Il patrimonio culturale per le “città sostenibili”
p. 143-159
Texte intégral
1. Le «città sostenibili» tra l’Agenda 2030 e l’Enciclica Laudato Si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della Casa Comune
1Nel 1987, il cd. Rapporto cd. Brundtland (Report Our Common Future) introduce ufficialmente il concetto di «sviluppo sostenibile», definendolo «uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Ben si può affermare come la dimensione originaria del concetto sia piuttosto circoscritta e sostanzialmente limitata alla prospettiva ecologica, e, più precisamente, al risparmio delle materie prime e, in generale, delle risorse ambientali1.
2Risale tuttavia a qualche anno più tardi e, precisamente, alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, United Nations Conference on Environment and Development: UNCED or Earth Summit, il vero e proprio conio dell’espressione «sviluppo sostenibile», come «diritto allo sviluppo» da attuarsi «in modo da soddisfare equamente i bisogni di sviluppo e ambientali delle generazioni presenti e future»; con tale dichiarazione, l’attenzione si concentra in modo più specifico sulla relazione tra ambiente e sviluppo, consolidando la prospettiva di cooperazione, condivisione e di consenso internazionale (principio 12 e sgg.); prendono forma, così, i cd. tre pilastri dello sviluppo sostenibile, ossia quello economico, quello di tutela ambientale e quello sociale, sulla constatazione per cui un diritto ambientale «efficace», non può ripercuotersi negativamente, dal punto di vista dei costi economici e sociali, sui Paesi terzi, in particolare su quelli in via di sviluppo (principio 11).
3Molta strada è stata fatta da allora, ma sostanzialmente l’impostazione sui tre pilastri emersa da quella Conferenza si è consolidata nel tempo e, pur con progressivi arricchimenti e puntualizzazioni, si è confermata come struttura fondamentale del principio stesso.
4Il 25 settembre 2015 è stato adottato, a New York, il documento finale del Summit delle Nazioni Unite dedicato all’adozione di un programma di sviluppo per il periodo successivo al 2015, intitolato appunto «Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development». L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile rappresenta ad oggi l’approdo più recente del tema e plasma l’idea più matura di «sviluppo sostenibile».
5Il programma che ne emerge è pervaso dall’idea di collaborazione, evidente fin dal Preambolo in cui si afferma come «tutti i Paesi e tutte le parti in causa, agendo in associazione collaborativa, implementeranno questo programma», e rappresenta un piano d’azione per l’umanità e il pianeta diretto a tutti i Paesi del Mondo, senza distinzioni quelli sviluppati e quelli in via di sviluppo, tutti chiamati ad agire per metterlo in opera, di concerto e ciascuno secondo le proprie capacità.
6Secondo una linea di continuità coi Summit che l’hanno preceduto, a partire da quello di Rio del Janeiro del 1992, esso poggia sui tre pilastri dello sviluppo sostenibile, ossia, come si è detto, lo sviluppo economico, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente, di cui si riafferma solennemente la stretta interdipendenza.
7Rispetto ai precedenti, tuttavia, l’Agenda 2030 ha l’espressa ambizione di costituire un accordo storico portatore di una serie completa di obiettivi (e targets) di carattere universale che si iscrivono nel prolungamento degli obiettivi del Millennio per lo sviluppo, considerati irrinunciabili per la trasformazione generale finalizzata a liberare l’umanità dalla povertà e dal bisogno di prendersi cura del pianeta e di preservarlo. Il programma, tuttavia, va molto al di là degli obiettivi del Millennio: da una parte, infatti, si attribuisce particolare attenzione a obiettivi che, anche se inclusi tra quelli, non erano stati raggiunti (in particolare quelli relativi alla salute materna, neonatale e infantile e alla salute riproduttiva); d’altra parte, e per quanto qui di interesse, esso pone anche molti nuovi obiettivi economici, sociali e ambientali, e prevede altresì esplicitamente l’avvento di società più pacifiche e inclusive.
8Ai fini che qui rilevano, si può osservare come i 17 obiettivi del programma – e i relativi 169 nuovi targets – concernano problematiche molto ampie e complesse : eliminazione della povertà e della fame; buona salute e benessere; educazione di qualità; acqua pulita e igiene; energia pulita a costi abbordabili; lavoro dignitoso e crescita economica; industria, innovazione e infrastrutture; riduzione delle disuguaglianze; città e comunità sostenibili; consumi responsabili; lotta contro il cambiamento climatico; vita sott’acqua e sulla terra, pace e giustizia e istituzioni forti, partnership per la realizzazione degli obiettivi.
9Di particolare interesse in questa sede, l’11° obiettivo, intitolato a «città e insediamenti umani sostenibili», che comprende l’impegno a «rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili».
10L’attenzione per le città e, in generale, per gli insediamenti umani, posta da un documento dedicato allo sviluppo sostenibile, è particolarmente significativa in un momento storico in cui la previsione, al momento del Summit, era quella che, a fronte del forte incremento allora in atto del numero di persone che vivono nelle città, si riteneva che avrebbe raggiunto i 5 miliardi entro il 2030, determinando così pressioni insostenibili sui sistemi urbani. Per rispondere a tali flussi, infatti, le città sono in via di rapidissima trasformazione a ritmi sconosciuti in passato, e divengono vieppiù «micro-cosmi» dove si concentrano le più grandi sfide della vita delle persone e dove, conseguentemente, diviene sempre più importante e urgente saper rispondere a nuove esigenze. La risposta ai bisogni della città acquista una dimensione necessariamente «ultra-locale», assumendo una valenza per così dire universale e, questo, non solo perché, come si avrà modo di evidenziare nel prosieguo, la gestione della città impatta su aree di più ampio respiro, ma anche perché il benessere delle persone si misura prima di tutto proprio all’interno dell’insediamento umano in cui vivono, poiché è di tale realtà che l’uomo ha, soprattutto, immediata percezione e, dunque, in riferimento al quale massimamente apprezza e valuta la qualità della vita e la dignità stessa dell’esistenza.
11In effetti, la rapida crescita del numero di persone concentrate nelle città, pone una quantità di problemi che, se non adeguatamente affrontati, finiscono per compromettere la qualità della vita e la dignità delle persone, obiettivi fondamentali di tutti i documenti consacrati allo sviluppo sostenibile (a titolo meramente esemplificativo, si pensi ai problemi legati all’inquinamento, all’accesso ai servizi di base, all’insufficienza di abitazioni adeguate e alla salute pubblica).
12Per questa ragione, già al punto 34, si legge espressamente che «riconosciamo che lo sviluppo e la gestione urbani sostenibili sono cruciali per la qualità della vita dei nostri concittadini», e pertanto significativamente si legge l’impegno a lavorare «con le autorità e le comunità locali per rinnovare e pianificare i nostri insediamenti umani e urbani, in modo da promuovere la coesione tra le comunità, la sicurezza personale e per stimolare l’innovazione e l’occupazione». A ben vedere, nella visione dell’Agenda, la città non è vista come entità a sé stante, ma l’attenzione verso le problematiche che le sono proprie proietta un miglioramento che impatta su realtà territoriali ben più ampie. La città è infatti, al contempo, «bersaglio» di pressioni che ne compromettono la vivibilità dignitosa2 e causa, a sua volta di squilibri di più ampia portata, ove tali pressioni siano mal gestite3.
13Di sicuro interesse per le tematiche affrontate in questi incontri, è evidenziare come la prospettiva in cui l’Agenda si muove mostri significative analogie con l’Enciclica Laudato si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della casa comune, sostanzialmente coeva al Summit di New York4. Prima di tutto, anche il Santo Padre si rivolge a «tutti»5, ossia non solo ai cattolici, ma ad «ogni persona che abita questo pianeta», poiché tutti siamo chiamati, in quanto esseri umani direttamente coinvolti, ad affrontare la sfida ambientale6. Deve inoltre rilevarsi come, anche in tale sede, appaiano centrali il richiamo ai temi della cooperazione e alla solidarietà, che devono necessariamente essere globali a pena della vanificazione degli sforzi, anche eventualmente cospicui, compiuti dai più per la protezione della Terra, significativamente definita quale «casa comune» (es. P.to 13 e, soprattutto, 14).
14Circoscrivendo l’attenzione a quanto di rilievo in questo studio, vale la pena osservare come nella parte dedicata al «deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale», è dedicata grande attenzione alle città, la cui vivibilità risulta minata dall’inquinamento originato dalle emissioni tossiche, dal caos urbano, dai problemi di trasporto e dall’inquinamento visivo e acustico, dalla mancanza di spazi verdi sufficienti (n. 44), ma anche dall’esclusione sociale, dalla disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo dell’energia e di altri servizi, dalla frammentazione sociale, dall’aumento della violenza e dal sorgere di nuove forme di aggressività sociale, il narcotraffico e il consumo crescente di droghe fra i più giovani, la perdita di identità (n. 46). Tutti temi che, a ben vedere, sono identicamente oggetto di attenzione nell’individuazione dei 10 targets riferiti alle città sostenibili dall’Agenda 2030.
15Per meglio mettere a fuoco il tema di cui si va trattando, sulla base dei 10 targets individuati all’interno dell’11° obiettivo dell’Agenda 2030, e in cui questo si scompone, è possibile rilevare come l’oggetto sia la città nel suo complesso, che deve ottenere attenzione nella direzione di un deciso miglioramento della qualità della vita che ivi si svolge, in primis quella degli abitanti, ma non esclusivamente, come dimostra il riferimento anche alla sicurezza e all’accessibilità ai trasporti, interessi, questi, che investono inevitabilmente anche i «fruitori» occasionali della città stessa.
16La qualità dell’abitato diviene strumento di garanzia della qualità della vita e dell’inclusione sociale, ancora una volta mostrando una significativa analogia con l’Enciclica di Papa Francesco citata, in cui un’intera Parte (la IV) è dedicata al «Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale»; all’interno di essa, particolare enfasi è attribuita, infatti, proprio al tema della città vista come ambiente in cui massimamente l’uomo vive in una dimensione innaturale («Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura», n. 44) e in cui, soprattutto, si consumano politiche discriminanti, fino al punto da indicare parte dei cittadini come «i più deboli», ma anche come «gli esclusi» e financo «gli scartati della società», termini volutamente piuttosto forti che mirano ad enfatizzare le forti differenze tra uomini e le iniquità che ne derivano.
17L’Agenda si mostra realmente sensibile a tali tematiche, rappresentando evidentemente la prospettiva laica del tema, ma comunque, per molteplici versi, fortemente assonante a quella religiosa.
18In effetti, è significativo evidenziare come le caratteristiche strutturali della città e dei suoi servizi siano attenzionate attraverso i bisogni degli abitanti. Per rendersi conto di quanto affermato è sufficiente leggere quanto segue: «garantire a tutti l’accesso ad alloggi adeguati, sicuri e convenienti e ai servizi di base e riqualificare i quartieri poveri» (11.1); l’attenzione verso il sistema dei trasporti «con particolare attenzione ai bisogni di coloro che sono più vulnerabili, donne, bambini, persone con invalidità e anziani» (11.2) ; l’idea dell’urbanizzazione «inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificare e gestire in tutti i paesi un insediamento umano che sia partecipativo, integrato e sostenibile» (11.3) ; attenzione per «protezione dei poveri e delle persone più vulnerabili» è anche raccomandata in riferimento «ridurre in modo significativo il numero di decessi e il numero di persone colpite e diminuire in modo sostanziale le perdite economiche dirette rispetto al prodotto interno lordo globale causate da calamità» (11.5) e, infine, è altresì raccomandata un’attenzione particolare ai bisogni di «donne, bambini, anziani e disabili» relativamente all’«accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili» (11.7).
2. La protezione del patrimonio culturale come strumento di realizzazione di «città sostenibili»
19A parere di chi scrive, merita particolare attenzione il fatto che tra i traguardi previsti nell’ambito dell’11° obiettivo, il Programma menzioni anche la necessità di «rafforzare gli sforzi di protezione e conservazione del patrimonio culturale e naturale mondiale»
20L’interesse per questa affermazione deriva dal fatto che, ancorché nel programma del 2015 essa non costituisca l’unico riferimento alla cultura intesa nel suo significato più generale 7, tuttavia si tratta del solo riferimento alla protezione del patrimonio culturale in quanto strumentale al perseguimento di obiettivi di sviluppo sostenibile8.
21Prima di qualunque ulteriore approfondimento sul tema, conviene precisare come, secondo chi scrive, il concetto di «patrimonio culturale» contenuto nel Programma del 2015 sembri coincidere con quello di «patrimonio urbano» di cui alla raccomandazione Unesco del 2011 concernente il paesaggio urbano storico, secondo la quale «il patrimonio urbano costituisce per l’umanità un bene sociale, culturale ed economico, definito da una stratificazione storica di valori che sono stati prodotti dal succedersi di culture passate e contemporanee e un accumulo di tradizioni e di esperienze, riconosciute come tali nella loro diversità»; dunque, esso fa riferimento non solo al patrimonio mondiale dell’umanità (come definito nella convenzione UNESCO per la protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale del 1972), ma altresì ad un concetto più ampio e maturo, che include altresì (allo stesso modo che il patrimonio storico artistico), il patrimonio immateriale (conformemente alla convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003) e le differenze culturali che, a partire dalla Convenzione UNESCO del 2005 sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali del 2005, divengono esse stesse una ricchezza da salvaguardare.
22Ancora una volta può senz’altro rimarcarsi l’assonanza con le parole del Santo Padre. Nel Cap. IV dell’Enciclica, significativamente intitolato «Un’ecologia integrale», si afferma espressamente come «Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile» (corsivo di chi scrive) e tale patrimonio va inteso non solo «come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente» (n. 143). L’affermazione è pregnante. La conservazione dell’identità del luogo diviene elemento fondamentale per assicurare la vivibilità della città («per costruire una città abitabile», secondo le precise parole di Papa Francesco), posto, tra l’altro che «La scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale» (n. 145). Il consumismo e la globalizzazione, in particolare, minacciano la ricchezza e la varietà delle culture, rischiando di appiattirle e di portare allo smarrimento irreversibile di queste nel segno di una omologazione globale (n. 144), secondo un’affermazione fortemente assonante, seppur proiettata su un piano molto più ampio e generale, con quanto rilevato nel Preambolo della Convenzione Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del 20 ottobre 20059.
23Ciò detto, l’attenzione dell’Agenda 2030 per il patrimonio culturale delle città e degli insediamenti umani è degna di nota almeno per due ragioni.
24La prima. È la prima volta che un Summit mondiale specificamente dedicato allo sviluppo sostenibile attribuisce esplicitamente alla protezione del patrimonio culturale un ruolo specifico in vista della realizzazione degli obiettivi che si propone. In effetti si deve sottolineare come i Summit precedenti non avessero mai affrontato direttamente la questione, concentrandosi piuttosto sull’ambiente in senso ecologico più che culturale in senso proprio.
25Riassumendo molto brevemente le tappe del percorso evolutivo, deve necessariamente sottolinearsi come questa attenzione fosse assente nel citato Rapport Bruntland del 1987 (Report Our Common Future) sia nella Dichiarazione di Rio di Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 1992; in particolare, essa mancava altresì nella Dichiarazione di Johannesburg del 2002, ancorché avesse esplicitamente ancorato lo sviluppo sostenibile alla dignità umana, il cui perseguimento, secondo l’atto istitutivo dell’UNESCO, presuppone precisamente la diffusione della cultura10.
26Prima del Programma del 2015, solamente nella Dichiarazione di Rio de Janeiro del 2012, poteva leggersi una dichiarazione specifica sulla cultura («Sottolineiamo l’importanza della cultura per lo sviluppo sostenibile»), ma questa affermazione non era poi sviluppata nel testo.
27Tale considerazione porta alla seconda delle ragioni per la quale conviene sottolineare l’esistenza di un riferimento espresso alla protezione del patrimonio culturale nel corpo dell’Agenda 2030.
28Sembra possibile credere che questa dichiarazione sia piuttosto dovuta all’influenza delle Convenzioni UNESCO in seno alle quali il tema dello sviluppo sostenibile e quello della protezione del patrimonio culturale hanno seguito vie convergenti.
29In particolare, la Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali del 2005, è la prima a prevedere un principio autonomo che integra espressamente i due temi: «Principio di sviluppo sostenibile. La diversità culturale rappresenta un patrimonio sostanziale per gli individui e le società. Lo sviluppo sostenibile, di cui beneficiano le generazioni presenti e future, presuppone la protezione, la promozione e il mantenimento della diversità culturale» [principio n. 6]11.
30Ma per ciò che concerne queste riflessioni, è la Dichiarazione di Hangzhou il passaggio più interessante, perché in essa, finalmente, la cultura è indicata espressamente come chiave dello sviluppo sostenibile. Adottata in sede Unesco ad Hangzhou (nella Repubblica popolare della Cina) il 17 maggio 2013, in occasione del Congresso Internazionale su «La cultura: chiave dello sviluppo sostenibile», la Dichiarazione costituisce un vero e proprio appello ai vari paesi del mondo affinché pongano la «cultura» nella posizione principale della politica sullo sviluppo sostenibile, come allora era stato configurato in occasione dei Summit mondiali sul tema, e, in particolare, affinché la cultura sia inclusa come quarto principio fondamentale nell’Agenda delle nazioni Unite per lo sviluppo post 2015, al pari dei diritti dell’uomo, dell’uguaglianza e della sostenibilità.
31La Dichiarazione del 2013 rivendica, infatti, un preciso ruolo per la cultura nella lotta contro quelle piaghe dell’umanità già più volte evidenziate nelle Dichiarazioni da Rio 1992 a quella, che sarà adottata pochi anni dopo, di New York 2015, ossia la crescita della popolazione, l’urbanizzazione, il degrado ambientale, le catastrofi, i cambiamenti climatici, l’aggravarsi delle disuguaglianze e il persistere della povertà.
32In tale contesto, proprio le città divengono oggetto di attenta considerazione all’interno delle azioni finalizzate a mettere la cultura al centro delle politiche dello sviluppo sostenibile.
33In particolare, la 8° azione, afferma la necessità di «servirsi della cultura come risorsa per realizzare uno sviluppo e una gestione sostenibile delle aree urbane». In tale sezione, l’attenzione è rivolta in particolare alla qualità degli «ambienti storici», che, conservati in armonia con il loro contesto naturale, rappresentano la chiave delle città sostenibili. La cultura si afferma dunque come uno strumento non solo di sviluppo economico, ma soprattutto di promozione di dialogo, di rispetto della diversità, di inclusione sociale e dunque di coesione.
34A ben vedere, sembra possibile affermare come l’azione a livello locale accolga quell’idea di cultura vista come strumento per attuare percorsi di pace tra i popoli, concetto, questo, alla base dell’atto istitutivo dell’Unesco del 1945 e soprattutto della Convenzione Unesco del 1972 sulla protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale.
35Dunque, la cultura (e in particolare la protezione del patrimonio culturale) diviene uno strumento privilegiato per favorire il dialogo a livello mondiale ed egualmente a livello locale, in particolare all’interno delle città, dove, tra l’altro, il processo di immigrazione massiccia può contribuire in misura non indifferente a generare tensioni identitarie che finiscono per minare la stessa qualità della vita.
36Tali temi sono ulteriormente sviluppati in occasione della Conférence Internationale de Hangzhou sur «La cultura per le città sostenibili» (10-12 dicembre 2015), all’indomani dell’adozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Nelle Conclusioni, si può leggere una conferma della posizione già espressa nel 2013, particolarmente dove si raccomanda di tener conto del fatto che «i modelli urbani sono differenti e che il cambiamento dinamico delle città è costante» e che pertanto si sostiene la necessità di evitare «modelli standardizzati e prescrittivi in favore di un approccio integrato, innovativo e adattativo ai differenti contesti».
37In tale ambito, la raccomandazione di integrare il patrimonio culturale nella «nuova agenda urbana» significa, allo stesso tempo, raccomandare la protezione del patrimonio culturale esistente nelle città quale espressione di identità di queste e significa altresì permettere alle persone di modellare i propri ambienti urbani.
38È senza dubbio interessante sottolineare come i due aspetti citati siano strettamente legati, atteso che questo chiarisce il senso della protezione del patrimonio culturale all’interno delle città: in effetti, se, come è innegabile, le città sono in costante trasformazione (soprattutto in questo periodo storico), il patrimonio culturale rappresenta la continuità verso il passato, il patrimonio identitario da trasmettere alle generazioni future, senza tuttavia negare la trasformazione, poiché il patrimonio culturale (nel suo più ampio significato) è, in quanto tale, in continua evoluzione.
39Nel 2016, la Conferenza delle Nazioni Unite sugli insediamenti urbani e lo sviluppo urbano sostenibile (Habitat III), tenutasi a Quito dal 17 al 20 ottobre, adotta un Nuovo Programma per le città che riafferma l’impego mondiale a promuovere uno sviluppo urbano sostenibile come prescritto dall’11° obiettivo dell’Agenda 2030.
40In particolare, anche il Nuovo Programma contiene dei riferimenti significativi al patrimonio culturale.
41In effetti, tra gli «impegni portatori di cambiamento a favore dello sviluppo urbano sostenibile», si riafferma il ruolo fondamentale del patrimonio culturale in vista di politiche di «recupero e rivitalizzazione delle aree urbane» e di rafforzamento della «partecipazione sociale e l’esercizio della cittadinanza d’inclusione sociale» (par. 38).
42In tal senso, sono formulate raccomandazioni specifiche («per una messa in opera efficace») relativamente alla «pianificazione e gestione dello sviluppo dello spazio urbano», all’interno del quale si ritrova l’impegno preciso a fare «della cultura una componente prioritaria nei piani e nelle strategie urbane quando si adottano strumenti di pianificazione» che devono preservare «un largo ventaglio di paesaggi e di beni del patrimonio culturale materiale e immateriale e proteggerlo contro eventuali effetti perturbatori dello sviluppo urbano» (par. 124).
43Quindi, se – come aveva già sottolineato la Convenzione di Hangzou del 2013 – le pressioni sulle città derivano da una massiccia urbanizzazione associata a pressioni economiche, sarà importante che i piani di gestione dello sviluppo urbano affrontino il problema.
44Tali raccomandazioni meritano di essere menzionate poiché, ancorché esse costituiscano essenzialmente le sole indicazioni concernenti la protezione del patrimonio culturale nell’intero documento, tuttavia forniscono alcune linee concrete d’azione, praticamente assenti in tutti gli altri documenti.
45Su queste questioni, è sicuramente interessante evidenziare come tale raccomandazione sia espressione diretta di un principio generale di integrazione dei temi della cultura (e della protezione del patrimonio culturale) nello sviluppo sostenibile, già, tra l’altro, prescritto sia dalla Convenzione europea sul Paesaggio (2000)12 sia dalla Convenzione-quadro sul valore del patrimonio culturale per la società (adottata a Faro nel 2005)13, entrambe del Consiglio d’Europa.
46Invero, ancorché le due convenzioni non siano specificamente consacrate alle «città sostenibili», in ogni caso forniscono delle indicazioni particolarmente interessanti per meglio comprendere la relazione tra il patrimonio culturale e lo sviluppo sostenibile.
47Come già in altra sede si è rilevato14, infatti, i due preamboli consacrano un legame tra il patrimonio culturale/paesaggio e lo sviluppo sostenibile, indicando soprattutto come la relazione cultura/paesaggio rappresenti una risorsa di sviluppo sostenibile e di qualità della vita in una società in costante evoluzione.
48In particole, nella Convenzione europea sul paesaggio (2000), si può leggere che «Ogni Parte si impegna a […] integrare il paesaggio nelle politiche di uso del suolo, di urbanistica e nelle politiche culturali, ambientali, agricole, sociale et economiche, così come nelle altre politiche che possono avere un affetto diretto o indiretto sul paesaggio»; allo stesso tempo, a livello più generale, la Convenzione quadro di Faro, ancorché essa non parli nello specifico di città sostenibili, stabilisce comunque una sorta di principio generale di integrazione, esplicitamente collegato a quello più specifico concernente i piani urbani di cui si è detto: «per mantenere il patrimonio culturale, le parti si impegnano […] ad assicurare che i bisogni specifici della conservazioni del patrimonio culturale siano tenuti in considerazione in tutte le discipline tecniche generali» (art. 9, lett. c) e altresì che «al fine di valorizzare il potenziale del patrimonio culturale in quanto fattore di sviluppo economico sostenibile, le parti si impegnano a fare in modo che tali politiche rispettino l’integrità del patrimonio culturale senza compromettere i suoi valori intrinseci» (art. 10, lett. c).
3. Qualche riflessione sullo stato dell’arte in Italia. Solo retorica?
49In Italia, la «protezione e conservazione del patrimonio culturale» di cui all’Agenda 2030 è, in larga misura, affidata al Codice dei beni culturali e del paesaggio, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42. Il modello adottato dal testo citato, tuttavia, è improntato a fornire una tutela per così dire «puntiforme», appuntata su singole e circoscritte realtà; resta viceversa estranea ad esso la possibilità di trovare applicazione a realtà complesse come i tessuti cittadini15. È ben vero che l’obiettivo 11.4 dell’Agenda 2030 (e, d’altro canto, anche le stesse Convenzioni Unesco citate) non richiedono necessariamente una disciplina di protezione del patrimonio culturale che riguardi la città nel suo complesso, ma lasciano ampio spazio alle scelte discrezionali dei singoli Stati circa la scelta delle soluzioni normative più adeguate onde perseguire gli obiettivi indicati; tuttavia, la mancanza di una programmazione adeguata che guardi comunque agli interventi «nella città» e non alle singole emergenze, vista unitamente alla crisi fiscale generale, impattano, a parere di chi scrive, sulla effettiva conservazione di un patrimonio culturale cittadino, nel senso più pieno della parola.
50Purtroppo le forti pressioni economiche e i processi di globalizzazione in atto inducono, più massicciamente che in passato, a considerare il patrimonio culturale soprattutto come una risorsa nel senso economico del termine, il che genera troppo spesso effetti devastanti sulla sua protezione.
51Ben si può dire, in effetti, che, malgrado l’art. 2 del Codice dei beni culturali e del paesaggio affermi espressamente che «la valorizzazione è effettuata in forme compatibili con la tutela e in modo da non comprometterne i bisogni», non è tuttavia raro trovare decisioni amministrative o atti legislativi nei quali le ragioni della tutela sono sacrificate alle ragioni, neppure sempre evidenti, dello sviluppo economico16.
52Sotto altro, ma convergente profilo, vale la pena rilevare come l’Agenda urbana per l’UE, patto di Amsterdam, adottato nel corso della riunione informale dei Ministri Europei responsabili degli affari urbani (30 maggio 2016), rimarchi il fatto che la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE e la qualità della vita dei suoi abitanti dipendono largamente dal successo dello sviluppo urbano sostenibile (nel cui contesto, giova ribadirlo, anche la tutela del patrimonio culturale gioca un ruolo assai significativo); vi si ricorda altresì, l’importanza strategica di un approccio equilibrato, durevole e integrato delle problematiche urbane che dovrebbero coprire tutti i principali aspetti dello sviluppo urbano (in particolare economico, ambientale, sociale, territoriale ed anche culturale) al fine di garantire una solida governance e politica urbana.
53L’approccio comune tra le politiche settoriali e i differenti livelli amministrativi diviene la chiave delle città sostenibili: tutti i livelli di governo devono essere coinvolti e deve essere garantito il coordinamento e l’interazione efficace all’interno dei settori, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze di ciascun livello.
54Per far fronte alle sempre più complesse sfide delle aree urbane e promuoverne il progresso ambientale, economico, sociale e culturale, le autorità urbane devono cooperare con le comunità locali, società civile, società e centri di competenza, che sono tutti i principali attori dello sviluppo sostenibile.
55Deve purtroppo rilevarsi come la legislazione italiana sia piuttosto indietro sul punto e, per quanto qui di interesse, non sia del tutto in grado di prendersi cura del patrimonio culturale delle città (come realtà specifiche) al fine di raggiungere città veramente sostenibili, anche a causa di evidenti problemi di competenze amministrative sovrapposte (paesaggio, patrimonio storico-artistico/ambiente/governo del territorio…).
56Significativamente, in Habitat III – Rapport national de l’Italie de 2016, si può leggere che «le regioni hanno sino ad ora elaborato regolamentazioni che hanno modificato la tipologia degli strumenti di pianificazione urbana e certe ipotesi (per es. la classificazione di certe parti di territorio), ma non sono state in grado di influenzare la disciplina della proprietà e molto poco sulla disciplina di aspetti di interesse generale come l’ambiente, il paesaggio e il patrimonio culturale, che rientrano nella giurisdizione nazionale».
57Anche la Carta di Bologna per l’ambiente del 2017, firmata dai Comuni e dalle città metropolitane che impegna le grandi città italiane a perseguire gli obiettivi di protezione ambientale in conformità agli obiettivi di sviluppo sostenibile, mette l’accento su questioni come uso sostenibile del territorio, economia circolare, adattamento ai cambiamenti climatici, politica energetica, qualità dell’aria e dell’acqua, ecosistemi, protezione ambientale, biodiversità e mobilità sostenibile, ma non menziona la protezione del patrimonio culturale.
58Infine, significativamente nel rapporto ISTAT 2019, Informazioni statistiche sul programma 2030 in Italia, si può leggere che le spese pubbliche per abitante consacrate alla protezione della biodiversità e dei paesaggi sono diminuiti rispetto a dieci anni fa. Da notare come il rapporto contenga effettivamente anche dei riferimenti all’importanza della protezione del patrimonio culturale, ma essi sono quasi sempre legati al perseguimento di obiettivi di turismo sostenibile e dunque di sviluppo economico.
59Qualche riferimento più generale a questo tema è fatto, a proposito dell’obiettivo 11 dell’Agenda 2030; a ben vedere, tuttavia, pare semplicemente la ripetizione dell’impegno già preso a livello internazionale, con il solo accento supplementare sull’importanza degli interventi volti a rinforzare la capacità di pianificazione necessaria a far fronte alla portata e alla complessità delle questioni di sostenibilità urbana e della gestione partecipativa e integrata.
60Sulla base di quanto osservato, pare dunque doversi rilevare mestamente come il ruolo della protezione del patrimonio culturale come strumento per perseguire modelli di città sostenibili, sembri in verità, almeno per il momento e salve alcune eccezioni, limitato a una dimensione, più che altro, teorica (per non dire retorica).
61In effetti troppo spesso, il patrimonio storico-artistico non è tutelato che al fine di garantire flussi turistici, il che può però avere impatti negativi sulla conservazione del patrimonio stesso, ma soprattutto porta ad un disinteresse per i beni situati nelle zone meno attrattive turisticamente della città (in particolare nelle zone periferiche); queste ultime sono spesso completamente abbandonate poiché meno visibili, e dunque non utili allo sviluppo economico-turistico delle città stesse, il che contrasta totalmente con il ruolo che ad esse è attribuito, come si è detto, negli atti internazionali dedicati alle città sostenibili. Risulta così ancora largamente offuscato il ruolo del patrimonio culturale in quanto strumento (indispensabile) di promozione di cultura, chiaramente affermato dall’art. 9 Cost. («La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») specie nel momento in cui esso assume la pericolosa veste di «petrolio d’Italia», smarrendosi troppo spesso il ruolo che esso può svolgere a livello di strumento di promozione di processi inclusivi e di pace di cui si è detto.
Notes de bas de page
1 La letteratura in materia è ormai piuttosto nutrita. Si rinvia per tutti, anche per l’ampia prospettiva adottata, a F. Fracchia, Lo sviluppo sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione dell’ambiente e tutela della specie umana, Editoriale Scientifica, Napoli 2010.
2 «Ridurremo gli impatti negativi delle attività urbane e delle sostanze chimiche che sono nocive per la salute umana e l’ambiente, includendo una corretta gestione a livello ambientale, l’utilizzo sicuro di sostanze chimiche, la riduzione e il riciclo dei rifiuti e l’uso più efficiente di acqua ed energia» (34).
3 «Lavoreremo per minimizzare l’impatto delle città sul sistema climatico globale» e ancora «Prederemo in considerazione gli andamenti e le proiezioni della popolazione per le nostre strategie e politiche di sviluppo urbano e rurale a livello nazionale».
4 Lettera Enciclica Laudato Si’ del Santo Padre Francesco sulla cura della Casa Comune, 24 maggio 2015
5 «Mi propongo di entrare in dialogo con tutti» (n. 3).
6 Sul punto, per tutti, L. De Gregorio, Laudato si’: per un’ecologia autenticamente cristiana, «Stato, Chiese e pluralismo confessionale», www.statoechiese.it (2016), n. 41: «la cura della creazione ognuno può partecipare con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità e nessuno deve ritenersi escluso. A maggior ragione nessun credente le cui convinzioni di fede devono offrire motivazioni alte per prendersi cura della natura e collaborare come strumento di Dio».
7 Si adotta in questa sede l’idea di cultura nella sua accezione più ampia. Tra le prime definizioni, si deve menzionare quella contenuta nella Dichiarazione di Città del Messico sulle Politiche Culturali, adottata dalla Conferenza mondiale, il 6 agosto 1982, come «l’ensemble des traits distinctifs, spirituels et matériels, intellectuels et affectifs, qui caractérisent une société ou un groupe social englobant aussi outre les arts et les lettres, les modes de vie, les droits fondamentaux de l’être humain, les systèmes de valeurs, les traditions et les croyances».
8 Nello stesso tempo - come sottolineato nell’edizione speciale del 2013 del Rapporto delle Nazioni Unite sull’economia creativa: ampliare i percorsi di sviluppo locale - le città giocano un ruolo sempre più importante come attori del cambiamento nella direzione dello sviluppo sostenibile anche grazie alla cultura che porta un valore aggiunto, in termini monetari e non monetari, attraverso le espressioni culturali, la salvaguardia del patrimonio materiale e immateriale, la promozione della diversità culturale, l’urbanistica e l’architettura.
9 «Constatando che i processi di globalizzazione, agevolati dalla rapida evoluzione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, se hanno contribuito a stabilire condizioni inedite capaci di consolidare l’interazione interculturale, rappresentano anche una sfida per la diversità culturale, segnatamente nell’ambito dei rischi di squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri»
10 Si legge in effetti nel Trattato Istitutivo dell’Unesco, firmato il 16 novembre 1945, che il percorso di costruzione di pace dovesse necessariamente passare per la «solidarietà intellettuale e morale dell’umanità», non essendo in alcun modo sufficiente «una pace fondata soltanto sugli accordi economici e politici dei governi» che «non potrebbe ottenere l’adesione unanime, duratura e sincera dei popoli»; è per questa ragione che «l’Organizzazione si propone di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza favorendo, attraverso l’educazione, la scienza e la cultura, la collaborazione tra le nazioni, onde garantire il rispetto universale della giustizia, della legge, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione» e a tale scopo l’Organizzazione: «a) Favorisce la conoscenza e la comprensione reciproca delle nazioni, prestando la sua opera agli organi di informazione di massa; a questo scopo essa sollecita quegli accordi internazionali che ritiene utili per facilitare la libera circolazione del pensiero, attraverso la parola o l’immagine; b) imprime un’efficace impulso all’educazione popolare ed alla diffusione della cultura», ma soprattutto, per quanto di maggiore interesse in questa sede «c) Aiuta il mantenimento, il miglioramento e la diffusione del sapere: Vegliando sulla conservazione e protezione del patrimonio universale di libri, opere d’arte, monumenti di interesse storico o s scientifico, raccomandando ai popoli interessati delle convenzioni internazionali a tale effetto; favorendo la cooperazione tra le nazioni in tutti i settori dell’attività intellettuale e lo scambio internazionale sia di rappresentanti dell’educazione, della scienza e della cultura che di pubblicazioni, opere d’arte, materiale di laboratorio e di ogni altra utile documentazione; facilitando con adeguati metodi di cooperazione internazionale l’accesso di tutti i popoli a quanto pubblicato da ciascuno di essi».
11 Su questi temi, sia consentito rinviare a C. Videtta, Cultura e sviluppo sostenibile. Alla ricerca del IV pilastro, Giappichelli, Torino 2018.
12 Sul punto, per tutti, F. Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna 2007; S. Foà, Dalla Convenzione europea al Codice dei beni culturali e del paesaggio. Obiettivi di tutela e valorizzazione, in A. Crosetti (a cura di), La tutela della natura e del paesaggio, Trattato di diritto dell’ambiente (a cura di R. Ferrara, M. A. Sandulli), vol. III, Milano 2014, pp. 431 sgg.
13 C. Carmosino, La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, «Aedon», www.aedon.mulino.it, n. 1/2013; P. Carpentieri, La Convenzione di Faro sul valore dell’eredità culturale per la società (da un punto di vista logico), «federalismi.it», www.federalismi.it (2017), n. 4.
14 C. Videtta, Cultura e sviluppo sostenibile cit., pp. 76 sgg.
15 Per rilievi critici sul punto, sia consentito rinviare, anche per l’apparato bibliografico, a C. Videtta, I centri storici al crocevia tra disciplina dei beni culturali, disciplina del paesaggio e urbanistica: profili critici, «Aedon», www.aedon.mulino.it (2012), n. 3.
16 Sul punto sia consentito ancora una volta rinviare a C. Videtta, Cultura e sviluppo sostenibile cit., passim ma partic. pp. 153 sgg.
Auteur
É professore associato di Diritto Amministrativo presso l’Università di Torino, abilitata in I fascia. Dal 2005 insegna Diritto dei beni culturali presso l’Ateneo di Torino ed in numerosi corsi di Alta formazione in tutta Italia. Al suo attivo ha altresì la titolarità di insegnamenti universitari di primo, secondo e terzo livello in Diritto Amministrativo, Diritto degli Enti Locali, Diritto dell’ambiente, Diritto Sanitario e Diritto Urbanistico. È intervenuta in importanti convegni e ha preso parte in qualità di esperta a numerosi Master. Per quanto riguarda in particolare la materia del diritto dei beni culturali, è autrice di numerosi saggi tra cui una voce enciclopedica (I beni culturali nel diritto amministrativo) e la monografia Cultura e sviluppo sostenibile. Alla ricerca del IV pilastro, Giappichelli, Torino, 2018. È membro del comitato scientifico della Rivista Giuridica di Urbanistica, con cui collabora stabilmente dal 2016.
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