La linguistica etrusca in Italia: 1928-1942
p. 229-239
Texte intégral
1Se il fascismo si limitò ad allontanare per motivi politici appena l’1,5% dei docenti universitari, contro il 35% della Germania, questa limitata proporzione è dovuta allo scarsissimo rapporto fra cultura universitaria e popolazione – e a un regime totalitario preme sostanzialmente il controllo della seconda1. L’Italia del Ventennio era ancora un Paese sostanzialmente rurale, con un tasso di analfabetismo superiore al 30% (il decuplo, circa, della media europea)2, dove il controllo dell’attività culturale era molto limitato, dato che il suo impatto sulla massa della popolazione, che era quella che stava a cuore al regime, era pressoché nullo. Pochissimi docenti universitari italiani si schierarono apertamente contro il regime, e furono costretti all’esilio attraverso pressioni intimidatorie, come nel caso famoso di Gaetano Salvemini. Altri, appena 12, si rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà richiesto dal governo nel 1931; fra questi, come è noto, un unico antichista, cioè Gaetano de Sanctis, sul quale possono aver pesato fattori di storia familiare, visto che suo padre e suo nonno erano stati fra i pochissimi dirigenti pubblici dello Stato della Chiesa a rifiutarsi di prestare giuramento di fedeltà al Regno d’Italia, perdendo di conseguenza il lavoro. Tuttavia, nonostante fosse stato espulso dall’università, grazie all’interessamento diretto di Gentile (un fatto rimarchevole, dato che de Sanctis era stato firmatario, con altri oppositori come Salvemini, del manifesto Croce, contro quello voluto da Gentile), de Sanctis conservò la direzione della sezione di antichità dell’Enciclopedia Italiana Treccani, fino a quando fu reintegrato nella cattedra dopo la Liberazione3.
2In questa situazione si può capire come mai, come ha osservato Marcello Barbanera, se in Italia vi furono senz’altro un certo numero di archeologi fascisti, solo con qualche difficoltà si potrebbe individuare un’archeologia fascista, al di là dei generici slogan propagandistici sulla grandezza della romanità4. E, più di recente Maurizio Harari ha mostrato come questo sia ancora più vero per l’etruscologia; al di là del credo politico di alcuni protagonisti della disciplina, e dell’acquiescenza al regime da parte di molti altri, sembra che le necessità ideologiche del fascismo non abbiano avuto alcun ruolo determinante nello sviluppo dell’etruscologia durante il Ventennio. In Italia non vi fu nulla di paragonabile alla Ahnenerbe della Germania nazista, né al controllo ferreo esercitato sull’attività degli storici e degli archeologi, chiamati a rispettare una precisa ortodossia di partito5.
3Questo è il contesto storico e sociale nel quale operarono gli studiosi che si occuparono di lingua etrusca nel periodo del Ventennio. Il mio contributo dello scorso anno si concludeva con lo storico intervento di Giulio Buonamici al primo congresso internazionale etrusco del 1928, che può essere considerato senz’altro l’atto fondante, anche a livello metodologico, dell’epigrafia etrusca così come la studiamo ancora oggi6. Con quella data, come abbiamo avuto modo di vedere, i tentativi del neo-etimologismo erano ormai definitivamente tramontati, e l’interpretazione della lingua etrusca era tornata all’interno dei binari del combinatorismo, sia pure in una forma molto aggiornata, che aveva digerito le sfide poste dai testi lunghi scoperti alla fine del xix secolo. Il manuale di Buonamici, pubblicato nel 1932, non è altro che lo sviluppo di queste premesse metodologiche, dalle quali mosse la ripresa attiva e produttiva degli studi di lingua etrusca nel corso degli anni ‘30. Da quel momento in poi, lo studio dell’etrusco seguì sostanzialmente tre direttrici.
4La prima è l’epigrafia etrusca in senso stretto, ossia lo studio dei documenti epigrafici non solo per il loro aspetto linguistico, ma anche e soprattutto nel loro valore storico. In prima linea lungo questo filone c’è naturalmente il suo principale teorico, Buonamici; e in questo senso si muovono anche un certo numero di studiosi italiani, che provengono da un approccio più classico all’etruscologia, a partire da una formazione fondamentalmente storica e archeologica. Il più impegnato in questo senso, dopo Buonamici, fu certamente Bartolomeo Nogara, anche perché, non dobbiamo dimenticarlo, Nogara era entrato a far parte, unico italiano, del comitato di redazione del Corpus inscriptionum Etruscarum. Epigrafista in senso stretto era anche, naturalmente, Olof August Danielsson, che anzi era stato il primo ad occuparsi in modo specifico degli aspetti tecnici e materiali delle iscrizioni etrusche, affiancando in modo determinante il Pauli fin dagli inizi dell’impresa del Corpus. La morte del Danielsson nel 1933, unitamente allo sviluppo tutto italiano dell’epigrafia etrusca sulla spinta di Buonamici, fu certamente uno dei fattori che determinarono la graduale cessione della titolarità dell’impresa all’Istituto di Studi Etruschi, maturata definitivamente nel 19407, con un atto senza precedenti per l’Accademia delle Scienze di Berlino, che è rimasta per il resto a tutt’oggi gelosa titolare di tutti i progetti dei grandi corpora.
5La seconda direttrice di studio è quella della ricerca combinatoristica; e, come la prima è praticamente tutta italiana, questa seconda è al contrario praticamente tutta tedesca, con la sola eccezione dell’illustre decano della disciplina, Søren Peter Cortsen, che era stato l’unico a non abbandonare mai il metodo combinatorio, neppure negli anni del neo-etimologismo imperante8. Un solo italiano, in quei decenni, fu attivo praticante del combinatorismo, e fu il giovane Massimo Pallottino, che non a caso, se si eccettua la particolare posizione del Buonamici, epigrafista ma non linguista, è l’unico italiano salvato nel devastante Literaturbericht comparso nel numero 23 di Glotta, del 1935, ad opera di Cortsen, che non esita a definirlo senza mezzi termini “die junge Hoffnung der Etruskologie”9.
6Questo Literaturbericht ci porta direttamente alla terza direttrice di studio, che fu ancora una volta primariamente italiana, cioè quella dei linguisti in senso stretto che, pur non tentando più interpretazioni di tipo etimologista, si dedicarono comunque a indagini etimologiche, a partire dai significati dei lemmi etruschi acquisiti tramite il metodo combinatorio. L’obiettivo principale di questo filone di studi, che faceva ampio uso anche della toponomastica e del lessico moderno, soprattutto dialettale, era quello di stabilire la posizione della lingua etrusca nel contesto delle grandi famiglie linguistiche mondiali: un esercizio che Cortsen non esitava a definire senza mezzi termini tanto arbitrario da sconfinare nell’improduttività, scatenando la reazione dei diretti interessati, che risposero con una sorta di contro-Literaturbericht apparso periodicamente su Studi Etruschi ad opera di Carlo Battisti10. In Italia questo indirizzo aveva una lunga storia, a partire dai campioni del neo-etimologismo quali gli scomparsi Elia Lattes e Alfredo Trombetti, e l’ancora vivente Francesco Ribezzo, che di fatto non abbandonò mai il metodo, ma preferì piuttosto abbandonare lo studio dell’etrusco, dedicandosi soprattutto al messapico, più accessibile in quanto lingua indoeuropea. Questo filone di ricerca coinvolse molti studiosi di glottologia generale, che si occuparono anche – ma non primariamente – di etrusco; fra questi, i principali attori, ma non i soli, furono Carlo Battisti, Giovanni Alessio, Gino Bottiglioni; un po’a parte Giacomo Devoto, capace di aprire prospettive di tutt’altra ampiezza.
7I posteri in buona sostanza hanno dato ragione a Cortsen; per questo si cercherà di vedere non tanto quali siano state le acquisizioni di questi studiosi, che furono spesso nei loro dettagli effimere e inconsistenti, quanto piuttosto come – e se – la disciplina sia stata influenzata dalle circostanze politiche e culturali dell’Italia del tempo. A questo proposito, viste le condizioni del mondo culturale italiano, non deve stupire che la ricerca sulla lingua etrusca, e le polemiche anche molto accese che vi furono a questo proposito all’interno del mondo accademico, si svolsero in un quadro politico-sociale sostanzialmente coerente, fra studiosi tutti in qualche modo legati al regime o che in ogni caso vi erano venuti a patti; dietro le diatribe e gli scontri accademici non c’era alcun fattore politico-ideologico. E quindi non c’è neppure da stupirsi troppo che Pericle Ducati, attivamente fascista, partecipe anche nella Repubblica di Salò, e destinato a morire per mano partigiana11, si sia trovato più di una volta in minoranza nel mondo degli studiosi. La posizione di Ducati è in molti versi eccezionale, perché solo nei suoi scritti emergono di frequente tentativi piuttosto scoperti di inserire la storia degli Etruschi in un quadro ideologico dichiaratamente di regime: e non è certo un caso che in una delle pochissime opere di alta divulgazione prodotte nell’Italia largamente illitterata del tempo, la Storia d’Italia Mondadori, il volume sull’antichità, edito nel 1936, fosse stato affidato proprio a Ducati12. E successivamente alle leggi razziali, nel 1940, ancora una volta, non a caso, fu Ducati a redigere i primi due quaderni della serie “La civiltà di Roma e i problemi della razza”, edita dall’Istituto di Studi Romani a sostegno della politica razziale del regime (mentre, per esempio, Devoto e il giurista Riccobono, ugualmente incaricati della realizzazione di due quaderni, riuscirono a far slittare la consegna fino alla caduta del regime, liberandosi così dalla macchia di un’odiosa collaborazione)13.
8Ma, nello stesso tempo, nella voce “Etruschi” dell’Enciclopedia Italiana Treccani, anch’essa controllata dal regime per le parti di interesse politico più diretto, la situazione è ben diversa; il volume che conteneva la voce fu pubblicato nel 1932, quando già vi lavorava Gaetano De Sanctis espulso dall’università l’anno precedente. E la parte più importante fu affidata a Luigi Pareti, anche lui fascista, anche lui firmatario del manifesto Gentile con Ducati e Giglioli, ma acerrimo rivale del Ducati nella questione che più gli sta a cuore, quella della provenienza degli Etruschi, che per il Ducati è recentissima e orientale, mentre per il Pareti l’origine sarebbe molto più antica e settentrionale – e, tra l’altro, di questa tesi il primo e principale promotore in Italia era stato De Sanctis: fatto importante da ricordare, per vedere quanto la scelta di determinate tesi fosse del tutto indipendente dalle posizioni politiche degli studiosi. Tra l’altro nel dopoguerra il Pareti, cacciato dall’università come Giglioli in quanto pesantemente compromesso con il regime fascista, venne poi reintegrato grazie alla difesa che ne fecero molti accademici notoriamente oppositori del regime, quali lo stesso De Sanctis e addirittura Piero Calamandrei; d’altra parte, la ricostruzione delle vicende dell’epurazione di Pareti ad opera di Angelo Russi sembrerebbe individuare nell’accanimento da parte di Adolfo Omodeo, che fu cruciale per la sua condanna, la volontà di vendicarsi per vecchi rancori personali derivati da una sfortunata vicenda concorsuale14. Nella stessa voce della Treccani il paragrafo sulla lingua toccò a Devoto, mentre a Ducati furono affidati quelli su religione, archeologia e arte, dove riuscì a inserire quasi di soppiatto qualche stoccata nei confronti del Pareti, peraltro comprensibile solo agli addetti ai lavori15.
9L’inserimento di elementi ideologici nella lettura della storia e della civiltà etnisca da parte di Ducati è assolutamente trasparente; basti vedere le parole che dedica, in tutte le sue opere, alla loro decadenza e al successivo rinvigorimento ad opera di Roma, a partire dal massiccio volume della Storia d’Italia Mondadori del 193616, al grande classico Le problème étrusque, scritto in francese nel 193817, fino all’opuscoletto pubblicato nel 1942, in piena guerra, come primo (e unico) di una serie intitolata pomposamente Etruscorum antiquae res, e voluta dal politico e sindacalista fascista Ernesto Lama per ragioni puramente locali, grossetane18. In quest’ultima opera, Ducati è già in qualche modo sulla difensiva; addirittura, nella prefazione, che è tutta politica, il Lama non si fa scrupolo di citare come opera della massima autorità la prima edizione, appena uscita, di Etruscologia di Pallottino; e il titolo stesso, La formazione del popolo etrusco, è una sorta di sfida aperta lanciata proprio a Pallottino e al suo pensiero, esposto per la prima volta in Gli Etruschi, del 1939.
10Pur essendo membro dell’Istituto di Studi Etruschi, e avendo pubblicato un buon numero di articoli sulla rivista, Ducati, soprattutto nelle sue opere di divulgazione, in qualche modo si chiama fuori dall’Istituto, ne parla come se fosse qualcosa che lui guarda da fuori e dall’alto con benevola indulgenza19. Il motivo è che, paradossalmente, pur essendo più di tutti archeologo di regime, Ducati si ritrova sempre più isolato sul piano dottrinale. E, per quanto ci riguarda più direttamente, una costante delle sue opere complessive, dalla Storia d’Italia in poi, è l’attacco sistematico agli studi dei linguisti italiani, che vengono accusati di propugnare un insostenibile autoctonismo in base ad argomentazioni arbitrarie e indimostrabili20; il fatto paradossale è che l’accusa, in sé, è sostanzialmente falsa, come ebbe modo di notare Carlo Battisti; ma su questo ritorneremo.
11La vera spina nel fianco di Ducati è, in realtà, Bartolomeo Nogara, con il quale non cessa mai di polemizzare, anche in modo piuttosto sprezzante. Anche perché Nogara, di fatto, è un intoccabile; tanto per dare un’idea di chi stiamo parlando, fra i suoi dodici fratelli si ricordano due arcivescovi (Giuseppe e Roberto), altri due personaggi di primo piano della gerarchia vaticana (Giovanni e Luigi), e soprattutto il celebre Bernardino, un personaggio del tipo che oggi chiameremmo “faccendiere”21. Non a caso, l’incarico principale del Nogara fu la direzione del Museo Gregoriano Etrusco a partire dal 1900, e poi la direzione generale dei Musei Vaticani dal 1920 fino alla sua morte nel 1954; dal 1921 tenne anche il corso di etruscologia all’Università per stranieri di Perugia, e proprio dalle sue lezioni scaturì il volume Gli Etruschi e la loro civiltà del 1933, che Ducati non riusciva proprio a digerire22. Tra l’altro, Nogara fu probabilmente il primo a mettere per iscritto l’idea della formazione della civiltà etrusca come prodotto dell’interazione di componenti di origine diversa, che avrebbe avuto poi il suo maggiore sviluppo nell’opera di Pallottino – un concetto inaccettabile per l’ortodossia neoromantica fascista e ducatiana del popolo come entità biologica, immutabile e sempre uguale a se stessa nel corso dei millenni.
12Chi sono i glottologi italiani con i quali Ducati se la prende così spesso? Come si era visto all’inizio, con la sola eccezione di Pallottino, che non è un glottologo, e affronta l’etrusco con lo stesso metodo combinatorio dei più illustri colleghi tedeschi, tutti coloro che si occuparono di lingua etrusca in Italia negli anni ‘30 e ‘40 erano linguisti generali, soprattutto specialisti di lingue romanze, o dialettologi. Il loro punto di partenza era l’analisi di Trombetti; anche se l’idea della monogenesi linguistica, che lo aveva autorizzato a pescare confronti pressoché ovunque, non era più recepita da nessuno, sopravviveva comunque dei suoi studi il tentativo di ricostruire brandelli di lingue scomparse attraverso testimonianze ritenute conservative: la toponomastica, le glosse conservate dagli autori antichi, e gli elementi di lessico ritenuti non indoeuropei rintracciabili nelle lingue indoeuropee dominanti, comprese le lingue moderne – in questo caso soprattutto i dialetti, e soprattutto i settori ritenuti particolarmente conservativi come la vita rurale, i nomi delle piante o degli animali, e così via. Per questo, non c’è da stupirsi che tutti i glottologi che studiarono l’etrusco in quegli anni furono in realtà soprattutto studiosi di lingue moderne. Carlo Battisti, trentino, nato suddito austro-ungarico, discriminato a Vienna per il suo irredentismo, e poi premiato per lo stesso motivo dopo il 1918, autore dell’immenso lavoro di ricerca che portò all’introduzione (o, piuttosto, reintroduzione) della toponomastica italiana in Alto Adige, accademico della Crusca, bibliotecario, è rimasto celebre soprattutto per il monumentale Dizionario etimologico italiano redatto fra il 1950 e il 1957 insieme a Giovanni Alessio. Oltre che per il suo ruolo di attore protagonista in un film di De Sica. Alessio, compartecipe dell’impresa del Dizionario, fu anche lui glottologo generale, docente di glottologia romanza dal 1935 fino al suo pensionamento nel 1981, e molto attivo sul fronte etrusco negli stessi decenni di Battisti – e spesso su posizioni diverse da Battisti, tanto che i due si scambiarono più di una volta recensioni molto critiche, anche se poi lavorarono insieme al Dizionario etimologico. Gino Bottiglioni fu famoso soprattutto per i suoi studi sul sardo e sul corso. Giacomo Devoto infine, il più geniale di tutti, è personaggio troppo ben noto perché valga la pena di soffermarcisi23.
13Quello che accomunava tutti questi linguisti, e tanti altri che lavoravano negli stessi anni e con gli stessi metodi, era la convinzione dell’esistenza di un gruppo linguistico mediterraneo, non indoeuropeo, diverso rispetto al basco, che sarebbe stato anteriore (o, secondo la formulazione di Devoto, marginale) rispetto alla diffusione delle lingue indoeuropee, al quale veniva ascritto l’etrusco insieme a ciò che si credeva di ricostruire delle lingue asianiche, di più o meno fantomatiche lingue egee pregreche, e di tante altre lingue mediterranee esistenti solo in ricostruzioni puramente astratte, quali il presunto paleoligure, paleosardo, e così via. Naturalmente a tutto questo oggi non è riconosciuto più alcun fondamento scientifico (si pensi, per esempio, alla scomparsa di tutto ciò che si riteneva di sapere sulle presunte lingue asianiche in conseguenza della decifrazione degli alfabeti dell’Asia Minore, completata negli anni ‘90 del xx secolo, che ha rivelato un quadro ben diverso); ma non è questo che conta nella storia degli studi: quello che conta, ai nostri fini, è che tutta la discussione si svolse in modo del tutto indipendente da quelle che potevano essere le esigenze ideologiche del regime. Per la somma frustrazione di Ducati che doveva assolutamente applicare un’etichetta etnica a tutte quelle lingue e culture archeologiche, e che non poteva ammettere che l’etrusco fosse una lingua di questa fantomatica famiglia mediterranea, dato che “i Mediterranei” erano per definizione gli abitanti autoctoni dell’Italia: da qui anche la sistematica incomprensione con i glottologi, notata con esasperazione dal Battisti, che si domanda come mai Ducati voglia far dire loro cose che non hanno mai detto né pensato24. O meglio, qualcuno lo aveva detto, sia pur isolatamente: e cioè Giacomo Devoto, che nella prima edizione del suo famoso Gli antichi Italici, del 1933, non esitò ad affermare che il dato linguistico parla inevitabilmente a favore dell’autoctonia degli Etruschi25, con una formulazione categorica che non sarà poi ripresa di fatto da nessuno, neppure dal Pallottino dei decenni a venire.
14Il dibattito sulla lingua etrusca produsse, a quanto sembra, anche un morto. Francesco Pironti, professore napoletano di latino e greco, bibliotecario, fascista della prim’ora, fondatore di varie sezioni del PNF nel Lazio, con fortissimi legami con ambienti vaticani, fu uno dei molti a tentare un’interpretazione personale ed eterodossa dell’etrusco26. Di per sé, la cosa non avrebbe fatto notizia: le traduzioni globali dell’etrusco ad opera di dilettanti (o anche di professionisti colti da improvviso raptus) sono parecchie centinaia, e mai finiranno. Quindi l’opera del Pironti poteva essere solo una delle tante destinate ad aumentare la statistica e a finire nel silenzio.
15Ma non andò così, probabilmente a causa dei suoi legami politici, che gli permisero di dare al suo lavoro un risalto del tutto eccezionale. L’opera fu annunciata fra squilli di trombe e rulli di tamburi; sul quotidiano napoletano di partito, Il Lavoro Fascista, del 26 aprile 1933 apparve un lunghissimo articolo-intervista, nel quale veniva data come imminente la pubblicazione del primo volume dei quattro che il Pironti intendeva dedicare alla lingua etrusca, da lui tradotta grazie al suo straordinario genio, che aveva finalmente svelato quello che era sino allora sfuggito a tutti, che cioè l’etrusco altro non sarebbe stato che un dialetto greco. Il metodo applicato era un etimologismo alquanto disinvolto e scombinato, e questo appariva evidente fin dai primi saggi di traduzione citati nell’articolo di giornale, che comunque fece scalpore27, come racconta Carlo Battisti: “Quando questa intervista fu letta a Firenze, vi fu un primo senso di stupore e di sgomento. Gli anni precedenti ci avevano già abituati al periodico ripetersi di tentativi ermeneutici pazzeschi, blanditi immancabilmente dalla stampa quotidiana, alle volte magnificati come la più pura espressione del genio italico e poi piombati, come meritavano, nel dimenticatoio. Ma poche volte l’assicurazione dell’avvenuto deciframento era stata data dal fortunato domatore della Sfinge etrusca con tanta categorica sicurezza e con tanta profusione di particolari.”
16A soli tre giorni di distanza, il 29 aprile, La Nazione pubblicò un’intervista a Battisti, allora docente di glottologia a Firenze, il quale, pur mantenendo un atteggiamento prudente, e dicendo che per valutare l’opera sarebbe stato comunque necessario attenderne la pubblicazione, epresse un certo scetticismo per alcune trafile etimologiche raccontate nell’intervista di Pironti.
17Pironti rispose il 6 maggio seguente, ancora una volta dalle colonne del Lavoro Fascista, e con notevole foga, accusando il Battisti e il suo “cenacolo fiorentino” di incompetenza e invidia preconcetta per il suo lavoro, e non risparmiando anche attacchi piuttosto duri: “Il sig. Battisti non conosce l’etrusco, non ostante si occupi di esso con articoli sugli Studi Etruschi, concernenti la toponomastica, nonostante si atteggi a revisore degli studi altrui, collaborando nella bibliografia etnisca della predetta rivista. Il Battisti sarà un uomo dotto, ma gli nego in modo assoluto la più elementare conoscenza dell’etrusco, ed in altra sede più opportuna glielo dimostrerò luminosamente”. E ancora, con una certezza trionfante: “Non mi sono mai servito dell’ospitalità della pregevolissima Collezione degli Studi Etruschi [grassetto nell’originale] di Firenze, perchè attendevo di presentare ufficialmente la mia opera alla critica internazionale: sollecitare la stampa di un mio studio in detta collezione mi sembrava inopportuno per ora, perchè la mia non è un’ipotesi, ma una certezza matematica, che dovevo tenere celata anche per non compromettere gli interessi dell’editore”.
18Il 9 maggio La Nazione ospitò una lettera di Battisti, che ribadiva, a propria difesa, che aveva acconsentito a rilasciare l’intervista solo su insistenza del quotidiano fiorentino; in questa lettera, però, sono inserite alcune critiche di metodo ancora più dure, insieme a un invito a sospendere la polemica fino alla pubblicazione del libro. La direzione del Lavoro Fascista scrisse alla Nazione che la questione era da considerarsi chiusa, e Pironti scrisse all’Istituto di Studi Etruschi promettendo una copia del volume, appena fosse uscito (copia che, a quanto pare, non sarebbe mai stata inviata).
19Il volume uscì sul finire del 193328, con un prezzo di copertina principesco, 150 lire (per confronto, in quegli anni, il normale prezzo di un libro scientifico di medie dimensioni, senza illustrazioni, non superava di norma le 10-15 lire); la pubblicazione fu accompagnata da un immenso battage pubblicitario organizzato da quella che Battisti avrebbe poi chiamato la “centrale pirontiana”. Lo straordinario costo del libro, e l’intensa campagna pubblicitaria che lo seguì, non possono non richiamare le allusioni del Pironti di qualche mese prima agli “interessi dell’editore”; anche se manca qualunque documentazione in proposito, nasce il sospetto che attorno alla pubblicazione avesse circolato anche del denaro, in termini di investimenti da parte dell’editore, a fronte di un promesso rientro grazie alla massiccia promozione resa possibile dai legami politici dell’autore, che gli permettevano ampio accesso alla stampa quotidiana. Pezzo forte dell’impresa fu un lungo articolo sul Giornale d’Italia del 16 dicembre 1933, che conteneva tra l’altro stralci di lettere private di sostegno a Pironti; fra queste, ne fece scalpore una a firma di Bartolomeo Nogara, forse in origine non destinata alla pubblicazione, almeno nelle intenzioni del suo autore: una leggerezza per la quale Nogara avrebbe in seguito dovuto subire ripetute punzecchiature dai suoi colleghi (e particolarmente da parte del suo principale rivale, Ducati).
20La posizione politica del Pironti era tale che nessuno se la sentì di scendere in campo apertamente; ma le forti perplessità da parte dell’ambiente scientifico arrivarono fino al Ministro dell’Educazione Nazionale, Francesco Ercole, che decise di nominare una commissione per avere un parere ufficiale sul valore dell’opera, chiamandone a far parte i tre personaggi più autorevoli in campo linguistico e filologico nell’Italia del tempo: Giorgio Pasquali, Francesco Ribezzo e Giacomo Devoto.
21La polemica sulla stampa quotidiana si scatenò poi nel corso del gennaio del 1934, anche per cercare di scardinare la strategia del silenzio adottata dal mondo scientifico italiano dei confronti di Pironti; le ostilità furono aperte dai suoi due principali sostenitori, Ugo Antonielli e Pericle Perali, attraverso le colonne dell’Osservatore Romano. Non è facile capire cosa spinse questi due studiosi a sostenere una posizione chiaramente problematica; Perali, archivista segreto della Santa Sede, fu forse motivato dal conflitto con l’ambiente etruscologico, esploso in quello stesso 1933 a seguito di una devastante recensione del giovane Pallottino al suo eruditissimo volume sulle origini di Roma, che attivò un’aspra polemica fra i due29. L’intervento di Antonielli a fianco della tesi dell’origine greca della lingua etrusca è ancora più paradossale, se pensiamo che, un decennio prima, proprio lui era stato l’unico sostenitore italiano della tesi di Schuchardt e di Sundwall della totale autoctonia degli Etruschi, concordemente respinta dai suoi colleghi.
22A Perali e Antonielli rispondeva sistematicamente il Battisti, come sempre attraverso La Nazione di Firenze; ma le sue risposte erano molto pacate, perché nel frattempo l’opera si stava diffondendo, e, di fronte alla realtà della sua inconsistenza, stava anche rapidamente perdendo consensi, Il 19 gennaio intervenne infine anche Pericle Ducati, sul Corriere della Sera: e fu un intervento pesante (tanto più pesante per il ruolo di voce del regime che aveva Ducati in materia di Etruschi), reso necessario, tra l’altro, dal fatto che il suo nome era stato citato ripetutamente fra i presunti sostenitori di Pironti. Questo articolo di Ducati fu opportunamente ignorato quando, il 22 e il 23 gennaio, comparvero due lunghissimi articoli senza firma sull’Osservatore Romano, che tra l’altro assumevano anche un tono di velata minaccia nei confronti di Battisti, sottolineando la forte vicinanza di Pironti al Partito e al governo30.
23La polemica giornalistica proseguì, coinvolgendo anche altri quotidiani, fino alla fine di gennaio; il 31 uscì la prima recensione, a opera di Gino Bottiglioni, sul quotidiano Il Regime Fascista: scelta non casuale, dato che Il Regime era il giornale di partito di Cremona (dove Bottiglioni era stato a lungo preside del prestigioso liceo Manin), diretto da Farinacci, nemico personale di Ugo Manunta31, l’anima del quotidiano, pure di partito, Il Lavoro Fascista, che aveva sostenuto inizialmente Pironti. Il 1° febbraio fu la volta del giovane e attivissimo Pallottino, che scrisse un articolo, straordinario per chiarezza espositiva e limpidezza di metodo, pubblicato addirittura sulla Nuova Antologia, la rivista più importante del mondo intellettuale italiano32. Non a caso Pallottino impostò l’articolo, in modo magistrale, dirigendolo a un pubblico colto non specialista: e, con notevole tatto politico, nel titolo non si dice che sarà recensita l’opera del Pironti, ma che si vuole fare il punto su metodi e acquisizioni della ricerca sulla lingua etnisca. La recensione, pacata ma distruttiva, è solo il secondo dei tre paragrafi del testo.
24All’inizio di febbraio si seppe che la commissione era stata ricevuta dal Ministro; subito dopo, fra il 9 e l’11 febbraio, uscì una nuova bordata di articoli sull’Osservatore Romano, nei quali si rinnovavano violenti attacchi alla presunta incompetenza di tutti i linguisti. Ma furono i fuochi finali; il 15 febbraio il verdetto della commissione divenne pubblico, e fu di condanna totale; Pironti replicò che la notizia era pervenuta tramite fonti non ufficiali, e che il testo del parere doveva ancora essere vagliato nei suoi dettagli, ma ormai tutti sapevano che la questione era chiusa. Il testo non fu mai pubblicato, ma il risultato negativo fu adottato come parere ufficiale del Ministero dell’Educazione Nazionale. Il 27 febbraio, Carlo Battisti diede alle stampe un volumetto di una sessantina di pagine, intitolato Polemica etrusca, che riassumeva tutte le tappe della vicenda33. Ormai la parabola di Pironti era finita; i suoi appoggi politici non erano serviti per imporre le sue idee contro l’opposizione compatta del mondo scientifico.
25Il secondo volume, già completato, rimase inedito; non è chiaro se furono ritirate le copie già acquistate per le biblioteche pubbliche, ma di fatto oggi il testo non figura in quasi nessun catalogo; fra i pochissimi esemplari superstiti, uno si trova alla Scuola Normale di Pisa, dove è arrivato grazie al lascito di Giorgio Pasquali.
26Ulteriori articoli del Pironti, dei suoi sostenitori e dei suoi avversari comparvero ancora sporadicamente per quasi un anno a seguire34. Pironti morì la mattina del 20 gennaio 1935, e venne celebrato da un discorso fuori programma tenuto da Nogara alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia il pomeriggio dello stesso giorno35. Non ho idea se la notizia del suo suicidio sia fondata36, ma quel che è certo è che ne derivò un certo imbarazzo. Dopo tale data, non vi sono più articoli contro Pironti37; in Studi Etruschi del 1936 venne pubblicata la prima parte della Rivista Linguistica etrusca ad opera di Carlo Battisti38, ma la seconda parte, indicata come già consegnata il 1° marzo del 1936 e destinata a uscire nel 1937, non fu mai stampata. Ed era proprio la parte nella quale doveva essere contenuta la vicenda pirontiana.
27A questo punto, come lo scorso anno, possiamo porci la domanda di cosa resta della ricerca sull’etrusco in questo turbolento ventennio: abbastanza poco, in realtà, e il poco di solido che resta, ancora una volta, deriva dall’opera dei combinatoristi, per lo più tedeschi; l’unico combinatorista italiano, che lavorava in sinergia con i colleghi tedeschi, era Massimo Pallottino, nel cui segno si sarebbe aperta la grande stagione dell’etruscologia nel dopoguerra.
Notes de bas de page
1 Per i dati sul rapporto fra mondo universitario e regime si rimanda a Boatti 2001.
2 http://www3.istat.it/dati/catalogo/20120118_00/cap_7.pdf
3 Per la biografia di Gaetano de Sanctis cfr. Treves 1991.
4 Barbanera 1998, 147-152.
5 Harari 2012a.
6 Benelli 2015.
7 Minto 1940.
8 Cf. V. Belfiore, in: Haack & Miller 2016.
9 Cortsen 1935, 171.
10 Battisti 1930; Battisti 1931; Battisti 1933; Battisti 1936; Battisti 1941. Molto interessante, soprattutto alla luce della vicenda del Pironti (su cui v. infra), il vuoto – e il conseguente cambio di titolo, a marcare la discontinuità – fra Battisti 1936 e Battisti 1941; resta teoricamente scoperto il periodo 1936-1939, in parte riempito da Pallottino 1940c, di tutt’altra impostazione metodologica.
11 Biografia: Parise 1992.
12 Ducati 1936.
13 Ducati 1940.
14 Russi 2011.
15 Ducati 1932, 523: “Appaiono adunque qua e là innestati nel rude patrimonio culturale degli antichi Italici della civiltà villanoviana elementi nuovi di probabile provenienza orientale”.
16 Ducati 1936, per esempio alle pp. 448, 513, 523, 586-587.
17 Ducati 1938, 20-21.
18 Ducati 1942.
19 Cfr. per esempio Ducati 1938, 187-188.
20 Ducati 1936, 218-223; Ducati 1938, 49-55.
21 Vistoli 2013 (su Bartolomeo Nogara); Pegrari 2013 (sul fratello Bernardino).
22 Nogara 1933.
23 Su Battisti cf. Pellegrini 1988 e, più ampiamente, Mastrelli Anzillotti 1990; su Alessio: De Giovanni 1988; su Bottiglioni: De Mauro 1971; su Devoto: Prosdocimi 1991.
24 Battisti 1938, 425.
25 Devoto 1933, 87-89.
26 Devo alcune informazioni sulla biografia di Pironti al collega Gabriele Cifani, che ha inventariato l’archivio personale dello studioso custodito dai discendenti a New York.
27 La vicenda di Pironti è riassunta in Battisti 1934, al quale si rimanda per tutte le citazioni presenti nel testo; il racconto è sostanzialmente obiettivo – come può facilmente permettersi un vincitore – nonostante la visione sia naturalmente di parte, visto il ruolo essenziale che ebbe Battisti nella reazione del mondo accademico dei glottologi contro Pironti. Alcuni aspetti della storia personale del personaggio sono riassunti in un articolo apparso su una rivista online, che non mi è stato possibile reperire in originale, ma solo attraverso la citazione nel blog http://www.mauriziopistone.it/testi/discussioni/personaggi_tragedia.html. Dal momento che manca qualunque riferimento alle fonti utilizzate, non è chiaro da dove derivino le notizie contenute in quel testo (in parte certamente scorrette, a partire dal nome stesso del Pironti, nonché della data della sua morte, indicata erroneamente come avvenuta il 6 ottobre 1935).
28 Pironti 1933.
29 Pallottino 1933b: “una poetica più che scientifica, ma certo appassionata fatica del prof. Perali”.
30 “... ricorderemo altresì, come Benito Mussolini parlando nell’ ottobre 1932 ai membri del Congresso della Società Italiana per il progresso delle scienze, li esortasse ad essere modesti sempre e proprio nel senso di non ripudiar mai e tanto meno schernire le fatiche che pur venissero dai più umili: o stimati per tali. Nella sua vita infatti, che viveva la grande scienza della vita, s’ era ben guardato, diceva, dal non accogliere umanamente e seriamente, tutte le voci che fossero giunte a lui. Ancora una volta, adunque, come sempre, prudenza e modestia, caratteristiche virtù dei saggi. Se mai il signor Battisti volesse replicare, veda di non contradirle, ornandole magari con un pizzico di buon garbo. Il che non guasta.”. E inoltre: “Per la scoperta che ha arricchito la scienza, Pironti riceverà anzitutto una insigne decorazione dello Stato italiano”.
31 Carli 2007. L’inimicizia fra Farinacci e Manunta probabilmente salvò la vita (e sicuramente la carriera) a quest’ultimo che, espulso proprio per volere di Farinacci dal governo della R.S.I., passò per tempo nel campo opposto, arrivando anche a ricoprire incarichi politici nel dopoguerra.
32 Pallottino 1934; nello stesso numero della rivista si pubblicavano novelle di scrittori del calibro di Luigi Pirandello e Grazia Deledda.
33 Battisti 1934.
34 Un elenco completo si trova nel dattiloscritto inedito dei Fasti di Pericle Perali, accessibili online grazie alla scansione eseguita dall’Università di Heidelberg (volume 1, parte 3, sezione 1, pp. 104-105: anche qui la data di morte del Pironti è indicata erroneamente).
35 Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti, 11, 1935 [1936], p. 3; L’Osservatore Romano, 26 gennaio 1935, p. 5 (ringrazio il collega Maurizio Sannibale per avermi inviato una scansione del quotidiano, attualmente inaccessibile nelle emeroteche romane).
36 La notizia è contenuta nel blog citato a n. 27, peraltro congiunta con alcuni errori; a suo favore militano sia i dettagli circostanziati sull’avvenimento, sia il fatto che la figlia del Pironti, che si è premurata di scrivere all’autore del blog per far correggere il nome del padre, non abbia invece obiettato sul racconto della morte (peraltro fissata erroneamente al 6 ottobre 1935 invece che al 20 gennaio). Il punto merita approfondimento.
37 L’ultimo di quelli elencati dal Perali risale all’autunno del 1934, mentre Pironti stesso aveva ancora scritto sull’Osservatore Romano il 5 gennaio 1935.
38 Battisti 1936.
Auteur
CNR-ISMA; enrico.benelli@isma.cnr.it
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