Introduzione
p. VII-XXIX
Texte intégral
1Il presente volume raccoglie gli atti del convegno internazionale organizzato nell’ambito del progetto interuniversitario Les Italiens et la Grande Guerre 1915-1918 / 2015-2018 ideato, in occasione del Centenario della Grande Guerra, dalle Università Aix-Marseille, Nice Sophia Antipolis (ora Université Côte d’Azur) e Sorbonne Nouvelle-Paris 3. Dopo i primi due incontri – De la guerre des idées à la guerre des hommes, svoltosi all’Università Aix-Marseille dal 12 al 14 novembre 2015, e L’Autre front / Il fronte interno: le conflit sans combats dans les villes italiennes de l’arrière, svoltosi all’Università Nice Sophia Antipolis il 24 e il 25 novembre 2016 –, il terzo, intitolato 1918-2018: cent ans de la Grande Guerre en Italie, è stato organizzato l’8 e il 9 novembre 2018 all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3 in collaborazione con la rivista Historia Magistra diretta da Angelo d’Orsi. Esso si inserisce nel quadro delle ricerche sulla cultura novecentesca dell’asse «Écritures du temps présent» del Centre interdisciplinaire de recherche sur la culture des échanges (CIRCE).
2I tre convegni, ed i rispettivi volumi che ne raccolgono gli atti, contribuiscono agli studi sulla Grande Guerra che, con prospettive talvolta inficiate di ideologia e recentemente affrancate da condizionamenti politici, hanno ampliato gli orizzonti scientifici passando dalla macrostoria del conflitto alla microstoria della vita dei soldati nelle trincee o in prigionia1. Con il loro approccio pluridisciplinare e con un pannello di saggi per forza di cose parziale, i tre volumi mettono in prospettiva un evento che ha condizionato i progetti politici degli Stati, mobilitato le risorse creative e speculative di generazioni di intellettuali e forgiato gli immaginari dell’individuo e della società. I volumi sono stati pensati, il primo2, come una riflessione sul contesto storico e politico, sulla mobilitazione di numerosi scrittori, nonché sulle avanguardie all’origine delle sperimentazioni letterarie e artistiche dei primi quindici anni del Novecento in Italia che, in una generale accensione bellicistica degli spiriti, inneggiano alla guerra3; il secondo4, come una cartografia dell’attività culturale nelle città lontane dal fronte, a testimoniare che, mentre le sorti del paese si giocano nelle dodici battaglie dell’Isonzo, la cultura degli anni di guerra adatta i suoi molteplici vettori (stampa, teatro, cinema, letteratura, arti figurative) alla propaganda per lo sforzo comune; il terzo, che qui introduciamo, come una valutazione dell’eredità lasciata dalla guerra nella storia, nella letteratura e nelle arti italiane del Novecento, così come nel dibattito storiografico che ha prodotto una ricca messe di pubblicazioni negli ultimi due decenni. Questo progetto deve fare i conti con la complessità di un secolo di storia per il quale si intende verificare l’ipotesi dell’uso delle poste in gioco politiche, ideologiche, letterarie e memoriali innescate dalla Grande Guerra, che si è imposta nell’immaginario collettivo come un “teatro della memoria”.
3Nello specifico, questo volume intende rimettere in prospettiva storica le ricerche sulla Grande Guerra, focalizzandosi sulle riletture/riscritture spesso dettate nel corso dei decenni dagli imperativi della storia, della politica e della società italiana. Esso intende capire altresì la competizione memoriale divenuta progetto politico dal 1918 ad oggi. La storiografia è coesistita infatti con una politica della memoria rafforzatasi in occasione delle commemorazioni per il Centenario. La costruzione della memoria affidata tanto alla valorizzazione delle testimonianze dei soldati-scrittori, quanto alla politica sulla museologia monumentale, e infine alle celebrazioni ufficiali o alle creazioni della fantasia ha costituito uno dei punti focali di una ricerca che vuole essere momento di riflessione in un’ottica interdisciplinare.
4Il Primo conflitto mondiale viene ribattezzato a posteriori “Grande Guerra” e acquista valenza di mito fondatore della modernità. Quest’ultimo termine è continuamente associato a quello scontro che ha sperimentato le armi tecnologiche di massa, la riduzione dell’individuo a semplice ingranaggio di un sistema industriale di morte ed ha sconvolto i parametri conoscitivi favorendo l’elaborazione di nuovi immaginari. Mario Isnenghi scriveva nell’Avvertenza del 1997 alla riedizione de Il mito della Grande Guerra pubblicato per la prima volta nel 1970:
fra le due guerre e ancora più avanti nel tempo, vedo prender corpo quel mito postumo della grande guerra che è rappresentazione corale e autorappresentazione e favola, anche, di tutta una generazione; e, per milioni di Italiani e Italiane sia politicizzati che apolitici, memoria inobliabile della giovinezza.5
5È questo crogiolo di sensi, di valori antropologici ed estetici a far sì che la Grande Guerra non abbia mai smesso di interessare e di imporsi, anche nella storiografia più recente, come una «frattura epocale»6, il «più grande errore della storia moderna»7 e «l’apocalisse della modernità»8. Fra scontro “necessario” e sacrificio eroico ma inutile di migliaia di vite umane, la guerra del 1915-1918 è il tassello fondativo della memoria collettiva. La storiografia novecentesca ne ha sottolineato la valenza di carneficina, e tuttavia ha ricostruito attentamente le motivazioni politiche e gli stravolgimenti ideologici in base ai quali la guerra costituiva il modus operandi dello Stato concepito come un organismo vivente. Riassumendo le poste in gioco di una politica della memoria in continua mutazione nel corso del Novecento, Daniele Ceschin riconosce che quella guerra ha federato la nazione intorno a numerose ragioni:
Non c’è dubbio che la Grande Guerra costituisce una svolta nella storia dell’Italia del Novecento, poiché accelera i processi di modernizzazione politica e sociale, ma sarebbe errato considerare solo gli aspetti “umanitari” o quelli che rimandano alla filosofia della storia. Alcuni storici sottolineano il rischio di una “commemorazione antistorica” incapace di cogliere il nesso tra il 4 novembre e il 24 maggio, tra le modalità che hanno portato alla vittoria e le ragioni profonde dell’intervento, con le sue pulsioni irredentistiche e democratiche, ma anche con le aspirazioni nazionaliste e imperialiste.9
6Alla politica della memoria e alla visione odierna dell’assurdità di quella catastrofe gli storici hanno affiancato la ricerca documentale al fine di ricontestualizzare valori e disvalori dell’epoca che hanno giustificato lo scontro. Concordiamo allora con Mario Isnenghi che ha sempre affermato di voler ritrovare «motivazioni e valori attribuiti al conflitto, le virtù e non solo l’orrore dei combattimenti, in altre parole il vissuto loro, non il nostro. Parla[re] dei miti, senza volere demitizzarli»10.
7Gli storici hanno scavato in ogni angolo buio degli eventi politici e militari, hanno denunciato lo scollamento tra governanti, politici, quadri militari ed esercito dei fanti, hanno studiato le scritture dei protagonisti privilegiando la «guerra della gente comune»11, hanno messo a nudo gli stravolgimenti psichici e fisici dei soldati strumentalizzati dai medici militari12. La Grande Guerra come battesimo di quel «secolo dei traumi»13 che ha dato vita negli anni Ottanta e Novanta ai Trauma Studies14. Ne consegue la constatazione di una frattura sociale, identitaria e collettiva che, sulla scia del mancato Risorgimento, ha attestato il rifiuto programmatico delle élite di concretizzare la gramsciana nazionalizzazione delle masse, realizzata e fallita nel contempo.
8La guerra scoppia in Europa alla fine del giugno 1914, mentre il Governo Salandra sceglie la neutralità il 2 agosto e, sotto la pressione degli intellettuali e delle forze politiche interventiste, dichiara la guerra all’Impero austro-ungarico il 24 maggio 1915. Essa si conclude il 4 novembre 1918 con il Trattato di Villa Giusti, dopo un immane sforzo prodotto da un esercito mal equipaggiato, ignaro delle ragioni di quello scontro condotto sulle impervie creste delle Alpi orientali e sul Carso con metodi violenti da parte di alti comandi spesso impreparati di fronte alle moderne tecniche offensive e difensive del nemico austro-tedesco. L’irruzione violenta e repentina delle unità tedesche nella valle tra Plezzo e Tolmino, all’altezza del villaggio di Caporetto, la notte del 24 ottobre 1917 mette a nudo la fragilità della strategia di guerra, l’imperizia e l’autoritarismo dei comandi italiani15.
9Fatta salva l’ostilità dei pacifisti (cattolici, socialisti, anarchici, liberali giolittiani) e del popolo nella sua grande maggioranza, la guerra riscuote l’adesione entusiasta degli schieramenti politici più attivi nonché di molti scrittori, e salda intorno al Governo gli sforzi economici, la retorica propagandistica e la cultura. Con la fine del conflitto, si delineano varie fasi.
10La prima corrisponde a quella che Bruno Cabanes ha chiamato «l’impossibile smobilitazione culturale dell’immediato dopoguerra» (l’impossible démobilisation culturelle de l’immédiat après-guerre)16. Per l’Italia, essa corrisponde al difficile reinserimento dei reduci nelle strutture sociali ed economiche nonché al delicato gioco diplomatico nel quale Francesco Saverio Nitti, capo del Governo dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920, si trova a negoziare alla Conferenza di pace di Versailles senza riuscire a far valere le richieste dell’Italia ai suoi alleati della Triplice Intesa al momento di siglare il Trattato di Londra il 26 aprile 1915. Il contesto dell’immediato dopoguerra contribuisce a instillare la brutalizzazione delle menti inficiate ormai di immaginario bellico. Ciò favorisce la perdita di orizzonti, l’incomunicabilità dell’esperienza vissuta, e un generale risentimento. Tra presupposti ideologici dell’interventismo ancora forti e posizioni pacifiste17, valutazioni sul senso di Caporetto e sulla rivalsa eroica di Vittorio Veneto18, il dibattito sulla recente catastrofe è vivace, animato non da esigenze storiografiche bensì da posture ideologiche e partitiche. Le prese di posizione sono immediate durante il “biennio rosso”, che attesta l’evidente indebolimento dello Stato liberale e il suo imminente crollo sotto i colpi del fascismo19.
11La seconda fase corrisponde agli anni del fascismo che impone la mitizzazione della Grande Guerra, fondamento del progetto che il movimento fascista e il partito cristallizzatosi poi in regime non smettono di elaborare sulle ceneri delle gesta eroiche del conflitto fino alla creazione dell’Impero, ultima rivalsa sulla “vittoria mutilata”. Alcune delle letture critiche della Grande Guerra che abbiamo rammentato vengono represse dal nascente movimento rivoluzionario; altre, risorgenti anni dopo in pieno imbavagliamento delle libertà individuali, esprimono un ripensamento ideologico e denunciano la carneficina delle masse combattenti. Emilio Lussu è forse il più illustre rappresentante di coloro che avevano creduto nelle virtù democratiche del conflitto e sferzano poi la condotta dei comandi militari e la frattura sociale spostata nella gerarchia dell’esercito.
12La terza fase di rilettura della Grande Guerra corrisponde agli anni Sessanta, in concomitanza con il Cinquantenario, con le rivendicazioni sociali per l’applicazione delle riforme costituzionali della Repubblica e con le azioni estremiste che stabilivano una continuità ideologica tra Grande Guerra, Resistenza e terrorismo, sotto le spoglie di una comune contestazione della classe dirigente. Mario Isnenghi contribuisce alla smitizzazione fissando la posta in gioco del conflitto e avviando le ricerche, affrancate dalle previe pastoie ideologiche, sul destino dei “vinti”. Si pensi ai suoi I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra (1967), Il mito della Grande Guerra (1970), nonché al saggio di Alberto Monticone La battaglia di Caporetto (1955) e a quello sui processi di guerra dello stesso Monticone e Enzo Forcella Plotone di esecuzione. I processi della Prima guerra mondiale (1968).
13Questi studi inaugurano una nuova fase della storiografia che, soprattutto dagli anni Novanta, ha prodotto una messe di ricerche impossibile da menzionare in questa sede. Ma alcune linee direttrici si impongono negli studi sulla Grande Guerra: esse riguardano la comprensione dei suoi presupposti politico-ideologici e geostrategici, lo stravolgimento delle nozioni di vita, morte, lutto individuale e collettivo, la trasmissione e il mantenimento della memoria di guerra nelle nuove generazioni20. Secondo Laura Wittman, la Grande Guerra si impone nell’immaginario collettivo come scena del sacrificio, spettacolarità dell’incredibile mutilazione fisica e brutalizzazione mentale del soldato, mistica del milite ignoto21: in nome di questa teatralizzazione la Grande Guerra si afferma come lo scenario di orrore cui ridanno vita opere letterarie, documentari d’epoca e una cinematografia di qualità disuguale.
14Sul piano storico, gli studi qui raccolti hanno inteso affrontare la questione dell’uso e dell’eredità del mito della Grande Guerra in alcune fasi cruciali del secolo scorso. Nella prima sezione ci si sofferma sull’immediato dopoguerra che ha cristallizzato l’attenzione su una realtà caratterizzata da rovesciamenti post-interventisti, prese di distanza o accensioni intrise di delusione22. Questi fattori spiegano il ritorno alla sfera privata di molti futuristi e l’uso che della guerra fanno sia Gramsci con la metaforizzazione del linguaggio bellico, sia D’Annunzio durante l’avventura fiumana, sia il fascismo nella sua rapida sacralizzazione della guerra. Il primo dopoguerra è un momento su cui la storiografia si è soffermata, mettendo l’accento sul difficile ritorno all’intimità23, sull’organizzazione dei reduci in molte associazioni24, e più latamente sulla «persistenza in tempo di pace delle costruzioni ideologiche e mentali forgiate nel corso del conflitto, dell’evoluzione dell’immagine del nemico e di una possibile smobilitazione culturale»25.
15Pur dedicando la seconda sezione alla dimensione del tempo lungo della Grande Guerra, il volume non ha avuto modo di affrontare questioni che restano come ipotesi di lavoro da verificare. Resta da studiare l’organizzazione della memoria bellica durante il regime fascista, e la sua manipolazione da parte di giornali come «Il Popolo d’Italia», «Il Corriere della Sera», «La Stampa», o dei fogli più dichiaratamente asserviti al regime («L’Impero» o «Il Tevere») in particolare in occasione degli anniversari del conflitto anche in relazione alle celebrazioni importanti del regime fascista (i decennali della sua fondazione, la creazione dell’Impero). La percezione e il ricordo della Grande Guerra restano vivi nelle fasi di avvicinamento all’antico alleato tedesco abbandonato, insieme all’Austria, a seguito della firma del Trattato di Londra. Quale impatto esercita allora quello che Gian Enrico Rusconi chiama «l’azzardo del 1915» sui rapporti politici e ideologici tra Mussolini e Hitler26? In occasione dei nuovi accordi siglati a partire dal 1936, come risuona in Hitler il ricordo della decisione di Salandra di inserire l’Italia nel gioco delle grandi potenze democratiche tradendo gli Imperi centrali? Quale diffidenza provano i tedeschi verso l’alleato “traditore” che stipula con loro un Patto d’acciaio nel 1939 per poi romperlo l’8 settembre 1943, firmando in segreto (proprio come ha fatto il 26 aprile 1915) con gli Alleati francesi, inglesi e americani gli accordi che le permettono di sedersi nel febbraio 1947 al tavolo dei vincitori? Nel contesto della nuova deriva bellica, sarebbe anche interessante capire quale riuso il regime fascista fa della retorica sacrificale della Grande Guerra; come vengono reimpiegati i concetti di patria, nazione, patriottismo, coraggio, eroismo27; e, procedendo negli anni, quale riattivazione della Grande Guerra si opera durante i mesi della Resistenza e nel maggio 1945 in cui si condensa un doppio evento: la vittoria dell’Italia sul nazifascismo e il ricordo dell’entrata in guerra nel 1915. Sarebbe lecito chiedersi quale nesso venga stabilito tra la Grande Guerra e i movimenti di rivolta sociale nel 1967-1968 e negli anni cruenti del terrorismo (soprattutto il 1978, anno della morte di Aldo Moro e anniversario della vittoria del 1918). Sarebbe lecito chiedersi se esista un legame tra questi momenti della storia novecentesca e la Grande Guerra, quale sia stato il ruolo di questa nella costruzione dell’identità nazionale e, infine, come leggere il legame tra storiografia e «politica della memoria» dell’immane massacro.
16La questione della memoria è affrontata nell’ultima sezione del volume. La celebrazione dei morti – inaugurata nel 1921 col culto del milite ignoto –, la museificazione monumentale dei luoghi delle battaglie, promossa nel 1925 dal regime fascista appena instaurato, hanno contribuito alla politica della memoria collettiva, rinsaldando paradossalmente dal fascismo ad oggi la coesione nazionale. Anche la creazione dell’epopea del soldato caduto per la patria trova la sua scansione ideologica nel cortocircuito tra Grande Guerra e fascismo28. Dal 1928 (decimo anniversario della vittoria) al 1932 (primo decennale della Marcia su Roma), al 1938 (ventennale della vittoria e vigilia di un conflitto ancora più sanguinoso), il regime stabilisce un nesso programmatico tra la propria fondazione e il proprio nucleo battesimale29. Ma indipendentemente da questa usurpazione della storia, il fascismo fonda il romanzo nazionale e lo trasmette alle generazioni future. Numerose ricerche hanno ottemperato all’ingiunzione memoriale pubblica e privata, dando rilievo ad aspetti storiografici trascurati nei decenni precedenti30. Degli studi pubblicati in occasione del Centenario, alcuni continuano lo scavo delle fonti31, altri mettono l’accento sulla dimensione affettiva della guerra32. A quest’ultima tendenza hanno contribuito varie istituzioni archivistiche e museali: tra altri, l’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), i musei di Trento e Rovereto che hanno dato vita a iniziative memoriali e a collane di “scritture di guerra”, grazie alle quali un ruolo di divulgazione per il grande pubblico, a prescindere da ogni giudizio di valore, hanno avuto due operazioni: quella editoriale di Aldo Cazzullo, autore nel 2014 del fortunato racconto La guerra dei nostri nonni. 1915-1918. Storie di uomini, donne, famiglie33; e quella multimediale di Nicola Maranesi, curatore del sito “La Grande Guerra, i diari raccontano”, responsabile della collana “Cronache dal fronte” del Gruppo L’Espresso e incaricato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri della creazione del “Memoriale della Grande Guerra”, nei sacrari di Redipuglia, Asiago e Monte Grappa34.
17Con queste iniziative sembra essere invalsa la tendenza ad una “narrazione” della microstoria bellica e delle sofferte esperienze degli anonimi soldati, che fa a meno del necessario dialogo con le fonti archivistiche o storiche. La lettura intimistica incentrata sulla “povera gente” quale catalizzatrice di una visione immutabile della storia basata sul sacrificio delle masse solo in apparenza inerti ha fatto di narrazioni come quelle di Aldo Cazzullo uno strumento divulgativo che, dato l’incontestato successo dell’operazione mondadoriana, ha raggiunto un alto numero di lettori estranei alle ricostruzioni accademiche. Aldo Cazzullo ha rivendicato la portata memoriale e identitaria della «guerra dei nostri nonni». Racconti come il suo hanno favorito lo slittamento dalla storiografia verso una pubblicistica focalizzata su «eroi e poveri diavoli»35 che, lungi dal favorire un rinnovamento della ricerca storica, hanno offerto una visione a mosaico dell’evento, la rivelazione di destini lasciati al margine della storiografia, case studies degni di rivivere per «la loro straordinaria forza morale» e per il «patrimonio»36 lasciato in eredità alle generazioni successive.
18Sul piano culturale, letterario e artistico, questo volume intende offrire, nella seconda e nella terza sezione, alcune riflessioni sui generi – diari, memorie, romanzi, poesia, arti plastiche e arti visive – sulle forme, sulle tipologie del discorso e sui registri grazie ai quali viene rappresentata l’esperienza traumatica. Quali immaginari veicolano le retrospettive e come fanno rivivere la guerra, a dispetto dello scarto che separa la scrittura dal vissuto?
19Numerosi sono i testi pubblicati a ridosso del conflitto. Si possono menzionare Trincee (1924) di Carlo Salsa, Cola (1927) di Mario Puccini, La prova del fuoco (1926) di Carlo Pastorino. Altri autori, ora esaltano la portata eccezionale dell’evento – Marinetti con L’alcova d’acciaio. Romanzo vissuto (1921) –, ora ne denunciano l’essenza traumatica – Giuseppe Antonio Borgese con Rubé (1921) – ora disegnano prospettive pacifiste – Aldo Palazzeschi con Due imperi… mancati (1920) – ora tentano con il labor limae il contenimento del trauma – Giuseppe Ungaretti con Il porto sepolto (1916) e poi con l’Allegria di naufragi (1919). Il Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda, scritto durante il conflitto, mantiene tutta la carica polemica nella versione pubblicata nel 1955. Curzio Malaparte, in Viva Caporetto! La rivolta dei santi maledetti (1921), delinea prospettive rivoluzionarie secondo il modello della coeva rivoluzione d’ottobre.
20In pieno fascismo, molti scrittori rievocano l’esperienza del fronte oscillando tra la convinzione di aver partecipato ad un momento glorioso e la consapevolezza di aver visto infrangersi un sogno collettivo. Un anno sull’Altipiano (1938) di Emilio Lussu costituisce l’esempio più alto della denuncia dei comandi, senza che la funzione palingenetica del conflitto e le convinzioni democratiche dell’autore vengano scalfite. Altri testi demitizzano l’evento alla luce del suo fallimento: Vent’anni (1930) di Corrado Alvaro, La mia guerra (1931) di Elio Vittorini, Oggi domani e mai (1932) di Riccardo Bacchelli, Il castello di Udine (1934) di Carlo Emilio Gadda, Ritorneranno (1941) di Giani Stuparich. La letteratura sulla Grande Guerra ha quindi scandito il Novecento come una un’ossessione insopprimibile.
21Il volume dà spazio alle riscritture letterarie e artistiche apparse a cavallo tra i due secoli37: cinema e fumetto partecipano alla creazione artistica di un evento che continua ad essere percepito ora come unificante ora come dimostrazione della frattura sociale e identitaria. Lo sguardo a posteriori attesta una ricchezza di espressioni che ridicono la guerra alla luce di tracce reali e immaginarie sempre attive.
22Le quattro sezioni in cui è organizzato il volume disegnano un triplice percorso: storico, memoriale, letterario e artistico. La scansione diacronica e tematica evidenzia continuità e rotture rispetto ad un evento la cui memoria coesiste con la denuncia delle responsabilità politiche e militari che fecero perdere la vita a una generazione di uomini.
23Nella prima sezione – Dalla guerra al dopoguerra – si presentano situazioni politiche, scelte estetiche e bilanci sulla guerra ancora in corso o appena terminata, che preparano il fascismo o lo denunciano già per il riuso dei presupposti ideologici della guerra.
24Francesca Canale Cama presenta il quadro storico dell’immediato dopoguerra, ove la politica di Francesco Saverio Nitti, nel contesto dei negoziati di pace, prefigura un “atlantismo ante litteram”, basato su equilibri fragili ma necessari. Con una politica estera che implica oltre ai paesi vincitori anche la Russia bolscevica e gli Stati Uniti, Nitti intende compensare l’instabilità dell’Italia e disinnescare il nuovo conflitto che le richieste di ripazioni avanzate alla Germania lasciano intravedere. La prospettiva sulla quale la studiosa si sofferma è quella delineata nei saggi sull’Europa scritti tra il 1921 e il 1923: L’Europa senza pace (1921), La decadenza dell’Europa (1922), La tragedia dell’Europa. Che farà l’America? (1923). Nitti vi esprime il suo sogno di un’Europa come orizzonte di pace, ove l’Italia svolgerebbe un ruolo da protagonista nella risistemazione degli assetti di potere.
25Federico Trocini affronta gli anni del dopoguerra dal punto di vista dell’intellettuale tedesco Robert Michels che, naturalizzato italiano, tra il 1921 e il 1927 studia il recupero del mito della guerra da parte del fascismo. Trocini riflette sulle considerazioni di Michels relative ad un regime caratterizzato dal disprezzo per la legalità democratica e dal ricorso alla violenza quale strumento di affermazione politica. Il fascismo gli appare come l’unica forza politica che riesce ad assicurarsi il favore delle masse, inserendole nel gioco politico ed evitando i pericoli derivanti dal costituirsi come organizzazione democratica. Michels riconosce che il fascismo è in grado di risolvere i problemi che gli erano posti dalla specifica situazione storica del dopoguerra, primo fra tutti quello di restituire forza ed efficacia all’azione dello Stato.
26Francesca Chiarotto studia la trasformazione dell’avanguardia futurista nel Partito futurista italiano fondato nel febbraio 1918. Il passaggio al dopoguerra implica per il futurismo la ricerca di una collocazione politica, che si delinea in sintonia con il nazionalismo fascista. Un paradosso viene tuttavia identificato nella coesistenza delle azioni repressive di Marinetti, che partecipa il 15 aprile 1919 alla distruzione dell’«Avanti!», e di un’apertura a sinistra che crea le premesse per una collaborazione tra socialismo e futurismo, ove convergono le forze ambivalenti di futuristi, arditi, fascisti, combattenti e partiti d’avanguardia. L’alleanza tra futurismo e fascismo, siglata nel 1924, viene intesa da Francesca Chiarotto quale conferma della resa del leader futurista a Mussolini nel momento del delitto Matteotti, premessa per l’edificazione del regime.
27Angelo d’Orsi ricostruisce la lettura che della guerra propone Antonio Gramsci durante il suo apprendistato giornalistico torinese, nell’immediato dopoguerra e infine durante la prigionia, quando nei Quaderni del carcere il leader comunista userà ancora il lessico nato dalla guerra di posizione. Una prospettiva di lunga gittata grazie alla quale Angelo d’Orsi fa emergere l’originale percezione di una guerra intesa come conflitto di classe, e nel contempo occasione propizia per un forte cambiamento. Gli articoli pubblicati su «Il Grido del Popolo» o sull’«Avanti!», nonché gli scritti del giornale «La Città futura» e infine il programma politico messo a punto su «L’Ordine Nuovo» rivelano un Gramsci attento scrutatore del contesto storico-politico di cui la guerra costituisce una cartina di tornasole che gli consente di elaborare un pensiero che dovrebbe trovare nella prassi politica il terreno per la fondazione di una nuova società proletaria.
28Chiude questa sezione Michel Paoli che ricostruisce la formazione del Battaglione Savoia iniziata nell’estate del 1918 e conclusasi, dopo un viaggio tra il Volga e l’Oceano Pacifico, nell’inverno del 1919. Un borghese italiano residente nella zona di Kazan-Samara – Andrea Compatangelo – decide di autoproclamarsi capitano e di riunire, “in nome del Re”, i prigionieri italofoni austro-ungarici irredenti in Russia. Circa 350-400 uomini vengono trasferiti a Vladivostok, iscritti nella “Legione Redenta di Siberia” creata per inquadrare gli ex-prigionieri irredenti, e riportati in Europa nel febbraio 1920. Michel Paoli ricostruisce le vicende del Battaglione grazie a un documento inedito trovato nell’archivio dell’Accademia roveretana degli Agiati, che consente di far luce su alcuni «dimenticati della Grande Guerra»38.
29Nella seconda sezione – Il tempo lungo della Grande Guerra: eredità e prese di distanza – si ripercorre il Novecento alla luce della memoria e della rilettura della guerra, cui contribuiscono tecniche messe a punto da alcuni documentari storici. Si affronta anche la questione della ricezione di un evento la cui comprensione sembra richiedere nuovi strumenti di indagine e nuove forme di familiarizzazione.
30Fabio Caffarena indaga sulle ragioni e sui modi della creazione dell’“epica alata nazionale” durante il fascismo e sulla valenza mitologica delle battaglie aeree della Grande Guerra. Le imprese di Francesco Baracca e Gabriele D’Annunzio inaugurano la mitizzazione delle gesta aeree imposta dal fascismo. Caffarena ricorda che nel marzo 1923 Mussolini fa della Regia aeronautica un’arma indipendente dal Regio esercito e dalla Regia marina sulle tracce della guerra dei cieli che verrà ripetuta nelle trasvolate atlantiche e nel Secondo conflitto mondiale. L’“epica alata nazionale” diventa un potente storytelling per una nazione che eredita i valori di audacia e modernità collaudati durante la Prima guerra mondale. La Seconda guerra svela il carattere retorico e le défaillance dell’industria aeronautica rispetto alle altre potenze europee.
31Prendendo spunto da alcune opere di Filippo Tommaso Marinetti scritte fra il 1919 e il 1922 – 8 anime in una bomba (1919), Un ventre di donna (1919), L’alcova d’acciaio (1921) e Gli amori futuristi (1922) – Barbara Meazzi mostra come esse siano fortemente connesse tra loro, non solo perché concepite durante la guerra, ma per il modo di rappresentarla. Concentrandosi su 8 anime in una bomba, la studiosa afferma che questo romanzo “in guerra” è per Marinetti “una situazione di scrittura”. Forma ibrida di stili, il testo pur offrendo momenti di sperimentazione segnala l’arretramento di Marinetti a una narrazione tradizionale, in cui l’unico carattere futurista è assicurato dalle onomatopee che imitano i suoni degli shrapnel. 8 anime in una bomba prelude allo spegnersi della vena immaginifica del futurismo marinettiano e il suo avvicinamento all’ideologia fascista.
32Stefano Magni ripercorre la traiettoria intellettuale e politica di Giuseppe Antonio Borgese, la cui militanza a favore della guerra inizia con gli opuscoli interventisti del 1914. Magni prende in conto il periodo 1919-1937 durante il quale Borgese torna sulla Grande Guerra in alcune opere – Il patto di Roma (1919), Rubè (1921), L’Alto Adige contro l’Italia (1921), Golia. La marcia del Fascismo (1937) – che disegnano un percorso che va dall’impegno militante nell’ambito dell’interventismo allo sguardo più distaccato favorito dal suo autoesilio negli Stati Uniti. Borgese non rinnega il suo interventismo né mostra pentimento di sorta quanto alla sua azione nella Grande Guerra. Borgese afferma in realtà il suo antifascismo e denuncia il recupero della Grande Guerra da parte del regime. In questo senso si spiega la sua decisione di rientrare in Italia solo alla fine della Seconda guerra mondiale.
33Più chiara sembra essere la rimessa in discussione della guerra da parte di Alberto Savinio che Francesca Golia studia a partire dal concetto di “dilettantismo”. Savinio sfata «la leggenda della guerra come arte e come scienza» e la riporta a una dimensione primordiale: la guerra è «il primo gioco dell’uomo» e per questo sarebbe un errore attribuirle un senso profondo. Riferendosi a due testi che si fanno eco, La guerra (1918) e Guerra (1944) nonché sul film San Francesco (1945), la studiosa verifica l’ipotesi secondo la quale le due guerre sono per Savinio l’espressione della stessa retorica. Nelle ultime due opere, l’artista prende infatti le distanze dalla sacralizzazione ideologica che ha fatto dei due conflitti la manifestazione di una medesima infatuazione riconosciuta come dannosa e inutile.
34Chiude questa seconda sezione Manuela Bertone che sposta l’attenzione verso il Centenario, prendendo in esame alcuni documentari sottoposti a tecniche coloriste per avvicinare lo spettatore di oggi a scene considerate lontane dalla sua sensibilità. La studiosa denuncia la tecnica che dota le immagini d’archivio di suono e colore artificiali. La colorizzazione contribuisce alla spettacolarizzazione della Grande Guerra, deformando la percezione lasciataci dai soldati e provocando un illusionismo antistorico. Oltre a negare l’operato dei cineoperatori di quegli anni, viene negata anche l’elaborazione di un trauma il cui lutto è reso possibile grazie al confronto visivo col fango e con l’espressione tetra dei soldati. Manuela Bertone propende per una comprensione che tenga conto di testi e immagini lasciate dai soldati che, accentuando il grigio e il nero, hanno espresso la condanna del conflitto.
35Nella terza sezione – Riscritture e rivisitazioni della Grande Guerra – si propongono due saggi sulla rilettura della Grande Guerra da parte di Giani Stuparich e Giuseppe Ungaretti, due voci illustri della letteratura nata dalla guerra, e tre saggi sulle creazioni realizzate nel corso del Novecento nel campo cinematografico e fumettistico. Pur nella parzialità di questi studi, emerge un quadro indicativo della persistente ossessione del trauma, all’origine anche del distacco nei confronti dell’esperienza bellica. Per quanto riguarda il cinema, esso disegna un percorso critico in continua tensione tra l’evento ricreato e il momento storico con il quale il film dialoga. Quanto al fumetto, esso non hai mai smesso di confrontarsi con l’allucinata visionarietà delle scene di morte, da un lato, stabilendo un cortocircuito passato/presente, e dall’altro, ricreando con il grafismo ora onirico ora graffiante l’orrore e l’animalizzazione subìta dai soldati.
36Fulvio Senardi ricostruisce sul piano storico le ragioni e sul piano testuale le modalità della rivisitazione della guerra da parte di Giani Stuparich che nel 1925 dà alle stampe Colloqui con mio fratello dedicato al fratello Carlo suicidatosi sul Cengio, il 30 maggio del 1916. Stuparich demitizza gli eroismi e le illusioni patriottiche dell’anteguerra cui aveva dato un convinto sostegno nel quadro dell’interventismo democratico. I Colloqui dicono il superamento critico delle accensioni iconoclaste delle avanguardie, segnando un passo indietro nel tempo, alla riscoperta della «perduta innocenza» dopo tanto sangue versato. Senardi nota che se, nella guerra, lo scrittore triestino ha conosciuto la maturazione umana e intellettuale e una forma di ascesi, sul piano storico il suo giudizio si fa, a ridosso dell’evento, perentoriamente negativo.
37Francesca Belviso affronta la poesia di guerra di uno dei più emblematici esempi di poeta-soldato, Giuseppe Ungaretti. Per ragioni al contempo fattuali e stilistiche, l’esperienza scrittoria ungarettiana costituisce un modello di perfetta cristallizzazione dello scarto fra memoria e ricordo dell’evento traumatico nella misura in cui il ricordare uno stato di crisi diventa perfetta espressione di una «parola in istato di crisi», traducendo in tal modo l’assenza strutturale del soggetto dinanzi all’irrompere dell’evento. Attraverso l’analisi di alcuni componimenti tratti in particolare dal primo Il Porto Sepolto, la poesia di guerra di Ungaretti si rivela come uno dei più fulgidi esempi di scrittura del trauma della Grande Guerra.
38Graziano Tassi prende in esame tre film prodotti tra il secondo dopoguerra e i giorni nostri: La grande guerra (1958) di Mario Monicelli, Porca vacca (1982) di Pasquale Festa Campanile e Soldato semplice (2015) di Paolo Cevoli, analizzando le modalità di rappresentazione adottate dalla “commedia all’italiana”. I quesiti riguardano la valenza satirica e l’articolazione tra comicità e guerra, ambiguità e dilemmi etici sollevati da antieroi e antipatrioti. Tassi mostra come la rilettura del conflitto contenga anche una lettura critica del presente, sia esso il miracolo economico, l’incipiente craxismo e il liberalismo dell’Italia contemporanea. Resta la convinzione che la filmografia sul Primo conflitto mondiale ha contribuito all’affermazione di una controstoria che è nel contempo una presa di coscienza delle occasioni mancate nei grandi eventi della storia nazionale.
39Restando nell’ambito delle arti visive, Anne Boulé-Basuyau studia la miniserie televisiva Cuore, realizzata nel 1984 da Luigi Comencini. Adattamento del romanzo di De Amicis, essa è, grazie all’invenzione di una cornice ambientata sul fronte italiano tra il 1915 e il 1917, una delle più recenti riletture filmiche del Primo conflitto mondiale. Il regista trasforma le sequenze del tempo presente – il presente della guerra, dell’età adulta – in chiave di (ri)lettura del romanzo deamicisiano. Comencini non solo suggerisce che nella guerra affondano le radici del fascismo, ma individua nei personaggi antieroici del secolo precedente le vittime sacrificate sull’altare di una nazione indifferente al loro destino di adulti. In questo sguardo à rebours risiede l’originalità della miniserie all’interno della produzione televisiva italiana sulla Prima guerra mondiale.
40Termina questa sezione Daniele Comberiati che sposta l’attenzione sul fumetto. Attraverso tre testi pubblicati in momenti diversi della storia italiana – Petra Chérie di Attilio Micheluzzi (1977 e 2013), Lilith di Luca Enoch (2009) e War painters di Laura Scarpa (2018) –, egli analizza le modalità testuali e grafiche che condizionano la ricezione e la re-interpretazione della guerra. Il fumetto crea una sintesi efficace fra testo e immagini, attingendo dalle fonti visuali dell’epoca: fotografie, schizzi e ritratti dei soldati al fronte. I tre fumetti non mettono in scena l’orrore della guerra, ma prediligono lo sguardo obliquo di personaggi femminili, le loro angolature marginali, polemiche. Nell’ambito della produzione fumettistica, i tre testi fanno risaltare il cortocircuito tra passato e presente. Grazie alla loro espressività grafica, essi esplorano il passato fornendo nuove interpretazioni e nuovi punti di vista.
41L’ultima sezione – Memorie della Grande Guerra – affronta la questione della politica memoriale della guerra nel corso degli ultimi cento anni. Due saggi chiudono il volume con una riflessione complessiva sui presupposti politici e ideologici, sulle strategie e sul senso dell’orchestrazione memoriale ideata dal fascismo, e poi in un arco di tempo che copre tutto il Novecento.
42Daniele Ceschin mette in prospettiva storica la politica memoriale della Grande Guerra durante il fascismo. Sintomatica, a tal riguardo, la doppia inaugurazione del sacrario di Redipuglia nel maggio 1923 e nel settembre del 1938 in occasione del viaggio del Duce nelle Venezie per il ventennale della vittoria di Vittorio Veneto. Tra queste due date, Ceschin cerca di capire le forme e il senso della religione della patria nonché l’elaborazione del lutto collettivo cristallizzato negli anni Trenta nei sacrari. La politica memoriale fascista trova una corrispondenza nella grandiosità dei sacrari che rappresentano la quintessenza della potenza del regime. I sacrari ricreano non un teatro di guerra, ma un ordine incarnato nei tre principi di monumentalità, perpetuità, individualità che concorrono al rinsaldamento della mitografia mussoliniana.
43Chiude il volume Quinto Antonelli che studia l’elaborazione della memoria privata e pubblica dalla fine della guerra ad oggi. Memoria costruita all’intersezione fra lutto individuale e significazione patriottica, famiglia e nazione, esperienza e progetto politico. Antonelli prende in esame le lettere dei soldati usate dal regime quale prova di una morte scelta come sacrificio consapevole. Mostra come negli anni Venti-Trenta la politica celebrativa della Grande Guerra innesti sul sacrificio in trincea la sacralità della patria fascista. Mostra infine come alla sacralizzazione della patria si opponga una contro-memoria che non sembra aver attecchito durante la Repubblica, la quale persegue lo spirito celebrativo del fascismo. Occorre aspettare gli anni Sessanta perché tale contro-memoria sfoci in un dissenso il cui intento è di rovesciare l’immagine del popolo sacrificatosi con rassegnazione sulle Alpi.
44Lo studio conclusivo di Quinto Antonelli delinea le grandi tappe dell’uso strumentale della Grande Guerra e ci consente di riassumere alcune linee guida della storiografia e della cultura negli ultimi cento anni. Dopo tanta letteratura a carattere ideologico, le ricerche più recenti, sulla scorta delle testimonianze conservate nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, sviluppano una memorialistica intimista, familiare più che storiografica, la quale fa certo conoscere il vissuto degli uomini di allora, ma priva i lettori di oggi di una conoscenza distanziata e critica, rischiando di cristallizzare la Grande Guerra nel registro dell’effusione, del “romanzo nazionale”, del vacuo ribellismo, della rassegnazione e dell’obbedienza. Queste ricerche rischiano di rimanere costantemente vòlte ad un passato che ha escluso e continua ad escludere le masse da un progetto storico comune. In tale senso la riflessione sfaccettata che il volume offre sull’eredità della Grande Guerra ridà il valore che merita ad un evento storico col quale non abbiamo finito di confrontarci.
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10.3138/9781442696006 :Notes de bas de page
1 Cfr. Procacci (1993), Antonelli (2008) e (2014).
2 Magni (2018).
3 Cfr. Calì-Corni-Ferrandi (2000), David (2011) e Dogliani (2013).
4 Bertone-Meazzi (2018).
5 Isnenghi (2007), p. 5.
6 Isnenghi-Rochat (2000), p. 42.
7 Ferguson (2002).
8 Gentile (2008).
9 Ceschin (2014), pp. 106-107.
10 In Fiori (2014). Cfr. anche De Paulis (2015).
11 Caffarena (2005), Mondini (2014) e Gibelli (2015).
12 Gibelli (1991) e Bianchi (2001).
13 Felman (2002), p. 171.
14 Cfr. De Paulis-Agostini Ouafi-Amrani-Le Gouez (2020).
15 Belviso-De Paulis-Giacone (2018), p. IX. Ma cfr. anche Labanca (2017), Silvestri (2003), Falsini (2017). E per le conseguenze civili, cfr. Ceschin (2006).
16 Cabanes (2004).
17 Cfr. Palazzeschi (1920).
18 Prezzolini (1919) e (1920). Ma sulla “rivoluzione sociale” di Caporetto, cfr. Malaparte (1921).
19 Cfr. P. Dogliani, Sortir de la Grande Guerre, entrer dans le fascisme: le cas italien, in Audoin Rouzeau-Prochasson (2008), pp. 113-138.
20 Cfr. fra tanti, Fussell (1975), Leed (1979), Mosse (1990), Winter (1995), Todero (2002).
21 Wittman (2011).
22 P. Dogliani, Sortir de la Grande Guerre, entrer dans le fascisme: le cas italien cit., p. 132.
23 Cabanes-Piketty (2007) e (2009).
24 P. Dogliani, Sortir de la Grande Guerre, entrer dans le fascisme: le cas italien cit., pp. 119-120.
25 G. Piketty, Les fantômes de la guerre, in Freud - Ferenczi - Abraham (2010), p. 8. Cfr. anche Horne (2002), pp. 45-53.
26 Rusconi (2005).
27 Cfr. Gentile (2009).
28 Ne è la prova uno dei rari libri – Omodeo (1934) – a carattere storico anche se alla fine sposa, seppur involontariamente, la mitizzazione ideologica della Grande Guerra che il fascismo ha ormai costruito dal suo insediamento.
29 P. Dogliani, Sortir de la Grande Guerre, entrer dans le fascisme: le cas italien cit., p. 134 e ss.
30 Tra tanti, cfr. Fabi (1993), Janz-Klinkhammer (2008), Frene (2018).
31 Cfr. Labanca-Überegger (2014), Antonelli (2018).
32 Cfr. Bermani-De Palma (2015), Isnenghi-Pozzato (2018), Todero-Manenti (2018).
33 Cazzullo (2014).
34 Maranesi (2014).
35 Brogi (2014).
36 Quarta di copertina di Cazzullo (2014).
37 Esse partecipano a modo loro all’interesse per la letteratura sulla guerra di cui danno prova l’antologia Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia dei poeti italiani nella Prima guerra mondiale, a cura di A. Cortellessa (1998) e romanzi tra cui Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio, 2010) con il quale Andrea Molesini vince il Premio Campiello 2011.
38 Antonelli (2008).
Auteur
È professore ordinario di letteratura italiana all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3. I suoi lavori vertono sulla letteratura del Novecento, dalle scritture nate dalla Grande Guerra a quelle ipercontemporanee. Per le prime ha pubblicato le monografie: Giovanni Papini. Culture et identité (Presses du Mirail, 2007); Curzio Malaparte. Il trauma infinito della Grande Guerra (Franco Cesati Editore, 2019) e ha curato i volumi: Curzio Malaparte. Esperienza e scrittura, in «Chroniques italiennes», série web, 1/2018; Cahier de l’Herne Malaparte (Éditions de l’Herne, 2018); Il trauma di Caporetto. Storia, letteratura e arti, con Francesca Belviso e Alessandro Giacone (Accademia University Press, 2018). Per le scritture ipercontemporanee ha pubblicato le monografie: Histoire et réalités dans le roman policier italien contemporain (Presses du Mirail, 2013); Il teatro di Dario Fo tra Storia, politica e società (Franco Cesati Editore, 2014) e ha curato i volumi: Luce d’Eramo. Un’opera plurale crocevia dei saperi, con Corinne Lucas Fiorato e Ada Tosatti (Sapienza Università Editrice, 2019); Dire i traumi dell’Italia del Novecento. Dall’esperienza alla creazione letteraria e artistica, con Viviana Agostini-Ouafi, Sarah Amrani e Brigitte Le Gouez (Franco Cesati Editore, 2020).
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