Da Petra Chérie a Lilith. Personaggi femminili nel fumetto italiano sulla Grande Guerra (1977-2017)
p. 258-277
Texte intégral
1Lavorare sulla “rappresentazione” della Prima guerra mondiale attraverso la nona arte, significa iniziare a riflettere sulle modalità e sui punti di vista a partire dai quali tale riscrittura prende forma. Il fumetto – soprattutto nella rivisitazione per immagini della storia privata o collettiva, che siamo sempre più propensi ad attribuirgli attualmente1 – si presta particolarmente a questa operazione, poiché riesce a creare una sintesi efficace fra testo e immagini, attingendo al tempo stesso dalle fonti storiche visuali utilizzate all’epoca, quali le fotografie, gli schizzi di guerra e i ritratti dei soldati al fronte.
2Più che ragionare su come le cosiddette “strisce” sui quotidiani dell’epoca (strisce che potevano risultare più o meno satiriche) raccontavano la Grande Guerra2 – dunque su rappresentazioni coeve all’evento storico –, considero più opportuno, per capire come si è formata ed evoluta la memoria collettiva in Italia, riflettere sulla descrizione della guerra a posteriori e in momenti storici diversi fra loro. Per tale ragione, nel corpus scelto per il presente saggio sono state incluse opere pubblicate in tre periodi della storia recente d’Italia, rispettivamente il 1977, il 2009 e il 2018, utili per mostrare le differenti modalità di ricezione e re-interpretazione del Primo conflitto mondiale.
3Un’altra scelta, rispetto alla costruzione del corpus, è stata quella riguardante la presenza, nei testi affrontati, di un punto di vista specifico per raccontare la guerra. Per tale ragione ho optato solo per opere che mettessero al centro della narrazione la figura femminile, declinata secondo le forme più diverse. In tale scelta non ho volutamente fatto riferimento al genere utilizzato: dei tre testi analizzati, il secondo (Lilith di Luca Enoch) non è una narrazione storica di stampo realistico, ma un’opera che agisce fra il fantastico, il racconto di orrore e la ricostruzione delle vicende belliche da parte dell’autore, mentre l’ultimo è legato al genere biografico, che l’autrice ibrida con altre tipologie di narrazione. Volutamente non ho preso in considerazione la divisione (il più delle volte mediatica) che negli ultimi anni si tende a proporre a proposito del fumetto, soprattutto italiano, ovvero la compartizione fra “fumetto seriale” e “graphic novel”3. Se si analizza in profondità il contesto italiano, infatti, si nota come i due settori siano comunicanti, soprattutto dagli anni Settanta in poi: gli stessi autori lavorano per prodotti seriali e di più largo respiro “autoriale”, gli stessi editori (uno fra tutti: il noto Bonelli che del comic seriale dovrebbe essere il riferimento) pubblicano senza soluzione di continuità le due tipologie di fumetto; le stesse opere escono, identiche, nei due formati a distanza di pochi mesi l’una dall’altra4. Per tale ragione nella mia scelta ho preferito agire secondo una logica inclusiva. Ho individuato alcune opere in cui la figura femminile è posta al centro della narrazione – protagonista, quindi, e non semplice comparsa o appendice di più importanti personaggi maschili – e ho utilizzato come data di inizio il 1977, o più in generale la seconda metà degli anni Settanta, ovvero il periodo in cui le istanze femministe, già presenti da più di dieci anni in Italia, avevano iniziato a modificare o comunque a influenzare le modalità di rappresentazione del soggetto, del corpo e dello spazio femminili5. Non deve stupire che le prime rappresentazioni siano opera di autori uomini: il fumetto italiano, ancora alla ricerca di una parità, non solo numerica, di genere, ha annoverato soprattutto autori uomini fino agli anni Novanta, con ovvie e ben note eccezioni6, quali ad esempio Angela e Luciana Giussani, autrici e disegnatrici di Diabolik7.
4Un altro elemento fondamentale preso in considerazione è costituito dalla modalità della rappresentazione: i tre testi che prendo qui in esame non descrivono mai “direttamente” l’orrore della guerra e delle battaglie. C’è sempre, negli autori e nell’autrice scelti, una rappresentazione indiretta della guerra, come se, anche a distanza di decenni, fosse difficile se non impossibile descriverla direttamente e l’unica maniera di renderne conto sia mostrarne gli effetti indiretti a partire da punti di vista apparentemente marginali e lontani dal fronte.
5Per le suddette ragioni ho deciso di dare il più possibile l’idea della pluralità di tali rappresentazioni, prendendo in esame: in primo luogo, Petra Chérie di Attilio Micheluzzi, uscito periodicamente nel 1977 (con edizione integrale nel 20138), primo fumetto italiano in epoca moderna a mettere in scena un personaggio femminile come protagonista durante la Prima guerra mondiale; in secondo luogo, Lilith di Luca Enoch9, prodotto seriale e di genere che si avvicina ad un immaginario contemporaneo proponendo una commistione fra diversi linguaggi; infine, War painters di Laura Scarpa10, dove le vicende biografiche e autobiografiche, secondo una tendenza molto diffusa nel romanzo grafico contemporaneo, si legano alla ricostruzione storica.
6Ad uno sguardo più attento ai primi due testi del corpus preso in esame appare evidente la non giustificazione scientifica riguardante la distinzione fra prodotto seriale e romanzo grafico. Il primo, Petra Chérie, è nato come prodotto seriale e, ormai raccolto in volume, è oggi considerato un romanzo grafico a tutti gli effetti, anche se l’autore lo ha scritto e sviluppato di numero in numero, in parte su commissione e attraverso un arco cronologico di medio respiro11; il secondo, Lilith, è nato come prodotto seriale ma con una temporalità diversa rispetto ad altri prodotti simili (un’uscita semestrale anziché mensile o bimestrale), elemento che ha dato all’autore la possibilità di lavorare su ogni album come se si trattasse di un’opera a sé stante, alla stregua appunto di un romanzo grafico12. Tra l’altro l’album in questione è stato poi ristampato in un numero speciale, che lo avvicina anche dal punto di vista formale alle graphic novel di cui sopra.
Petra Chérie di Attilio Micheluzzi
7Il percorso filologico di Petra Chérie è interessante proprio perché affronta alcune delle problematiche accennate in precedenza, quali il punto di vista “di genere” sul Primo conflitto mondiale, l’impossibilità di descrivere direttamente il fronte e la compenetrazione tra fumetto autoriale e commerciale. Attilio Micheluzzi nel 1977 aveva creato un personaggio maschile, tale Rupert de Karlowitz, per un fumetto sulla Prima guerra mondiale che avrebbe dovuto pubblicare a breve. Erano però gli anni in cui il successo di Corto Maltese, iniziato in Francia, si era propagato in Italia e per l’autore sarebbe stato molto complicato superare o almeno avvicinare il prestigio del personaggio di Hugo Pratt13. Fu Alfredo Barbieri, allora direttore del «Corriere dei Ragazzi», rivista sulla quale le avventure di Karlowitz erano già iniziate (era uscito infatti il primo episodio), a consigliargli di utilizzare una protagonista femminile, modifica a cui Micheluzzi fino a quel momento non aveva pensato. La serie durerà cinque anni e sarà composta da venticinque episodi, usciti sul «Corriere dei Ragazzi», «Il Giornalino» e «Alter», rivista all’interno della quale verrà ospitata la narrazione finale, ambientata nel dicembre del 1917 (la saga racconta i dodici mesi di quell’anno), in cui Petra Chérie abbandona il fronte per raggiungere i rivoluzionari sovietici. L’opera è stata pubblicata nella sua interezza, come graphic novel, solamente nel 2013, e in questo formato ha ottenuto immediatamente una grande eco nel mondo del fumetto (verrà tradotta in francese, inglese e spagnolo), facendo scoprire un Micheluzzi diverso dall’autore tanto apprezzato per Bab el-Mandeb e Roy Mann14.
8Il rapporto fra l’autore e il suo personaggio è messo in scena nelle prime tre tavole della saga, che fungono da prologo e ne svelano anche la posizione politica, non certo facile da esprimere nel 1977. Micheluzzi proveniva infatti da un’agiata famiglia istriana: il padre era un militare di alto rango dell’aeronautica (da qui la sua passione per il volo e per i velivoli) e, a causa del suo lavoro, la famiglia si era spostata diverse volte, prima a Napoli, dove l’autore si laureò in Architettura, e in seguito in Libia, dove esercitò la professione di architetto. Micheluzzi torna in Italia solo nel 1970, all’indomani del colpo di stato di Gheddafi in Libia e dell’esodo degli italiani, mostrando sempre idee piuttosto positive riguardo l’eredità coloniale italiana nella cosiddetta “quarta sponda”15. Si cimenta con il fumetto piuttosto tardi per le abitudini dell’epoca, a quarantadue anni, e il dato anagrafico, almeno stando a quanto afferma lui stesso16, costituisce un ulteriore elemento che lo allontana, politicamente e culturalmente, dal clima di contestazione politica di quegli anni. La costruzione del personaggio di Petra Chérie è da questo punto di vista indicativo: la giovane protagonista decide, dopo essere apparsa reticente, di raccontare la propria storia allo stesso Micheluzzi, che dipinge se stesso come un anziano signore (all’epoca ha solo quarantasette anni) immobile su una sedia, la cui unica attività può essere quella di illustrare e raccontare vicende che non appartengono più alla sua generazione. Ovviamente il riferimento alla presa di distanza dal movimento giovanile di quegli anni è piuttosto esplicito, e va inoltre sottolineato che il 1977 è un anno fondamentale nell’evoluzione del fumetto italiano: inizia le pubblicazioni «Frigidaire», che con il movimento aveva un rapporto molto stretto17, mentre dal movimento e in particolare da alcune formazioni della sinistra extra-parlamentare provengono direttamente, pur se con percorsi diversi, autori innovativi come, per non citare che i più noti, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini e Tanino Liberatore.
9Micheluzzi sembra tirarsi fuori fin dall’inizio dalle innovazioni del fumetto alternativo a lui coevo e anche la scelta iconografica della sua protagonista ne è un’ulteriore conferma. Il volto di Petra Chérie (fig. 1) potrebbe infatti ricordare, ad un lettore attento, un’altra icona dei comics italiani dell’epoca, la Valentina di Crepax18, che presenta lo stesso viso affilato, i capelli corti, l’incedere elegante. Entrambi gli autori si sono infatti ispirati all’attrice del cinema muto Louise Brooks, ma con una differenza fondamentale: Crepax pubblica la prima storia di Valentina su «Linus» nel 1965 e il riferimento a Brooks è dovuto al fascino che l’attrice emanava per l’autore e alla volontà di trovare un personaggio irriverente che fungesse da riferimento per i lettori di sinistra che costituivano il suo pubblico principale (Brooks era stata la Lulù di Pabst e pochi anni prima, nel 1962, Godard le aveva reso omaggio con il ruolo di Anna Karina in Vivre sa vie). Micheluzzi scegliendola aggiunge invece un intento parodico: Petra Chérie è certo una donna indipendente, avventurosa e particolarmente moderna per l’epoca (è una spia il cui modello esplicito è Mata Hari), ma la sua raffigurazione rappresenta anche una critica a Crepax e più in generale ad un certo tipo di raffigurazione femminile che l’autore non condivideva. In un’intervista del 1982 afferma di essersi volutamente discostato dalla rappresentazione di «quel tipo femminile che andava allora di moda, sguaiato, violento, spesso poco pulito, innamorato dei “collettivi”, che credeva di realizzarsi solo dicendo parolacce ad ogni istante»19.
10Veniamo ora agli elementi della Prima guerra mondiale che entrano in gioco nell’opera. Petra come detto è una spia e la sua origine ambigua (si dice che sia polacca o francese) e il suo frenetico spostamento (ha vissuto in Cina, in Olanda e in Svizzera) accomunano il suo percorso a quello dell’autore, le cui origini istriane, come lui stesso ha affermato20, lo hanno portato a riflettere su una guerra che proprio quelle zone ha cambiato profondamente. Troviamo qui un primo elemento comune nella rappresentazione fumettistica della Prima guerra mondiale fra gli autori italiani: molti provengono dall’Istria o da Trieste, portano dunque nel proprio percorso biografico i segni che la guerra ha lasciato su quelle zone, oltre a proporre un’idea complessa e non sempre univoca di appartenenza nazionale. Il secondo elemento comune, in parte legato al primo, è costituito dal ricorso ad una rappresentazione “indiretta”: molto spesso la guerra non viene raccontata dal punto di vista italiano, ma si preferiscono altre prospettive, come se tale filtro riuscisse ad elucidare anche le vicende nostrane.
11Anche l’arco cronologico di riferimento del testo rafforza questo sguardo “a margine” dell’autore sulle vicende belliche: le avventure di Petra infatti si dipanano dal 1917 al 1918, con particolare attenzione agli ultimi mesi della Prima guerra mondiale. Si ha la sensazione di un mondo, e non solo di una guerra, che sta finendo, come se la fine del conflitto sancisse definitivamente l’abbandono del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo. Anche i luoghi – al di là della divisione “verticale” dell’opera che verrà analizzata più avanti – mostrano un conflitto che, più che descritto attraverso il realismo, diventa metafora di una cesura storica e culturale, fra un mondo che scompare e uno che nasce. La protagonista si muove fra l’Olanda (da cui ha inizio la storia), le Fiandre, la Francia, l’Italia, la Svizzera (con l’episodio Furto al consolato ambientato a Zurigo), la Turchia con le scene sul Bosforo e infine l’Urss con l’invocazione conclusiva. Si tratta ovviamente di luoghi che, per ragioni diverse, hanno visto battaglie decisive o sono stati sedi di fondamentali accordi diplomatici nel conflitto, ma ciò che interessa Micheluzzi non è tanto la resa grafica delle battaglie e la ricostruzione di un’epoca, quanto la trasposizione, verso l’esterno, delle pulsioni e dei sentimenti della sua eroina.
12Le avventure di Petra e il suo ruolo di spia, grazie al quale lavora indistintamente per le diverse parti in causa, la rendono da una parte politicamente ambigua e contraddittoria, ma dall’altra estremamente libera e portatrice di valori che vanno oltre l’idea degli Stati-nazione. Non dobbiamo dimenticare neanche il passato libico di Micheluzzi: ai confini dell’impero, potremmo dire, consapevole della pervasività di un certo tipo di multiculturalismo europeo che andava oltre gli odierni confini del continente, ma anche conscio di come quel particolare sentire fosse stato spazzato via proprio dalla Prima guerra mondiale.
13Le mansioni di Petra sono principalmente quelle di aviatrice: al di là della passione familiare di Micheluzzi e della presenza costante di aviatori nella sua produzione (il noto Air Mail, fra gli altri21), la minuzia con cui sono raffigurati personaggi e velivoli comporta due ulteriori riflessioni. La prima è legata ad un discorso di genere, perché Micheluzzi sceglie per la sua protagonista un lavoro storicamente di appannaggio maschile, divertendosi così a rovesciare completamente lo stereotipo. La seconda, che può in ogni caso essere letta anche in chiave politica, riguarda la particolare percezione e raffigurazione dello spazio dell’autore soprattutto in quest’opera: il fumettista istriano infatti rappresenta la Prima guerra mondiale come una sorta di Commedia dantesca, ma con una visione diversa dello spazio di mezzo che divide Paradiso e Inferno. Vi sono le trincee scavate sotto terra, e i cieli in cui gli aviatori inaugurano una nuova modalità di combattimento. La terra è utilizzata più che altro per accordi politici, legami, promesse di alleanze e conseguenti tradimenti, ma molto raramente vi si combatte. La rappresentazione dello spazio si lega ovviamente a una precisa idea del conflitto: troviamo trincee scure, cieli incredibilmente affollati e scene più “libere” e tranquille in terra, come se in alto e in basso vi fossero le marionette e al centro i manovratori (fig. 2). Ecco forse spiegata la scelta finale di Petra Chérie, che pur essendo in alto in questa particolare gerarchia, non può accettare, in quanto donna indipendente, di servire gli interessi di qualcun altro. L’ultima immagine, con Petra che va verso Mosca e si guarda indietro piangendo, racchiude anche i timori dell’autore, fortemente anticomunista, che capisce però che il suo personaggio, una donna autonoma concepita e raffigurata dal 1977 al 1982, dunque in un momento di forte ripensamento dei ruoli di genere nella società, non può fare altro che abbandonarlo per scegliere la rivoluzione.
Lilith di Enoch
14L’inserimento di un’opera maggiormente legata al fumetto commerciale come Lilith è importante proprio per rompere questa distinzione fra fumetto seriale e graphic novel che, come si è detto, il più delle volte risulta essere una facile etichetta giornalistica piuttosto che un elemento aderente alla realtà. Lilith è un personaggio creato dal fumettista milanese Enoch (nome vero), che presenta diversi elementi originali. Innanzitutto nel contesto italiano è abbastanza raro che un fumettista proponga quasi sempre protagonisti femminili nelle sue opere: Enoch lo aveva già fatto con Sprayliz, un’artista urbana di inizio anni Novanta in un’opera uscita fra il 1993 e il 1996 su «Intrepido» e in seguito raccolta in volume22; aveva ripetuto l’esperimento con Gea 23, una cantante rock fra gli anni Novanta e i Duemila e con i disegni per Legs Weaver 24, una delle prime protagoniste femminili della fantascienza a fumetti italiana, proveniente dalla saga di Nathan Never 25. Enoch ha un approccio al mestiere piuttosto innovativo per il contesto seriale italiano, dove le mansioni e i compiti sono quasi sempre divisi fra sceneggiatori, disegnatori, coloristi, inchiostratori e ripassatori di chine e colori. Egli invece si occupa dell’intero processo creativo dell’opera, dalla sceneggiatura alle matite, dalle chine all’eventuale colorazione, non tralasciando neanche i ritocchi digitali. Per tale ragione Lilith è un prodotto seriale che ha però avuto tempi di uscita quasi da romanzo grafico, perché invece di uscire ogni mese, come un classico fumetto Bonelli (da Tex a Dylan Dog, passando per Nathan Never), appariva nelle edicole ogni sei mesi, per un totale di diciotto numeri che hanno dunque portato l’autore a lavorare per nove anni sullo stesso progetto.
15Anche il tema si presta perfettamente a tale uscita “allungata”: Lilith è una creatura dell’aldilà che si risveglia puntualmente per modificare alcuni eventi della storia dell’umanità. Dalla presunta scoperta dell’America da parte dei Normanni, fino alla battaglia di Sekihagara nel Giappone del 1600 passando per il sacco di Nanchino e la civiltà degli Aztechi, l’autore si diverte a giocare con il genere ucronico, esasperandolo fino a rovesciarne le caratteristiche principali. Normalmente l’ucronia gioca con il concetto del “what if” e della storia parallela, modificando un evento (importante come l’esito della Seconda guerra mondiale, ma anche apparentemente meno noto come l’elezione di un sindaco o di una giunta locale) per mostrare come a partire da questo evento tutto il corso della storia umana ne risulti drasticamente modificato. Enoch lavora in questo caso sul filo sottile della contemporaneità: l’ucronia porterebbe sì l’umanità a una dimensione parallela alla nostra, ma attraverso percorsi noti e per giungere infine a risultati del tutto simili. Se la Storia si evolvesse secondo le modalità presentate in Lilith, assisteremmo dunque ad un processo di graduale moderazione delle grandi dittature novecentesche, che porterebbe a democrazie imperfette, non lontane, secondo l’autore, da quelle attuali, così come gli esiti diversi di alcune guerre invertirebbero vincitori e vinti, ma non l’essenza della trasformazione del mondo.
16Nel terzo episodio della saga Lilith si trova ad affrontare la Prima guerra mondiale, più precisamente il fronte carnico e carsico, anche questa volta non descrivendo il conflitto dal fronte italiano ma utilizzando il punto di vista degli austriaci. L’albo, dal titolo Il fronte di pietra (fig. 3), prende spunto dal libro di Maria Rosa Calderoni La fucilazione dell’alpino Ortis26. Si tratta di un libro divulgativo, con una visione storiografica discutibile27, poiché l’autrice vorrebbe far apparire Ortis, fucilato nel 1916 come disertore (più probabilmente per essere arrivato in ritardo a qualche momento ufficiale che per aver realmente tentato di ribellarsi) come mera vittima della guerra, enfatizzando il ruolo del soldato/marionetta nella mani di altri e ben più pericolosi manovratori. Il contesto lo rende in realtà più complesso di quel che sembra, poiché Ortis prima di essere giustiziato era stato egli stesso soldato al fronte (e prima ancora era stato nell’esercito in Libia), dunque molto probabilmente anche lui aveva usato il fucile contro i suoi avversari. Enoch ha qui il merito, ispirandosi alle sue vicende, da una parte di rovesciare la questione di genere della storia (Ortis sarebbe qui identificato nella stessa Lilith, che travestendosi da uomo affronta la battaglia) e dall’altra di creare, come si vedrà, un legame forte con la contemporaneità. L’impiego di tutta una serie di stilemi (anche grafici) legati al fantastico è visibile nel momento del travestimento: se Petra Chérie ostentava dall’alto la sua figura femminile, Lilith utilizza un incantesimo proprio delle fiabe (la famosa funzione proppiana della “trasformazione dell’eroe”), forse amaramente consapevole che, come donna, non avrebbe la possibilità di modificare militarmente il corso della Storia. Non è un caso che questa trasformazione da donna a uomo sia “mediata” dalla figura di un animale, una pantera che rappresenta una sorta di corpo “neutrale” o “di mezzo” che Lilith utilizza ogni qualvolta decide di trasformarsi in un personaggio storico realmente esistito (fig. 4).
17Il momento storico scelto da Enoch è indicativo: ci troviamo appena prima della disfatta di Caporetto e Lilith segue attraverso tutto il fronte, dalle montagne della Carnia all’altopiano del Carso, il giovane alpino ispirato al soldato Ortis. Ovviamente descrivere un momento storico e dei luoghi che sono stati al centro di innumerevoli rappresentazioni precedenti ha costituito per l’autore una sfida, ma anche la possibilità di rendere espliciti i propri riferimenti letterari e culturali. Per tale ragione nel testo è più volte citato Giuseppe Ungaretti, prima velatamente, in seguito (nell’ultima tavola) in maniera esplicita. Enoch vede in Ungaretti l’esempio da seguire per costruire il proprio particolare punto di vista sul Primo conflitto mondiale e più in generale sulla guerra. Anche il disegnatore, infatti, più che alla guerra in sé è interessato agli effetti del conflitto sull’animo umano e in particolare alla condizione, anche e soprattutto psicologica, dei soldati. Nel fumetto sono descritti con attenzione i rapporti fra i combattenti, le relazioni di potere fra ufficiali e soldati, e sono sviscerate le ragioni che rendono così difficile la ribellione o addirittura la diserzione. Il particolare contesto storico scelto – il lettore infatti sa bene che, anche se Lilith riuscirà a salvare Ortis, non potrà evitare la disfatta di Caporetto – porta inoltre Enoch a interrogarsi sulla fragilità dell’esistenza, sul sottile filo che divide la vita e la morte e sul compito paradossale del soldato semplice: obbedire agli ordini di chi sta più in alto nella scala gerarchica, rischiando però la vita in prima persona.
18L’idea di lavorare sul contesto carsico si è presentata all’autore dopo essere venuto a conoscenza di alcune azioni politiche di Casa Pound a Trieste e in generale dopo aver assistito al processo di «italianizzazione culturale» (è lui stesso a chiamarla così28) di quelle terre da parte di alcune associazioni politiche. L’idea alla base sarebbe quella di mostrare al contrario la complessità di quelle zone e di descrivere la Storia locale e nazionale sotto una lente nuova, che metta in luce le contraddizioni delle battaglie al di là delle appartenenze nazionali e dei facili fanatismi.
19Anche qui, come si diceva in precedenza, l’elemento del “what if” viene in un certo senso annullato: Ortis/Lilith non viene più fucilato, ma il suo “non sacrificio” non modifica minimamente il prosieguo e l’esito della battaglia e della guerra. Le cause più profonde della guerra sono in realtà nell’animo umano stesso, al di là delle vicende e delle ragioni politiche ed economiche che di volta in volta la rendono concreta.
War Painters di Laura Scarpa
20L’ultima opera presa in considerazione è, come si è detto, anche l’unica scritta e disegnata da una donna (fig. 5). Anche in tal caso il percorso che ha portato alla pubblicazione finale è piuttosto complesso: alla base della prima delle tre storie raccolte nel libro, intitolata Die Kriegsmaler, vi era l’invito a Laura Scarpa da parte di David Lloyd, il disegnatore fra gli altri di V per vendetta, a collaborare con la prestigiosa rivista americana «Aces Weekly». Si tratta di un settimanale fondamentale per la graphic novel statunitense, che lascia ai propri collaboratori grande spazio per la sperimentazione, in cui la “gabbia” attraverso la quale vengono solitamente presentate le vignette viene totalmente rotta, fino a dare l’idea di una tavola in cui il tratto disegnato (con le parole organizzate secondo una sorta di “flusso di coscienza”) arriva a conquistare l’intero spazio. L’idea del libro è nata dalla lettura de I fogli del capitano Michel di Claudio Rigon29, sui “pizzini” da campo durante la Prima guerra mondiale (ovvero le persone deputate a trasportare o trasmettere informazioni) e dalla conoscenza diretta da parte dell’autrice di Maurizio Lucchi, direttore della «Prealpina» e grande appassionato di cartoline di guerra e pittori dal fronte, i cosiddetti Kriegsmaler. I pittori di guerra rappresentano il fulcro del primo racconto e più in generale danno il via alla riflessione sulla relazione fra arte e guerra che è alla base del libro (fig. 6). Al di là dei pittori non ufficiali che al fronte si dilettavano a dipingere compagni e oggetti (i cosiddetti Regiment-maler, pittori di reggimento), i Kriegsmaler, soprattutto nell’esercito austriaco di Francesco Giuseppe, erano figure ufficiali, che portavano al braccio una fascia di colore giallo-nero (il colore della Casa imperiale d’Austria) con la scritta Kunst (arte) e vestivano in divisa. Erano gestiti dal K.u.K. Kriegpressequartier (l’Ufficio stampa dell’Impero), che organizzava mostre di questi disegni anche in paesi neutrali come la Svizzera. I disegni originali che l’autrice inserisce nella narrazione provengono in parte dal «Tiroler Soldaten-Zeitung», che veniva distribuito al fronte italiano ed era stato diretto anche dallo scrittore Robert Musil. Si trattava di un giornale molto particolare, nel quale a volte venivano ospitati articoli critici o addirittura sarcastici contro la guerra, in generale molto distanti dalla posizione ufficiale propagandistica che il governo pretendeva; Egon Schiele per esempio cercò di arruolarsi come pittore di guerra, ma venne assegnato alle truppe che scortavano prigionieri russi a Vienna, per i quali, in via ufficiosa, disegnò dei bellissimi ritratti. Al giornale di Musil però collaborarono, tra gli altri, artisti come Hans Joseph Weber-Tyrol, che conosceva bene il Tirolo e i suoi pericoli, Wilhelm Thony (che non era un pittore di guerra ufficiale ma collaborò alle cartoline) e Hans Bertle. Molto interessante fu anche la figura di Francesco Ferdinando Rizzi, pittore trentino impegnato al fronte con gli austriaci, che pretese una divisa ufficiale da Kriegsmaler perché senza di essa, quando domandava ai soldati di mettersi in posa per un ritratto, questi rispondevano sempre di non avere tempo30.
21Creando un’ibridazione fra le diverse memorie di questi pittori e giocando con la riproduzione, talvolta volutamente modificata, del loro stile e dei loro disegni, Laura Scarpa affronta una riflessione complessa sul rapporto fra arte e guerra e, più in generale, tra verità e finzione. Ancora una volta la Prima guerra mondiale è vista dal fronte opposto a quello italiano, sia per ragioni storiche (nell’esercito austriaco i pittori di guerra erano molto più numerosi e organizzati) sia per dare un’idea dell’universalità del conflitto, al di là delle appartenenze nazionali (non a caso nell’ultimo racconto si fa cenno a due amici che devono combattere fra loro perché appartenenti a fronti opposti).
22Fra i tre testi analizzati, War Painters di Laura Scarpa è probabilmente quello in cui gli elementi storico-cronologici sono volutamente più sfumati. Il primo racconto sui pittori di guerra, ad esempio, è ambientato nelle trincee austriache al confine con l’Italia, ma il momento preciso del Primo conflitto mondiale non è indicato. Anche se è possibile ricostruire parzialmente il contesto grazie ad alcuni elementi che l’autrice dissemina attraverso la narrazione – le cartoline di guerra e i disegni “veri” che vengono riproposti nel testo, ad esempio – il gioco continuo e la tensione costante fra realtà e finzione, nel quale è la stessa Scarpa a modificare le fonti, rendono la linea di demarcazione fra i due poli molto sfumata. Anche quando, nel secondo racconto, vi è una protagonista realmente esistita, a volte i disegni sembrano portare lo spettatore in un mondo più onirico che realistico (fig. 7). Tali scelte hanno ovviamente una ragione precisa: per l’autrice infatti l’arte “deforma” la realtà della guerra, ma tale “deformazione” può anche essere uno dei pochi modi per aiutare i soldati a superare il trauma bellico e post-bellico.
23La pittura e il ritratto vengono costantemente messi in opposizione alla fotografia, visto che il ruolo dei pittori era anche quello di far pervenire alle famiglie dei soldati immagini non veritiere dei militari al fronte, a differenza dei fotografi che in linea teorica documentavano senza filtri la realtà. Era questo uno dei tre settori in cui andavano a finire i disegni, ovvero il settore di uso privato dei soldati. Una parte invece veniva utilizzata per la propaganda (mostre, ma anche settori strategici dell’esercito per disegni che potevano essere utili come mappe), mentre un’altra rimaneva nelle mani degli artisti stessi, che avevano il diritto di vendere le opere privatamente.
24Un’arte che abbellisce una realtà orrenda, che la copre, che la nasconde dunque. Tale filo conduttore è lo stesso del secondo racconto, dedicato all’artista americana Anna Coleman Ladd, nota nella Prima guerra mondiale perché a Parigi aveva creato un laboratorio in cui, grazie alle sue abilità artistiche, ricostruiva i volti distrutti e deformati dei soldati. Per costruire queste maschere facciali studiava il volto danneggiato attraverso le fotografie ma soprattutto attraverso i ritratti di guerra prima dell’incidente, dando così spazio, anche lei, a quel percorso di “ingentilimento” della vita reale che l’arte avrebbe dovuto proporre per fuggire anche solo un istante dagli orrori della guerra. Lavorava con gesso, argilla e plastilina, attraverso tecniche allora all’avanguardia e aiutata, anche al General Hospital di Londra, dallo scultore Francis Derwent Wood, che aveva creato il cosiddetto «Tin Noses Shop», dove a partire da studi anatomici e scientifici si cercava di ricostruire il volto dei soldati menomati. Coleman collaborava con quattro assistenti e le maschere dell’epoca, abbastanza pesanti e scomode, erano difficili da indossare e ancor di più da mantenere per i reduci, ma almeno consentivano loro di avere una vita sociale quasi normale. Spesso infatti i soldati dal volto mutilato (le gueules cassées) rimanevano a lungo negli ospedali, impreparati a confrontarsi con un mondo che a sua volta non voleva ritrovare sul loro volto l’orrore vissuto. Ecco che l’arte di Coleman, messa al servizio degli aspetti più umani e necessari del conflitto, diventa un mezzo efficace per alleviare il dolore dei soldati, già traumatizzati dalle sofferenze fisiche. È questo per l’autrice il senso ultimo della visione dell’arte rispetto alla guerra: la possibilità non tanto di documentare l’orrore, quanto di superarlo attraverso la rappresentazione di un altrove in cui tale orrore non esiste o è meno crudele di quanto si pensi.
25Se quello di Anna Coleman appare un modo particolare e originale di guardare alla Prima guerra mondiale, nel quale la relazione con l’arte è fondamentale, esso si avvicina ai tre fumetti analizzati in precedenza: tutti scelgono una sorta di sguardo obliquo per raccontare la guerra, in parte per il punto di vista femminile adottato, in parte per aver iniziato a raccontarla molti anni dopo, infine perché, come già accennato, l’orrore non è mai rappresentato direttamente, ma sempre attraverso un punto di vista apparentemente laterale. Un ulteriore esempio di questo sguardo obliquo potrebbe essere visto anche nell’uso del medium impiegato. Il fumetto infatti è considerato solo negli ultimi anni in Italia un mezzo espressivo utile anche per esplorare e riscrivere il passato, fornendo nuove interpretazioni e nuovi punti di vista.
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Spinazzola, Vittorio (2012, cura), Tirature ’12: Graphic novel. L’età adulta del fumetto, Il Saggiatore, Milano.
Notes de bas de page
1 Barbieri (2010), p. 81.
2 Fussell (1975), p. 39.
3 McCloud (2006).
4 Comberiati (2019), p. 56.
5 Lussana (2012), p. 19.
6 L. Nannipieri, Dall’edicola alla libreria, in Spinazzola (2012), pp. 6-45.
7 Giussani (1962).
8 Micheluzzi (2013).
9 Enoch (2009a).
10 Scarpa (2018).
11 Boschi (2008), p. 81.
12 www.lospaziobianco.it/sprayliz-e-le-altre-intervista-a-luca-enoch/ (ultimo accesso 22 marzo 2019).
13 Cristante (2016).
14 Micheluzzi (1987); Micheluzzi-Sclavi (1987).
15 Boschi (2008), p. 97.
16 Ivi, p. 121.
17 Sparagna (2008), p. 21.
18 Crepax (1968).
19 Boschi (2008), p. 121.
20 Ivi, p. 39.
21 Micheluzzi (2009).
22 Enoch (2009b).
23 Enoch (1999-2007).
24 Enoch-Serra (1995-1998).
25 Medda-Serra-Vigna (1991-2019).
26 Calderoni (1999).
27 http://www.sissco.it/recensione-annale/maria-rosa-calderoni-la-fucilazione-dellalpino-ortis-1999/ (ultimo accesso 22 marzo 2019).
28 www.lospaziobianco.it/sprayliz-e-le-altre-intervista-a-luca-enoch/ (ultimo accesso 22 marzo 2019).
29 Rigon (2014).
30 Pizzo (2005).
Auteur
É professore associato all’Università Paul-Valéry Montpellier 3. Fra le sue pubblicazioni figurano: la raccolta di interviste La quarta sponda. Scrittrici in viaggio dall’Africa coloniale all’Italia di oggi (2010); i saggi Scrivere nella lingua dell’altro. La letteratura degli immigrati in Italia (1989-2007) (2010) e Tra prosa e poesia. Modernità di Sandro Penna (2010); la raccolta di racconti Di eredi non vedo traccia (2012) sul tema dell’emigrazione italiana; il saggio Affrica. Il mito coloniale italiano attraverso i libri di viaggio di esploratori missionari dall’unità alla sconfitta di Adua (2013); e La caduta dei gravi (2014). Per Besa editrice dirige la rivista «Crocevia». Ha curato insieme a Emma Bond la miscellanea Il confine liquido. Scambi letterari e interculturali fra Italia e Albania (2013) e pubblicato i romanzi Vie di fuga (2015) e Colpo di stato nella San Marino rossa (2018). Nel 2019, presso Quodlibet, è uscito il saggio Un autre monde est-il possible? Bandes dessinées et science-fiction en Italie de l’enlèvement d’Aldo Moro jusqu’à aujourd’hui (1978-2019).
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