ha considerato questo scritto fra i migliori di Giglioli.
104 Giglioli 1929, 159.
105 Cf. l’analisi e le conclusioni di M. Tarantini 2002a; Tarantini 2011.
106 Ducati 1940.
107 Ducati 1940, 21-22.
108 Manacorda 1982a, 466-467.
109 Il documento fu firmato, tra gli altri, da Pettazzoni, dall’antropologo Sergi e dall’orientalista Tucci. Su quest’ultimo cf. ora Nalesini 2013.
110 Secondo Pallottino 1958, 11, Giglioli avrebbe votato contro l’approvazione delle leggi razziali, ma i verbali sarebbero stati manomessi per far risultare l’unanimità. È stato anche accertato che Giglioli favorì la fuga di alcuni ebrei durante le persecuzioni anti-semitiche: Barbanera 2000, 710.
111 Ha richiamato l’attenzione su questo episodio: Schnapp 1980, 31.
112 Pallottino 1958. Nel testamento olografo – ivi pubblicato a p. 43 – lo studioso, riferendosi evidentemente agli anni dell’appoggio al fascismo, ammette di aver sbagliato in buona fede, con la convinzione di far cosa utile al paese e al prossimo.
113 Fra le poche posizioni critiche anti-conformiste, nel panorama dell’archeologia classica italiana, è degna di nota quella assunta da G. E. Rizzo, su cui si veda Dubbin 2008. Sulla figura di Rizzo, in una prospettiva più ampia, si veda anche Barbanera 2006.
114 Scoppola 2011, 196.
115 Molto pertinente appare, a questo riguardo, il calzante giudizio di Momigliano sulla prudenza nei comportamenti, ripreso anche da Turi 1980, 64, nota 140.
116 Basti pensare, nel campo della storiografia antica, alla parabola evolutiva di uno studioso come Pais: Cagnetta 2002.
117 Si rinvia a questo proposito a quanto ha scritto M.-L. Haack su questo interessante argomento: Haack 2014.
118 Haack 2012, 403-404.
119 Bianchi Bandinelli 1939. La circostanza è ricordata da ultimo da Manderscheid 2010, 50, nota 59.
120 Nogara 1939, 100-101; Pallottino 1943.
121 Nogara 1939, loc. cit. a nota 120.
122 Battisti 1939.
123 Sulla vita e l’opera di Pallottino esiste ormai una letteratura importante. Fondamentale è Michetti 2007. Utili profili dello studioso sono tratteggiati da Delpino 2007 e 2014 e Minoja 2013.
124 Manacorda 1982a, 459-460.
125 Delpino 2007. Nei fatti che stiamo esaminando, esiste pertanto anche un fattore generazionale che ebbe il suo peso: ne tiene opportunamente conto Manacorda 1982a (loc. cit. a nota 124) nella sua tipologia dell’archeologo fascista.
126 È interessante notare che i primi interessi di Pallottino furono essenzialmente rivolti agli aspetti epigrafico-linguistici: Delpino 2014, 575.
127 Anche se la versione più compiuta di questa ipotesi è sviluppata nel saggio del 1947, l’idea è chiaramente enunciata già in Pallottino 1942, 77-80. Rispetto alla precedente opera di sintesi di Pallottino 1939, il salto di qualità era notevole. Sulle varie edizioni dell’Etruscologia pallottiniana, v. Camporeale 1999.
128 De Francesco 2013, 212.
129 L’enunciato è chiarissimo ed ha carattere programmatico: Pallottino 1942, XV-XVI. Lo ha ricordato efficacemente Haack 2012, 404.
130 De Francesco 2013, 205-215.
131 Per farsi un’idea precisa della cronologia e del contenuto di questi scritti, a cui allude De Francesco (2013), è sufficiente rinviare il lettore alla bibliografia completa dello studioso pubblicata all’inizio dei suoi Saggi di Antichità (Pallottino 1979, I, XVII-XLVI, in part. XVII-XXII).
132 Si veda a titolo esemplificativo Pallottino 1940a, 8.
133 Cf. Pallottino 1940b: l’assunto era dimostrato attraverso la vicenda etrusco-cartaginese.
134 È da notare, comunque, che sulla questione razziale Pallottino – a giudicare dall’apparato critico della prima edizione del suo trattato (1942, 26, nota 1) – mostra di apprezzare soprattutto le posizioni moderate incarnate da Giacomo Acerbo (1940), contrarie al razzismo biologizzante di influenza tedesca. Successivamente, subito dopo la caduta del nazismo, Pallottino affermò – a scanso di equivoci – che il concetto di “razza ariana” era erroneo ed era stato dimostrato tale in sede antropologica: Pallottino 1946, 140.
135 Si pensi all’VIII Convegno “A. Volta”, tenutosi a Roma sull’onda della conquista etiopica nell’ottobre 1938, che riunì gran parte degli studiosi italiani ed europei di etnologia e antropologia, fra i quali va ricordato anche R. Pettazzoni (Lospinoso 1977). L’evento segnò l’appoggio dell’etnologia britannica e di quella austriaca al razzismo fascista (Giarrizzo 1986).
136 Pallottino 1942, XVI; 80.
137 Pallottino 1979, 1, 3-46; Pallottino 1984b.
138 Per questi aspetti si rimanda all’analisi e alle conclusioni di Schnapp 1977, 20 e Schnapp 1980, 30-31. Per la situazione italiana, è fondamentale la ricostruzione di M. Tarantini (2002a).
139 Questo lessico serpeggia in molti lavori pubblicati nel Ventennio rigurgitanti retorica patriottarda, comprese opere “insospettabili” come l’Italia antica di Della Seta: si leggano a questo proposito le pp. 1-3, 431-434 di questo volume.
140 Della Seta 1928.
141 Scoppola 2011, 196.
142 Gramsci 1953, 49.
143 È doveroso segnalare, a questo proposito, che il tema dell’impatto del razzismo nella cultura scientifica italiana è molto controverso: si veda la messa a punto di Capristo 2011, con rassegna delle posizioni in campo.
Auteur
CNR-ISMA; vincenzo.bellelli@isma.cnr.it
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