L’immagine degli Etruschi nell’educazione scolastica in Italia e in Germania (1928-19451)
p. 17-66
Texte intégral
...ma a me non è mai successo, tra gli sventurati feriti da queste mine che mi è capitato di operare, di trovarne uno adulto, neanche uno in più di dieci anni, tutti rigorosamente bambini.
La mina non scoppia subito, spesso non si attiva se la si calpesta. Ci vuole un po’di tempo – funziona, come dicono i manuali, per accumulo successivo di pressione.
Bisogna prenderla, maneggiarla ripetutamente, schiacciarne le ali. Chi la raccoglie, insomma, può portarsela a casa, mostrarla nel cortile agli amici incuriositi, che se la passano di mano in mano, ci giocano.
Poi esploderà.
(Strada 1999, 37)
1Le guerre e le dittature lasciano un’eredità di morte e distruzione di lunga durata che colpisce soprattutto bambini e giovani che sono da un lato elemento fragile della società, dall’altro sua risorsa e potenzialità di futuro, diventando il bersaglio delle dittature e dei “signori della guerra”2. Gli effetti di lungo corso della guerra, che vanno ben oltre i trattati di pace e gli armistizi, le mutilazioni e le menomazioni di intere generazioni non sono solo quelle fìsiche: ad esse si aggiungono e sovrappongono le ferite e le cicatrici a livello psicologico, emotivo; tra esse, quelle che interessano gran parte della popolazione sopravvissuta, sono quelle derivanti dalla formazione culturale e dall’impronta educativa. Come poi queste ferite possano essere rielaborate o rimosse o siano destinate a condizionare le scelte future degli individui e della società, dipende molto dalla volontà personale e collettiva di affrontarle e superarle.
2In questa chiave vorrei presentare un contributo che, attraverso l’immagine degli Etruschi nei libri di scuola del fascismo e del nazionalsocialismo, propone un caso esemplare di come le dittature e la guerra colpiscano le sfere personali e comunitarie relative alla conoscenza delle proprie radici culturali. La scuola diventa allora strumento di propaganda, e con essa i libri di testo, fino a compromettere il patrimonio delle conoscenze future.
3Sia il fascismo che il nazismo attribuirono una grande importanza alla scuola come strumento di formazione del cittadino, o per usare il loro punto di vista, del popolo, all’ideologia di regime3. Anche in questo caso, come per le mine, si cercava di ottenere l’effetto per un accumulo progressivo di pressione: una pressione subdola e continua, nascosta tra le righe dei libri di testo ed edulcorata in forma di premio per gli alunni che fossero in grado per primi di ripetere e assimilare i contenuti proposti o, meglio, imposti4.
4Questa attenzione alla scuola come strumento per controllare ed indirizzare il consenso pubblico aveva le sue radici in concezioni pedagogico-educative già ben radicate in entrambi i paesi e non costituì una novità concettuale. Se elementi nuovi si possono cogliere, sono piuttosto relativi all’istituzione dell’istruzione pubblica come dovere di ogni cittadino e al progressivo controllo totalitario delle materie insegnate, dei programmi, del metodo di insegnamento e del personale docente e discente5. In questo quadro, una delle materie più sensibili agli interessi di entrambi i regimi fu la storia che già nel secolo precedente era sentita come elemento fondante del sentimento nazionale6.
5Il caso preso in esame, il modo in cui la propaganda totalitaria condizionò l’immagine degli Etruschi data dai libri di scuola, è particolarmente ricco di potenzialità: gli Etruschi infatti, a partire dalla questione delle origini, divennero presto una pietra di scandalo, in particolare per il loro ruolo fondante nella storia di Roma. Ad essi era riservato, nei manuali Ottocenteschi di entrambi i paesi, uno spazio notevole tra le popolazioni preromane, frutto dell’eredità romantica degli scavi in Italia centrale. Proprio il confronto con l’immagine che di essi veniva presentata prima delle riforme totalitarie permette, da un lato, di tracciare l’evoluzione di questa immagine sotto il condizionamento della propaganda filo-romana fascista e filo-germanica nazista; dall’altro, di enucleare, dalle fonti della storia scolastica, il dibattito scientifico e pedagogico ad esse sotteso. Questo dibattito assunse una rilevanza particolare al momento della stipula del Patto di Acciaio e negli anni immediatamente precedenti, quando gli Etruschi, le loro origini e la loro funzione nella formazione dell’Italia diventarono un tema diplomaticamente imbarazzante.
6Il condizionamento ideologico della scuola e dell’insegnamento della storia in seno ai regimi totalitari si sviluppò organicamente almeno a partire dal 1929, quando in Italia il governo avviò un processo programmatico di fascistizzazione della scuola7. Lo storico Antonio Gibelli definisce icasticamente questa ingerenza del fascismo nelle strutture educative come “ipertrofica vocazione pedagogica del mussolinismo”8. Parallelamente in Germania, l’educazione scolastica andava assumendo la funzione di veicolo della ideologia della razza.
7Un fatto importante del quale tener conto è che la scuola fu solo uno dei luoghi di condizionamento ideologico dei bambini e dei giovani, anche se forse il più importante, perché ad essa non potevano sottrarsi neanche i figli dei dissidenti politici o delle classi più povere che erano invece meno colpiti da altre forme di condizionamento. A partire dal 1928 in Italia e dal 1936 in Germania, infatti, tutte le forme di associazionismo giovanile vennero soppresse e sostituite con altrettante associazioni fasciste il cui scopo era quello di rendere totalizzante l’esperienza che i più giovani facevano dell’ideologia del Regime9. Entrambi i regimi diventarono pervasivi nella vita dei bambini e dei giovani, ai fini della formazione del futuro consenso. La stessa vita scolastica era scandita da feste e da riti, miranti al controllo totale della socializzazione10. Anche i giochi per il tempo libero dei bambini, spesso regalati come premio delle prestazioni scolastiche o della buona condotta, avevano dichiarate finalità ideologiche11. Gli interventi dei regimi nella politica scolastica si presentarono come rinnovamento dei contenuti dei programmi ottocenteschi, post-unitari in Italia e della repubblica di Weimar in Germania12.
8Per capire il peso della propaganda di regime sull’insegnamento della Storia, e specificamente sull’immagine degli Etruschi, occorre tener conto di più fonti documentarie che sono espressione di diversi livelli di pressione messi in atto dal potere totalitario, per limitare l’autonomia dell’insegnamento ed indirizzarne contenuti e metodi. L’immagine della storia antica data ai bambini e ai ragazzi delle scuole fu infatti controllata o imposta mediante successive riforme dei contenuti dei programmi e dei libri di testo, riforme che contenevano indicazioni molto restrittive anche relativamente ai metodi di insegnamento. Altri fattori di controllo furono la scelta delle ore settimanali di lezione da dedicare alla Storia, l’età dalla quale veniva insegnata, il suo accorpamento con altre materie. Una forma coercitiva molto esplicita fu l’epurazione degli insegnanti non allineati con il regime13, alla quale si affiancarono forme più sottili di induzione dei contenuti, quali il ricorso a immagini e oggetti che suggerivano continuamente, all’alunno, cosa pensare su determinati argomenti14. Quest’ottica totalizzante e pervasiva, un vero e proprio bombardamento mediatico, coinvolse anche l’immagine degli Etruschi, soggetta, come le altre, alle esigenze di propaganda.
9Presenterò ora un’analisi delle fonti disponibili per lo studio del condizionamento a cui fu soggetta questa immagine sui libri scolastici in Italia ed in Germania. Inizierò con l’impatto su di essa delle riforme istituzionali volte ad un controllo totalitario della libertà di insegnamento e di apprendimento (riforme dell’ordinamento scolastico, del carico orario, del tipo di materie insegnate e dei programmi, riforme dei libri di testo); presenterò quindi le fonti dirette (brani tratti dai testi scolastici di entrambi i paesi); accennerò al condizionamento attraverso le immagini proposte nell’ambiente scolastico (illustrazioni degli stessi testi scolastici, sussidi didattici, copertine dei quaderni e delle pagelle di merito); tratterò infine del condizionamento attraverso attività extracurricolari, proposte alle scuole in forma consigliata o obbligatoria (gite scolastiche e proiezioni cinematografiche).
Riforme istituzionali e immagine degli Etruschi
10Le principali riforme istituzionali della scuola procedettero quasi di pari passo in Italia ed in Germania, con una sostanziale differenza: in Italia operarono alcune Commissioni per la riforma dei libri di testo che, in anni successivi, emisero anche istruzioni metodologiche per maestri, professori e dirigenti scolastici. Fino agli anni Trenta, in Italia, fu in vigore la Riforma di Giovanni Gentile del 1923, ritenuta sostanzialmente valida fino almeno alla Carta della Scuola di Bottai del 1939. In Germania vi fu una prima riforma nel 1934, preceduta da una circolare preparatoria nel 1933, coordinata da Helmut Bojunga, sotto la direzione del ministro dell’Istruzione Bernhard Rust, alla quale seguì una riforma più restrittiva ed ideologizzata nel 1938.
11Le riforme riguardarono in entrambi i paesi tre ambiti: l’ordinamento scolastico (cioè il tipo di materie insegnate, il target a cui si rivolgevano ed il carico orario); i programmi scolastici relativi a queste materie; i libri di testo.
Riforme dell’ordinamento scolastico
12In Italia, in seguito alla Riforma Gentile del 1923 la scuola elementare divenne obbligatoria e gratuita e suddivisa in due corsi: inferiore (fino alla 3° classe) e superiore (4° e 5° classe)15. Per l’ammissione al corso superiore occorreva superare un apposito esame di Stato. Dopo la scuola elementare, si presentavano diverse scelte possibili per la scuola media, da alcune delle quali si poteva accedere alla scuola superiore; tra le scuole di secondo grado, il ginnasio superiore biennale e il liceo classico triennale erano la scuole destinate alla formazione della classe dirigente, le uniche che consentissero l’accesso a tutte le facoltà universitarie. Nella Riforma Gentile, per l’insegnamento della storia, si scelse inizialmente un ordine cronologico inverso; nelle scuole elementari non era quindi previsto l’insegnamento della storia antica, ma solo di quella più recente: l’alto tasso di abbandono scolastico, in particolare da parte dei figli delle classi povere urbane e del bracciantato agricolo, motivava questa scelta, volta a dare una conoscenza dei fatti della storia risorgimentale, sentiti come fondanti del sentimento nazionale. Un evidente limite di questo ordine era l’ignoranza della storia antica da parte di una gran parte della popolazione scolastica. Successivamente si tornò quindi ad un ordine cronologico, iniziando a mostrare, in terza elementare, alcuni grandi personaggi della storia e trattando nella classe IV il periodo compreso tra la preistoria e la caduta dell’Impero Romano d’Occidente16.
13La storia antica era conseguentemente studiata in quarta elementare, all’interno della scuola dell’obbligo e ripresa nella quinta ginnasio superiore, solo per gli scolari che avrebbero compiuto studi liceali, destinati quindi a far parte dei quadri e delle classi dirigenti. Il ritorno all’insegnamento elementare della storia antica denotava una nuova attenzione programmatica alla sua funzione performativa del sentimento nazionale, in parte derivata dal pensiero risorgimentale della funzione di Roma come unificatrice dell’Italia17.
14Il ministro Bottai, nel 1939 – alla vigilia della seconda guerra mondiale – aggiornò il sistema gentiliano con la Carta della Scuola, nella quale si prevedeva l’istituzione della scuola media unica, che fondeva in un solo triennio il ginnasio, l’istituto tecnico e il magistrale, inserendo una nuova disciplina comune: gli “esercizi di lavoro manuale, affinché anche coloro ‘che formeranno le classi dirigenti’ possano conoscere ‘con i propri muscoli le difficoltà, le gioie e le fatiche dei lavoratori’”. La circolare n. 1267 del 18 febbraio 1939 recitava: “Il Fascismo intende la scuola in senso totalitario, non come semplice distributrice di sapere, ma come strumento politico di educazione". L’indirizzo della riforma Bottai tendeva quindi a ridurre il divario tra gli alunni provenienti da famiglie che esprimevano la base del consenso popolare e gli alunni provenienti da famiglie delle classi dirigenti, all’interno delle quali spesso si formava anche il dissenso politico o, almeno, qualche forma di pensiero indipendente, in virtù delle maggiori possibilità economiche e dei prerequisiti culturali. La totalitarizzazione della scuola veniva allora espressa anche in forma teorica ed assertiva18.
15L’ordinamento scolastico tedesco era inizialmente quello della repubblica di Weimar e mancava di unitarietà sia nel genere di istituti (confessionali, laici, statali, popolari) sia nella durata dei corsi (variabile per Land)19. La stessa suddivisione delle scuole era molteplice: medie, superiori, istituti professionali o tecnici, scuole cittadine e rurali. La storia antica era appannaggio del solo Neuhumanistisches Gymnasium nel quale si formavano le élites sociali, dove era insegnata in modo unidirezionale e filologico20. Il nazionalsocialismo mirava, come il fascismo, ad una formazione scolastica totalitaria dei bambini e degli adolescenti; conseguentemente, nel 1933, il Ministro dell’Educazione Bernhard Rust incaricò il giurista Helmut Bojunga, funzionario del suo Ministero, di procedere alla riforma, unificando corsi di studio e programmi, secondo le tre principali esigenze di formazione professionale del paese: scientifica, artigianale ed artigianale-scientifica21. La scuola si sarebbe quindi riorganizzata in tre forme di base: superiore, media e popolare. Nel 1936 vennero abolite le scuole private e confessionali e l’anno seguente furono istituite alcune scuole di élite, le Adolf-Hitler-Schulen, per formare i quadri del partito, in queste ultime, la storia antica era pervasa dall’ideologia della razza22.
16L’obbligo scolastico fu portato ad 8 anni per tutti gli scolari: quattro di elementari, dopo i quali si potevano frequentare i livelli medi, scegliendo tra Volksschule, Berufsschule o Mittelschule. Solo da quest’ultima si poteva avere accesso agli ultimi due anni di scuola professionale o a due anni di scuole superiori. Nel 1935 le scuole superiori in Germania erano di 25 tipi diversi, con una grande variabilità regionale; con la riforma si mantenne come forma speciale il ginnasio classico (o umanistico). Solo per chi frequentava questa scuola, dalla VI, il latino era la prima lingua straniera23. La Riforma del 1938 volse definitivamente in senso nazionalsocialistico, interessando i piani di studio e l’adattamento dei libri di lettura; da allora, le uniche materie teoriche slegate dal mondo del lavoro, ad esempio la Storia antica, rimasero nel liceo umanistico, con la richiesta di mostrare la cultura della Grecia antica e di Roma esclusivamente in funzione di paragone con il mondo attuale. In particolare si sarebbero dovute sottolineare le affinità di tipo razziale ed etnico tra il popolo tedesco, Greci e Romani. In questo periodo, il tempo dedicato all’insegnamento della Storia antica toccò il picco minimo nella storia scolastica tedesca, essendo la materia relegata alla sola classe VI (Untersekunda), circa un’ora la settimana, per la metà di un anno scolastico24.
17Di grande interesse, relativamente alla quantità di ore di storia antica effettivamente svolte nelle scuole tedesche, sono la monografia di Anne C. Nagel, che permette un’analisi sincronica del rapporto tra ore di storia e altre materie, e la ricerca diacronica di Stefan Bittner che ha calcolato la diminuzione delle ore settimanali di storia nella scuola nazionalsocialista25. Di questi due lavori ho dato una sintesi in due grafici (fig. 1; fig. 2): lo studio di Nagel affronta la distribuzione sincronica delle materie insegnate nei sette anni di scuola elementare e scuola popolare nel 1936; la storia veniva insegnata, come le scienze, solo a partire dalla quinta. La storia antica era relegata alla sola classe sesta, per 2 ore settimanali, a fronte di 4 ore di ginnastica e 13 di tedesco e Heimatkunde, disciplina avvicinabile alla Storia Patria. La ricerca di Bittner riguarda invece il decremento quantitativo delle ore di storia settimanali tra il 1837 ed il 1938, con un repentino un crollo verticale nel 1938, in coincidenza con la Riforma dei Piani di Studio26. La parte della storia antica relativa alle popolazioni dell’Italia preromana e alle origini di Roma fu fra quelle che subirono una maggior riduzione, quasi un definitivo annichilimento, per sopperire alla carenza oraria.
18Un altro aspetto istituzionale riguarda l’accorpamento della Storia con più materie. Questo aspetto è più evidente in Italia: mentre infatti in Germania la materia Heimatkunde era insegnata insieme alla Lingua tedesca e la Storia era unita, in maniera tradizionale, con la Geografia, in Italia la Storia venne accorpata, nelle scuole primarie, alla Cultura fascista. L’assorbimento della materia da parte dell’insegnamento della cultura fascista è ben documentato sia direttamente, dalle riforme ufficiali degli ordinamenti scolastici, sia indirettamente, nei casellari con le materie riportate sulle pagelle di valutazione: le pagelle italiane della scuola elementare degli anni precedenti la guerra presentano, infatti, storia e geografia come due materie separate, in casellari distinti; nel 1934/1935 storia e cultura fascista, introdotta l’anno stesso, sono accorpate invece in un unico casellario, per le classi successive alla terza elementare.
Riforme dei programmi in rapporto alla situazione pregressa
19Oltre all’ordinamento scolastico, le riforme ristrutturarono, in entrambi i paesi, i programmi, sopprimendo o inserendo alcune materie e, allo stesso tempo, fornendo indicazioni metodologiche assai coercitive per gli insegnanti. Per poter comprendere quanto la propaganda di regime volesse rinnovare i programmi e quanto invece si inserisse in continuità con i programmi esistenti, occorre un breve excursus relativo all’insegnamento della storia antica in entrambi i paesi tra la fine del xix secolo e le riforme totalitarie.
20In Italia, nella scuola post-unitaria, l’insegnamento della storia nella scuola primaria aveva assunto, in seguito alla legge Casati e ai programmi ministeriali di Terenzio Mamiani, la finalità principale di educare i giovani al loro ruolo di cittadini della nuova nazione unita. La storia era insegnata comunque insieme ad altre materie, ad esempio le scienze naturali, solo in IV e V, mentre la maggior parte del tempo e delle energie era dedicata all’insegnamento della religione, del leggere, dello scrivere, del far di conto e dell’educazione civica27. Il periodo storico a cui veniva dato più rilievo era quello recente, caratterizzato come “storia nazionale”. Le riforme di De Sanctis nel 1880 e di Baccelli nel 1883 non fecero che rafforzare la funzione dell’insegnamento della storia nell’educazione civile dei nuovi italiani, in particolare estendendo la parte relativa al Risorgimento ed ai suoi eroi28. In questo periodo i manuali di storia assunsero progressivamente un tono retorico e nazionalistico e si dette particolare rilievo al coinvolgimento emotivo dei discenti attraverso un ricco apparato iconografico. Nel 1888 la riforma Gabelli dei programmi per la scuola elementare dette alla Storia una propria autonomia educativa, introducendo nella classe III elementare, l’ultima dell’obbligo scolastico, la narrazione favolistica delle imprese degli eroi risorgimentali. Dalla classe IV, la Storia veniva insegnata secondo un andamento cronologico, iniziando dalla storia antica e mantenendo la narrazione delle imprese eroiche e la bibliografia degli uomini illustri del mondo antico come base metodologica per l’apprendimento. Nelle istruzioni ministeriali per gli insegnanti si raccomandava una particolare parsimonia nel fornire date agli alunni e si consigliava di far riferimento ai monumenti e alle vestigia storiche sul territorio; dato, questo, che costituì un precedente importante per la riforma Gentile, ancora in vigore tra il 1928 ed il 193929: proprio quest’ultimo fatto favorì, soprattutto in Italia centrale, un’attenzione particolare alla cultura etrusca, per la presenza di numerosi musei civici e nazionali e di monumenti sul territorio30. Nel 1894 la riforma Baccelli mosse ancora di più in senso nazionalista ed autoritario, criticando aspramente la precedente di aver aumentato il numero delle discipline e delle nozioni fornite e ribadendo che la funzione della scuola non doveva essere quella di istruire, ma di educare al senso civile31. L’insegnamento della Storia divenne insegnamento della “Storia d’Italia”, con la conseguente abolizione dei racconti relativi ai popoli antichi del Mediterraneo. La più antica storia d’Italia era proposta con una serie di racconti educativi, relativi a Roma e al suo impero, come precursori della “Terza Italia” frutto del Risorgimento32. Per quello che riguarda la scuola secondaria, la legge Casati distingueva tre ordini scolastici: classico, tecnico e normale, nettamente separati33. Di queste scuole, la prima era destinata alla formazione culturale delle future élites dirigenti, in essa si dava perciò un insegnamento approfondito della Storia, della Geografia e dell’Arte, secondo un criterio rigorosamente cronologico, considerato pedagogicamente adatto alla formazione logica e rigida dei quadri nazionali e burocratici; al liceo classico si insegnavano anche le lingue antiche, invitando alla lettura critica delle fonti, dato, questo, che non potrà essere trascurato nel periodo fascista, quando si tenterà di ostacolare la formazione del pensiero critico, non eliminando le fonti, ma piuttosto ricorrendo a testi selezionati, omogenei e nella linea ideologica del regime34. La critica delle fonti, frutto della cultura illuminista, era infatti diventata un dato irrinunciabile della formazione classica ed umanistica e del pensiero scientifico35. Nella scuola tecnica le finalità di formazione erano di tipo pratico e la storia era trattata esclusivamente dal punto di vista delle imprese militari, delle conquiste coloniali e delle riforme istituzionali; questa impostazione fu volutamente ripresa dai programmi fascisti, in particolare nelle scuole coloniali, come giustificazione ed esaltazione della politica coloniale del regime. Nella scuola normale, invece, destinata alla formazione dei futuri maestri, la storia era insegnata, come detto, per bibliografie ed aneddoti che sarebbero stati adottati dai discenti come metodo e contenuto di insegnamento, una volta divenuti docenti nelle scuole elementari. Si può quindi notare come, già nell’Italia post-unitaria, non vi fosse un unico metodo di insegnare la Storia, ma come esso fosse fortemente dipendente dalle finalità formative del tipo di istituto nel quale veniva insegnata; ad essa era inoltre riservato uno spazio limitato e condiviso con la Geografia, nel monte orario generale: ad esempio la Storia ricopriva il 13,2% dell’orario al ginnasio ed il 15,9% al liceo classico, nei quali netta prevalenza era assegnata alle materie letterarie, ma nelle scuole e negli istituti tecnici tutte le materie umanistiche, comprese le lettere, ricoprivano una percentuale compresa tra il 22,4% ed il 28,2% (la Storia, insegnata nei primi due anni, ricopriva il solo 8,3%). Dal punto di vista dei contenuti, in IV ginnasio si studiavano i popoli biblici e del Mediterraneo antico ed in particolare i Greci; in V ginnasio lo studio prendeva le mosse dalle “antichissime genti italiche” e si dedicava poi allo studio di Roma, fino a giungere all’età medievale. Negli Istituti tecnici, riformati da Coppino nel 1867, la Storia si insegnava per mezzo di aneddoti e bibliografie, evitando gli elenchi di date e fatti (come nella scuola normale), limitandosi alla storia della Grecia e di Roma ed esaltando gli avvenimenti bellici36. Si deve inoltre ricordare che, nelle scuole superiori dell’Italia post-unitaria, il reclutamento degli insegnanti con una formazione adeguata per le materie specifiche, tra le quali anche la Storia, era difficoltoso e che gli studenti formatisi a queste scuole sarebbero poi diventati i docenti delle scuole fasciste37; questo periodo contiene quindi in nuce i presupposti della scuola fascista38. In sintesi si osserva che l’insegnamento della storia dell’Italia antica, in particolare rispetto alla posizione occupata in essa dagli Etruschi39, aveva un monte orario assai limitato ed un’impostazione di tipo prevalentemente aneddotico, nella quale si era andato ormai fissando un canone eroico di personaggi che la scuola fascista si limitò a riprendere, esaltando gli aspetti più consoni all’immaginario del regime40.
21In Germania, i programmi della Repubblica di Weimar davano un grande risalto alla storia più antica del Mediterraneo, partendo dalle popolazioni menzionate nella Bibbia, per avere come punto di arrivo la Grecia e Roma41. Un primo approccio diretto alla revisione dei programmi scolastici si ebbe nel 1933, con le linee guida per i libri di testo di Storia, nei quali era richiesto di sottendere alla narrazione della storia antica la teoria della razza; in seguito, nel 1935, un decreto del Reichserziehungsministerium, firmato dal ministro Rust, che definiva le linee guida per i programmi scolastici, dichiarava la sostituzione dell’insegnamento “ex oriente lux” con quello di “ex septentrione lux”, esaltando la fratellanza delle razze nordiche in Europa e nel Mediterraneo e la loro alleanza nella lotta contro le altre razze. I due documenti furono poi assorbiti nella definitiva riforma dei programmi del 1938, nella quale le teorie razziali e l’esaltazione della razza indogermanica erano fondanti dell’insegnamento della storia antica42.
22In Italia si nota quindi una maggior continuità con i programmi pregressi rispetto a quanto avviene in Germania. Su questo aspetto incisero probabilmente i diversi tempi delle riforme della scuola. In Italia, infatti, il lento e graduale processo, passato attraverso la Riforma Gentile, si innestava sui programmi post-unitari secondo un criterio di continuità e di aggiornamento progressivo e graduale. In Germania invece, la riforma Bojunga, tardivamente approntata, si faceva portatrice di un’esigenza di repentina totalitarizzazione del sistema scolastico, con una conseguente rottura rispetto ai programmi precedenti. In concreto, sia in Italia che in Germania, le innovazioni sostanziali relative ai programmi scolastici riguardarono due punti di principio: l’uso della storia antica per esaltare le origini nazionali e giustificare il regime, da un lato, ed il ricorso ad una falsificazione o presentazione parziale degli avvenimenti storici per spiegare e giustificare le leggi razziali, dall’altro. Il primo prese l’aspetto in Italia dell’esaltazione del mito della Romanità ed in Germania di glorificazione del passato germanico e dei popoli di lingua indoeuropea. Il secondo portò ad un generale screditamento di alcune culture storiche, in particolare del bacino del Mediterraneo o extraeuropee, basato su atteggiamenti pregiudiziali di tipo etnico e razziale. Entrambi questi aspetti condizionarono l’immagine che degli Etruschi veniva data nei libri scolastici.
23Il mito della Romanità in Italia, che già aveva preso avvio nel 1921, incrementò vertiginosamente negli anni Trenta, anche al fine di sostenere la politica coloniale. Nel 1934 si procedette alla riforma dei programmi, il cui fine risulta chiaramente dalle parole di Mussolini che ne costituiscono la premessa: “La scuola italiana in tutti i suoi gradi ed i suoi insegnamenti si ispiri alle idealità del fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il fascismo ed a vivere nel clima storico creato dalla rivoluzione fascista”. Non solo sulla carta, quindi, o a livello nominale la Storia veniva assorbita dalla cultura fascista: anche nella sostanza la storia, come pluralità di particolarità regionali che avevano contribuito a costruire l’unità nazionale, veniva oscurata da un’attenzione al presente fascista e a quei fattori che di esso erano considerati le premesse storiche.
24Nei programmi di Storia, queste scelte si espressero con un ipertrofismo delle parti legate alla monarchia, a Cesare e all’età augustea rispetto a quelle riservate ai restanti periodi43. Dal punto di vista dell’esaltazione delle origini nazionali, gli Etruschi furono trattati, nella manualistica italiana, con una certa ambiguità. Pur infatti restando aperto il dibattito sulle loro origini, se ne sottolineava la grandezza tra i popoli italici e l’importanza nella formazione dell’italianità primitiva. La Riforma Gentile, come accennato, aveva dato molto spazio allo studio della Geografia, della Storia e delle tradizioni locali, con la conseguenza che numerosi musei e parchi archeologici, anche urbani, nei quali erano conservati ed esposti oggetti e monumenti della cultura materiale etrusca, divennero ben presto meta di gite scolastiche per le scuole dell’Italia centrale. Questo fattore rese impossibile, anche in seguito, al momento dell’assolutizzazione del mito di Roma, ignorare gli Etruschi e la loro presenza sul territorio, espressa sia nelle collezioni storiche dei Musei Civici e Nazionali, sia nelle monumentali necropoli44. La loro immagine era presentata come dinamica e l’incrinatura dei rapporti con Roma, nel v sec. a.C., si concentrava ed esprimeva nella figura di Porsenna. Il re etrusco non era tuttavia presentato come antagonista della potenza romana, ma piuttosto come onorevole uomo del cambiamento, pronto a sottomettersi a Roma e a riconoscerne la potenza: uomo magnanimo che si ritirava per senso di responsabilità45. Gli Etruschi diventarono progressivamente una sorta di spalla per la messa in scena dell’eroismo romano.
25La posizione degli Etruschi all’interno dei programmi di Storia tedeschi è ben diversa: in parte accomunati alle civiltà mediterranee, per tanto fonte di corruzione dell’arianesimo, essi sono quasi ignorati, per lasciar spazio alla storia dei popoli germanici. L’evidente scarto rispetto alla manualistica ottocentesca indica che la nuova trattazione degli Etruschi nei programmi scolastici e la progressiva riduzione della loro presenza, esprime una scelta chiara e volontaria di esclusione di un tema ritenuto inappropriato. Alla condanna della cultura etrusca si preferisce sostituire l’oblio, forse anche come conseguenza dell’imbarazzo diplomatico, dovuto alla considerazione loro riservata da Mussolini e dal regime fascista.
26Il mito della razza divenne preponderante nei programmi scolastici a partire dagli anni 1938/1939, in concomitanza con la pubblicazione della Carta della razza in Italia e con l’intensificarsi delle persecuzioni antisemite in Germania.
27Nei libri scolastici italiani post-unitari non sempre erano presenti teorie razziali46, anche se, in alcuni casi, i riferimenti a teorie antropologiche di tipo razziale si presentavano nelle narrazioni delle cosiddette migrazioni dei popoli italici precedenti la nascita di Roma; esse erano presenti anche nei libri scolastici tedeschi della fine del xix secolo e dell’inizio del seguente47. Nelle parti introduttive allo studio storico, quelle destinate alle classi di alunni più piccoli, si presentavano invece teorie della razza già strutturate, come si può leggere nei programmi ministeriali per gli Istituti Tecnici del 1891, al cui primo punto si trovano; “Le razze umane – Predominio della razza caucasica”48.
28In Germania lo “scienziato della razza” Hans F. Günther, dopo una disamina dei libri di scuola, ritenne che essi fossero del tutto insufficienti per la propaganda razziale e che alla loro riforma fosse da preferire una radicale riscrittura49. Dalla metà di settembre del 1933, si dispose che i libri di qualsiasi disciplina contenessero “una generale compenetrazione con la teoria della razza”. Per la storia antica questo coincideva con la storia dei popoli germanici e la “Rassengeschichte des hellenischen und römischen Volkes”50. Per quello che riguarda le origini di Roma, come accennato, si sarebbe verificata una contaminazione nella razza nordica dei re, a causa dell’infiltrazione progressiva di microasiatici che avrebbero costituito la plebe. Lo scontro tra classi sociali veniva quindi ricondotto a scontro di razze, culminato nell’istituzione della Repubblica che avrebbe condotto Roma ad un Entnordung o corruzione dell’originaria razza ariana dei romani51. La corruzione sarebbe stata accelerata a causa dei continui contatti commerciali con Cartagine, colpevoli della perdita graduale dei valori originari. Il “nordische[s] Wesen des altrömischen Bauerntums52” romano, l’antica sapienza contadina considerata distintiva delle origini nordiche, si sarebbe quindi progressivamente corrotta a causa dell’incontro con gli Etruschi, delle guerre civili, della conquista del Mediterraneo, delle guerre Puniche, evolvendo nelle strutture repubblicane e, quindi, nel primo impero.
29Il Nationalsozialistischer Lehrplan del 1938 presentava tutta la storia antica in funzione dello sviluppo che da essa avrebbe avuto la storia tedesca, come risulta chiaro dalla suddivisione della materia, con un’ipertrofia delle parti relative alla storia dei popoli germanici ed un taglio razziale dato alla storia del Mediterraneo antico, nel quale i vinti erano caratterizzati da inferiorità genetica ed i vincitori appartenevano alla stirpe ariana53. Nei libri autorizzati dal regime, gli eroi del passato lontano e vicino (greci, romani e della più antica storia germanica) venivano presentati esaltandone il coraggio e la forza fisica in determinate imprese; per quello che riguarda il nostro tema, ad esempio, di Orazio Coclite era resa una versione improntata allo sprezzo del pericolo e all’immane forza fisica, nello scontro con i soldati etruschi di Porsenna. Di Roma come comunità cittadina si esaltavano gli aspetti monarchici, evitando i riferimenti alle origini etrusche degli ultimi tre sovrani, come anche i riferimenti alle istanze repubblicane.
30A partire dallo stesso anno 1938 si accentuarono i toni ideologici in seno all’impostazione razziale, cambiando fra l’altro i nomi delle materie insegnate: alle tradizionali definizioni “Antichità classiche, di Grecia e Roma” o “Storia ellenica e romana” si sostituirono quelle di “Preistoria nordica”, “Età protogermanica” o “Popoli indogermanici in Asia Minore e nel Mediterraneo”. Da allora il tema dell’Indogermanentum di Greci e Romani assunse una prevalenza assoluta54.
31Riassumendo, gli Etruschi costituirono una discreta fonte di imbarazzo in entrambi i paesi, proprio in considerazione dell’intensificazione della propaganda razziale55. In Italia si preferì non assumere una posizione ideologica definitiva nei loro confronti e l’esito fu quello di un atteggiamento alterno e leggermente schizofrenico: i bambini in quarta elementare ed i ragazzi il secondo anno delle superiori, in particolare al classico in V ginnasio, erano messi di fronte a brani ancora derivanti da matrici ottocentesche, per i quali gli Etruschi avrebbero avuto una grande importanza nella formazione di Roma ed in funzione della quale sono esclusivamente presentati; al momento di definirne la razza, relativamente cioè alla questione delle origini, venivano però definiti di “razza incerta”. In Germania le posizioni razziali ostili agli Etruschi, in quanto popolo mediterraneo di origine microasiatica erano assai più nette. In un primo momento, quindi, si provvide ad ignorarli ed in un secondo momento a citarli fugacemente tra i popoli che avrebbero corrotto, in Italia, l’integrità della razza nordica originaria, ancora vivente nella Roma contadina delle origini.
Riforme e censura dei libri di testo
32Il terzo grande gruppo di riforme in campo educativo, svoltosi parallelamente a quelle dell’ordinamento scolastico e dei programmi, riguardò il contenuto e la forma dei libri di testo.
33La Riforma Gentile prevedeva la revisione e la riforma dei libri di testo per la scuola elementare attraverso Commissioni Governative, esito del lavoro delle quali fu l’introduzione, nel 1930/31, di un libro di testo unico, l’unico cioè “autorizzato a modellare le menti delle giovani generazioni”56.
34La Riforma Gentile aveva inizialmente stabilito che una Commissione centrale avrebbe dovuto approvare gli elenchi dei testi per gli anni scolastici 1923-1924 e 1924-1925. La commissione, presieduta dal Direttore generale dell’istruzione elementare Giuseppe Lombardo Radice, era composta da insegnanti, uomini di cultura e funzionari ministeriali; nel 1925 Lombardo Radice stilò una lunga relazione di corredo all’elenco dei libri approvati, non approvati o da rivedere e presentare nuovamente: tra i 317 libri di storia e geografia presentati, ne furono approvati 212, accettati con riserva in via provvisoria e destinati ad essere ripresentati l’anno successivo 71, e direttamente respinti 957. Si può quindi notare come non vi siano state, inizialmente, riserve eccessive nell’accettazione di manuali, per lo più scritti alla fine dell’Ottocento o nel primo decennio del Novecento. Per l’anno seguente fu istituita una nuova commissione, con un maggior numero di commissari fascisti, presieduta dal pedagogista Giovanni Vidari. La commissione approvò libri di storia che dessero risalto alle vicende del Risorgimento Italiano e della Grande Guerra, considerati fondamentali nell’educazione dei giovani italiani, inserendosi in questo senso sulla scia ideologica dei libri scolastici post-unitari, alcuni dei quali erano ancora in adozione. Le commissioni degli anni successivi ebbero un’impostazione sempre più marcatamente fascista58. Giuliano Balbino, presidente della terza commissione, nel 1926, indicò come criterio adottato quello di approvare i testi di storia che esaltassero i principi di italianità, iniziando a mostrare un’equivalenza concettuale tra lealtà al fascismo e lealtà alla patria. Il principio fu ribadito dalla successiva commissione Romano che scrisse nella sua relazione: “Il libro deve essere profondamente educativo ed inquadrarsi perfettamente nel clima storico in cui e di cui la nazione vive”, nella quale intendeva, come poi chiarisce, per clima storico lo spirito fascista ed il suo movimento “spirituale e realizzatore”. Come conseguenza di questa evoluzione, l’ultima commissione, presieduta da Alessandro Melchiori, arrivò a negare che esistessero libri, tra quelli in uso, che potessero rispondere pienamente alle rinnovate esigenze, quelle, cioè, del regime. La sua relazione portò, come conseguenza, al Disegno di legge per la compilazione di un testo unico per le scuole59.
35Questa decisione divenne effettiva attraverso un disegno di legge, proposto dal ministro Giuseppe Belluzzo60. Il testo di IV elementare, nel quale era la parte di Storia Antica, ebbe una prima tiratura da parte dell’Istituto Poligrafico dello Stato in 600.000 copie61. Il testo fu introdotto nelle scuole a partire dall’anno scolastico 1930-1931. Circa il 71% del testo, copertina compresa, erano dedicati all’esaltazione del fascismo, in particolare della figura del duce. Il testo veniva distribuito gratuitamente solo alle famiglie povere, proprio quelle nelle quali era l’unico libro presente in casa62.
36In Germania, le prime linee guida per la riforma dei libri scolastici di storia in senso nazionalsocialista si ebbe nel 1933, con una circolare del ministero dell’Istruzione; esse erano improntate essenzialmente a tre principi: l’osservanza del concetto di discriminazione razziale, il concetto di etnia e quello di eroismo63. Molti dei libri, ancora in uso dai primi anni del Novecento, vennero accompagnati, nella scuola comune, da alcuni quaderni integrativi (Ergänzungshefte). Non vennero invece più adottati i libri di Storia della Repubblica di Weimar nei quali si avevano posizioni moderate nei confronti delle culture mediterranee ed italiche: ad esse infatti era dedicato un grande spazio e le migrazioni e gli incontri tra popoli di diversa stiatta (Stämme) erano considerati molto positivamente, soprattutto nella loro funzione di formazione della moderna Europa64. Parallelamente venivano editi specifici libri e sussidi didattici per le scuole militari di élite del regime: le SS-Schulen e le Adolf-HitlerSchulen65. Sia nei quaderni integrativi che nei libri per le scuole militari, la teoria della razza ariana assumeva una predominanza assoluta, in accordo con i programmi ministeriali di cui detto sopra. Tre anni dopo la riforma del 1937 vi fu un tentativo, su proposta di Philipp Boulher, dirigente del Reich, di introdurre un libro unico di testo. La proposta incontrò però tanta resistenza all’interno del Reichserziehungsministerium da venire scartata66.
Reclutamento insegnanti e tesseramento del corpo docente
37Altri strumenti istituzionali di propaganda furono quello della limitazione dell’autonomia di insegnamento e quello del controllo degli insegnanti su base ideologica67. Questi strumenti si prestavano, più degli altri, ad ingannare le autorità ed un discreto numero di insegnanti rimase dissidente, sia in Italia che in Germania. Resta quindi diffìcile dimostrare come questo tipo di intervento coercitivo abbia condizionato l’insegnamento della Storia ed in particolare l’immagine degli Etruschi presentata ai discenti. In Italia si può ipotizzare che il tema “Etruschi” e la sua problematicità siano stati ampiamente sottovalutati dalla classe insegnante, nelle loro potenzialità per una resistenza o dissidenza ideologica, in particolare nell’ambito della scuola primaria, per la quale la formazione aneddotica ottocentesca e primo novecentesca del corpo insegnante, di cui si è detto sopra, ne limitava la conoscenza ai pochi episodi dello scontro tra Roma e Porsenna. Una maggior resistenza alle istanze dei regimi, soprattutto nel campo dell’insegnamento della Storia, si ebbe invece tra gli insegnanti delle scuole superiori68.
Analisi delle fonti dirette relative all’immagine degli Etruschi
38Dopo aver fornito le premesse relative all’assetto istituzionale e alle sue riforme, nella sezione che segue, vengono commentati, in qualità di fonti dirette, i testi scolastici adottati in Italia ed in Germania tra il 1928 ed il 1945.1 brani riguardanti gli Etruschi e le popolazioni italiche sono tratti da libri in adozione sia precedentemente che conseguentemente alla riforma fascista e nazionalsocialista della scuola, in modo da poter cogliere l’impatto della propaganda in questo ambito. Verranno presentati prima i brani tratti dai manuali italiani e poi quelli tratti dai manuali tedeschi, in modo da mettere in evidenza l’evoluzione diacronica dell’immagine degli Etruschi nei libri scolastici. Si procederà quindi a riassumere le macroscopiche differenze tra i due paesi. Si è invece scelto di trattare nel paragrafo successivo, relativo al condizionamento attraverso immagini, l’apparato iconografico dei libri di testo.
Libri scolastici italiani
Libero Ausoni (Giacomo Lo Forte), Gran Madre Italia!
39Il primo testo che si propone era stato scritto alla fine del xix secolo e fu riadattato per i programmi ministeriali del 1905 ed approvato senza modifiche dalla commissione Lombardo Radice nel 1925. Destinato agli alunni della scuola primaria, definisce le intenzioni di propaganda patriottica già nel titolo dell’opera, Gran Madre Italia! Il sottotitolo, “Corso di Storia. Per le scuole elementari maschili e femminili. 1.-L’Italia romana. Per la 4a classe elementare. Corredato di letture storiche”, definisce il target e il metodo, cioè il ricorso a letture storiche, o per meglio dire, ad episodi leggendari in forma di racconto. Tra questi con grande vivacità narrativa e di particolari sono proposti tre esempi eroici dello scontro tra Roma e l’esercito etrusco di Porsenna: Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia. I tre episodi furono il cavallo di battaglia di molti altri testi ed erano un’eredità dei manuali scolastici post-unitari, nei quali i tre Romani erano metafora degli eroi Risorgimentali69.
40Relativamente all’origine degli Etruschi, l’autore opta per una affermazione generica, tale da poter essere proposta alle scuole elementari: “Negli scrittori antichi è fatta menzione del popolo dei Tirreni, esperti nell’arte del navigare, che imposero il loro nome al mare che dominarono; ma essi forse sono lo stesso popolo detto degli Etruschi, i quali erano immigrati in Italia da lontane regioni”70.
41Nell’episodio di Orazio Coclite, si coglie un invito all’identificazione dei bambini con l’eroe romano. Si noti come l’identificazione sia suggerita e pensata per gli alunni maschi, in quanto destinati a “servire la patria” nel servizio militare. Gli Etruschi sono presentati come minaccia e come nemico da combattere: “Giunto Porsenna alla riva destra del Tevere, si accinse a passare col suo esercito il ponte Sublicio, che i Romani, fin dai tempi di Anco Marzio, avevano costruito sul fiume. Il ponte era custodito da un manipolo di guerrieri, tra i quali era il forte e valoroso Orazio Coclite. Ma i Romani erano pochi, e non potevano certo opporsi all’avanzata degli Etruschi, bisognava quindi rompere al più presto il ponte. Allora Orazio Coclite, da solo, mentre tutti i suoi compagni con le scuri tagliavano le travi di legno, si piantò col suo alto corpo alla testa dello stretto ponticello, e fece argine con erculea forza contro l’impeto degli Etruschi, ferendoli, uccidendoli, o precipitandoli nel fiume. Mentre egli combatteva, i compagni compivano la loro opera, e quando egli intese le travi che già scricchiolavano e stavano per cadere in acqua, si slanciò a nuoto nel fiume, ancor coperto dalla pesante armatura, e guadagnò illeso la riva sinistra del Tevere, mentre il ponte rovinava, togliendo così ogni mezzo di passaggio agli Etruschi. L’eroismo di Orazio Coclite salvò Roma da una sorpresa degli Etruschi, e la memoria di lui ci è stata tramandata come esempio di valore quasi sovraumano”71. Nel seguente episodio, quello di Muzio Scevola, l’autore ha cura di sottolineare i tratti dell’eroismo del protagonista, derivanti dalla sua romanità: “Un altro animoso romano, chiamato Caio Muzio, deliberò di uccidere il lucumone nemico, e togliere così agli Etruschi il loro capo. Egli, infatti, si recò al campo etrusco cercando di sorprendere Porsenna; gli sembrò di ravvisarlo in un comandante coperto di ricche vestimenta e lo colpì uccidendolo. Ma Muzio si era ingannato; egli non aveva ucciso che uno dei luogotenenti del lucumone. Arrestato e condotto innanzi a Porsenna, si accorse dell’errore, e per dimostrare che non paventava la sua sorte, stese la destra, colpevole dell’errore, sulle fiamme dell’ara che ardeva dinanzi al lucumone, non vacillando un istante mentre la carne gli bruciava. Porsenna, dinanzi a tanta forza d’animo, rimase come sbalordito e disse che non avrebbe mai fatto uccidere un uomo di tanto coraggio. Muzio a sua volta rispose che in Roma erano altri trecento giovani dello stesso coraggio, che avevano giurato di liberar la patria, e uno di essi sarebbe riuscito, prima o dopo, a farlo cadere sotto il ferro il nemico di Roma!”; segue quindi questo commento all’episodio “Così la fierezza romana si affermava di fronte a qualsiasi pericolo. Caio Muzio, dopo la sua eroica azione, fu soprannominato Scevola, cioè “il mancino”72. Nell’aneddoto di Muzio Scevola, si delinea una delle caratteristiche salienti di questo tipo di manualistica, rispetto alla figura degli Etruschi: essi diventano infatti funzione di Roma; così la figura di Porsenna è nobilitata e proposta ancora nella veste ottocentesca del nemico che rende onore alla virtù romana. L’ultimo episodio relativo agli Etruschi nel manuale di Libero Ausoni, destinato all’adozione nelle classi miste, è il racconto di Clelia, il cui target è un pubblico femminile. La concezione dell’eroismo femminile è del tutto singolare, in quanto condotta da una prospettiva completamente maschilista. Questo provoca una prevalenza, nella narrazione, della figura del nemico etrusco, Porsenna, timoroso e ammirato allo stesso tempo del valore e della lealtà dei Romani, per cui la figura dell’eroina romana finisce in secondo piano rispetto alla sua controparte: “Porsenna ben comprese che miglior partito sarebbe stato per lui chiuder la pace. I Romani, dal canto loro, la desideravano anch’essi, non essendo abbastanza forti per vincere gli Etruschi. Così le trattative di pace furono iniziate. Come pegno della loro promessa, i Romani dovettero consegnare a Porsenna venti ostaggi, cioè dieci giovani e dieci giovinette delle famiglie patrizie. Tra queste giovinette era Clelia, che consigliò loro la fuga e, notte tempo, gittandosi a cavallo a nuoto nel Tevere ritornò inaspettatamente a Roma, seguita dalle compagne di prigionia. Il Senato romano, però, ne mantenne l’impegno con Porsenna, e gli rinviò le dieci fuggitive. Il lucumone etrusco, ammirando da un canto l’animo delle giovinette e dall’altro la lealtà del Senato, permise a Clelia di condurre con sè libere quelle delle sue compagne che meglio avesse preferite”. Consultando edizioni successive di questo manuale, si possono notare alcune modifiche richieste probabilmente in forma privata, per l’adozione nella scuola fascista. Nella versione del 1924 si legge: “Tra queste giovinette era Clelia, la quale volle mostrare che anche le donne romane non erano meno forti e coraggiose degli uomini”73. La versione fu immediatamente censurata e, nella successiva edizione del 1926, più in linea con la propaganda fascista rivolta alle donne, si legge che Clelia agisce perché non sopporta l’onta di essere prigioniera del re etrusco.
Giuseppe Pochettino – Francesco Domenico Olmo, Corso di Storia per il Ginnasio Superiore
42Questo testo si rivolge ad un target di discenti di età maggiore (14-15 anni) e più selezionato, in quanto destinato a formare i futuri quadri dirigenti. Il libro di testo è destinato infatti alla V classe del Ginnasio Superiore ed è curato da Giuseppe Pochettino e Francesco Domenico Olmo. Nell’edizione consultata, del 1929, è di particolare interesse il ricorso a letture e, secondo le raccomandazioni ministeriali, ad un approccio “critico” alla fonti storiche. Queste vengono infatti assoggettate ad un accurato e sottile lavoro di risemantizzazione, operando appositi tagli e inserendole in un contesto che ne favorisca una lettura unica. Le letture proposte per le popolazioni italiche sono tutte tratte dal testo di Léon Homo, L’Italie primitive et les débuts de l’imperialisme romain (Paris 1925) ed il testo ne costituisce una sorta di sintesi semplificata per gli studenti; tuttavia nei brani tratti dal testo dello storico appaiono alcune osservazioni apparentemente inaccettabili per il regime: Homo infatti, membro dell’Accademia di Francia dal 1933 e della scuola francese di Roma, aveva pubblicato molti studi e monografie di Storia Romana; ai fini dell’esaltazione della romanità, queste opere venivano utilizzate, anche a livello universitario, benché la loro impostazione generale fosse tutt’altro che fascista74. Nell’antologia proposta agli alunni del ginnasio si può notare un apposito lavoro di selezione e accostamento dei testi in armonia con le prescrizioni del fascismo, anche a costo di travisare lo spirito generale e l’impostazione storiografica della fonte presentata. Gli estratti dal testo di Homo vengono inoltre accompagnati da commenti e testi completamente allineati con la propaganda ideologica del regime, in modo da obnubilarne una lettura critica.
43Nella lettura dal titolo “La civiltà degli Etruschi” si trovano passi come:
"Frutto di conquista nel suo principio, l’opera degli Etruschi è stata anche un’opera di fusione, d’assimilazione e di valorizzazione. [...] Già prima del VII secolo l’Etruria, in stretta relazione con i grandi focolari della civiltà mediterranea (Grecia, Sicilia, Fenicia, Cartagine), comincia a pigliare nell’Italia centrale e settentrionale quella funzione d’iniziatrice che resterà il suo merito e costituirà la sua potente originalità. Alle razze indigene, che egli non soffoca né stermina, ma alle quali si contenta di sovrapporsi, l’Etrusco apporta due cose: le sue istituzioni politiche, la sua civiltà. [...] Alla fine del VI secolo l’Italia del nord era ancora nel periodo di Villanova con i suoi mezzi rudimentali e i suoi bisogni primitivi. Tale ristretto orizzonte gli Etruschi, con la punta della spada, hanno bruscamente e violentemente allargato”75.
44Gli Etruschi sono presentati come una minoranza, superiore per mezzi materiali e civiltà, che come classe dirigente, si fonde agli indigeni, grossi battaglioni di Italioti, con i quali conquista la penisola, dotandola di opere pubbliche. Da osservare con particolare cura è l’ultima frase, nella quale si riassume il pensiero generale: la forza civilizzatrice degli Etruschi è legata alla loro possibilità di portare il progresso con la “punta della spada”. In questo senso sembra esplicito un riferimento di tipo coloniale che ben si addice ad un manuale scolastico del periodo fascista. La fonte francese, però, attribuisce agli Etruschi e non ai Romani, diversamente dal mito fascista della romanità, la capacità e l’autorevolezza nel portare il progresso con la conquista militare. In questo senso nella loro immagine permane la forte ambiguità che già si trova nella questione delle origini.
45Per il resto, il testo di Olmo-Pochettino per il Ginnasio Superiore presenta capitoli molto dettagliati sulla preistoria e protostoria d’Italia ed un’altrettanto accurata descrizione della Roma più antica, riguardante fatti storici, istituzioni e costumi.
46Nella prima sezione si può notare una frequente citazione delle miniere di ferro dell’Isola d’Elba, probabilmente legata alle contingenze storiche di recupero delle scorie sul litorale populoniese76.
47Significative sono anche le osservazioni relative alle origini dei Liguri, poste in chiave critica, con una certa propensione per un’origine dal Nord, espressa in maniera abbastanza ambigua e che assomiglia alla ricerca di una via di scampo tra credibilità scientifica e propaganda di regime: i Liguri sono detti appartenere non etnicamente, ma dal punto di vista etico-morale, a tribù arie discese dal Nord.
48A questo proposito, nella seconda tesi si legge: "Secondo alcuni studiosi i Liguri sarebbero venuti dall’Africa e avrebbero popolato le isole e le penisole del Mediterraneo; secondo un’altra ipotesi più accreditata i Liguri d’Italia sarebbero stati invece parte, non come unità etnica, ma politico-morale, di un vaso agglomerato di tribù indoeuropee (o arie) emigrate dal nord d’Europa verso il sud nell’Europa centrale e occidentale. Col frantumarsi di questo vasto aggruppamento europeo si forma nell’età del bronzo una comunità italo-celtica, che poi dall’Europa centrale attraverso le Alpi discende nella val Padana dando luogo alle popolazioni delle palafitte lombarde e agli Italici. Tuttavia, accanto a una corrente di civiltà occidentale a cui sarebbe dovuta l’introduzione del rito dell’incinerazione (palafitticoli di Lombardia), del bronzo (terramaricoli), del ferro (Umbri), gli studiosi riconoscono un’altra corrente mediterranea (egea, minoica, greca) venuta dall’Oriente che avrebbe esercitata la sua influenza in Sicilia e nell’Italia meridionale nelle diverse età della preistoria, come avverrà più tardi nell’epoca storica. Così per la venuta degli Italioti, popoli più civili e meglio armati, le popolazioni dell’età neolitica furono in parte assoggettate dai nuovi invasori e in parte si ridussero in determinate e più ristrette regioni, come i Liguri che si fissarono nella zona montuosa delle Alpi occidentali e degli Appennini”77.
49Sempre lo stesso libro prende una posizione ben decisa, sottolineando l’origine etrusca dei fasci, in linea con le tendenze del regime, come mostrato dalla visita di Mussolini a Cerveteri l’anno seguente la pubblicazione di questa edizione.
50Al Capo III (Le Origini di Roma e il periodo Regio) si legge infatti: “Con Tarquinio Prisco entra a Roma dall’Etruria il fascio dei littori, simbolo dell’autorità sovrana”.
51Il periodo della narrazione della Roma di età Regia prosegue, concludendosi con l’attacco di Porsenna a Roma, occasione per ripetere quegli episodi eroici, ben noti ai discenti già dalla scuola primaria: Orazio Coclite, Muzio Scevola e Clelia. In questo caso, gli episodi sono raccontati in maniera succinta, ma sufficientemente dettagliata; hanno toni consoni alla propaganda, mostrando nei modelli da imitare, romani, capacità di resistenza all’attacco e al dolore e insofferenza della prigionia, mentre nel testo per le elementari prevale un tono narrativo e pittoresco. La figura di Porsenna è presentata sempre positivamente: di lui si dice che è ammirato del coraggio dei Romani e della loro Virtù. C’è una sorta di gioco di specchi in cui l’identificazione delle proprie radici subisce una sorta di passaggio di consegne, attraverso Porsenna, dal lato etrusco a quello romano. Un valore antico che cede ad un valore nuovo, quel valore nuovo nel quale il giovane fascista è chiamato ad identificarsi.
52Sempre in conformità ai programmi, un’interessante pagina di critica storica segue il racconto degli episodi leggendari. Anche in questa pagina, come in altri passi del libro, si sente la propaganda del Regime, ad esempio nella frase “Roma però, anche sotto la dominazione etrusca, non cessò di essere una città latina, anche se notevoli e profonde siano state le influenze della civiltà etrusca sulla vita dei Romani e dei Latini”. In questa frase sembra ci sia la ricerca di una conciliazione tra impronta etrusca nella Roma primitiva e mito della romanità contadina.
Francesco Domenico Olmo, Le tesi di storia
53Il testo di Francesco Domenico Olmo, rivolto agli alunni che volevano essere ammessi al Ginnasio Superiore, fu adottato per tutto il periodo fascista e nell’immediato dopoguerra. La fonte presentata è quella successiva alla revisione del 1936. Il capitolo, dal titolo programmatico “L’Italia antica, Roma e il suo impero”, si articola in alcune tesi che gli studenti dovevano imparare per l’esame di ammissione. Nelle prime quattro tesi la trattazione riguarda più volte gli Etruschi, nel quadro più generale dei più antichi abitatori dell’Italia.
54L’incipit della prima tesi chiarisce subito la finalità patria dello studio: “1. Le antichissime genti italiche. – La nostra patria fu abitata, prima ancora che sorgesse Roma, da popolazioni antichissime e di stirpe diversa di cui non conosciamo affatto o assai poco la storia e che perciò si dicono popoli preistorici: erano genti ancora selvagge che abitavano in caverne o in villaggi costruiti su palafitte o in abitazioni curiose come i nuraghi che ancora si vedono nella Sardegna [...] Fra le antichissime popolazioni d’Italia appartengono all’età della pietra i Liguri che abitarono l’Italia settentrionale; all’età del bronzo appartengono vari popoli venuti in Italia d’oltr’Alpi e detti propriamente italici; erano di stirpe ariana (indoeuropea) e distinti in Siculi, in Enotri, Itali (da cui l’Italia prese il nome) ed Osci che si stabilirono nell’Italia meridionale, in Latini, Sabini, Sanniti che si fissarono nell’Italia centrale; all’età del ferro appartengono gli Umbri che si formarono un vasto dominio nell’Italia settentrionale e centrale, e gli Illiri, distinti in Veneti e Iapigi: i primi si fermarono nella regione che da loro prese il nome (Veneto), i secondi discesero nell’Italia meridionale”78. I riferimenti ai nuraghi, che ancora si vedono nella Sardegna, è una delle caratteristiche a mio avviso più importanti dei testi italiani che, come richiesto dalla riforma Gentile, fanno frequentemente riferimento al territorio. La presenza dei monumenti delle popolazioni italiche e degli Etruschi sul territorio e la presenza di numerosi musei vecchi e nuovi che ne conservano le vestigia, rendeva infatti impossibile, come detto, non parlare a scuola di queste culture. Da un lato, quindi, si dovette dare una giustificazione della loro esistenza e della loro capacità di produrre monumenti duraturi, dall’altro metterle in relazione con le antichissime radici dell’Italia, il cui fine e la cui evoluzione doveva tendere a realizzarsi in Roma e nel regime fascista, come suo sviluppo naturale. Questa linea evolutiva si estrinsecava nei ripetuti riferimenti alla provenienza nordica di molti popoli italici. In questo quadro sistematico, gli Etruschi diventavano grave motivo di imbarazzo, come si intravede nella sequenza che segue, tratta dalla seconda delle tesi proposte da Olmo e che permette anche alcune riflessioni sul rapporto tra Etruschi e mito della romanità: “2. Gli Etruschi e la loro civiltà. Cartaginesi e Greci nell’Italia meridionale. – Fra tutte queste antichissime genti d’Italia ebbero particolare importanza gli Etruschi. Questo popolo bellicoso e di razza incerta giunse probabilmente per mare sulle coste del mar Tirreno dall’Asia Minore fra il secondo e il primo millennio a.C.; fra il vii ed il v sec. a.C. il suo dominio dall’Etruria, la regione da loro prima abitata (l’odierna Toscana), si estese fino alla Val Padana e alla Campania. Ma gli Etruschi, a differenza delle precedenti popolazioni italiche rimaste barbare, divennero un popolo molto civile ed ebbero poi un grande influsso sullo sviluppo di Roma: costruirono sulle alture le prime vere città con grossi blocchi di pietra e mattoni, fecero progredire l’agricoltura con canali e bonifiche, le industrie (dei metalli, delle ceramiche, dei tessuti), il commercio marittimo, l’architettura (caratteristico l’arco a vôlta), la pittura e la scultura, come dimostrano le loro tombe e gli innumerevoli oggetti conservati nei musei; coniarono monete d’argento, ebbero un alfabeto (oggi non ancora decifrato) derivato dai Greci dell’Italia meridionale. Le città etrusche erano fra loro confederate e furono governate prima da re (lucumoni) e poi da nobili. Gli Etruschi avevano un profondo sentimento religioso: veneravano i loro dei con preghiere, offerte e sacrifizi, e ne investigavano con cura la volontà per mezzo dei sacerdoti (gli arùspici). Fra le molte città fondate dagli Etruschi sono da ricordare: Volterra, Chiusi, Cortona, Arezzo, Perugia, ecc.”79. Si noti come essi, nonostante se ne riconosca la grande importanza, siano definiti un “popolo bellicoso e di razza incerta”. A questa affermazione segue un nuovo riferimento alla loro rilevanza nel quadro della storia più antica della Penisola, ma anche, insieme ai Greci delle colonie Magno Greche, al loro ruolo nella formazione di Roma. Si citano infine i riferimenti geografici, gli oggetti conservati nei musei ed i principali centri di fondazione etrusca.
55Gli ultimi tre re di Roma sono definiti, nel testo, etruschi e alla loro presenza in città è ricondotta, pur senza enfasi, l’introduzione del fascio littorio80. Gli episodi di eroismo di giovani uomini e donne romani, citato fra parentesi come richiamo, indica che i discenti avevano già conoscenza di questi episodi dai libri delle scuole elementari. Nelle seguenti tesi III e IV gli Etruschi sono fugacemente citati tra i nemici di Roma con le altre popolazioni italiche.
56Interessante dal punto di vista ideologico è la frase che conclude la quarta tesi, dal titolo: Unità romana dell’Italia, non si può non cogliere una forte influenza della manualistica postunitaria, nelle parole “Tutti i popoli che l’abitavano (Latini, Etruschi, Sanniti, Umbri, Campani, Lucani, Greci) formarono un solo popolo e una sola famiglia”81.
Il testo unico
57L’ultimo esempio italiano preso in esame è quello del testo unico della quarta elementare, nell’edizione del 1936, l’incarico di redigere questo volume, che includeva la storia antica, era stato dato a Piero Bargellini, lo storico fiorentino di matrice cattolica che aveva aderito al fascismo e che rivestirà un ruolo di spicco nell’editoria scolastica anche nel Dopoguerra82.
58Nel testo, le doti di Etruschi e Latini sono presentate per giustapposizione:
“Di tutti questi vari popoli i primi a raggiungere generale potenza furono gli Etruschi che divennero ricchi per le loro miniere di ferro e di piombo, per la loro grande abilità di agricoltori, di commercianti, di navigatori, e furono famosi in alcune scienze e nelle arti. Abbiamo alcune belle pitture sulle pareti delle loro tombe, scavate per solito entro la roccia, e vigorose sculture in terracotta e bronzo. Ci hanno lasciato molte iscrizioni ma, per quanto ci si sia studiato sopra, non riusciamo ancora ad interpretarle pienamente.
Uno dei popoli più piccoli e poveri in Italia era in questi antichissimi tempi quello dei Latini [...] Erano poche e povere famiglie di pastori e di agricoltori, ma avevano grandi virtù e grandi qualità morali. Erano laboriosi, frugali, tenaci, di semplici e puri costumi, onesti, fedeli alla parola data, amanti della famiglia, sinceramente religiosi, devoti a concetti di giustizia e di rettitudine. Apprezzate queste qualità, bambini: sono le qualità dei buoni e dei forti, e la storia, questa storia che io vi racconto, vi insegna che con esse e per esse il piccolo e povero popolo latino non solo divenne il più grande del mondo, ma diede al mondo le più alte forme di civiltà”83.
59Gli Etruschi sono guardati con benevolenza, per le loro qualità, poi confluite in quelle del popolo italiano. Ma le doti maggiori, enfaticamente presentate, sono quelle contadine dei latini. Il testo unico prende la parola in prima persona per far porre l’attenzione dei piccoli lettori su queste doti, con un appello pedagogico di sapore collodiano. Di un certo interesse anche il riferimento all’aspetto linguistico che potrebbe suscitare qualche problema in rapporto alla domanda del perché la lingua etrusca non sia comprensibile, a differenza di quella latina. Nel testo unico si ritiene probabilmente l’affermazione innocua, in quanto il legame sotteso al rapporto tra cultura, lingua ed etnicità non poteva essere intuito da un pubblico infantile.
60I topoi di Orazio Coclite e Muzio Scevola sono trattati in modo sintetico, mettendo in risalto, con espedienti retorici, i valori morali del loro eroismo, a scapito della vivacità della narrazione. In poco meno di quindici righe ricorre tre volte la parola eroico e due volte il termine ammirabile.
“Fallita la congiura, Tarquinio si rivolse agli Etruschi, dai quali aveva tratto origine, e riuscì ad ottenere l’aiuto del potente re di Chiusi, Porsenna, che venne a porre assedio a Roma. La difesa della città fu per l’eroismo dei cittadini ammirabile. Avendo gli Etruschi occupato la riva destra del Tevere, Orazio Coclite, posto con altri soldati a difesa del ponte Sublicio, riuscì con eroico coraggio a impedire il passaggio dei nemici, finché i compagni alle sue spalle non ebbero tagliato il ponte; poi, gettatosi a nuoto nel fiume, sotto un nembo di frecce, riuscì a raggiungere salvo la sponda romana. Caio Muzio, recatosi di nascosto nel campo etrusco, tentò di uccidere il re Porsenna; ma arrestato e tratto in giudizio innanzi al re, pose la mano destra nel fuoco di un braciere e disse: – La mia mano ha fallito il colpo, e io la punisco; ma sappi o re che altri trenta (sic) giovani più forti di me hanno giurato di ucciderti, perché tu minacci la libertà di Roma – Il re, ammirato, non solo rimandò libero l’eroico Muzio, che ebbe per la mano bruciata il soprannome di Scevola, che vuol dire mancino, ma poco dopo concluse la pace con Roma”84.
61Occorre notare anche come l’episodio di Clelia sia stato rimosso: d’altronde l’eroismo della brava giovane italiana, proposto alle bambine dalla scuola fascista, non permetteva alzate d’ingegno. Si prediligono piuttosto episodi di eroismo collettivo, come quello dei Fabii sul fiume Cremera nella guerra contro Veio: “Altra più grande guerra dovettero i Romani sostenere contro gli abitanti della etrusca città di Veio. Erano i Veienti, come tutti gli Etruschi, ricchi e potenti, e non era facile vincerli. Roma, piccola ancora e povera, era esausta dopo tanti anni di guerra. Allora la più numerosa e potente famiglia romana, i Fabii, si offrì di continuare essa per proprio conto a proteggere la città contro le minacce dei Veienti. Erano trecento uomini atti alle armi, compresi i servi e alcuni amici. Si accamparono presso il fiumicello Cremera e colà, scontratisi con una schiera nemica assai più forte e numerosa, dopo eroica difesa furono tutti uccisi. La guerra fu però ripresa, e dopo un lungo assedio, che si diceva durato dieci anni, Veio fu presa e distrutta”85.
I libri scolastici tedeschi
62Le fonti tedesche sono in numero minore, conseguentemente al poco spazio dato nei programmi alla materia; come abbiamo visto il numero delle ore di storia era infatti molto ridotto e non c’era modo di dilungarsi nella narrazione o di soffermarsi a lungo su episodi riguardanti le origini di Roma e la civiltà etrusca e italica. Inoltre, l’atteggiamento ideologico dei quadri responsabili del ministero dell’educazione era fortemente propenso all’origine orientale degli Etruschi, con una conseguente azione corruttiva nei confronti della razza nordica nella penisola italiana, dalla quale i Romani erano riusciti ad emanciparsi, salvando le sorti razziali della futura Italia86.
63Se la lontananza geografica dai luoghi etruschi, necropoli e monumenti, può aver favorito un loro oblio nei libri di testo, si deve comunque notare che tutt’altra era l’impostazione del tema sui manuali scolastici della repubblica di Weimar che dedicavano diverse pagine ai popoli italici e agli Etruschi, sia relativamente alla loro importanza in età orientalizzante ed arcaica nella penisola italiana e nel Mediterraneo, sia in relazione alle origini di Roma87. La nuova impostazione si può quindi a buon diritto attribuire alla generale volontà di condizionamento nazionalsocialista dei contenuti dell’insegnamento della storia. Il primo testo che si presenta, del 1933, è anteriore alla riforma Bojunga ed ha come target gli alunni delle medie (Mittelstufe), rielaborando una versione dello stesso autore per i Licei Superiori, del 191388.
Friedrich Neubauer, Grundzüge der Geschichte. Für höhere Lehranstalten
“Nachher kam Rom – und das entspricht der geschichtlichen Wahrheit – unter die Herrschaft eines etruskischen Königsgeschlechts; die Etrusker bewohnten die nördlich angrenzende Landschaft, waren das älteste Kulturvolk Italiens, hatten bedeutende Städte und trieben Gewerbe und Handel; ihre Schiffe befuhren das Meer; die Etrusker waren damals das mächtigste Volk Italiens”89.
64L’immagine degli Etruschi è ancora completamente positiva ed eredita la posizione dei manuali Ottocenteschi. Interessante è anche la volontà di sottolineare l’attendibilità della presenza etrusca a Roma in età monarchica, dicendo che questo fatto esprime la realtà storica. Questa immagine presenta un contrasto stridente con quelle fornite dopo la riforma, intrise dei concetti delle leggi razziali, come risulta evidente dal brano tratto dal testo seguente, in adozione nel 1938.
Karl Gutmann e Max Stoll, Deutsche Geschichte
“Diese Italiker drangen bis Mittelitalien vor, wo sie besonders die Erzlager im heutigen Toskana anlockten. [...] Das indogermanische Element in Italien erhielt dann um 1000 v. Ztr. verstärkenden Zuwachs aus dem alten Heimatgebiet durch einem Zug von den Ostalpen her. Die nordische Herkunft der Herrenschicht zeigt sich nicht nur in ihrem stattlichen Körperbau, dem blonden Haar und den blauen Augen, sondern auch in der nordischen Charakterhaltung: der Verschlossenheit, Uneigennützigkeit, dem Gemeinschaftsgefühl und dem Rassenbewusstsein der echten alten Römer. Als ein weiteres – nichtindogermanisches – Bevölkerungselement in Italien haben wir die Etrusker zu nennen, die um 1000-800 v. Ztr. zur See von Asien herkamen. Sie gewannen die später nach ihnen benannte Landschaft Etrurien längs der Westküste der Halbinsel zwischen dem Tiberfluss, dem Apennin und dem Meerbusen von Genua”90.
65La questione della razza è preponderante su ogni altra dinamica storica, in particolare la doppia origine nordica di Roma e delle popolazioni dell’Italia centrale. Punto saliente è l’elencazione delle caratteristiche fisiche e caratteriali del tipo nordico, che nel verace antico romano (dem echten alten Römer) si incarnano, con rimando al pensiero di Günther e alla sua espressione pedagogica nel lavoro di Schmelze91. La menzione degli Etruschi è quasi estorta (wir haben zu nennen) perché essi sono un popolo non indogermanico.
66Sulla stessa linea si inserisce il testo di Walther Gehl per la classe VI, scritto appositamente dopo la riforma e ad esso conforme92. Il libro era distribuito gratuitamente con un sistema di buoni da timbrare, per assicurarne la distribuzione agli alunni indigenti e alle loro famiglie, come avveniva per il Testo Unico italiano del 1936 (fig. 3)93.
67Nella parte relativa alla Storia Romana, un intero paragrafo è dedicato alla vittoria dei nordici Romani sugli Etruschi di origine asiatica. Se ne riportano di seguito i due paragrafi più significativi:
68Walther Gehl, Geschichte. 6. Klasse.
69Das Römische Reich als nordische Schöpfimg. Die Einigung Italiens unter Rom. Der Sieg nordischer Stämme über die vorderasiatischen Etrusker in Italien.
“4. Etwas später als die nordischen Italiker waren aus dem Osten die vorderasiatischen Etrusker zu Schiff nach Italien gekommen. Sie waren in östliche Po-Ebene und in das erzreiche südapenninische Toskana (nach ihrem lateinischen Namen Tusci) eingedrungen. Hier hatten sie die westlichen Ligurer überdeckt. Von den Alpen her wurden auch die ostische Einschläge immer stärker. Die Etrusker lebten von der Arbeit einer leibeigenen Masse schwelgerisch in festen Städten. Ihre Könige herrschten mit orientalischer Unumschränktheit. Das kündete schon ihr Abzeichen: ein Rutenbündel (fasces), in dem ein Beil steckte. Ein Glaube an finstere Dämonen und an furchtbare Höllenqualen beherrschte das Volk. Ihnen suchte man dadurch zu entgehen, daß man den Willen der Götter vorher erkundete. Man beachtete daher allerlei Himmelszeichen, man beobachtete Flug und Stimmen der Vögel, beschaute die blutigen Eingeweide frisch geschlachteter Opfertiere. Die Kenntnis dieser Vorzeichen (Auspizien) verlieh der Priesterschaft (den Auguren) in orientalischer Weise entscheidenden politischen Einfluss. Als gefürchtete Seeräuber machten die Etrusker das italische Randmeer zum Tyrrhenischen Meer (nach ihrem griechischen Namen Tyrrhener). Im 6. Jahrhundert reichte ihre Macht in Italien von Norden her über Latium bis zum Kampanien. Etruskische Stadtkönige herrschten auch in Rom94.
“5. Rom schien der natürliche Stützpunkt der etruskischen Mittelmeerherrschaft zu werden. In römische Adelsgeschlechter drang etruskisches Blut; mancher römische Geschlechtername geht auf etruskischen Ursprung zurück. Ja der Tiberfluß und der Stadt Rom selbst tragen etruskische Namen.
Die Eingeweidebeschau und die Beobachtung des Vogelfluges haben die Römer von den Etruskern übernommen. Die Etrusker wurden ihre Lehrmeister im Steinbau. Die purpurne Amtstracht der höchsten Beamten, die Heeresmusik, die Sitte der Triumphzuges, die Rutenbündel, die Fechterspiele sind ebenfalls etruskischen Ursprungs.
Doch auch unter der Fremdherrschaft bewahrten sich die Römer ihre lateinische Sprache und damit ihr eigenes Volkstum. Schliesslich schüttelten die Römer die Fremdherrschaft der etruskischen Könige ab. Damit retteten sie das gesamte Latinertum davor, im etruskischen Volkstum aufzugehen. Die nordischen Bauern, nicht die vorderasiatischen Städter bestimmten die nächste Zukunft Italiens”95.
70Questo testo può essere letto come esito programmatico della riforma razziale dei libri di testo e come massimo compromesso raggiunto sui libri di scuola tedeschi relativamente alla figura degli Etruschi. Indicazioni particolarmente preziose per un’interpretazione sintetica del testo e dei suoi punti forti, sono fornite dalle scelte tipografiche; tre sono infatti i punti in cui il testo è presentato in formato espanso, per dare risalto al contenuto: l’affermazione che gli Etruschi vengono dal Vicino Oriente, il fatto che essi siano una dominazione straniera a Roma e, quindi, l’ultima frase del paragrafo 5. nella quale si spiega come sia stato il nordico Bauertum romano ad indirizzare il futuro dell’Italia e non la civiltà cittadina microasiatica. Si noti inoltre come la parte nella quale sono descritte le usanze etrusche sia stampata in carattere minore, ad indicare allo studente una minore importanza del passo, anche se tuttavia, a differenza di altri manuali tedeschi contemporanei, si riconosce agli Etruschi un grado elevato di civiltà e di autonomia, in particolare nel campo della tecnica, della religione e delle arti. Per il resto, si può rilevare come l’iniziale riferimento ai re Etruschi ed alle loro sfrenate attitudini orientali sia legato ai fasci; questo tipo di riferimento appare completamente inopportuno, se rapportato alla propaganda fascista in Italia, che dava ai fasci un forte valore simbolico. Nel testo tedesco i fasci, essendo costituiti da verghe tra le quali è nascosta una scure, sarebbero il primo segno dell’inaffidabilità orientale dei re. Lo spazio dedicato alla descrizione di quello che sui manuali italiani post-unitari era definito “impero etrusco” è comunque notevole, in un’opera così critica; così anche l’affermazione, priva di ogni dubbio, della monarchia etrusca a Roma era già presente nella manualistica ottocentesca tedesca, della quale questo libro si presenta come erede. Proprio sulla natura di questa monarchia, straniera e invasiva nei confronti delle popolazioni locali, di origine nordica, si gioca la chiave interpretativa del nuovo manuale che con molta chiarezza, alla fine del quinto paragrafo, si riferisce alle teorie razziali e alla supremazia dei romani che dalla dominazione etrusca, straniera ed orientale, sono riusciti a liberarsi, salvando le future sorti dell’Italia.
71L’ultimo documento tedesco riportato, si presenta in forma compendiaria, per domande e risposte e, proprio nella sua ricerca di sintesi, diventa esemplificativo delle principali tesi adottate per i libri di testo, relativamente alla presentazione di Etruschi ed Italici. L’edizione presentata, del 1941, consente inoltre di leggere le conseguenze del consolidamento della riforma dei piani di studio.
72Meerkaß, Römische Geschichte (753 v. Chr. bis 68 n. chr.). In Fragen und Antworten schematisch aufgebaut für Wiederholung und Selbstbelehrung. Für höhere Knaben- und Mädchen-Lehranstalten. 2 Auflage (Leipzig 1941)
“1. Weshalb spricht man von Römischer Geschichte?
Weil von der Stadt Rom die Vereinigung aller Volksstämme Italiens zu einem Volke und die Eroberung eines Weltreiches ausgegangen ist.
2. Welches waren die Haupt-Volksstämme auf der Apennin-Halbinsel?
Die Italiker in Mittelitalien: Sabiner – in Samnium, einer Berglandschaft des mittleren Appennin. Latiner – in Latium, der breiten Ebene, durchflossen vom Tiber. Nördlich von den Latinern wohnten die Etrusker. Aus dem heutigen Frankreich waren über die Alpen keltische Gallier in die Poebene eingedrungen. Den südlichen Teil der Halbinsel und Sizilien bewohnten Griechen.
4. Welche Stadtkönige sollen in Rom geherrscht haben?
Folgende 7: Romulus, Numa Pompilius, Tullus Hostilius, Ancus Marcius, Tarquinius Priscus, Servius Tellius (sic!), Tarquinius Superbus. – Die Königszeit in Rom dauerte von 753 bis 510 v. Chr. Sie liegt im geschichtlichen Dunkel.
26. Welche Kriege führte Rom mit Nachbarstaaten?
a. Mit den Etruskern: König Porsenna zog erfolglos gegen Rom.
b. Der Krieg mit den Latinern: Die Römer siegten am See Regillus.
c. Zehnjähriger Kampf mit der Felsenstadt Veji: 396 v. Chr. nahmen die Römer unter Anführung des Kamillus die Stadt ein. Das ganze südliche Etrurien wurde dadurch römisch”96.
73Il testo è strutturato come compendio per domande e risposte sulla storia di Roma, per le scuole superiori, ed è diviso in storia politica e storia culturale. La grandezza di Roma viene esaltata per la sua forza militare e la sua capacità di conquista, fino dalla prima tesi, mentre gli Etruschi sono indicati per negazione: sono coloro che vivevano a Nord dei Latini. In soli altri due passi sono citati gli Etruschi, relativamente a Porsenna, nemico sconfitto e relativamente a Veio. Anche in questo caso è significativo l’aspetto che la propaganda assume nell’estrema sintesi: nel parlare della guerra decennale contro Veio, la città è definita rupestre, ma non etrusca, mentre in seguito, parlando della sua sconfitta, si dice tutta l’Etruria meridionale divenne romana. Le domande nelle quali ricadono Etruschi e popoli italici, in un compendio dall’impostazione chiaramente romano-centrica, sono molto poche: 2 su un totale di 84, tutte nella parte iniziale della storia politica. Un contrasto particolare si ottiene dal confronto tra l’immagine degli Etruschi, presentata nel 1933 e quella del testo nel 1941. Nel primo caso, antecedente alla riforma, gli Etruschi sono presentati come una grande cultura dell’Italia antica e parte della storia regia di Roma; nel secondo caso, dopo la riforma, di essi si ha la negazione quasi completa, tanto da cancellare il periodo regio, accusando di inaffidabilità le fonti storiche, per cui del periodo regio si dice che esso “riposa nell’oscurità storica”.
74L’immagine degli Etruschi e delle popolazioni italiche nei libri di testo di Storia per le scuole superiori, veniva inoltre rafforzata, in entrambi i paesi, dalla scelta dei testi delle versioni latine; tra essi non solo si ripresentavano gli episodi dello scontro contro Porsenna e della presa di Veio, ma anche, in generale, si suggerivano letture in accordo con le teorie razziali e con il sistema di valori proposto97.
Condizionamento attraverso immagini nell’ambiente scolastico
75La scelta di una propaganda iconografica per gli alunni in età scolare, in Italia, aveva uno dei suoi teorici nel pittore e critico futurista Italo Cinti, per il quale il pensiero del bambino si formava attraverso l’esperienza visiva98; in questo il fascismo si differenziava molto dal nazismo che privilegiava, nelle illustrazioni dei libri di testo, un’impostazione di tipo tecnico o filologico, ricorrendo spesso a carte in bianco e nero, ad esempio con nomi di popoli e frecce che ne indicavano i movimenti migratori99.
Apparato iconografico dei libri di testo
76L’importanza data alle illustrazioni nei libri di testo di storia si evince anche dalle relazioni delle commissioni per la censura dei libri di testo, nei quali la scarsa qualità dell’apparato illustrativo è spesso addotta come causa del rifiuto del libro stesso. Così si legge, ad esempio, nella relazione della commissione Lombardo Radice, che il libro di Lo Forte, Gran Madre Italia è respinto fra l’altro per i caratteri tipografici piccoli e le immagini poco nitide; il libro di Fiandra, La Grande Italia, presenta immagini di qualità non accettabile100; del libro di Zani, in uso dalla fine del xix secolo, si dice che l’edizione è mediocre, con molte immagini, alcune delle quali di cattivo gusto101. Confrontando l’apparato iconografico di Zani relativo agli episodi che coinvolgono gli Etruschi, con quelli approvati dal regime, si può comprendere meglio cosa possa aver determinato il giudizio negativo delle autorità fasciste102. Le immagini relative al nostro tema nel libro di Zani sono tre: una per l’episodio di Orazio Coclite (fig. 4), una per quello di Muzio Scevola (fig. 5) ed una per i Fabii (fig. 6) nella guerra contro i Veienti103. Nelle prime due la posizione degli eroi romani e degli Etruschi è paritaria: nell’immagine con Orazio Coclite, questi è in piedi sulla spalletta del ponte, e porge lo scudo quadrato agli Etruschi, incedenti, in posizione eretta, con le armi spiegate e dissimili da lui nel solo scudo, rotondo. Nel caso di Muzio Scevola e Porsenna i due si fronteggiano al centro della scena, il re in trono, simile ad un imperatore romano, con il suo corteggio, il giovane romano in piedi di fronte al braciere. L’immagine dei Fabii presenta aspetti ancora più singolari, i Romani, infatti, tra loro imparentati, come spiegato nel testo, in quanto membri di un’unica gens, calpestano i propri caduti nello slancio contro i nemici etruschi che, armati di arco, li sovrastano da tre lati. Confrontando queste immagini con quelle nel testo di Libero Ausoni nella versione approvata del 1924, si nota facilmente come il messaggio trasmesso dalle illustrazioni del libro, realizzate da S. Profeta e relative agli stessi episodi sia più consona alle esigenze di propaganda ed in generale al concetto di eroismo e superuomismo che il regime intendeva creare nelle giovani menti: Orazio Coclite (fig. 7) è in piedi sul ponte e brandisce la spada a petto scoperto, contro gli Etruschi, più numerosi, ma già sconfitti e trafitti in parte dai Romani; i compagni, frattanto, tagliano il ponte. In particolare uno, in secondo piano, con grande impeto leva un’accetta. La didascalia commenta: “Orazio Coelite fa argine contro gli Etruschi”. Nell’episodio di Muzio Scevola (fig. 8), il giovane romano troneggia sulla scena, mentre stende la mano sul braciere e lancia uno sguardo fiero, a testa alta al re etrusco, il quale è relegato a bordo immagine, in parte tagliato dalla scena e siede scomodo sul trono, sporgendosi timidamente in avanti, con lo sguardo rivolto verso il basso, come se non osasse affrontare l’eroismo di Muzio. Lo stesso corteggio del re, a confronto con quello presentato da Zani, appare pavido e tremante104. L’illustrazione dei fatti relativi alla guerra romano-veiente, infine, mostra l’ingresso dei Romani a Veio attraverso il tunnel sotterraneo e la vana resistenza dei soldati locali, uno dei quali riverso a terra morto, al centro della scena ed un altro caduto sotto i colpi dei nemici105. Dal punto di vista più archeologico è interessante il ricorso in numero sempre maggiore, nelle edizioni successive del testo di Ausoni, a disegni che illustrano la cultura materiale degli Etruschi, in particolare un braciere su tripode ed uno specchio decorato con scena dionisiaca, entrambi di bronzo, nell’edizione del 1922, integrati, dal 1923, con un candelabro ed alcuni vasi a figure rosse e, dal 1924, da una fibula d’oro ed alcuni vasi metallici riccamente cesellati (fig. 9). Queste immagini sembrano appoggiare la volontà del regime di indicare che, nella cultura materiale etrusca, disponibile nei musei dell’Italia centrale, erano già presenti le qualità artistiche degli italiani. Da un lato, quindi, anche la cultura artistica ed artigianale etrusca era sentita come formante di quella nazionale, dall’altro, quest’ultima affondava le proprie radici in una storia millenaria, secondo un atteggiamento di auto-legittimazione attraverso il patrimonio culturale, in particolare archeologico, comune a molti totalitarismi106. Il libro di Ausoni contempla anche alcune tavole fuori testo. Una parte della tavola dedicata alla Roma delle origini contiene alcuni disegni relativi alla civiltà etrusca: l’interno della tomba ceretana delle iscrizioni (o dei Tarquini), nella versione riportata da George Dennis, con la didascalia “Tombe dei Tarquini a Cerveteri”107; si noti come la relazione tra le origini di Roma e la tomba della necropoli della Banditaccia anticipi la visita propagandistica di Mussolini alla stessa necropoli nel 1930108; il sepolcro di Porsenna nella versione del Tramontani109; un’immagine di fantasia di un lucumone, in relazione con gli episodi di Porsenna; una statuetta di guerriero etrusco, anch’esso probabilmente con richiamo agli scontri etruscoromani ed il vaso François, con didascalia “vaso etrusco”. Nella stessa tavola compare anche il rilievo del cosiddetto trono di Claudio, anch’esso curiosamente definito “rilievo etrusco” (fig. 10.) Un’interessante travisamento si ha inoltre nel riquadro dedicato alle sculture della Tomba d’Iside a Vulci, la cui didascalia riporta: “sculture dei Volsci”110. Nello stesso libro, i Volsci sono indicati nelle loro sedi nella carta dei popoli italici. Questa carta, di corredo al capitolo relativo, si presenta, pur in una forma semplificata per i giovani destinatari, di rilevante complessità per il numero elevato dei popoli che in essa sono inseriti, in accordo con le tendenze post-unitarie di valorizzazione dell’unità nazionale, come concorso di diversi apporti regionali (fig. 11).
77I libri per il ginnasio presentano un apparato iconografico assai ridotto: nel testo di Olmo sono riportate tre immagini a disegno che legano gli Etruschi con alcuni mestieri specifici: una bottega di falegname, dal rilievo di un’urna etrusca, un vaso a figure nere da Orvieto, con scena di atelier, interpretata come bottega di calzolaio e l’aratore di Arezzo, come esempio dell’agricoltura. Le tre immagini si inseriscono sulla linea sopra indicata per il libro di Ausoni, di glorificazione del lontano passato delle attività artigianali ed agricole italiane111. L’apparato cartografico (fig. 12) presenta una carta dell’Italia primitiva” di alta complessità, con i nomi dei popoli italici (in caratteri di dimensioni diverse in base alla loro rilevanza storica), delle regioni da essi occupate e dei principali centri cittadini, costituendo una versione complessa, per un pubblico cresciuto, della carta presentata nelle scuole elementari, ad esempio nel testo di Ausoni. Rilevante ai fini della propaganda politica è l’assenza delle colonie greche (la scritta Magna Grecia sfiora parte della Calabria, ma giace praticamente nel mar Ionio) e la mancanza degli emporia punici. La cartografia riportata mostra di non dipendere da quella del testo di Léon Homo, utilizzato per le letture critiche dagli stessi autori (fig. 13), nella quale la pluralità dei popoli italici è presentata assai semplificata anche nella riedizione del 1926.
78Riassumendo, l’immagine degli Etruschi trasmessa dai libri di testo attraverso l’apparato iconografico e cartografico è positiva e variegata e valorizza il loro apporto nella formazione delle capacità artistiche degli Italiani; a Roma è lasciato il merito di aver unificato questi diversi popoli nella prima Italia. Negli episodi relativi agli scontri tra Romani ed Etruschi, durante la romanizzazione, prevale tuttavia l’aspetto della propaganda bellica, con vaghi riferimenti razziali, per cui le doti dei Romani e le loro capacità guerresche si presentano ampiamente superiori a quelle degli Etruschi che, remissivi, capitolano di buon grado di fronte alla grandezza di Roma. L’assenza di immagini relative al periodo regio potrebbe interpretarsi come indice di una certa resistenza nel considerare l’apporto diretto degli Etruschi a Roma112.
79Anche il confronto tra apparato iconografico dei libri italiani e dei libri tedeschi fornisce informazioni relative alla diversa strumentalizzazione politica dell’immagine degli Etruschi e delle popolazioni italiche nei due paesi.
80Dal punto di vista dell’impostazione generale, infatti, si nota nei libri di storia tedeschi una certa tendenza a preferire illustrazioni di tipo tecnico, in particolare carte geografiche, all’interno del testo, come ad evitare distrazioni. L’apparato iconografico vero e proprio, scisso da quello cartografico, è riservato quindi, quando presente, alle tavole in fondo al libro.
81Per quello che riguarda gli Etruschi, l’apparato cartografico proposto da Gehl nel 1940 (fig. 14) mostra una estensione territoriale dell’Etruria sino alle Alpi retiche, in accordo con il testo che parla di migrazioni dalle Alpi orientali. Grande spazio è dato anche a Liguri ed Italici che, nelle isole ed in Italia meridionale sono limitati, in area costiera, da enclavi cartaginesi e greche. La didascalia recita: Die Völker der Apenninhalbinsel113. Questo tipo di immagini, in particolare la presenza di Greci e Cartaginesi, messa in relazione non con singoli porti od empori, ma con tutta l’area costiera, costituisce uno stridente contrasto con le scelte cartografiche per i manuali di storia italiani del ginnasio ed indica un chiaro scarto ideologico, proprio in rapporto alla presenza sul territorio italiano di una componente considerata di razza orientale ed inferiore, che solo l’intervento bellico di Roma nelle guerre puniche sarebbe stato in grado di annientare. Le immagini relative agli Etruschi nelle tavole in apparato sono due, se si esclude il vaso François (fig. 15), presentato nella parte greca, tra la ceramica attica, senza indicarne il luogo di ritrovamento o la collocazione114. Le due immagini (fig. 16), il coperchio di un sarcofago chiusino dal Museo Nazionale di Firenze e una scena di danza dalla tomba tarquiniese del Triclinio, sono inserite in una tavola unica con maschere di terracotta cartaginesi, tra le tavole dell’ellenismo greco e quelle dell’arte romana. La scelta di queste immagini appare particolarmente appropriata alla propaganda nazionalsocialista. Il sarcofago, infatti, sarebbe immagine dell’obesus etruscus, dai lascivi costumi, così come anche le figure danzanti di uomini e donne alludono ai costumi orientali e alla loro funzione corruttiva dei buoni costumi morali115. Non solo il testo, infatti, suggerisce questa lettura dell’apparato iconografico, ma anche l’accostamento con le maschere cartaginesi, di tipo teatrale o grottesco che compaiono tra le figure portate ad esempio, nel testo di Günther (fig. 17), per l’inferiorità della razza microasiatica116. Nella tavola giustapposta a quella con immagini etrusche e cartaginesi, come contrappunto e rappresentazione degli ideali relativi ai valori contadini romani primitivi, sono la lupa capitolina, e quattro teste-ritratto, tra le quali spicca la testa bronzea del cosiddetto Bruto Capitolino, la didascalia della quale riporta “Altrömischer Bauer. Bronzenkopf117.
82Riassumendo: l’immagine degli Etruschi e delle popolazioni italiche negli apparati iconografici e cartografici dei libri di testo tedeschi, quando presente, ha accezioni fortemente negative, da porsi in relazione con le teorie razziali. In risposta all’imbarazzo diplomatico che questa posizione crea, si mostra un tentativo di escludere un loro apporto nella formazione della cultura dell’Italia contemporanea, fascista.
Quaderni, diari e sussidi didattici
83In Italia il condizionamento rispetto alla visione storica avveniva non solo attraverso la parola, ma anche con immagini ed esperienze, in maniera forse più sottile, ma non meno efficace118. In questo la propaganda fascista e quella nazionalsocialista sono molto diverse: le copertine di quaderno tedesche restano, per tutta la guerra, sobrie e monocrome, quelle fasciste si scatenano in una miriade di soggetti colorati, uno più propagandistico dell’altro. La propaganda per immagini si estende persino alle copertine delle pagelle che vengono consegnate da portare a casa. Trionfano, come ovvio, i simboli della romanità; per confronto con quanto detto sopra sull’origine etrusca dei fasci, è significativa la presenza di questi ultimi in molte copertine di quaderno e nei diari scolastici, soprattutto a partire dal 1935119.
84Anche i sussidi scolastici, particolarmente diffusi nell’Italia del Nord e in Germania, possono costituire un elemento di interesse nello studio dell’immagine delle culture antiche proposta agli scolari. Purtroppo quelli relativi agli Etruschi ed alle prime popolazioni italiche non sono stati oggetto di uno studio e di una pubblicazione sistematica. I materiali a disposizione indicano comunque una netta predominanza della propaganda di regime in Germania, dove nei pannelli murali affissi nelle classi nazionalsocialiste, prevalgono nettamente le illustrazioni di propaganda esplicita e delle leggi razziali. Gli unici pannelli storici illustrano la vita dei primi popoli germanici, mettendo in risalto le qualità di forza, semplicità e laboriosità120. Una collezione di pannelli murali delle scuole di Bolzano mostra il corrispondente in ambito italiano, con una serie di acquarelli a colori di Calier che riproducono scene della vita pubblica e privata di Roma. In essi è del tutto assente un riferimento alla civiltà etrusca121.
Condizionamento attraverso attività extracurricolari
85Un’evoluzione teorica e metodologica, a partire sempre dal concetto di apprendimento visivo, si ebbe poi in due esperienze che divennero da allora parte integrante dell’educazione scolastica: la gita e la proiezione cinematografica. In Italia, le gite scolastiche e le escursioni proposte dalla Riforma Gentile avevano una forte variabilità locale, dipendente dalle risorse del territorio e dalle scelte dei singoli insegnanti e collegi122. Il tempo di guerra costituì inoltre, per ragioni di sicurezza, un concreto impedimento a lasciare i locali della scuola per escursioni nelle campagne; a questo limite oggettivo supplirono le visite ai musei. Per la prima categoria, le gite scolastiche, vengono riportati due esempi: il primo riguarda le visite per le classi alla Mostra Augustea della Romanità123; il secondo esempio è rappresentato dal Museo della Scuola, inaugurato come mostra permanente a Firenze nel 1925 da Giovanni Calò e divenuto ente morale nel 1929 e Museo Nazionale della Scuola dal 1937. Per la seconda categoria, le proiezioni cinematografiche, viene presentato il caso esemplare del film di Carmine Gallone, Scipione l’Africano (1937). In Germania questi tipi di attività extracurricolari erano in gran parte assorbite dalle attività sportive e paramilitari e dai campi di formazione al lavoro proposti dalla Hitlerjugend124, nonostante la teorizzazione di Klagges relativa all’uso di documenti e monumenti presenti sul territorio per l’insegnamento della storia locale e germanica125. La proiezione di film a scopo di indottrinamento all’interno degli Istituti scolastici venne ufficialmente promossa dal 1933 e l’anno seguente fu istituito un organo apposito, RfU (Reichsstelle für Unterrichtsfilm)126; questi film avevano carattere documentario e rientravano prevalentemente in due categorie, quella della diretta propaganda ideologica e quella della trasmissione di conoscenze tecniche relative a determinati mestieri o alle scienze naturali.
La mostra augustea della Romanità
86La Mostra Augustea della Romanità, inaugurata il 23 settembre 1937 in occasione del bimillenario della nascita di Augusto, fu voluta, pensata ed organizzata come un evento dal forte impatto mediático, anche a livello intemazionale, come dimostra la visita di Hitler durante il suo viaggio in Italia, il 6 maggio del 1938127. I suoi contenuti, accessibili ad un vasto pubblico, tra cui un alto numero di giovani in età scolare, erano volti all’esaltazione del mito romano in funzione di una lettura gloriosa del presente. La mostra fu pubblicizzata in tutte le scuole di ogni ordine e grado attraverso una circolare e vide un grande concorso di scolari da tutta Italia e, soprattutto, da Roma128. Giovani studenti, in qualità di membri delle organizzazioni fasciste, erano anche incaricati di montare la guardia alla mostra, mentre per una maggior diffusione dei messaggi ad essa collegati, foto in bianco e nero di materiali esposti vennero inserite nei diari scolastici del 1938-1939129.
87Per quello che riguarda l’immagine degli Etruschi, essa non si discosta da quella fornita dai libri e dai programmi scolastici, ad indicare una omogeneità ideologica nella formazione di questa immagine a fini di propaganda130. I materiali esposti nella sala III, dedicata alle Origini di Roma, avevano anche un valore performativo, per il forte impatto emotivo che l’associazione tra oggetti esposti e didascalie lapidarie poteva avere. Il messaggio relativo agli Etruschi è, come nei libri scolastici, ambiguo: da un lato vengono infatti esaltate le “doti” dei popoli italici in generale131 e le conoscenze tecniche e artistiche degli Etruschi132, dall’altro si ribadisce come essi abbiano una “natura gaudente e spregiudicata”, fatto che sarebbe ben visibile nel ritratto maschile del coperchio di sarcofago ceretano con coppia di sposi133; se pur quindi agli Etruschi di età orientalizzante si attribuisce una funzione di promotori della cultura e della tecnica a Roma, i dati relativi e la loro interpretazione vengono fugacemente accennati, per calcare invece l’attenzione generalmente sulle vicende ben note delle guerre romano-etrusche del v sec. a.C. ed in particolare per soffermarsi sui consueti episodi scolastici di Orazio Coclite e Muzio Scevola134. L’impostazione generale nei confronti dei popoli italici, e degli Etruschi in particolare, è quella che in essa vede nemici dignitosi che hanno contribuito, con le loro sfide e la finale sottomissione, alla gloria di Roma, come si evince anche dalla carta delle popolazioni preromane esposta nella sala IV della Mostra e dalle rappresentazioni delle armature italiche135.
Il Museo della Scuola
88Il secondo esempio è il Museo fiorentino della Scuola. Un luogo di minore impatto mediatico rispetto alla mostra romana, ma molto significativo ai fini del presente contributo, sia per la funzione del museo, programmaticamente rivolta ad un pubblico di scolari ed insegnanti, sia perché posto nel luogo in cui gli studi etruscologici avevano la loro sede principale136.
89Il Museo, ricostruito oggi in forma virtuale dal centro nazionale di documentazione pedagogica INDIRE di Firenze, aveva un primo piano interamente dedicato alla storia della scuola e due piani superiori che raccoglievano gli elaborati della “scuola nuova”, fascista. Il Museo aveva un’intera sala dedicata agli Etruschi, nella quale erano esposte, come si legge nelle didascalie originali, le copie di alcuni reperti che documentavano l’apprendimento dell’alfabeto in Etruria, la numerazione (i dadi) e l’addestramento paramilitare della gioventù; quest’ultimo tema era affrontato presentando un’apposita didascalia alla riproduzione del ludus Troiae sull’oinochoe di Tragliatella ed in esso erano evidenti i fini propagandistici, in quanto faceva da contrappunto ad un rilievo di giovani a cavallo, esposto nella sala romana dello stesso museo. Come si vede nella ricostruzione del percorso espositivo, fedele all’allestimento del 1941, le sale erano per lo più ordinate cronologicamente, ma la sala romana e quella rinascimentale erano poste in posizione di rilievo, una all’inizio e l’altra alla fine del percorso137. L’inversione tra la sala romana e quella etrusca suggerisce che quest’ultima cultura fosse da leggere solo alla luce della sua funzione formativa per la romanità.
Il cinema a scuola: Scipione l’Africano
90Il terzo esempio di attività extracurricolare, alla quale un gran numero di scuole aderirono, è la proiezione del film “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone, vincitore nel 1937 della quinta mostra del cinema di Venezia e del premio Mussolini. Il film fu proiettato nello stesso 1937 in quasi tutte le scuole italiane138. Proprio la sua funzione pedagogica, applicata allora in via del tutto sperimentale, lo rende un esempio interessante per il tema trattato. Al termine della visione del film da parte di un elevato numero di alunni, venne infatti condotto, per incarico del regime, uno studio pedagogico che prevedeva la raccolta sistematica di disegni e testi degli scolari sulle loro impressioni relative al film. L’inchiesta venne poi pubblicata sulla rivista del Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1939. Leggendo alcuni commenti al film dei bambini e dei ragazzi si nota come gli intenti propagandistici avessero ottenuto pienamente i loro effetti. Uno scolaro nel 1937 scrisse: “Scipione era un bell’uomo, forte, robusto e vittorioso; aveva ventiquattro anni e vinceva sempre. Annibale invece era orrendo aveva una barba spettinata e un occhio bendato”139.
91Tra le prime sequenze del film, fa la sua comparsa un etrusco, una immagine viva dell’idea che degli Etruschi si aveva (e si comunicava) durante il fascismo: il giovane uomo sfoggia ricche vesti, un berretto frigio, un himation riccamente decorato, con motivi che richiamano quelli della ceramica ellenistica a figure rosse e sovradipinta; da sotto al berretto frigio spunta un’abbondante capigliatura calmistrata, come quella dei dignitari cartaginesi che fanno la loro comparsa nel film, con chiara allusione all’origine orientale. L’etrusco sta mangiando qualcosa (frutta secca o semenze), si muove in continuazione, tentenna, si sposta da un piede all’altro; fa da spalla ad un romano, in semplici vesti contadine, solido, essenziale ed impettito, ideale della virtù contadina. Al di là del breve dialogo, sono la prossemica e l’atteggiamento corporeo a denotare una differenza contenutistica e simbolica tra le due figure.
Chiede il Romano: – E’la prima volta che vieni a Roma?
L’etrusco, masticando ed annuendo risponde: – Si!
Continua il romano: – Da dove vieni?
E l’etrusco, addentando del cibo: – Da Arezzo!
Il romano stupito: - Da Arezzo!?
92Risponde l’Etrusco con arroganza – Già! Ad ascoltare i vostri discorsi, mentre noi... prepariamo le armi!
93Questa immagine degli Etruschi, bonariamente negativa, contrasta in parte con l’arredo della casa di Scipione, nella quale, come notato da Giuseppe Pucci, una delle colonne è adornata con stucchi che replicano quelli della tomba dei Rilievi di Cerveteri140. Il legame tra Etruschi e Roma, anche se forse non immediatamente percepibile dalla maggior parte degli spettatori, ma solo da un pubblico specializzato o colto, continua ad essere proposto parallelamente alla loro immagine di popolo orientale dai facili costumi. Nel film si riflette quindi l’ambiguità già riscontrata nei manuali scolastici.
Conclusioni
94La storia degli Etruschi e degli altri popoli italici occupava una parte assai ridotta dei programmi scolastici e, conseguentemente, dei libri di Storia, nell’educazione scolastica fascista e nazionalsocialista. Tuttavia, l’analisi delle scelte relative al modo di presentare questa immagine fornisce preziose indicazioni relative a due diversi piani: sul piano della storia dell’Etruscologia, è infatti possibile, attraverso questo tipo di analisi, indagare il rapporto tra posizioni della comunità scientifica, propaganda politica e loro divulgazione; sul piano più generale, l’immagine degli Etruschi e delle popolazioni italiche, in virtù di alcune caratteristiche intrinseche a queste culture, si presenta come una cartina di tornasole dell’ingerenza della propaganda nell’insegnamento scolastico della storia.
95Per quello che riguarda il rapporto tra disciplina etruscologica, propaganda politica e divulgazione, si nota come le posizioni della comunità scientifica relative all’origine degli Etruschi venissero appositamente filtrate e selezionate, con intenzioni politiche, dalle istituzioni ministeriali di entrambi i regimi, prima di essere riportate sui libri di scuola. Questo atteggiamento, per lo più legato alla totalitarizzazione della scuola, ma in parte anche erede dell’idea ottocentesca della scuola come luogo di formazione politica, contribuiva all’appiattimento della disciplina nella sua percezione a livello divulgativo. Questo appiattimento era legato alla specifica intenzione di rimuovere la capacità di pensiero critico dalle menti delle giovani generazioni. La presenza di monumenti e di musei sul territorio, tuttavia, per quanto strumentalizzabile ed asservitale a finalità di propaganda, fu preziosa in Italia, in quanto costituì una sorta di argine all’assoluta prevalenza del mito di Roma. Anche la solidità della scuola scientifica e delle sue istituzioni universitarie e locali, contribuì alla salvaguardia di una trasmissione, pur parziale, a livello divulgativo, dei contenuti relativi agli Etruschi e alle popolazioni italiche. Questi due elementi potrebbero spiegare, in parte, il diverso trattamento del tema sui libri di scuola tedeschi: in questo paese, infatti, la sola presenza di una consolidata scuola filologica ed archeologica non fu sufficiente a salvaguardare gli Etruschi dall’assoluta condanna razziale e dalla quasi totale scomparsa dai libri di Storia. Questa trasmissione scolastica dell’immagine degli Etruschi ebbe effetti a breve e a lungo termine. Quelli a breve termine furono, in Italia, legati alla situazione caotica della scuola negli anni immediatamente seguenti alla Liberazione; i testi scolastici rimasero infatti quelli dell’ultima riforma141: i comitati dei Partigiani e degli Alleati misero in circolazione copie dei testi unici epurate dalle pagine di propaganda diretta, talora strappate, talora escluse dalla ristampa. L’immagine degli Etruschi fornita dal fascismo rimase per molti scolari italiani l’unica che ebbero nella vita. In Germania, i poveri accenni schematici agli Etruschi e agli Italici furono presto dimenticati e di questa immagine non rimase quasi nulla. Alcuni pregiudizi residuali sfuggirono alla comunità scientifica negli anni della ricostruzione: ad esempio, nel Knaurs Lexicon, una piccola enciclopedia tascabile, edita per la prima volta nel 1931, si legge ancora, nella riedizione riveduta e corretta del 1959, sotto la voce Etrurien: “altitalien. Landsch. zw. Tiber, Arno u. Apennin; das spätere Tuscia, heute etwa Toscana; Bew.: Etrusker; nach langen Kämpfen 280 v. Chr. v. d. Römern unterworf. Eigene Sprache und (griech. beeinflusste) Kunst, die auf Vorderasiat. Ursprung hindeuten; Blüte 8. – 6. Jh. v. Chr.”142.
96Gli effetti a lungo termine di questo divario che ancora oggi perdurano, furono, in Italia, il recupero della cultura e della storia degli Etruschi e delle popolazioni italiche nell’educazione scolastica, come forma di negazione dell’educazione fascista e come valorizzazione delle realtà locali e delle loro potenzialità; in Germania, la conseguenza fu la scomparsa di queste tematiche dai libri di Storia anche in età post-bellica. Questo gap non è più stato colmato e l’apporto degli Etruschi e delle popolazioni italiche nella Storia europea e del Mediterraneo antico sembra ignorato anche oggi nei libri scolastici tedeschi; la conoscenza di queste culture è lasciata, in Germania, ad altri tipi di esperienze culturali (artistiche, museali e turistiche), la maggior parte delle quali destinate a giovani e bambini provenienti da famiglie con un elevato capitale culturale. Queste riflessioni portano quindi a valutare non solo quanto l’annientamento di un’immagine legata alla conoscenza popolare di una cultura possa avere conseguenze disastrose e durature, ma anche quanto la mancata conoscenza delle sue ragioni non ne permetta un recupero responsabile.
97Venendo ora alle osservazioni di carattere più generale, che comportano dinamiche di tipo più ampio, occorre osservare che un punto in particolare, relativamente agli Etruschi ed alle popolazioni italiche, era sgradito alle dittature: la loro pluralità. L’Italia antica, luogo di scambio e di migrazione, ricca di culture diverse, in interazione continua tra loro, era una pietra di scandalo per le teorie razziali e per l’esaltazione della grandezza e compattezza delle origini patrie, sia in Germania che in Italia. Il tentativo di risolvere, nella trasmissione dei contenuti scolastici, lo scandalo costituito dalla coesistenza e dalla pacifica interazione delle molte culture dell’Italia antica, non si giocò tanto sul tema delle origini, dal quale il problema prendeva avvio. La propaganda totalitaria volle fornire, piuttosto, la sua soluzione nel modo di presentare la romanizzazione, quale elemento unificante, conquista militare e salvezza della razza ariana dalla corruzione. Una soluzione che ebbe due conseguenze a lungo termine particolarmente perniciose: una, superata solo in anni recenti, fu quella di considerare la romanizzazione come conquista militare ed assimilazione, come una progressione unitaria e non come processo in fieri di interazione culturale; l’altra, che nella mentalità comune è ancora oggi radicata, fu quella di suggerire che i popoli hanno un destino e che la loro sottomissione o assoggettamento fosse una conseguenza di questo destino143. In quest’ultimo caso la costruzione della memoria collettiva, attraverso l’educazione scolastica, divenne strumento di formazione della coscienza collettiva. Anche se dopo la caduta dei regimi era venuto meno il consenso delle masse, la strumentalizzazione del passato era riuscita a condizionare il futuro, infiltrando nelle menti dei bambini e dei giovani idee che, sotto l’aspetto di essere innocue e slegate dai totalitarismi, tennero in vita, per molto tempo dopo la loro caduta, parte del loro costrutto ideologico. Aldilà della riflessione sui rischi di una strumentalizzazione totalitaria del passato, l’analisi di quanto accaduto all’immagine degli Etruschi e degli Italici propone una sfida relativa alla potenzialità di queste culture per la formazione di una società pluralista ed al modo in cui questa immagine si vuol tramandare alle future generazioni.
Notes de bas de page
1 Desidero ringraziare le persone e le istituzioni senza le quali questo studio non sarebbe stato possibile. In particolare, per la documentazione relativa all’Italia: Isolina Baldi, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; Giovanni Da Vela e la Biblioteca Labronica di Livorno; Tatiana Nannucci e l’Archivio Contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Viesseux di Firenze; Annalisa Mangaretto e l’Istituto della Resistenza di Torino; Riccardo Biffoli, Biblioteca Comunale Dino Pieraccioni di Firenze. Per la documentazione relativa alla Germania: Frau Kerstin Schattenberg, Georg-Eckert-Institut für internationale Schulbuchforschung di Braunschweig; Westfälisches Schulmuseum di Dortmund; Bundeszentrale für politische Bildung Bonn. Per i materiali messi a disposizione in rete ringrazio inoltre il Centro di Documentazione Pedagogica INDIRE di Firenze; il museo digitale della scuola primaria; il centro di documentazione e ricerca sulla storia del libro scolastico e della letteratura per l’infanzia ed il museo “Paolo e Ornella Ricca” dell’Università di Macerata; lo Schulmuseum di Bolzano; il Deutsches Flistorisches Museum Berlin. Desidero ringraziare anche Marie-Laurence Haack, Martin Miller, Giovannangelo Camporeale e Robinson Krämer per i loro consigli, sempre molto attenti.
2 Nell’ultimo capitolo del citato libro di Gino Strada si legge “Un cecchino di Sarajevo si lascia intervistare in una stanza quasi buia. Mi sembra incredibile: è una donna. Una donna che spara a un bambino di sei anni? Perché? “Tra vent’anni ne avrebbe avuti ventisei” è la risposta che l’interprete traduce. Il freddo diventa più intenso, fa freddo dentro” (Strada 1999, 154).
3 B. Mussolini, discorso del 5 settembre 1935, in: Paolucci & Signorini 2010, 400: “Ora, poiché nella scuola passano tutti gli Italiani, è necessario che essa, in tutti i suoi gradi, sia intonata a quelle che sono, oggi, le esigenze spirituali, militari ed economiche del Regime. Bisogna che la scuola, non soltanto nella forma, ma soprattutto nello spirito, che è il motore dell’universo e la forza primordiale dell’umanità, sia profondamente fascista in tutte le sue manifestazioni”. Nello stesso senso, nel campo dell’insegnamento della storia che qui interessa, si può interpretare in Germania l’opera pedagogica di Dietrich Klagges (Klagges 1937) per la formazione degli insegnanti di questa materia (Chapoutot 2014, 96). In quest’opera si riportano alcune frasi di Hitler sull’importanza di un rinnovamento del modo di insegnare la storia, in relazione alle esigenze della politica: “Besonders muß eine Änderung der bisherigen Unterrichtsmethode im Geschichtsunterricht vorgenommen werden. [...] Wenn Politik werdende Geschichte ist, dann ist unsere geschichtliche Erziehung durch die Art unserer politischen Betätigung gerichtet” Trad.: C’è soprattutto necessità di intraprendere un cambiamento nell’insegnamento della Storia. [...] Se la politica è storia in fieri, allora la nostra educazione storica deve essere indirizzata dal modo della nostra attività politica (Klagges 1937, 103). In questa linea anche il proverbiale detto nazionalsocialista, estrapolato da un discorso di Hitler del 1935, “Wer die Jugend hat, hat die Zukunft”, ripreso da Kurt-Ingo Flessau nel 1977 (Flessau 1977, 9) che ha dato il titolo al lavoro di Regula Stucki (Stucki 2002, 1). Sul tema anche: Eilers 1963, 15; Schausberger 1980, 251.
4 Questo tipo di impostazione metodologica ed ideologica è riflesso anche da alcune fonti di storia della scuola, ad esempio un quaderno di un’aspirante maestra, riportato in Gibelli 2005, 240 sq.
5 In Germania, il disegno humboldtiano di scuola primaria pubblica per tutti (1803) era infatti sfumato per l’invasione napoleonica della prussia nel 1813 e l’accesso all’istruzione era, ancora al tempo della prima guerra mondiale, assai limitato per alcune classi sociali. In Italia, le nuove istanze portate avanti da Maria Montessori venivano invece assorbite dal fascismo solo in funzione di ridurre l’analfabetismo, ma rifiutate dal punto di vista dello sviluppo delle potenzialità creative del discente.
6 Sulla pressione ideologica alla quale fu sottoposta la storia antica come materia scolastica: Bittner 2001, 285. Sui precedenti: Gibelli 2005, 17 “Con la Grande Guerra la nazionalizzazione delle masse, il fare gli Italiani, diventa un’urgenza e non più un progetto a lungo termine”.
7 Ostenc 1986, 195-213.
8 Gibelli 2005, 230.
9 Wildt 2012, 60 sq.
10 Gibelli 2005, 181 sq.; Montino 2005, 106.
11 Ad esempio i giochi da tavolo tedeschi (c. 1935) “Feindliche Flieger in Sicht” (Deutsches Historisches Museum, Berlin inv. AK 99/393); (1941) “Adler-Luftwaffen Spiel” (Deutsches Historisches Museum, Berlin inv. AK 99/824); (1939) “Fang den Feind” (Deutsches Historisches Museum, Berlin inv. AK 2002/1018). Analoghi si trovano anche in Italia, ad esempio il gioco da tavolo dedicato alla conquista dell’Abissinia (1936) (Coll. Ciompi – Seville inv. 387, Villa 2013, in particolare pp. 84-90).
12 Per l’insegnamento della storia nei manuali scolastici post-unitari: Ascenzi 2004. Per i programmi di Weimar ed il loro rapporto con i programmi nazionalsocialisti: Bittner 2001, 287-291.
13 Un’epurazione che divenne effettiva soprattutto dal 1935 con la nomina del quadrumviro Cesare De Vecchi a Ministro dell’Istruzione: Ostenc 1986, 214-227.
14 Ad esempio le copertine dei diari e dei quaderni: Gibelli 2005, 229: “Le copertine di quaderno erano un indizio tipico dell’aspirazione del regime alla penetrazione capillare dei suoi messaggi, alla produzione seriale, in catene continue, del discorso pubblico, nonché una dimostrazione ulteriore della sua flessibilità mediatica, vale a dire della sua capacità di affidarsi, per queste operazioni, tanto alla solennità e alla grandiosità scenografica dei monumenti protesi all’eternità quanto alla banalità delle piccole cose per loro natura deperibili”. In dettaglio: Meda 2006a, 90 sq., con nota 50.
15 Tarquini 2011, 63 sq.
16 La scelta di mostrare ai bambini più piccoli i grandi personaggi della storia per suscitare l’interesse nella materia si inseriva in un filone pedagogico che già a partire dalla fine del xix secolo, nei quali erano presentati gli eroi fondatori del pensiero e della cultura italiana (Soldani 1984, 155; Ascenzi 2004, 99)·
17 V. infra.
18 Sulla Carta della Scuola e la Riforma Bottai: Ostenc 1986,228-269. In relazione alla storia antica: Visser 2001, 118 sq.
19 Nagel 2012,182-187.
20 Bittner 2001, 287.
21 Nagel 2012,169 sq.
22 Nei Piani di Studio di Storia per queste scuole si legge infatti: “Der Geschichtsunterricht soll den politischen Instinkt wecken und das politische Denken schulen” (Feller & Feller 2001, 185). Una sintesi dei punti principali della strumentalizzazione dell’insegnamento della storia si ha in Flessau 1977, 62.
23 Nagel 2012, 193.
24 Losemann 2001, 738.
25 Bittner 2001; Nagel 2012.
26 Reichs- und Preußisches Ministerium für Wissenschaft, Erziehung, und Volksbildung 1938, 90-93; v. anche Losemann 2001, 738: una sola ora di insegnamento della storia antica per metà dell’anno scolastico.
27 Ascenzi 2004, 23-25.
28 Per quello che riguarda la storia dei popoli italici, nella riforma del 1880 si raccomandava: “dalle origini italiche con cenni intorno alle immigrazioni più importanti e ai popoli anteriori alla fondazione di Roma” (Ascenzi 2004, 195). Come si legge nel verbale delle conferenze pedagogiche dell’Aquila del 1882, la storia deve “formare i sentimenti patriottici e civili” (Ibid., 43). Già tre anni più tardi, nel 1885, si era insinuata l’idea di presentare “l’Italia come erede di Roma antica” (Ibid., 211).
29 Ascenzi 2004, 91-101.
30 Così in Zani [192122] (1905), 13, nel passo riguardante Porsenna si inserisce una nota relativa a Chiusi, definita “Cittadina in provincia di Siena, dove tuttora si ammirano le vestigie dell’antica civiltà”.
31 “Istruire il popolo quanto basta, educarlo fin che si può” (Ascenzi 2004, 106).
32 A questo proposito si veda la sintesi di Antonio La Penna (La Penna 2001, 95).
33 Ascenzi 2004, 110-113, 123.
34 Pochettino & Olmo 1929, 10-19. v. infra.
35 Come tale la storia antica era motivo di scandalo per i regimi totalitari, sia in Italia che in Germania: v. Bittner 2001, 285.
36 Ascenzi 2004, 124-127, 143, 145. In particolare, nelle istruzioni allegate ai programmi del 1867, si sottolinea: “Esordire questa storia con la fondazione di Roma sarebbe esordire con un enigma perpetuantesi e riproducentesi ad ogni istante sotto forme diverse nell’antico ed anche nel medio evo. Quindi sarà opportuno, anzi necessario sarà, che il docente incominci ad esporre quanto v’è di più certo e di generalmente ammesso intorno alle origini italiche; alla potenza etrusca; alla limitazione che questa subì per le invasioni galliche da nord, per le colonie ioniche, doriche ed eoliche al sud; alla colonizzazione della pianura sotto il basso Tevere; dopo soltanto passi alla fondazione di Roma. Intorno alla quale, attenendosi alle tradizioni liviane, non mancherà di toccare gli appunti più gravi suggeriti dalla critica moderna, astinendosi però da insinuare pericoloso amore di sistema”. Ma anche come “Roma conquistò il mondo con le armi, lo domò colle leggi: l’opera della forza cadde, rimase immortale quella della sapienza legislatrice” (Ascenzi 2004, 270).
37 Ascenzi 2004, 32, 55, 146-171. Per quello che riguarda la posizione relativa agli Etruschi nella scuola normale di fine Ottocento, la loro immagine è presentata ancora molto positivamente (dal programma per la classe I della scuola normale in: Ascenzi 2004, 390): “Sarà opportuno che nella sua esposizione segua l’ordine dei tempi: attenendosi al filo dei fatti politici già noti agli alunni, egli potrà far vedere quanto maravigliosa fosse la civiltà degli Etruschi e dei popoli italici prima che Roma colla sua grandezza li oscurasse”. Come si nota, gli Etruschi non venivano presentati in funzione di Roma, ma come da essa “oscurati” nel corso di un’evoluzione cronologica.
38 Si può quindi sostanzialmente concordare con l’affermazione di Montino: “Il fascismo, dunque, non inventò niente, ma si pose nel solco di una tradizione che gli preesisteva. Quel che fece fu di imprimervi i suoi caratteri, accentuando lo spirito nazionalista e aggressivo della celebrazione della romanità, e quello autarchico e conservatore nell’esaltazione del ruralismo.” (Montino 2005, 17).
39 Questo atteggiamento, mirante all’esaltazione del mito della romanità in tutte le materie antichistiche che erano insegnate a scuola, è stato per esempio riscontrato anche per l’insegnamento del greco e del latino: Montino 2005, 16 sq.
40 Riflessi ad esempio nelle figure di Orazio Coelite, Muzio Scevola e Camillo.
41 Si vedano ad esempio, per il licei femminili: Weber 1861, 215-218. Per i ginnasi: Pütz 1873, 210-218.
42 Chapoutot 2014, 50 s.v. anche contributo di Haack 2016a. Per la storia antica come “Lebenskampf einer nordischen Herrenschicht” nelle Adolf-Hitler-Schulen: Scholz 1973, 212.
43 Tarquini 2011, 128-134.
44 La visita di Mussolini alla necropoli della Banditaccia a Cerveteri nel 1930 è una prova di questo atteggiamento di ricerca di continuità e di mancanza di percezione di un contrasto tra passato etrusco più antico e passato romano.
45 Ci sarebbe da chiedersi se nella figura di Porsenna non vi sia stata una proiezione più o meno conscia del passaggio di mano istituzionale tra la monarchia sabauda e Mussolini.
46 Ad esempio del tutto assenti cenni etnico-razziali in Zani[192122] (1905).
47 Ascenzi 2004, 127 dal punto di vista dei programmi. Relativamente alle popolazioni italiche e alla formazione della civiltà etrusca e romana, una posizione molto equilibrata, nella quale non compare una terminologia relativa alla razza si ha, ad esempio, nel testo di Zani, nel quale si parla di “popoli, elementi della nazione italica” (Zani[192122] (1905), 3 sq.). Per le fonti tedesche: Weber 1861, 215-218; Pütz 1873, 217 sq.; Hoffmann 1882, 1 sq.; Vogel 1917, 57 sq.
48 Ascenzi 2004, 367.
49 Losemann 2001, 738.
50 Storia razziale del popolo ellenico e romano (Günther 1929b). L’autore stesso rimanda (Günther 1929b, 75), per la “storia razziale” degli Etruschi ed il loro influsso a Roma alla sua precedente opera Rassengeschichte Europas del 1926 (Günther 1929a, 161-163).
51 II concetto di Entnordung era adottato in generale per ogni epoca storica per indicare la decadenza di una “razza”, dovuta al suo mescolarsi con “razze inferiori” considerate causa di corruzione genetica e morale v. anche Stucki 2002, 24-26.
52 Trad.: L’essenza nordica del primitivo sistema di valori contadino romano.
53 Per una sintesi: Bittner 2001, 298-301. Una summa di questo atteggiamento si trova poi nelle scuole di élite, in particolare nelle Adolf-Hitler-Schulen, dove la storia antica è incentrata sull’esaltazione del mito di Sparta e della sua funzione nella formazione dello spirito della nuova Germania e per il resto si dà rilievo solo alla storia più recente, in funzione di formare lo spirito nazionalsocialista: Orlow 1965, in particolare 280; Scholtz 1973, 212; Miller 2012, 244 con nota 74 (in particolare in riferimento al quaderno integrativo edito da O. W. von Vacano: “Sparta. Der Lebenskampf einer nordischen Herrenschicht”: Vacano von 1940).
54 Chapoutot 2014, 95.
55 v. Haack 2016a.
56 Così dichiarava Mussolini il primo novembre 1928 al momento dell’approvazione dell’Istituzione del libro di testo unico, da parte del Consiglio dei Ministri (in: Ostenc 1997, 388).
57 Ascenzi & Sani 2005, 9, 11-21.
58 Ascenzi & Sani 2005, 21-29.
59 Dalla Relazione della commissione d’esame per i libri di testo da adottarsi nelle scuole Elementari e nei corsi integrativi di avviamento professionale [1928]. Presid. Alessandro Melchiori (in: Ascenzi & Sani 2005, 29): “Eliminati quei testi di Storia e Geografia nei quali si rivelarono vere e proprie inesattezze di fatto, eliminati quelli che non rispondevano ai programmi o per gravi lacune o per eccesso di materia o per difetti di esposizione, respinti quelli che sono apparsi inadatti alla formazione spirituale del fanciullo italiano perché fiacchi nello spirito nazionale e fascista, la Commissione si è trovata nella dolorosa contingenza di non poter scegliere tra i numerosissimi volumi di Storia e Geografia presentati all’esame nessun libro che rispondesse perfettamente ai fini della scuola fascista e meritasse una vera e propria approvazione. [...] Di fronte a tale non felice esito del suo esame la Commissione deve esprimere tutto il suo compiacimento per aver appreso nel corso dei suoi lavori che la E.V. ha deliberato di fornire finalmente la Scuola elementare di libri di testo di Stato”.
60 “La necessità di assicurare alle nuove generazioni un’educazione strettamente nazionale e fascista, hanno consigliato di compiere un ardito passo in avanti, proponendo la formazione di un libro unico di Stato, che sia strumento pienamente adatto alla formazione del cittadino italiano nuovo” (Disegno di legge n.2169 presentato il 19 novembre 1928, Norme per la compilazione e L’adozione del testo unico di Stato per le singole classi elementari), da: Genovesi 2009, 62 e nota 7.
61 Le copie da me consultate sono quelle conservate nella Biblioteca del Museo Nazionale del Risorgimento e all’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino.
62 Panero 2008, 16.
63 Si veda ad esempio la fonte citata in Schnorbach [1995] (1983), 125-127.
64 Ad esempio si veda Pütz 1873, in particolare 210-218.
65 Per gli Schulhefte in generale: Eilers 1963, 28; Stucki 2002. Per gli Schulhefte delle SS: Chapoutot 2014, 95. v. anche più in generale Nagel 2012, 196. Per i nuovi sussidi didattici ed i libri di storia nelle Adolf-Hitler-Schulen: Feller & Feller 2001, 184 sq., 192 sq.; Miller 2012, 244.
66 Eilers 1963, 30.
67 Panero 2008, 16.
68 Ostenc 1986, 147; Bittner 2001, 294-297.
69 v. supra.
70 Ausoni 1924, 10.
71 Ausoni 1924, 31.
72 Ausoni 1924, 31.
73 Ausoni 1924, 32. Questa affermazione si inserisce sulla linea dei manuali post-unitari, ad esempio quello di Zani, nel quale l’episodio di Clelia è così introdotto: “Le donne romane non avevano coraggio e valore inferiore agli uomini, e lo prova il seguente fatto.” (Zani [192122] (1905), 15).
74 In esso infatti si possono leggere affermazioni del tipo: “Rome, pendant cette longue période, tient sa place, une place bien modeste, dans l’histoire générale de l’Italie, jusqu’au jour où la formation de la première unité italienne à son profit intervertira les rôles et remettra aux mains de la cité du Tibre les destinées de la péninsule tout entière” (Homo 1925, 32 sq.) Trad.: “Roma, durante questo lungo periodo, occupò il proprio posto, un posto assai modesto nella storia generale dell’Italia, fino al giorno in cui la formazione della prima unità italiana avrebbe invertito i ruoli a suo favore, rimettendo nelle mani della città del Tevere i destini di tutta la Penisola”. Accompagnate da un’impostazione critica delle fonti antiche, in particolare degli storici latini, che porta a rivalutare l’importanza delle popolazioni italiche nella formazione storica dell’Italia”. Nel primo capitolo del libro II della sua opera, intitolato L’heure de Rome et la première unité italienne, l’autore riconosce a Roma il merito di essere riuscita, in tre secoli di “lotte e sforzi”, ad unificare l’Italia, tuttavia aggiunge senza mezzi termini che questo avvenimento non fu programmato da Roma stessa e che “n’était pas du Romain, esprit précis, timoré et sans imagination, qu’on pouvait attendre les conceptions à longue portée et les spéculations aventureuses”, (ibid, 80) e nel capitolo III dello stesso libro, dal titolo L’empire étrusque egli attribuisce addirittura agli Etruschi il primo tentativo di unificazione della Penisola (Ibid., 119-155).
75 Pochettino & Olmo 1929, 19.
76 Per l’attività del regime fascista a Populonia, nel recupero delle scorie ferrose: Fedeli 1983, fig. 14-15, 31, 29-35; Romualdi 1985, 185.
77 Pochettino & Olmo 1929, 12 sq.
78 Olmo 1936, 2.
79 Olmo 1936, 2.
80 Olmo 1936, 4.
81 Olmo 1936, 9.
82 Genovesi 2009, 137 sq.
83 Testo Unico 1936, 98.
84 Testo Unico 1936, 104.
85 Testo Unico 1936, 105.
86 Ad es. Gehl 1941, 73 sq. v. infra.
87 Ad esempio: Hoffmann 1882, 1. Sull’origine degli Etruschi: “Nach den Italikern sind wahrscheinlich über die rätischen Alpen die Etrusker, griechisch Tyrrhener, nach Italien gekommen, ein Volkstamm, dessen Ursprung und Stellung unter den anderen Völkerschaften wir nicht kennen, da es noch nicht ganz gelungen ist, die ziemlich zahlreichen Überreste seiner Sprache zu entziffern” Trad.: Dopo gli Italici arrivarono in Italia, probabilmente dalle Alpi retiche, gli Etruschi, in greco Tirreni, dei quali non conosciamo l’origine e la posizione tra le altre popolazioni, perché non si è ancora riusciti a decifrare le vestigia, relativamente numerose, della loro lingua.
L’autore, però, sorvola sull’origine etrusca dei tre re romani e si dilunga piuttosto sui fatti di Porsenna in relazione alla restaurazione di Tarquinio Prisco (Ibid., 9 sq.). Vogel 1917, sugli italici: 57-59. degli Etruschi si dice “deren Rasse unsicher ist” (Trad.: la razza dei quali è incerta) con nota 2, dove si specifica che potrebbero essere di “razza alpina” per alcune caratteristiche fisiche, ma forse anche autoctoni. Sugli Etruschi a Roma e sulle loro opere civilizzatrici, ibid.: 63-65.
88 Neubauer [1933] (1898).
89 Neubauer 1933, 40. Trad.: Dopo venne Roma – e questo riflette la verità storica – sotto il dominio di una monarchia etrusca; gli Etruschi abitavano le regioni settentrionali ed erano la più antica civiltà d’Italia, avevano città notevoli ed esercitavano la produzione ed i commerci, le loro navi battevano il mare; gli Etruschi furono un tempo il più potente popolo d’Italia.
90 Gutmann & Stoll 1938, 111 sq. Trad.: Questi Italici avanzarono fino all’Italia centrale, della quale occuparono il cuore, in particolare l’odierna Toscana. [...] L’elemento indogermanico in Italia ricevette quindi, intorno al 1000 a.C. un incremento di rinforzo dalle vecchie sedi di origine grazie al passaggio delle Alpi orientali. L’origine nordica del ceto dominante si mostra non solo nella loro costituzione solida, nei capelli biondi e negli occhi azzurri, ma anche nell’attitudine caratteriale nordica: nella riservatezza, mancanza di propensione all’altruismo, senso della collettività e coscienza della razza del vero antico romano. Dobbiamo fare menzione di un ulteriore elemento del popolamento in Italia, gli Etruschi, che tra il 1000 e l’800 dell’era presente giunsero dall’Asia via mare. Conquistarono la regione che poi prese da loro il nome di Etruria, lungo la costa occidentale della Penisola, tra il fiume Tevere, il Golfo di Genova e l’Appennino.
91 Chapoutot 2014, 97. v. Krämer 2016.
92 Chapoutot 2014, 97·
93 Gehl 1940, Gutschein.
94 Gehl 1940, 72 sq. Trad.: Poco più tardi dei nordici italici, gli Etruschi erano venuti per mare dall’oriente. Si erano infiltrati nella pianura padana orientale e a sud dell’Appennino nella Toscana, ricca di risorse minerarie (regione che prende il nome dal loro nome latino, Tusci). Qui si erano sovrapposti ai Liguri occidentali. Anche dalle Alpi gli apporti orientali divennero sempre più imponenti, Gli Etruschi vivevano dissipatamente, grazie al lavoro della massa servile, in insediamenti stabili. I loro re regnavano con sfrenatezza orientale. Questo si rifletteva già nei loro simboli: un mazzo di verghe (fasci), in cui era nascosta una scure. Una credenza nei demoni oscuri e in terribili sofferenze infernali serviva a controllare il popolo. A questo si cercava di porre rimedio, prevedendo il volere degli dei. Si faceva attenzione ad ogni sorta di segno celeste, si osservava il volo degli uccelli, le interiora sanguinanti delle offerte animali appena sacrificate. La conoscenza di questi segni premonitori (Auspici) era riservata ai sacerdoti (gli àuguri) che, alla maniera orientale, avevano un decisivo influsso sulla vita politica. Come temuti pirati, gli Etruschi resero il mare intorno all’Italia il Mare Tirreno (dal loro nome greco, Tirreni). Nel vi secolo la loro potenza regnava in Italia dal Nord fino al Lazio e alla Campania. Monarchi etruschi governarono anche la città di Roma.
95 Gehl 1940, 73 sq. Trad.: Roma sembrava poter diventare il punto di partenza naturale della sovranità etrusca sul Mediterraneo. Nelle famiglie nobili romane scorreva sangue etrusco; alcuni gentilizi romani si riconducono ad un’origine etrusca; persino il Tevere e la stessa città di Roma portavano nomi etruschi. L’aruspicina e l’osservazione del volo degli uccelli, i Romani li avevano ereditati dagli Etruschi. Gli Etruschi erano stati i loro maestri nell’architettura in pietra. La toga purpurea dei più alti magistrati, la musica militare, l’uso del corteo trionfale, i fasci, i giochi gladiatori, hanno ugualmente origine etrusca.
Tuttavia, anche sotto il dominio straniero, i Romani conservarono la loro lingua latina e così anche i propri costumi. Infine i Romani rovesciarono il dominio straniero dei re etruschi. Così salvarono tutta la latinità, in modo che non fosse assorbita dai costumi etruschi. I contadini nordici, non gli asiatici cittadini, determinarono allora il seguente futuro dell’Italia.
96 Meerkaß 1941, 5. 10; Trad.: 1. Perché si parla di Storia Romana? Perché alla città di Roma si deve l’unificazione di tutti i popoli d’Italia in un solo popolo e la costruzione di un impero mondiale. 2. Quali erano i principali popoli della penisola appenninica? Gli Italici in Italia centrale: Sabini – nel Sannio, una regione montuosa dell’Appennino centrale. Latini – in Lazio, la vasta pianura solcata dal Tevere. A Nord dei Latini vivevano gli Etruschi. Dall’odierna Francia si erano infiltrati nella pianura padana, attraverso le Alpi, i Galli celtici. La parte meridionale della penisola era in possesso dei Greci. [...] 4. Quali sono i re che avrebbero regnato a Roma? I seguenti 7: Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. – L’età regia durò a Roma tra il 753 ed il 510 a.C. Rimane un periodo oscuro della storia. [...] Quali guerre condusse Roma contro gli Stati vicini? a. Contro gli Etruschi: il re Porsenna mosse senza successo contro Roma. b. La guerra contro i Latini: i Romani vinsero al Lago Regillo. c. Dieci anni di battaglia con la città rupestre di Veio: nel 396 a.C. i Romani, sotto la guida di Camillo, presero la città. Conseguentemente tutta l’Etruria meridionale divenne romana.
97 Reichs- und Preußisches Ministerium für Wissenschaft, Erziehung, und Volksbildung 1938, 243 sq. L’insegnamento delle lingue antiche divenne infatti un ulteriore pretesto per l’esaltazione del mito di Roma in Italia e del mito del pangermanesimo e della razza ariana in Germania (Flessau 1977, 87). Su questo punto si veda anche Chapoutot 2014, 140-143; 147 sq.
98 In generale: Meda 2007; Gibelli 2005, 221. 226-230. Per quello che riguarda l’insegnamento della storia antica si può notare come il ricorso ad un solido apparato iconografico fosse già stato insistentemente proposto dalla commissione Lombardo Radice: “la illustrazione, che soltanto quella, tratta dalle numerose reliquie che i nostri archeologi conservano ed hanno illustrato, può dare al ragazzo un’idea esatta” (Ministero della Pubblica Istruzione – Direzione Generale dell’Istruzione elementare, Relazioni sui libri di testo per le scuole elementari e popolari ed elenco dei libri approvati. I. Libri di testo per l’insegnamento della storia e della geografia, Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione, 1923, suppl. 2° al n. 26, 5-46 in: Ascenzi & Sani 2005, 81) si propone inoltre l’uso di ritratti storici tratti da statue, da accompagnare alle bibliografie di personaggi illustri e l’uso di scene illustrate per accompagnare gli episodi della storia aneddotica, per le quali si approva il ricorso a quadri del periodo romantico o anche precedenti e si aggiunge infine che sarebbe consigliabile un elenco delle cinematografie utili all’apprendimento della storia.
99 Gibelli 2005, 221.
100 Ascenzi & Sani 2005, 143.
101 Ascenzi & Sani 2005, 148 sq.
102 Anche tenendo conto che il giudizio della commissione si riferiva a tutto l’apparato iconografico e non alle poche immagini relative al nostro tema, il piccolo saggio che esse permettono è già significativo per enucleare alcuni punti di attrito tra le scelte dell’autore, pensate per un libro della scuola postunitaria e le nuove esigenze totalitarie.
103 Zani [192122] (1905), rispettivamente figure a p. 13, 14, 20.
104 Ausoni 1924, figg. 27-28.
105 Ausoni 1924, fig. 33.
106 Karlström 2005, 342-344.
107 Dennis 1848, 17.
108 V. supra.
109 Tramontani 1791,56, nota 3, Tav. I, 80.
110 (British Museum, invv. 1850, 0227.1; 1850, 0227.16). Ringrazio Robinson Krämer per avermi segnalato questa trasposizione del contesto vulcente e per l’individuazione del disegno di Dennis da cui è stata tratta l’immagine della tomba delle Iscrizioni di cui sopra.
111 Pochettino & Olmo 1929, 13-15.
112 A questo proposito si può notare una piccola immagine dei littori con i fasci, nel libro di Ausoni, con una lunga didascalia che evita di menzionarne l’origine etrusca.
113 Gehl 1940, fig. 40, 73. I popoli della penisola appenninica.
114 Con un sensibile scarto rispetto al libro scolastico italiano di Libero Ausoni (v. supra), nel quale la didascalia indica il vaso come etrusco.
115 Riportare questa figura su un libro di testo di storia, nel 1940, denota una conoscenza dell’autore degli ambiti scientifici più vicini al regime. Il sarcofago chiusino divenne infatti uno dei cavalli di battaglia degli studi razziali sugli etruschi, culminato nell’articolo di Bux (Bux 1942, 6 con letteratura pregressa). Da notare come non tutta la comunità scientifica fosse allineata con queste posizioni e che esse, pur in linea con la propaganda del regime, erano considerate comunque estreme, come si nota dalla presa di distanza dei curatori (Bux 1942, nota 1, 2).
116 Gehl 1940, fig. 115-117, 28. Günther 1929b, fig. 14, 30.
117 Gehl 1940, fig. 120, 29. Trad.: Antico contadino romano. Testa in bronzo.
118 Sul condizionamento attraverso le copertine dei quaderni e dei diari ed il suo impatto anche sulle famiglie degli alunni, si vedano in particolare: Meda 2006a; Meda 2007.
119 Meda 2007, 293 in particolare.
120 Alcuni di questi pannelli, con la rappresentazione di un villaggio su palafitte, sono ad esempio conservati al Westfälisches Schulmuseum di Dortmund, atri sono conservati al Saarländisches Schulmuseum di Ottweiles.
121 Museo della Scuola di Bolzano.
122 Variabilità che si riscontra anche nella scelta degli almanacchi e dei sussidiari a carattere regionale, come indicato nelle recensioni delle commissioni di verifica: Ascenzi & Sani 2005, 400-402.
123 Montino 2005, 41.
124 Flessau 1977, 20; Wildt 2012, 61. Queste attività extracurricolari erano in particolare proposte per le scuole di élite, ad esempio le Napola (Moser 2014, 46-51).
125 Klagges 1937, 156-163.
126 Le prime proiezioni nelle scuole risalivano già alla Repubblica di Weimar (Waibel 2010, 181).
127 Prisco 2008, nota 35, 255.
128 Per la circolare: Prisco 2008, 231 e nota 63, 257.
129 Meda 2006b, 298.
130 Per la questione degli Etruschi nella Mostra Augustea della Romanità: Haack 2016b.
131 Pallottino 1937, 519 “Dalle scritte della facciata che, immensi richiami, ammoniscono i visitatori e i passanti sulla potenza indistruttibile di Roma, sulle doti della gente italica, sulla universalità della politica romana”.
132 Vighi 1937, n. 58, 39. A proposito delle oreficerie orientalizzanti (fibula della tomba Regolini-Galassi di Cerveteri e pettorale della Tomba Barberini di Palestrina, si dice: “Testimoniano la profonda influenza etnisca nella vita di Roma, e ci danno un indice del grado di civiltà raggiunto in questo periodo.” Ibid. n. 62, 40 a proposito dell’Apollo di Veio, si accenna all’opera di Vulca nel Tempio di Giove Capitolino a Roma. v. Haack 2016b).
133 Vighi 1937, n. 62a, 40. Sembra anche significativo come la sola testa maschile sia stata estrapolata per l’esposizione.
134 Vighi 1937, n. 64 e n. 65, 40 sq.
135 Vighi 1937, 44.
136 A Firenze era operativo dal 1925 il Comitato Permanente per l’Etruria, diventato nel 1932 Istituto di Studi Etruschi e Italici (Camporeale 2000, 31; Haack 2016b).
137 In modo da trasmettere il messaggio del fascismo come “terzo umanesimo”, seguito a quello di Roma antica e a quello del Rinascimento (Visser 2001, 112). Una scelta che ricalcava quella della Mostra Augustea della Romanità (v. Haack 2016b).
138 Montino 2005, 41; Gibelli 2005, 221, 232-240; Pucci 2014, 302-309, in particolare sul questionario e le intenzioni pedagogiche, 303.
139 Da un inchiesta sulla rivista “Bianco e nero”. Quaderni mensili del Centro Sperimentale di Cinematografia (Chiarini 1939, in: Gibelli 2005, 233).
140 Pucci 2014, nota 25, 304.
141 Montino 2005, 179-188.
142 Zeller 1959, 148 s.v. Etrurien. Trad.: Etruria: paesaggio dell’Italia antica tra Tevere, Arno ed Appennino; più tardi Tuscia, coincidente all’incirca con l’odierna Toscana; Abitanti: Etruschi; dopo lunga battaglia sconfitti dai Romani nel 280 a.C. Lingua ed arte propria (influenzata dalla Grecia), che indicano un’origine microasiatica; massimo splendore: viii-vi sec. a.C.
143 In particolare: Klagges 1937, 149, 167; Schausberger 1980, 258.
Auteur
Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität Bonn, Institut für Archäologie und Kulturanthropologie, Abteilung für Klassische Archäologie; s5radave@uni-bonn.de
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