Un documento nuovo sulla «storia ignorata ma non per questo meno fulgida» del Battaglione italiano Savoia. Prime pagine del testo inedito
p. 75-91
Texte intégral
Presentazione
1La breve e affascinante storia del Battaglione irregolare Savoia inizia nell’estate del 1918 e si conclude nell’inverno del 1919, circa sei mesi dopo1. Si svolge lungo la ferrovia transiberiana, tra il Volga e l’Oceano Pacifico, da Samara a Vladivostok. Impossibilitato di contattare le autorità del suo Paese, un borghese italiano residente da anni nella zona di Kazan-Samara – Andrea Compatangelo – decide di autoproclamarsi capitano e di riunire, “in nome del Re”, i prigionieri italofoni austro-ungarici in Russia che riesce a reperire. Circa 350-400 uomini saranno così via via raccolti e messi in salvo2.
2La situazione caotica della Russia nei mesi che ci interessano spiega come questa operazione sia stata resa possibile e sia stata nel contempo così pericolosa. Tra l’agosto 1918 e il gennaio 1919, si verificano cambiamenti politici e militari fondamentali. I cosiddetti legionari cecoslovacchi si sono ribellati, in maggio, e hanno preso da poco il controllo di vastissimi territori a favore dei “Bianchi”, specialmente nella regione del Volga e lungo la Transiberiana. Il loro obiettivo provvisorio, dopo Brest-Litovsk e con l’appoggio dell’Intesa, è di conservare un fronte orientale. Tuttavia, i bolscevichi hanno sostenitori ovunque, anche nelle zone che non controllano più. E soprattutto, in pochi mesi, la riorganizzazione e il rinforzo, ad opera di Trotsky, dell’Armata Rossa mettono quest’ultima in condizione di riprendersi i territori perduti. I rinforzi alleati non arrivano in tempo, e così Samara è evacuata dagli antimassimalisti nei primi giorni dell’ottobre 1918. In data 11 novembre, l’armistizio toglie gran parte del loro significato alle operazioni dei cecoslovacchi, il cui mantenimento è deciso dall’Intesa solo per contrastare la rivoluzione bolscevica e prevenire la sua propagazione. Una settimana dopo, il colpo di Stato di Kolcˇak fa scomparire l’illusione di un’alternativa “democratica” al potere bolscevico, ed ora i legionari cercano solo di controllare la ferrovia transiberiana per garantirsi il ritorno a casa. I corpi di spedizione alleati dovranno ritirarsi gradualmente, accompagnando o accelerando i primi successi, poi le varie sconfitte di Kolcˇak e la sua caduta finale.
3Che cosa si sapeva, fino a una decina di anni fa, sul Battaglione Savoia?3 Nell’estate del 1918, il “capitano” Compatangelo raccoglie in un piccolo reparto qualche decina di irredenti (del Trentino, del Friuli orientale, di Trieste, dell’Istria e anche di Fiume e Zara); esso è utilizzato per operazioni di sorveglianza e di polizia a Samara. Il 6 ottobre i soldati di Compatangelo sono, a quanto pare, l’ultima forza antimassimalista a lasciare la città. Dopo varie fermate durante le quali ha recuperato altri uomini, il Battaglione si ritrova a Krasnojarsk. Lì, si ferma per aspettare il Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente (CSIEO, guidato dal colonnello Fassini Camossi), che era stato creato appunto per prestare aiuto ai cecoslovacchi. Composto da due “Battaglioni Neri”, il Corpo di Spedizione conta qualche decina di ufficiali e soldati provenienti dall’Italia e dalla colonia di Eritrea, ma soprattutto irredenti che sono stati trasferiti prima a Vladivostok, e quindi alla concessione italiana di Tientsin, dalla Missione Militare Italiana per i prigionieri di guerra in Russia. Un certo numero di essi, probabilmente pensando che ciò avrebbe facilitato il loro ritorno a casa, si erano arruolati nell’esercito italiano, ma erano ora spediti indietro nel cuore della Siberia. A metà dicembre, il Battaglione Savoia, costituito da qualche centinaio di soldati, riprende il suo viaggio verso est e arriva all’inizio di gennaio 1919 a Vladivostok. Lì, la Missione militare ha creato una “Legione Redenta di Siberia” che mira a inquadrare gli ex-prigionieri irredenti (divenuti “redenti”) in vista del loro rientro in Europa. Dopo un periodo di due o tre mesi durante il quale il Battaglione Savoia rimane invagonato nella stazione di Vladivostok, sfilando attraverso la città in febbraio, esso viene sciolto e i suoi membri si trasferiscono principalmente nella Legione Redenta e nel campo di Gornostai4. Molti di loro lasceranno l’Estremo Oriente russo solo nel febbraio del 1920, arrivando a Trieste a metà aprile.
4Per decenni, Compatangelo è stato paragonato a una specie di cometa e si è detto che era scomparso nel nulla alla fine della sua odissea. È giusto dire che le informazioni disponibili erano singolarmente vaghe, incerte, contraddittorie, incomplete, a volte anche degne di un romanzo. A parte il resoconto ufficiale delle operazioni militari italiane (che difficilmente avrebbero potuto riferire su un’operazione che non aveva nulla di ufficiale) e alcuni rari diari di ex soldati che erano intervenuti in Estremo Oriente, non si disponeva che di poche cose e soprattutto di nessun documento al di fuori di una lettera di un ufficiale francese, il capitano Bordes5.
5Il panorama degli studi è radicalmente cambiato negli ultimi anni grazie a tre studiosi appassionati da questa pagina di storia: le ricerche di Alberto Caminiti (che ha scoperto il ricco archivio di Mario Gressan)6, quelle di Roberto Mendoza (che ha esplorato attentamente l’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito e l’Archivio storico diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e ha scoperto molti nuovi documenti) e infine quelle di Fiorella Malfer Arlanch, fondamentali per la nostra ricerca, hanno permesso di confermare o contestare molte informazioni anteriori. Resta il fatto che nessuno è riuscito, sfortunatamente, a mettere le mani sul resoconto che Compatangelo aveva – come dimostrato da Mendoza – scritto e inviato alle Autorità italiane accompagnato da numerosi documenti.
6Per quanto riguarda il testo di cui parleremo, Quinto Antonelli ci aveva detto, molti anni fa, che nell’archivio dell’Accademia roveretana degli Agiati esisteva una sorta di relazione o di memoria manoscritta, il cui autore-estensore non era nominato ma che era chiaramente molto ben informato. Il documento, adespoto, era stato scoperto in occasione della donazione del fondo Vittorio Casetti all’Accademia roveretana. A quell’epoca, si considerava che fosse un testo ricopiato da Casetti, anche se si avevano seri dubbi che potesse esserne lui l’autore7.
7Di questo documento Fiorella Malfer Arlanch ha pubblicato alcuni brani. Consiste in un quaderno di formato 16x21 cm. Il testo è quasi tutto scritto sulle facciate di destra (recto del foglio); a sinistra (verso del foglio), ci sono delle aggiunte. Nelle restanti pagine troviamo il testo di una delle ultime lettere di Cesare Battisti, un breve testo che inizia con le seguenti parole «Noi sentiremo l’amor di patria…», e infine un testo intitolato Legione redenta di Siberia 8.
8Tre mani (almeno) sembrano intervenire. La prima scrive a penna, in modo molto leggibile e con pochissime cancellature, quasi tutto il testo della memoria e i tre testi che seguono (fig. 1). Una seconda mano, più nervosa e inclinata, interviene con la penna sul retro (facciata di sinistra) dei fogli 1 e 2; questa aggiunta unica si conclude con le seguenti parole: «Intercalazione autorizzata dal serg. mag. Battocletti Guglielmo; fatta dall’asp. uff. [firma illeggibile]»; non si può escludere che si tratti di Ottavio Ferialdi, che era infatti uno dei pochissimi aspiranti ufficiali. Una terza mano, più rotonda e talvolta difficile da decifrare, interviene, quasi sempre a matita (e una volta con un inchiostro rosso), per cancellare certi brani, correggere punti precisi e inserire dettagli, a volte sulla facciata di sinistra; questa mano è indicata in corsivo (fig. 2). Nell’estratto pubblicato, abbiamo deciso di conservare i brani cancellati (presentandoli come tali) in quanto sembrano darci delle indicazioni molto importanti.
9Il nome dell’autore non appare, in quanto tale, nel quaderno. Fiorella Malfer Arlanch scrive (seguendo, ci dice, il catalogo dell’Archivio) che la relazione è dovuta a un certo Mario Strada, che avrebbe scritto sotto la supervisione di Guglielmo Battocletti9. C’è comunque ogni ragione per supporre che questo dato sia in realtà un’estrapolazione partendo dalla nota sull’“intercalazione”. Dal momento che il testo non può essere stato scritto da Vittorio Casetti, non resta quindi che guardare ciò che il documento dice per vedere cosa può svelarci sul suo autore o redattore.
10Per prima cosa si deve notare che cancellature e riscritture sono numerose ai fogli 1v, 2r e v, 3r, relativi alle prime fasi di formazione del battaglione. Chi ha preso l’iniziativa? Chi si è impegnato a fare qualcosa? Chi ha avviato l’intera faccenda? È una partita fondamentale che si gioca in queste pagine. Diversi nomi – Ferialdi, Grusovin – sembrano recitare i ruoli principali; due liste di otto nomi sono prodotte ma anche cancellate. Ad ogni modo, noteremo un punto essenziale. Dopo aver detto che «A queste condizioni si presentarono il 21 agosto Grusovin, Ferialdi, Giadrossich, Rossi, Villani, Planck, Rigotti e Kattarinich nel treno dei czechi a Samara», il testo prosegue con le seguenti parole: «Il 22 agosto si presentò nel nostro vagone un uomo alto dalle sopraciglie nere, dallo sguardo vivo, un vero rappresentante dell’Italia meridionale», che meritano almeno un commento. Dal momento che la cosa è raccontata in questo modo («il nostro vagone»), tutto ci costringe a pensare che l’autore fa parte della lista degli otto. Un’allusione alla bora, più avanti nel testo, può anche permetterci di supporre che l’autore sia un triestino piuttosto che un trentino.
11È importante sottolineare, tuttavia, che l’intero testo è costruito attorno a una forte opposizione tra Compatangelo e i componenti del battaglione: c’è, da una parte, “noi” e, dall’altra, “il nostro Capitano”. Il che ci costringe ad sfumare l’osservazione appena fatta: sebbene inizialmente il battaglione includa solo poche persone (rispetto ai 350, o forse di più, dopo il passaggio a Krasnojarsk), il “noi” ricopre sempre, in un certo senso, tutti gli uomini, cioè tutti quelli che sono stati salvati da Compatangelo. Quindi non possiamo escludere completamente che il testo sia stato scritto – di getto? in più volte? ma, in questo caso, il documento sarebbe piuttosto la bella copia di una prima stesura – da qualcuno che non fa parte delle prime otto reclute10. Infine, non si potrebbe, almeno in via teorica, escludere che la relazione fosse stata stilata in nome di più persone; ma in tre occasioni il testo è scritto alla prima persona singolare – una sorta di dimenticanza dell’autore che non si ricorda che deve scrivere (o correggere una precedente stesura) alla prima persona plurale. Nonostante tutta questa prudenza, l’idea che l’autore sia uno degli otto, e più probabilmente un triestino, domina, anche se questi vuole parlare a nome di tutti.
12Vari elementi suggeriscono che il testo (almeno in una possibile prima stesura) sia stato scritto mentre gli uomini sono ancora in Russia. Prima di tutto, si trova un “ora” che viene posto in un momento in cui si parla del desiderio sempre presente di tornare a casa, quindi tra gennaio 1919 e febbraio 1920. Inoltre, l’autore inserisce nel testo alcune parole russe, come se questa realtà fosse ancora molto presente, come se fosse difficile per lui trovare la parola italiana corrispondente, come se stesse ancora implicitamente parlando agli altri volontari del battaglione, che sono in grado di capire. Varie volte, inoltre, mentre il nome è stato cambiato a Krasnojarsk, scrive ancora “Battaglione Samara” prima di autocorreggersi o di essere corretto. In senso contrario, l’autore fa riferimento alle bandiere italiane poste sul Castello del Buonconsiglio a Trento e su San Giusto a Trieste il 3 novembre 1918 – il che presuppone che abbia avuto il tempo di essere informato; il testo nel suo stato attuale non può quindi essere stato scritto mentre gli eventi si svolgevano.
13Se ci si chiede quali siano le intenzioni dell’autore, sembra chiaro che il suo desiderio è prima di tutto quello di far conoscere la gratitudine del gruppo nei confronti di Compatangelo, ma anche il suo amore quanto meno “ardente” per l’Italia e i suoi monarchi. Si è così assai sorpresi di scoprire che l’11 novembre 1918 il battaglione celebrò più l’onomastico del re che l’armistizio! L’idea era certamente quella di mostrare che, seguendo l’esempio del loro capitano, che amavano come un padre, gli irredenti cominciavano ad amare l’Italia e i suoi sovrani, il re e la regina. A dir il vero, si parla sin dalla prima pagina dell’amore per l’Italia ma, nel testo, ciò riguardava solo il piccolo nucleo di partenza. Più avanti nella relazione, è stato chiaramente affermato che gli irredenti spesso non avevano alcuna fede politica, se non erano addirittura rimasti legati all’Austria11. Mostrando l’attaccamento di Compatangelo all’Italia e alla coppia reale e l’attaccamento dei soldati del battaglione a Compatangelo, gli ex prigionieri austro-ungarici sono trasformati, in qualche modo, in fedeli sudditi del re d’Italia.
14Tuttavia, anche questa operazione ha lo scopo di mettere in risalto la figura del Capitano e sottolineare quanto i suoi uomini siano legati a lui. Probabilmente è importante capire che i prigionieri si sentivano abbandonati (più che altro dall’Austria-Ungheria, ovviamente, la loro patria). Il fatto che una persona si prenda cura di loro, si preoccupi delle loro condizioni di vita o del loro ritorno a casa quasi automaticamente ha generato in loro un senso di gratitudine e fedeltà. L’autore del testo sottolinea due volte che era stata creata una sorta di guardia ravvicinata del capitano, chiamata «Compagnia della morte». Questi uomini avevano giurato di essere pronti a morire per l’incolumità di Compatangelo. Tutte le fonti sembrano indicare che gli uomini rimasero fortemente legati al loro “capitano” per il resto della vita, anche dopo aver scoperto, a contatto con le Autorità ufficiali, che il capitano non era veramente un graduato dell’Esercito italiano12. È forse per questo motivo che l’autore torna a ripetere, e ripetere ancora, le parole «il nostro Capitano», sempre con la C maiuscola.
15Per il resto, chiaramente, questa relazione è il documento più completo che si sia trovato sulla vicenda del Battaglione Savoia. La conoscenza delle operazioni effettuate da questa piccola truppa fa un balzo in avanti importante; i dettagli sono più numerosi e precisi che nella relazione scritta da Mario Gressan. Mentre il testo di Gressan contiene almeno un errore grossolano (la pausa di due mesi a Celiabinsk – una dozzina di giorni nella realtà), la cronologia del nostro documento è sia realistica che coerente. Per fare un esempio, mentre si trova a Celiabinsk, appunto, tra il 13 e il 24 ottobre, Compatangelo riesce finalmente a contattare le Autorità italiane parlando per trenta minuti al colonnello Filippi di Baldissero, capo della Missione Militare Italiana a Vladivostok; il 18, il colonnello manda un telegramma ai suoi Superiori, dove riferisce della conversazione13. Va anche notato che, a differenza del testo di Gressan, che tende a presentarlo sempre nella migliore luce, la relazione non mette nessuno in avanti dall’inizio alla fine della storia – nessuno al di fuori di Compatangelo. E d’altronde, bisogna ammettere che in pochi mesi, egli poté incontrare quasi tutti i protagonisti principali della lotta antimassimalista tra Samara e Vladivostok: Boldyrev, Cˇecˇek, Cˇernov, Dieterichs, Dutov, Rebenda, in seguito anche Semionoff, riuscendo a inserirsi veramente nella grande Storia14.
16Una parola per finire su quello che potrebbe essere stato il suo obiettivo. In passato, si è insistito con un po’ di enfasi sul fatto che il capitano autoproclamato agiva per salvare questi uomini, totalmente smarriti e promessi ad una morte sicura nel cuore della violenza della rivoluzione russa15. Che questi uomini si siano trovati in una situazione morale e materiale molto dura è indiscutibile: diventare soldati del Battaglione doveva significare per alcuni di loro un vero e proprio ritorno alla vita, una riconquista della loro umanità. Erano in pericolo? Certamente. Sarebbero morti tutti o quasi tutti senza l’intervento di Compatangelo? Lì, è consigliabile dire le cose in un modo più sfumato. Dobbiamo ricordare che moltissimi prigionieri (italiani e non) sono tornati dalla Russia. Ciò che il documento mostra bene, è che l’obiettivo iniziale di Compatangelo (certamente spinto dai francesi presenti in loco)16 era che l’Italia fosse inserita tra le Potenze che, grazie ai cecoslovacchi, consentivano ai Bianchi di riprendersi il controllo del territorio russo e quindi di mantenere un fronte orientale contro gli imperi centrali. Il Battaglione Savoia sale su un treno e imbocca la strada della Siberia sotto la pressione dei bolscevichi. A Krasnojarsk, la prima idea è quella di fare di questo gruppo un terzo battaglione del Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente, ma vedendo con chi ha a che fare (anche in termini di equipaggiamento), Fassini Camossi decide di inviare questi uomini a Vladivostok. Certo, si parla del fatto che Compatangelo ha adempiuto alla sua promessa portando questi uomini in salvo, ma non è detto che questa fosse la promessa iniziale. Ciò che sembra chiaro, tuttavia, è che il “Capitano” ha pienamente assunto il suo ruolo e ha affascinato i suoi uomini con la sua determinazione e forse anche i suoi metodi sbrigativi, al punto di essere considerato il loro “padre” e il loro salvatore.
17Tuttavia, vale la pena segnalare che il commissario del popolo agli Esteri Cˇicˇerin trasmette una lettera a Sonnino datata dell’11 febbraio 1919 nella quale parla di repressione dovuta a soldati italiani nel distretto di Mariinsk; la “rivolta di Cˇumai” si svolge appunto tra il 19 e il 28 ottobre 1918, cioè esattamente quando Compatangelo e i suoi volontari si stanno trasferendo da Omsk a Krasnoiarsk (mentre il Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente non è ancora arrivato in zona). Si può quindi ragionevolmente supporre che il battaglione irredento abbia forse partecipato alla repressione, evitando in seguito di parlare di quell’episodio poco glorioso17.
Prime pagine del testo conservato all’Archivio storico dell’Accademia roveretana degli Agiati. Fondo Vittorio Casetti, Busta 1359.2 Manoscritti 1918-191918
[f. 1r] Da un nucleo di giovani nell’agosto 1918 sorse l’idea di riunirsi e di fare le pratiche necessarie per essere allontanati da queste gelide terre e portare il loro contributo all’Italia[,] a quell’Italia, che sospiravano di rivedere Grande, reintegrata nei propri diritti nazionale politici ed economici ancor prima della guerra, che seguivano con ansia con trepidazione le alterne vicende del mondiale disastro, che fremevano di rabbia al vedere lo straniero calare spavaldo nella pianura veneta e sporgere le sacrileghe mani sulla città marinara, gemma dell’Adriatrico [sic].
Santo, sacro era il loro desiderio, ma lo spazio che gli separava era immenso, difficoltà s’aggiungevano l’una accanto l’altra, la guerra bolscevica avea loro tagliata la strada colla Madrepatria.
[f. 2r]
Soffrivano queste giovani anime il peso della prigionia sempre colla speranza che il Destino apri a loro una via per uscire da sì compassionevole posizione.
Verso l’11 d’agosto[Agg., terza mano, matita (in corsivo qui): Verso gli ultimi di luglio] Ferialdi Ottavio19 si presentò dal vice-console francese a Samara20 espose l’idea sua e dei suoi compagni di poter partire per l’Italia.Il vice-consolo ringraziò i giovani italiani del loro delicato pensiero, ma al momento non poté decidere in merito. #
[f. 1v] [Seconda mano, fino alla firma illeggibile] # La prima volta che Ferialdi Ottavio si presentò dal vice-console francese, ottenne la risposta che partire per l’Italia era umanamente impossibile # [Agg. a f. 2v, terza mano, matita: # Ci consigliò pure di arruolarci nell’armata czeco-slovacca o nelle truppe francesi che quella volta si trovavano a Sant’Arcangelo.]
La seconda volta pregò il vice-console di preparargli una supplica indirizzata al com[andan]te Sekera21concepita nel modo seguente: Il console francese Jeannot desidera che ai seguenti prig. di guerra italiani: Ferialdi Ottavio, Rossi Giulio22, Rigotti Adolfo23, Villani Alessandro24, Gressan Mario25, Ghiringhelli Silvio26, sia accordata libera uscita in città per cercarsi lavoro privatamente. Ferialdi Ottavio insistette affinchè anche Planck Vladimiro27e Giadrossich Antonio28fossero elencati nella supplica; ma il vice-console non vole saperne, motivando che i loro cognomi non erano italiani. La terza volta Ferialdi Ottavio si recò dal vice-console a prendere la supplica preparata e[f. 2v]firmata antecedentemente. Ringraziò il vice-console e congedandosi ricevette da questi l’augurio: “Je vous souhais [sic] de bonnes chances.” Ritornato all’accampamento, Ferialdi Ottavio presentò l’istanza al com[andan]te Sekera e questi gli rispose d’attendere dopo alcuni giorni una risposta. La risposta venne e consisteva in una disillusione. La supplica venne respinta.
(Intercalazione autorizzata dal serg. magg. Battocletti Guglielmo29, fatta dall’asp. Uff. [Firma illegibile: Ottavio Ferialdi?]30
Grusovin Antonio31
fra l’19 il 1232e il 21agosto si presentò dal comandante dell’accampamento Secheraraccontandogli le sue intenzionimanifestò il desiderio e quello deiproprisuoi compagni. Il comandante rispose chemalgrado tutta la sua volontà nell’aiutare chi coopera a distruggere il serpente velenoso che colle sue malie insidiatrici tenta a distrug[f. 3r]gere ciò che v’ha di più sacro, di più umano sulla terra, non può per ora che migliorare la loro penosa situazione per la libera uscita per città, di più potrebbe aggregarli all’armatagli aggregherebbe nell’armata czeca(a condizione che cooperassero al servizio di guardia al treno) promettendo che faràe promise che avrebbe fatto tutto il possibile di ricondurli in Italiaquando sarà libero il passaggio. A queste condizioni si presentarono il 21 agosto Grusovin, Ferialdi, Giadrossich, Rossi, Villani, Planck, Rigotti e Kattarinich33nel treno dei czechi a Samara.
Il 22 agosto34 si presentò nel nostro vagone35 un uomo alto dalle sopraciglie nere, dallo sguardo vivo, un vero rappresentante dell’Italia meridionale [agg.: e trovò il Grusovin]. Era il nostro futuro Capitano il futuro Comandante del Battaglione italiano Samaravoia36. Da A Kasan ove lavorava in lavori di controspionaggio37 venne informato dal vice-console francese Signor [f. 4r] Como lì di passaggio del desiderio espresso dagli irredenti italiani di Samara. L’idea di formare un piccolo riparto di volontari gli balenò subito alla mente e pensò che miglior propaganda della nostra Cara Patria in luoghi sì lontani e remoti sarebbe quella di riunire tutti gl’irredenti sparsi su migliaia di kilometri[,] formare con loro un Battaglione che tutelasse il nome d’Italia anche fra gli sconvolgimenti che turbano la Russia in modo sì impressionante. Lasciò senz’altro la sua occupazione e venne a Samara.
Sugli alti suoi ideali parla sufficientemente il giornale russo di Samara38 dei [lac.] nell’intervista avuta col corrispondente[,] intervista che qui trascrivo tradotta dal russo [Di fronte, nel margine, lettera A39]: «Ho parlato col Signor Compatangelo, pieno d’energia, completamente, preso dall’insieme, grande, un ufficiale italiano, abbastanza [f. 5r] giovane.
Io[,] racconta lui – sono venuto qui con una missione speciale40: di preparare per l’avanzata41 un battaglione di soldati italiani irredenti sparsi ora per quasi tutta la Russia.
«Italiani?» domandai nuovamente – «E come ci son qui capitati?»
«Siete meravigliato? Sono molti. Il fatto stà che parecchie provincie austriache si trovano al confine d’Italia… Gli abitanti furono quasi tutti mobilizzati e forzati a combattere sul fronte russo… ora molti di questi sono in prigionia qui in Russia. Da sè stessi non possono organizzarsi[,] eccoci dunque venuti qui con lo scopo di venir loro incontro in ciò. Fra un mese non più saremo pronti per il combattimento. Siamo soldati[,] sorridendo osserva il Comandante del futuro Battaglione [f. 6r] non occorre una lunga preparazione, basta solo di raccoglierci e prendere il fucile… La Germania dev’essere schiacciata come ognuno che entra in alleanza con essa. Combatteremo coi czeco-slovacchi[,] coll’esercito del popolo42 per la causa comune.»
[Di fronte, nel margine, lettera B] Dal certificato43 rilasciatogli dal Consiglio dei Czecho-Slovacchi dei 9 settembre 1918 N°288 risulta l’autorizzazione di organizzare i distaccamenti italiani adetti nell’armata czeco-slovacca44.
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Notes de bas de page
1 «La storia ignorata ma non per questo meno fulgida» sono parole di M. Gressan, Copia della relazione dell’opera svolta dal battaglione italiano “Savoia” in Siberia, p. 3, riproduzione del dattiloscritto in Mendoza (2014), p. 155. Vorremmo ringraziare la nostra ex studentessa russa Olga Popova per il suo aiuto inestimabile durante questa ricerca. Sulla storia della guerra civile russa cfr. Marie (2017); Smith (2011); Pichlík-Klípa-Zabloudilová (1997).
2 Si arriva a questa cifra leggendo le principali testimonianze e lasciando da parte le più stravanganti. L’unico dato obbiettivo è il lasciapassare di Pietro Clauser (9 novembre 1918, Krasnojarsk), che reca il numero 267. Cfr. Randazzo (2008).
3 Cfr. Bazzani (1933), Francescotti (1981), Mautone (2003), Medeot (1978), Rossi (1998).
4 Non tutti, dal momento che Pietro Pompermeir afferma: «Arrivati finalmente dopo 22 giorni di viaggio siamo feglicci di escerre con l’italiani e chi volleva fare il soldato lo poteva fare e chi non lo facceva erra lo stesso.» Cfr. Mendoza (2014), p. 40, che cita da Modena (2009), p. 48. Sappiamo anche che a Gornostai una delle baracche era destinata a coloro che non volevano “firmarsi come italiani” e venivano soprannominati i “canarini” (dal colore della divisa). Cfr., tra gli altri, Antonelli (2008), p. 229.
5 Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (1934), vol. VII (Le operazioni fuori del territorio nazionale), tomo i. La fondamentale lettera di Bordes, del 16 ottobre 1918, è pubblicata a p. 188.
6 Uno dei punti interessanti di Gressan è che, volendo che le Autorità italiane riconoscessero il suo ruolo nel Battaglione, aveva fatto tradurre dal russo in italiano molti documenti (tra cui alcuni falsi) che ora si trovano nell’Archivio personale Mestroni (Trieste). Cfr. Caminiti (2012) e Mendoza (2014).
7 Cfr. L. Caffieri, Memorie di guerra. Il materiale di Vittorio Casetti donato all’Accademia roveretana degli Agiati, in Casetti (1997), p. 50. Nel catalogo della recente mostra documentaria Cosa videro quegli occhi! Uomini e donne in guerra. 1913-1920, vol. 1. Autobiografia, a cura del Laboratorio di storia di Rovereto (Trento, Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento, 2018, pp. 488-91), sono stati pubblicati due brani della relazione, inseriti subito dopo la fine del testo di Casetti intitolato Ricordi della giovinezza e purtroppo senza precisare che si tratta di un testo totalmente diverso. Queste citazioni si basano – sembra – su una trascrizione dattiloscritta con molti errori, fatta probabilmente alla fine degli anni Novanta, e presente nella busta di archiviazione del quaderno.
8 La lettera di Battisti, «rinvenuta negli archivi del M[inistero] di G[iustizia] a Vienna», non poteva essere conosciuta prima di un certo lasso di tempo, mentre il testo sulla Legione, che è soprattutto un elogio di Cosma Manera, e il testo che tenta di immaginare l’arrivo a Trieste sembrano veramente ancorati nella realtà della vita di sterminata attesa a Vladivostok.
9 Malfer Arlanch (2016), p. 159.
10 Va aggiunto che gli ufficiali si trovano in una situazione particolare: l’autore dice «i nostri ufficiali» come se non facesse parte di questo gruppo (è lui stesso un sottufficiale?). Eppure, quando parla della «bicchierata d’addio» del 14 dicembre 1918, che unisce solo gli ufficiali del Corpo di Spedizione e quelli del Battaglione Savoia, prima della partenza da Krasnojarsk, sembra ancora avere negli occhi e nelle orecchie quello che è successo, come se ne fosse stato il testimone diretto.
11 Sul processo di cambiamento identitario, si veda Bellezza (2016) e Di Michele (2018).
12 Ci si può legittimamente chiedere quando questo punto sia stato risolto in quanto, nei documenti scoperti da Mendoza (2014, pp. 228 e 230), Compatangelo sembra conservare il rango e il titolo di “capitano” durante l’anno 1919. Solo dal 1920 è presentato come un «ex Tenente Colonnello nelle forze del generale Semionoff» (nel suo pro-memoria – cfr. ivi, pp. 116-17 –, Antonio Riva spiega che Compatangelo era stato prima promosso, «sul campo, colonnello dell’Esercito russo» «per aver salvato il tesoro dello Stato russo», quindi «Maggiore Generale nello Stato Maggiore» dell’Esercito controrivoluzionario della Transbaikalia).
13 Ivi, p. 152.
14 Nel romanzo di Aleksej Tolstoj L’Anno 1918, in occasione di un banchetto che si svolge a Samara nell’agosto del 1914, è descritto un personaggio di nome Piccolomini che assomiglia molto a Compatangelo (sta organizzando un battaglione di italiani); nella stessa scena, si incontrano altri personaggi presentati sotto il loro vero nome: Cˇecˇek, il falso console francese Lucien Jeannot, Dutov e altri.
15 Le parole «salvare da morte sicura» sono di Gressan, Copia della relazione cit., p. 3, in Mendoza (2014), p. 155.
16 Si veda il nostro saggio I francesi di Samara e gli irredenti del Battaglione italiano Savoia (Russia, estate 1918), in «Studi trentini. Storia», XCIX, n.1 (2020), pp. 199-224.
17 Si veda Petracchi (1982), pp. 95 e 267.
18 Il testo è preceduto da tre fogli bianchi e seguito da venticinque fogli bianchi. È stato trascritto cercando il più possibile di conservare le pecularietà dell’originale. In particolare, come già detto, i brani cancellati sono presentati come tali, e non si è aggiunto un “sic” ogni volta che una parola non obbediva alle regole dell’ortografia. Qualche virgola è stata aggiunta per rendere la lettura più scorrevole.
19 Cercando di sapere chi era appartenuto al Battaglione Savoia, Fiorella Malfer Arlanch è riuscita a stilare un elenco di 217 nomi. Cfr. Malfer Arlanch (2016), pp. 360-69. Vi si trovano la data e il luogo di nascita, la posizione nel Battaglione e il nome della nave usata per il ritorno. Nel caso di Ferialdi, cfr. pp. 362, 457, 600: 17/7/1893, Trieste, Sottotenente, Texas Maru. Si noti che nella sua ultima lettera, datata del 1931 e indirizzata a Mario Gressan, Compatangelo indica che Ferialdi è l’unico reduce del Battaglione, con Gressan, che sia rimasto in contatto con lui. Cfr. Mendoza (2014), p. 220.
20 In quei mesi, a Samara, c’erano due “vice-consoli” francesi: uno falso, Lucien Jeannot (era stato più o meno “eletto” dalla comunità francese di Samara e si presenterà in seguito come capo della missione militare francese – altro titolo usurpato; si occupava di affari militari e di prigionieri), e uno vero, Lucien Caumeau (inviato dal console generale francese ai primi di luglio 1918 e che pubblica articoli sulla stampa locale per specificare che è egli l’unico vero vice-console di Francia). Cfr. la pagina Web: https://a-malyavin.livejournal.com/96346.html (ultimo accesso: 12/02/2020).
21 Non si sa chi fosse questo “comandante Sekera” (o Sechera), dal cognome probabilmente ceco; sembra che il capo del campo di prigionieri di Samara, in quel periodo, si chiamasse Blazhek [informazione data dal webmaster del sito russo sopra citato].
22 Malfer Arlanch (2016), p. 461: 18/11/1885, Cherso, Sottotenente, England Maru.
23 Ivi, p. 440: 29/10/1893, Sporminore, caporale del Batt., Gablonz.
24 Ivi, p. 462: 11/02/1895, Lussinpiccolo, Tenente, Texas Maru.
25 Ivi, p. 458: 05/09/1893, Trieste, Sottotenente, Texas Maru.
26 Ivi, p. 363: Monfalcone?
27 Ivi, p. 366: 11/03/1895, Castelmuschio–Lussinpiccolo, Asp. uff., Texas Maru.
28 Ivi, p. 363: 18/08/1886, Lussinpiccolo, Sottotenente, Texas Maru.
29 Ivi, p. 360: 03/09/1890, Fondo, Furiere, England Maru.
30 Nelle liste di Malfer Arlanch troviamo come “aspiranti ufficiali” Mario Gressan e Vladimiro Planck, ma altri elenchi mostrano che anche Ottavio Ferialdi fosse aspirante. Cfr. Caminiti (2012), p. 144. Si noti che Battocletti autorizza questa intercalazione ma egli, all’epoca dei fatti evocati, non faceva parte del Battaglione (era a Ekaterinburg e raggiunse il Battaglione solo alla fine di ottobre 1918).
31 Malfer Arlanch (2016), p. 363: 22/02/1897, Gorizia, Caporale, Texas Maru.
32 Data incerta in quanto questo punto del ms. è indubbiamente il più confuso.
33 Ivi, p. 361: Ottavio, 24/02/1894, Trieste, Caporal Maggiore, Texas Maru. Ferialdi, Rossi, Rigotti, Villani, Planck e Giadrossich sono presenti in entrambe le liste; Gressan e Ghiringhelli sono presenti solo nella prima, Grusovin e Cattarinich solo nella seconda. Ma si desume facilmente che Gressan e/o Grusovin giocano un ruolo di primo piano.
34 Anche Caminiti, riferendosi a non specificati “appunti di Gressan”, parla del 22 agosto come del giorno di costituzione del Battaglione. Caminiti (2012), p. 69.
35 Questa sequenza suggerisce fortemente che l’autore della memoria fa parte dell’elenco dei volontari citati nelle righe precedenti. Il racconto di Mario Gressan è significativamente diverso (Copia della relazione, pp. 2-3): «[…] egli [i.e. Gressan] invano tentò di rivolgersi a qualche Autorità italiana, onde ottenere i mezzi per portarsi in Italia, e arruolarsi finalmente nel glorioso Esercito italiano. La confusione ed il disservizio erano tali da rendere impossibile ogni comunicazione. / Dai russi venne inviato nella Siberia d’Asia, dove rinnovò i suoi vani tentativi di porsi a contatto con Autorità italiane. Avendo saputo che a Samara sul Volga trovavasi un agente consolare del Governo francese, clandestinamente egli vi si trasferì, ma l’inviato della Francia gli rifiutò ogni appoggio, dicendo che egli era là per tutelare gli interessi dei soli francesi. […] Trovò (nel 1918 a Samara) un italiano, certo Compatangelo, che propose a lui, insieme ad altri quattro suoi connazionali, di raccogliere tutti i prigionieri ex austriaci di nazionalità italiana che trovavansi nei dintorni.» In realtà, l’idea che il primo elenco includa otto nomi ma non quello di Gressan sembra indirettamente confermata dalla dedica di Compatangelo a Gressan, «uno dei primi nove volontari del mio Battaglione Savoia» (corsivo mio – Caminiti (2012), p. 106). Si noti che Caminiti pubblica (a p. 89) una foto che rappresenta Compatangelo accompagnato da otto persone – forse i primi otto volontari del Battaglione; vi si riconoscono almeno Villani, Grusovin e Ferialdi.
36 Il “Battaglione italiano Samara” diventerà il “Battaglione italiano Savoia” a Krasnojarsk, forse in occasione del compleanno del re Vittorio Emanuele III.
37 Questo punto è molto importante: Compatangelo è stato ufficialmente impiegato come “spione”? O semplicemente per occuparsi di “intelligenza”? E da quale Potenza? Si sa che, a Kazan (controllata dai cecoslovacchi solo dal 6 agosto al 10 settembre 1918), Compatangelo era in contatto con il capitano Joseph Bordes, della Missione Militare francese in Russia, forse con il falso console Jeannot e certamente il vero console Caumeau.
38 Diversi giornali furono stampati a Samara durante il periodo del Komuch (ossia il Comitato dei membri dell’Assemblea Costituente, tra giugno e ottobre 1918): il «Vestnik Komucha» (Messaggero del Komuch), il «Volzhskii den’» (Quotidiano del Volga), probabilmente altri. Compatangelo vi fa pubblicare più volte notizie. Cfr. https://a-malyavin.livejournal.com/99699.html (ultimo accesso: 12/02/2020). Nel caso che ci interessa, l’autore sembra aver conservato un semplice ritaglio, che non gli consente di ritrovare né il nome del giornale, né la data.
39 Quattro documenti (indicati nel quaderno con le lettere A, B, C e D) dovevano essere aggiunti al testo della relazione.
40 Compatangelo purtroppo non specifica chi gli ha affidato questa “missione speciale”.
41 Si noti che Compatangelo, a quel momento, pensa ancora che l’offensiva dei cecoslovacchi e dei Bianchi continuerà verso ovest, probabilmente con l’aiuto di contingenti alleati in procinto di arrivare (e che in realtà arriveranno troppo tardi). Proprio in quei giorni, Trotsky è a Sviajsk, sulla sponda occidentale del Volga, quasi di fronte a Kazan, e sta riorganizzando l’Armata Rossa.
42 L’Esercito del Popolo era una creazione del Komuch; era costituito principalmente di contadini sostenitori del Partito Socialista Rivoluzionario di destra, che non erano ovviamente tutti pronti a morire per il Komuch.
43 Mendoza (2014), p. 163.
44 Ivi, pp. 47-49, 159-62. Il “Battaglione italiano Samara”, come precisato da vari testimoni, è posto sotto l’autorità dei cecoslovacchi, che hanno ottenuto lo statuto di “Alleati” (alcuni combattono anche in Italia). È indicato a chiare lettere nel documento – come giustamente sottolineato da Mendoza – che le Autorità italiane riprenderanno il controllo del Battaglione non appena sarà possibile raggiungerle.
Auteur
È professore ordinario di letteratura e cultura italiana all’Università Picardie-Jules Verne (Amiens). Da più di vent’anni studia la delicata questione dei trentini e del Trentino (e più generalmente degli irredenti) nella Prima guerra mondiale. Ha curato la pubblicazione del vol. 9 della collana “Scritture di guerra” (Archivio trentino della scrittura popolare, Museo storico del Trentino, Trento, e Museo storico italiano della guerra, Rovereto); ha scritto saggi e partecipato a convegni dedicati alla Grande Guerra, l’ultimo dei quali era centrato sulle Cronache della guerra in casa. Scritture dal Trentino e dal Tirolo 1914-1918 (Rovereto, dicembre 2018).
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