L’oralità simulata: produzione sonora e dimensione empatica della voce nella canzone registrata
p. 202-224
Remerciements
Desidero ringraziare in apertura, prima di condividere con il lettore alcune delle loro parole, gli autori e musicisti che hanno accettato di contribuire alle riflessioni qui presentate, insieme alle persone che hanno reso possibile tale dialogo. In ordine di apparizione nel corpo del saggio: Jacopo Incani (Iosonouncane), Gianluca Giusti (Trovarobato/Panico Concerti), Giacomo Pirani, Alberto Bianco, Fausto “Lama” Zanardelli (Coma_Cose), Alessandro Cecconato (Asian Fake).
Texte intégral
1Nell’articolare la posizione e il ruolo della parola nella canzone, già circa trentacinque anni fa Umberto Fiori rivendicava la specificità di ciò che definisce “il suono della parola” («queste sillabe cantate in questo modo da questa voce»1) mentre ne delineava l’efficacia in quanto prodotto di una pluralità di fattori: «sarà difficile “servirsi” delle parole nel rock, e sarà soprattutto difficile che le parole “servano”, finché le si concepisce come dei puri “veicoli” di un “contenuto” o finché si conta di poterle ridurre – all’estremo opposto – al loro cosiddetto “suono”»2. In uno scritto di un paio di anni successivo e per certi versi complementare al primo, Simon Frith offriva un’ulteriore spunto in una direzione tangente, nella prospettiva di delineare nello specifico quale tipo di “servizio” le parole rendano alla musica, andando a puntare l’attenzione sulla qualità relazionale della voce in quanto oggetto al centro del rapporto tra cantante e ascoltatore: «in analysing song words we must refer to performing conventions which are used to construct our sense of both their singers and ourselves, as listeners. It’s not what they sing, but the way they sing it that determines what a singer means to us and how we are placed, as an audience, in relationship to them»3. Vorrei in questo articolo riprendere queste due osservazioni come punto di partenza per un percorso ulteriore, concentrato sulla voce mediatizzata in quanto oggetto riducibile al suo “cosiddetto ‘suono’” – rovesciando l’ottica di Fiori – che attraverso la mediatizzazione dell’atto performativo costruisce le condizioni stesse del suo ascolto.
2Non si tratta, è bene chiarirlo in apertura, di un tentativo di andare a definire una formalizzazione analitica della “grana della voce” barthesiana4, bensì di rigiocare su un altro terreno la distinzione tra semantico e vocalico, descrivendo la relazione tra soggetto cantante e tecnologia in termini trasformativi e valutando l’intenzionalità autoriale – di una autorialità per forza di cose multipla – alla base della realizzazione di un oggetto fonografico. Tale trasformazione dell’idea iniziale in oggetto sonoro, passaggio specifico della produzione discografica in quanto arte della performance fissata su un supporto riproducibile, propone all’ascoltatore un’esperienza nutrita dalla sinergia tra le dimensioni dell’oralità e della scrittura: «dare voce a un testo […] reintroduce i parametri vocali espunti dalla scrittura: l’intonazione, l’altezza, il tempo, gli accenti (intesi in senso non grammaticale). Il corpo della voce dà corpo al testo, produce un addensamento semantico e addomestica il dominio della scrittura»5. La formalizzazione dell’oggetto sonoro vocale in prodotto fonografico riproducibile riporta alla transizione tra evento ripreso dal microfono e testo sonoro cristallizzato all’interno del disco, un oggetto funzionale alle logiche di una produzione industriale massificata eppure ancora connesso alla radice insopprimibile della sua oralità.
1. Voci macchinate: la fonografia come simulazione
3In questo saggio proverò a mappare le funzioni della produzione sonora in quanto area di intervento sulla voce in alcuni esempi tratti dal repertorio della canzone italiana attuale, riconoscendo la qualità della voce tecnologizzata in quanto «inesauribilmente ibrida e anfibia»6. Se riprendiamo – ancora da Lombardi Vallauri – l’idea di una empatia fonatoria alla base dei meccanismi comunicativi della canzone, il discorso si concentra proprio sulla dimensione relazionale tra fruitore e registrazione già indicata da Frith, ovvero «il fatto che l’ascoltatore empatizza non tanto col prodotto sonoro, con la forma risultante finale dell’azione vocale, quanto con l’azione stessa, con l’azione propriamente corporea che genera il suono»7. Ancora con Vallauri, possiamo convenire che «la voce è un sistema di espressione e comunicazione mediante il quale innumerevoli aspetti dell’identità di una persona si rendono manifesti: si può intendere la voce come la ‘sonorificazione’ dell’identità di una persona. La voce è prodotta dal corpo, ma più propriamente è prodotta dall’unità, globalità, complessità corporeo-psichica che costituisce la persona»8. La conseguenza, per nulla paradossale, è la considerazione che «mediante la canzone si crea la persona»9; proprio la voce processata e cristallizzata in quello specifico artefatto fonografico dà origine alla persona di fronte alla quale il disco pone il proprio ascoltatore10.
4Se, quindi, la presenza di un testo verbale rimane uno dei fondamentali elementi distintivi della canzone come genere compositivo, la progettazione, realizzazione e produzione di un artefatto fonografico sposta inevitabilmente parte dell’attenzione analitica e interpretativa verso le manipolazioni del materiale performativo di cui è costituito, anzitutto quello vocale per quanto attiene il fuoco principale di questo contributo. Le modalità di tale trasformazione possono aiutarci a definire le principali dimensioni a cui contribuisce la produzione fonografica – distinta eppure correlata a entrambi gli ambiti dell’oralità e della scrittura, così come la stampa tipografica rappresenta la traduzione in un assetto industriale della riproducibilità del manoscritto –, sfruttando le possibilità di intervento ex post sul materiale sonoro. In modo simile al momento in cui, passando dal testo verbale alla sua performance vocale, viene a piena evidenza la dimensione performativa già presupposta (o scorta dall’interprete) nella scrittura, la realizzazione di una traccia registrata tende alla costruzione di una performance ideale. La “simulazione” associata alla voce nel titolo di questo contributo non è, di conseguenza, qui intesa come contraffazione, bensì come l’istanza di amplificazione e di valorizzazione di caratteristiche proprie della progettualità comunicativa del processo di produzione discografica con l’obiettivo di realizzare un risultato più vicino possibile a una performance ideale. Negli esempi della parte centrale di questo articolo vorrei andare a dimostrare come la voce, in quanto oggetto sonoro, agisce da catalizzatore per processi di identificazione anche quando si ritrae dalla funzione a cui più comunemente viene ricondotta – ossia “veicolo” per il testo verbale – per diventare parte dell’ambiente stesso in cui la rappresentazione della traccia fonografica si svolge. È in questo spostamento, quando la voce abbandona la sua natura logogenica in favore della sua dimensione fonogenica11, che si può meglio ragionare sulle caratteristiche specifiche del vocalico in sé, quale modalità di uso della voce che si pone in relazione di “frizione” con la dimensione verbale12.
5La voce, nella sua natura di oggetto spesso irriflesso per la sua quotidianità e accessibilità, si presta particolarmente bene a illustrare la centralità di un’altra opposizione – parallela per certi versi a quella tra vocalico e semantico – ovvero quella tra naturale e artificiale, che si rivela vieppiù cruciale nell’attuale contesto tecnologico. La voce “macchinata” – riprendo questa definizione dall’intervento di Lello Voce nel corso della tavola rotonda che ha aperto la seconda delle due giornate del convegno milanese dal quale questo volume prende le mosse – che vedremo protagonista di molti dei casi analizzati nelle prossime pagine, richiede di riconsiderare il rapporto tra voce e performance nella popular music contemporanea in termini molto simili a quelli della poesia in rapporto ai fenomeni della spoken poetry e della spoken music: «ciò che sta accadendo è qualcosa di imprevedibile fino a ieri, qualcosa di assolutamente nuovo, che non si limita a procedere in avanti, ma insieme si sposta di lato per osservare meglio il passato, un oggetto che per essere analizzato chiede a chi lo studia di mettere in discussione prima di tutto se stesso e le categorie su cui finora ha fondato le sue analisi. Un oggetto “frattale”»13.
6Anche a prescindere dall’uso della tecnologia, la qualità “artificiale” dell’atto fonatorio è stata approfonditamente illustrata dagli scritti di Michael Edgerton che, nel campo della produzione della musica sperimentale contemporanea, individua nelle varie forme di “extra-normal voice” (le modalità con le quali la voce cantata rivendica la sua diversità dall’emissione ordinaria) un punto qualificante della ricerca compositiva attuale14. Nel campo della popular music questa qualità “extra-ordinaria” della voce si sostanzia con mezzi diversi, segnatamente quelli del trattamento elettronico dei materiali registrati, ma agisce in modo simile nella rivendicazione di una propria specificità, nella possibilità di esplorare dimensioni dell’espressività non necessariamente legate alla lingua e alle modalità più consuete di canto.
7Nello scegliere gli esempi sui quali dimostrare le valenze comunicative della voce registrata quando sfugge alla dimensione del linguaggio mi concentrerò su casi di studio molto vicini nella loro collocazione cronologica – ristretta all’ultimo decennio – e tutti appartenenti alla produzione italiana di popular music. L’arco cronologico è stato scelto perché mi interessa andare a esplorare se, ed eventualmente in quale misura, la diffusione di massa delle tecnologie digitali stia determinando cambiamenti nella concezione del genere espressivo della canzone. A questo proposito, riflettendo in primo luogo sulle proprie abitudini e poi aprendo lo sguardo su fenomeni di più ampio respiro, Robert Strachan ha scritto recentemente: «The techniques I used in working towards a musical end product have, for me, become more than just techniques. They are ways of conceptualizing sound and how sound relates to wider fundamentals of music. In the context of digital production, rhythm, structure, timbre, feel, and signification are all connected with a set of processes that I have used and re-used until naturalized»15. La concentrazione sul contesto italiano ha a che fare con un personale interesse di ricerca sulla produzione attuale di popular music e con il tentativo di propiziare, attraverso un auspicabile confronto con gli autori viventi, un dialogo tra la prospettiva di questi ultimi e il discorso accademico, nella speranza di riuscire in questo modo ad aprire sempre più percorsi di segno convergente, di reciproca conoscenza e occasioni per una riflessione comune.
2.1. La voce come ambiente
8Tanca è la prima traccia dell’album Die di Iosonouncane16. La canzone, oltre a presentare un rapporto particolarmente interessante tra scansione del tempo musicale e organizzazione temporale della performance vocale17, presenta un uso dell’elemento vocalico caratterizzato da una fondamentale duplicità di livelli: da un lato la voce è figura, dall’altro lato tende a passare dal primo piano allo sfondo, da una centralità a livello percettivo all’evocazione di un ambiente nel quale la canzone, in quanto veicolo di una rappresentazione fonografica, prende corpo e sviluppa la sua narrazione. Tale ubiquità della voce assume in alcune poetiche il crisma di elemento distintivo, e in particolare nel caso di Jacopo Incani il ruolo cruciale del timbro vocale è rivendicato quale vero e proprio punto fermo del proprio modo di lavorare. In una recente comunicazione privata raccolta da Giacomo Pirani l’autore dichiara a proposito di Die: «Affronto ogni disco anzitutto tradendo il metodo utilizzato per il disco precedente e inseguendo una narrazione di insieme (qualsiasi cosa si voglia intendere col termine narrazione). In questo ciclico mutare di paradigma, un elemento di continuità è l’assoluta centralità dello strumento-voce, concepito di volta in volta in modo differente e per me inedito»18. Lo stesso tema si ripropone nella sottolineatura della qualità originale della gran parte delle voci registrate e poi usate nel disco per dare corpo a diverse tipologie di materiali sonori, dalle melodie al campionamento per costruire banche di suoni fino al trattamento elettronico in grado di renderle irriconoscibili e più simili a una sonorità elettronica: «Ho registrato io tutte queste voci e l’ho fatto a Buggerru, il mio paese natale, fra le stanze della casa di mia nonna e il magazzino nel quale un amico pescatore tiene le reti e tutto l’occorrente per il suo lavoro. Quelle di Marco [Silesu] e Francesco [Esposito] le ho registrate invece all’interno di una grossa cava mineraria. Tutte queste voci le ho inizialmente processate su Ableton Live e poi trattate analogicamente in studio con Bruno Germano»19. L’elemento vocale, anche quando non più riconoscibile come tale, rimane all’origine di una parte considerevole dei materiali compositivi, rinsalda il legame con la propria identità e il luogo in cui è stato realizzato; la voce diventa l’ambiente stesso delle tracce di Die, in cui si svolge la rappresentazione complessiva dell’album in quanto portatore di una diegesi unitaria e coerente.
9Così in Tanca, fin dai primi secondi, l’ascoltatore viene collocato in un luogo definito dalla vocalità, una vocalità scabra, che può ricordare la polifonia tradizionale sarda per la qualità della voce, in un ambiente in cui l’unico altro elemento è la presenza di un suono percussivo grave (a cui gradualmente si sovrappone un secondo suono, più acuto) a marcare un ciclo di 8 tempi. In realtà Incani rivela, nella stessa comunicazione appena citata, di aver campionato per il bordone di Tanca un canto armonico mongolo, processato e fatto interagire con gli altri elementi della traccia.
10Si distingue qui la presenza di tre gesti vocali, facilmente identificabili per la sovrapposizione di suoni ad altezze diverse ed evidenziati sul canale destro (in alto) nella loro prima occorrenza, dove sono contrassegnati dalle lettere a, b, c. Tali elementi sono distribuiti in maniera asincrona sui due lati dello spazio stereofonico: se all’inizio della traccia sembrano semplicemente collocati secondo una relazione di ritardo tra i due canali – all’inizio della traccia alla sequenza a-b-c sul canale destro risponde sul sinistro la sequenza b-c-a –, a partire da quella che dovrebbe essere la la seconda ripetizione della sequenza tale regolarità comincia a incrinarsi quando vediamo sul canale destro i soli due gesti b e c, non preceduti dall’elemento a. Segue la sovrapposizione, a partire da 00:41, di una serie di suoni metallici sul canale destro e, poco dopo (00:51), di una serie di urla sul canale sinistro – sono quelle registrate da Milesu ed Esposito menzionate nella citazione precedente – che evocano le grida nei momenti più concitati della pesca in mare aperto. Una terza parte vocale fa il suo ingresso a 01:19, insieme all’introduzione di un secondo elemento ritmico in alternanza al suono grave presente fino a questo momento – a realizzare una sorta di “levare imperfetto”, in ritardo rispetto alla suddivisione in ottavi e in anticipo rispetto al valore di una eventuale suddivisione ternaria. Si tratta ancora una volta di un bordone al grave, non in primo piano bensì ben dentro al missaggio, e proprio grazie a questa caratteristica il suono si mescola organicamente con il bordone elettronicamente sintetizzato, in cui si può riconoscere una forte componente di onde quadre a suggerire a livello timbrico una parentela “trasfigurata” con la qualità scabra delle voci presentate fino a questo momento. In questo contesto la voce, ancora prima di proporre all’ascoltatore qualsiasi significato attraverso il testo o il canto, ambienta il racconto della canzone, crea il contesto rispetto al quale gli altri elementi sonori si configurano.
11Il ruolo della voce quando è oggetto sonoro sprovvisto di testo e diventa parte dello sfondo strumentale in relazione dialettica con la “figura” principale espressa dalla melodia su cui si canta il testo verbale, si ritrova anche – ad esempio – in una canzone dai connotati formali meno sperimentali come Mela di Bianco, sia nella versione incisa dal suo autore, sia in quella cantata da Levante20. Confrontando le due incisioni della canzone, si può osservare in primo luogo come le varianti nella tessitura strumentale siano minime; ciò che cambia nelle due tracce è proprio la voce principale, che porta il testo verbale. Il processo non sarebbe tanto rilevante in sé per il mio discorso, se non fosse per alcuni particolari che indicano la centralità della voce di Bianco – intesa questa volta non in quanto traccia principale, ma come suono dei suoi vocalizzi che vanno a costruire l’accompagnamento di quell’elemento in primo piano. Già nella traccia pubblicata in Nostalgina, la “seconda” voce di Bianco è parte dell’accompagnamento ritmico del canto a partire dalla seconda parte della prima strofa (00:34) con una serie di interventi sulla vocale /o/ sui tempi deboli e in levare, a raddoppiare la quinta dell’accordo. Nel ritornello la stessa parte (riconoscibile per il fatto di essere presente a volume più basso nel missaggio e distribuita a livello stereofonico sugli estremi della sound box) interpreta due brevi vocalizzi sulla lettera /a/ in anticipo sui versi pari del ritornello. Subito dopo questi interventi, la stessa voce riprende all’ottava la linea principale (sul testo tanto io resto e di star peggio), per poi intrecciarsi alla voce in primo piano durante il vocalizzo che conclude la sezione. Nella seconda strofa e nel secondo ritornello la parte della voce secondaria ripete un comportamento molto simile; cambierà solamente a partire dalla seconda occorrenza del ritornello (02:19), dove smetterà di doppiare la voce principale per mantenere solamente l’elemento del vocalizzo, che continuerà anche nel ritornello variato (02:34) immediatamente precedente il finale della canzone.
12La versione di Levante, sotto questo profilo, è in continuità con la precedente incisione, anzi sembra sottolineare ancor più la centralità dell’elemento vocalico. La prima differenza tra le due versioni di Mela vede, infatti, l’aggiunta della testa del vocalizzo di accompagnamento del ritornello variato della versione di Bianco (nella prima incisione si trova a partire da 02:19) come primo elemento figurale della canzone, in piena evidenza sull’introduzione strumentale. Per il resto la seconda voce di Bianco è inalterata, mentre viene incisa una nuova traccia vocale – a sovrapporsi alle precedenti – a partire dalla seconda strofa (cantata dal solo Bianco). Il vocalizzo aggiunge una stratificazione timbrica ulteriore, una terza voce senza testo che si propone come uno degli elementi invarianti, e quindi identificanti, la canzone. Anche in questo caso l’elemento vocalico costruisce l’ambiente in cui la situazione raccontata dalla canzone viene rappresentata all’ascoltatore. In quanto azione fonatoria il vocalizzo spicca tra gli strumenti dell’accompagnamento, attirando l’attenzione dell’ascoltatore proprio per la sua natura corporea, in grado di offrire un grado di vicinanza empatica particolarmente spiccato grazie al suo essere voce, ancor prima che per le parole delle quali potrebbe farsi veicolo. Il vocalizzo porta in primo piano il dialogo tra detto e non detto, e la tensione tra questi due poli lavora – in questo pezzo in particolare – per favorire l’adesione del fruitore alla traccia registrata, facendo leva sulla tensione tra queste due modalità di uso della voce e della lingua che si fa canto.
2.2. Abbracciati alla voce di Battisti: vocalizzi e campionamenti da Anima latina
13In questo paragrafo proseguo il percorso analitico di questo contributo prendendo in esame due canzoni in cui il vocalizzo interagisce con la lingua cantata, passando questa volta per la mediazione culturale rappresentata dal riferimento a una particolare voce del passato. Li discuto insieme perché entrambi fanno riferimento a un comune punto di partenza, Abbracciala abbracciali abbracciati di Lucio Battisti. La canzone è tratta da Anima latina, un disco che spicca nella produzione del musicista proprio per il carattere eccentrico nell’equilibrio tra parti vocali e strumentali, oltre che pionieristico per l’atteggiamento sperimentale nei confronti dello studio di registrazione21. Nel 2013 la canzone viene ripresa da Cosmo, in una versione che – pur rispettando la sequenza degli elementi strutturali del modello di partenza – ne modifica profondamente le sonorità strumentali e l’impianto ritmico22. Ciò che viene mantenuto, e che si ritiene in quanto elemento sostanziale del modello, è il timbro della voce, cantata e prodotta per risultare il più simile possibile a quella di Battisti, insieme al potenziamento dell’elemento del vocalizzo, tanto a livello strutturale quando come materiale compositivo.
14Il dettaglio sonoro sul quale è più semplice osservare nel concreto la somiglianza timbrica tra la voce di Cosmo e di Battisti in questo brano è proprio il vocalizzo (in quanto momento “svuotato” dal significato e nel quale la qualità della voce viene in primo piano). Nel sonogramma e nella tabella seguente si sono organizzati i dati di una misurazione a campione sulla prima nota tenuta dello stesso frammento vocale in entrambi i brani.
Tabella 1
* I dati sono stati estratti con il programma SpectralLayers. Nella colonna viene presentata una media tra i valori dei canali destro e sinistro.
Confronto tra le componenti frequenziali del vocalizzo di Abbracciala, abbracciali, abbracciati (rispettivamente a 03:38 nella versione di Battisti e 01:54 nella versione di Cosmo).
Battisti | Cosmo | |||||
Nota di riferimento | Frequenza | Intensità * | Rapporto tra armonici (dB) | Frequenza | Intensità * | Rapporto tra armonici (dB) |
La3 (fondamentale) | 437 Hz | -35 dB | 442 Hz | -28,5 dB | ||
La4 | 865 Hz | -28 dB | 0,929 | 895 Hz | -8 dB | 0,281 |
Mi4 | 1299 Hz | -40 dB | 1,231 | 1317 Hz | -23 dB | 2,875 |
La5 | 1723 Hz | -43,5 dB | 1,086 | 1766 Hz | -26,5 dB | 1,152 |
Do#6↓ | 2162 Hz | -46,5 dB | 1,069 | 2174 Hz | -36 dB | 1,358 |
Mi6 | 2606 Hz | -49 dB | 1,054 | 2635 Hz | -35 dB | 0,972 |
Sol6↓ | 3086 Hz | -49,5 dB | 1,010 | 3069 Hz - | 42 dB | 1,2 |
15Possiamo concentrare l’attenzione su due aspetti tratti da questi dati, che sottolineano come nella versione di Cosmo (al netto di una produzione del suono in linea con gli standard attuali, primo motivo della grande differenza in termini di intensità tra le due registrazioni) si vada verso una fondamentale amplificazione delle caratteristiche proprie della voce di Battisti: si noti a questo proposito la grande evidenza che ha in entrambi i casi il peso del primo armonico in relazione alla frequenza fondamentale – come è naturale nel registro di falsetto usato in questo passaggio dai due cantanti – e la rilevanza sonora del quinto armonico, che nella registrazione di Battisti si situa molto vicino a quello del quarto armonico e in quella di Cosmo addirittura segna un valore superiore. Si tratta di particolari che evidenziano in quale modo la reinterpretazione attuale della canzone si concentri sulla voce (probabilmente anche a livello di trattamento del suono in post-produzione) per arrivare – in questo particolare aspetto – a un risultato sonoro più fedele possibile al modello di riferimento.
16Passando a osservare la presenza dell’elemento vocalico nella canzone dal punto di vista strutturale e testurale, possiamo osservare la maggiore importanza data a questo particolare elemento almeno in due altri aspetti. In primo luogo nella configurazione melodica che assume il prolungamento della vocale /a/ (dalla parola “sua”), ovvero il vocalizzo già esaminato al paragrafo precedente nel dettaglio, così come trascritto negli esempi 1 e 2.
17Il breve frammento melodico cantato da Battisti è caratterizzato dall’insistenza sul terzo grado dell’accordo sul quale il vocalizzo si appoggia: il la3 tenuto sulla prima battuta e il si3 a cui si torna dopo un discesa al re3 nelle battute pari dell’esempio. Nel riprendere questo elemento Cosmo introduce due particolari interessanti, ossia il ritardo nell’arrivo sul la3 in corrispondenza del passaggio armonico a fa# minore (esempio 2, quinta battuta) e una scansione degli elementi percussivi che enfatizza con il sincrono solamente le semibrevi e l’intervallo iniziale del melisma si3-la3, mentre per il resto gioca con il controtempo rispetto all’articolazione ritmica della parte centrale del melisma. La scansione più regolare della batteria nella versione di Battisti, in fondo, si comporta in modo analogo a dispetto delle differenze di superficie: oltre alla valorizzazione del passaggio di tono discendente tramite il sincrono con la percussione, infatti, pone particolare enfasi sul la3 del melisma tramite il colpo di rullante (come si può osservare alla battuta 4 dell’esempio 1). La relazione tra le due versioni, pur nella diversità stilistica, evidenzia nella versione di Cosmo una fondamentale amplificazione delle caratteristiche vocali già presenti nel modello originario.
18Infine, si può osservare come, nell’ampia sezione senza testo che separa la prima dalla seconda ripresa del ritornello della canzone (in particolare da 04:00 a 04:34) sono proprio dei brevissimi frammenti vocalici a costituire il livello figurale del discorso musicale, su una base densa di percussioni ed effetti elettronici. Abbracciala, abbracciali, abbracciati è, in questa reinterpretazione, una sorta di “sineddoche di genere” rappresentata dal modello ideale della voce di Battisti23, della sua qualità timbrica specifica e del suo modo di articolare il processo di produzione del suono attraverso l’apparato fonatorio. La reinterpretazione a posteriori di un brano, come spesso capita nella popular music, si configura come un dialogo con le registrazioni del passato di cui si distillano le qualità più rilevanti per il presente, appropriandosi e ridisegnando a propria immagine i precedenti chiamati in causa24.
19La stessa canzone di Battisti, a conferma della perdurante influenza di questa figura nel panorama contemporaneo – e di quella particolare incarnazione della voce di Battisti in Anima latina, probabilmente per la vicinanza con la sensibilità attuale riguardo il suono e la sperimentazione con la tecnologia –, riaffiora fin dal titolo in un altro pezzo del repertorio contemporaneo, Anima lattina dei Coma_Cose25. Qui più simile è la ripresa della progressione iniziale della batteria, oltre che di una tessitura in generale scarna, per tutta la prima parte della canzone (00:00-01:29). La rielaborazione del modello viene filtrata fino a risultare in una trasfigurazione creativa raccontata in questi termini dal suo autore, Fausto “Lama” Zanardelli:
Ascoltai Anima Latina (un disco che conoscevo abbastanza ma non benissimo) per cercare ispirazioni però mi fermai al primo brano. L’impasto sonoro era tutto quello che cercavo e comunque mi arrivava come incompiuto, come un intro non come una canzone, qualcosa che avrei voluto si evolvesse maggiormente. Scrissi il testo e solo una settimana dopo potei mettermi al computer per abbozzare la produzione ma nella testa avevo ormai solo suggestioni lontane, avevo bene in mente la struttura che cercavo e volevo che fosse un continuo caldo-freddo, ma fare un giro troppo armonico sarebbe stato rischioso, volevo ricercare l’effetto “sample” così misi le mani sul pianoforte. La sensazione beatlesiana dell’intervallo discendente di un semitono è quello che volevo ottenere ma volevo che fosse un semitono naturale e quindi provai con Do maj7 e Si minore, perfetti al primo colpo, romantici ma sospesi, vintage ma accattivanti. […] Essendo che la batteria avrebbe fatto da ago della bilancia sulla produzione visto che la musica è tutta un loop di due accordi, sarebbe dovuta entrare pian piano, volevo che nella prima parte creasse un effetto “sto per partire” che crea tensione, un linguaggio che mi rimanda più a Emozioni dello stesso Lucio. La stesura dei transienti onestamente non essendo io batterista è stata istintiva… diciamo che accordi e batteria sono stati fatti in mezz’ora proprio perché non volevo artefare la mia ispirazione in qualcosa di troppo citazionistico, volevo che fosse una canzone mia, non una cover26.
20La rielaborazione della parte di batteria non è letterale, perché la sequenza delle percussioni è invertita a livello ritmico (quarto-ottavo-ottavo, rullante-cassa-cassa) e posizionata a cavallo del quarto e primo tempo della battuta successiva, oltre a essere alternata a una scansione rullante-sonaglio-cassa sugli stessi tempi della battuta (con valori ritmici ottavo-ottavo-quarto). Comune è la funzione di propulsione ritmica del rullante sul tempo debole e il caratteristico doppio colpo sulla cassa sul tempo forte. Inoltre, la trasformazione del pattern di base della batteria in un ciclo che comprende due idee alternate per la durata di due battute ben si sposa con la ricerca, a livello armonico, di quell’“effetto sample” affidato all’alternanza tra due accordi (ognuno tenuto per un intero ciclo di due battute); in questo modo il precedente di Abbracciala abbracciati abbracciali viene riconfigurato attraverso il filtro di una sensibilità maggiormente in linea con la scrittura e le prassi contemporanee.
21La “voce” di Battisti, intesa questa volta come modo generale di approccio alla scrittura, alla scelta delle parole da cantare, alla rima in quanto dispositivo fonico collegato alla performance, influenza anche l’aspetto propriamente verbale di Anima lattina. I versi sembrano, infatti, distillare e amplificare i tratti principali del testo di Mogol: la scansione in settenari delle terzine iniziali delle prime due strofe (statisticamente il verso più presente in Abbracciala, abbracciali, abbracciati insieme a senari e ottonari, pur se la canzone non ha una scansione regolare)27 e l’insistenza sulla rima in /-ia/ (anche in questo caso la terminazione fonica con il maggior numero di ricorrenze nel modello di riferimento):
La rima in -ia è stata la cosa che mi diede da subito il modo “battistiano”, cominciai a scrivere in -ia quasi per scherzo, convinto che poi avrei cambiato sillaba o che comunque mi stancasse o mi risultasse stucchevole ma in pochi minuti scrissi le sei rime in -ia trovandole perfette nella loro narrativa, la canzone parla della sera che io e Francesca ci siamo conosciuti e procede per fotografie di quello che catturò la mia attenzione durante quelle serate sui Navigli. Avrei preferito non usare l’-ia ma una volta scritta questa prima parte di testo sarebbe stata una forzatura al contrario cambiarlo28.
22In combinazione con la tessitura dell’introduzione, questa scelta a livello stilistico rafforza – dimostrando la capacità di individuarne i punti maggiormente caratterizzanti e passibili di sviluppo – la relazione dialogica con il precedente di Lucio Battisti, in un gioco di rimandi funzionali a rievocare un generale modo di lavorare con la componente fonica del testo verbale.
23Altri dettagli, questa volta riguardanti la dimensione propriamente sonora del vocalico, riportano al modello di Battisti, e sono concentrati nella parte conclusiva del momento di transizione, a livello formale, tra la prima parte della canzone e lo sviluppo successivo (00:44-01:18), introdotto dal ritornello (chiamo così la sezione che contiene il titolo della canzone, pur se verrà ripetuta solamente una volta, nel finale del pezzo). Si trovano in questo momento alcune “sporche”29, caratterizzate da una grana vocale molto vicina a quella del modello di riferimento, in particolare su due brevi vocalizzi sulle interiezioni ah ed eh a incorniciare i versi “Siamo come lentiggini / Impermermeabili alla pioggia / Ed alle lacrime” (01:03; 01:13). Subito a seguire, la sospensione del testo verbale lascia spazio a un breve frammento senza testo, cantato sulle sillabe du-du-du-du-du-du (01:14-01-15), il cui profilo melodico e ritmico (un’ascesa re3-mi3-fa#3-sol3, in sedicesimi, seguita dal salto discendente fa#3-re3, in ottavi) riprende la stessa configurazione del vocalizzo doppiato dagli ottoni a 01:51 di Abbracciala, abbracciali, abbracciati (le altezze sono le stesse, differisce il profilo complessivo della coda del frammento, che termina la discesa sul do#3 con una scansione ritmicamente diversa). Sebbene non ci sia una volontà di citazione diretta, la similitudine tra le sequenze intervallari e il fatto che siano entrambe cantate su un vocalizzo senza testo segnalano un rapporto di riappropriazione creativa di modelli interiorizzati e fatti propri:
la citazione battistiana convive nel salto generazionale e si palesa in quello che è un immaginario sonoro vicino ai nostri genitori, è una richiesta di aiuto, è la confessione segreta che tutta la techno del mondo non ci cancellerà quei ricordi appannati di noi da piccoli mentre un disco suona in soggiorno… in auto… in una radio durante una gita di una domenica qualunque. Battisti in Anima Lattina è un modo, un mezzo, un linguaggio del sottotesto che plasma nell’inconscio il significato stesso della canzone e il gioco di parole del titolo racchiude nella sua spietata semplicità già tutto questo concetto30.
24Nel complesso, è interessante – oltreché indicativo del portato dell’elemento vocale nell’identificare una figura di autore e performer ancora influentissimo sui linguaggi attuali – riscontrare come i riferimenti alla figura di Battisti evochino in una maniera così diversa la sua figura autoriale, sonora, tanto che anche ciò che non è una cosciente citazione può essere interpretata con le stesse categorie stilistiche solamente per il fatto di essere inserita in un contesto di riferimento così nettamente connotato. Frammenti senza testo e vocalizzi sono intrinsecamente connessi alla voce del modello in quanto simbolo stesso della voce cantante per antonomasia, quasi a identificare una “classicità” del modello all’interno della canzone italiana che permette di evocarne empaticamente la presenza.
3. La voce oltre la parola, dalla figura allo sfondo
25Le considerazioni avanzate finora permettono di ritornare a uno sguardo più generale sul fenomeno della voce mediatizzata e di alcuni suoi aspetti caratteristici, così come emergono dall’osservazione della produzione musicale più recente. La trasformazione dell’oggetto-voce in materiale compositivo, se da un lato conferma la natura “neoauratica” della presenza sonora delle voci cantanti nelle musiche registrate31, dall’altro lato sottolinea il ruolo predominante del mezzo tecnologico di modifica e manipolazione del materiale registrato nel determinarne le forme dell’espressione e, di conseguenza, i contenuti. Nel momento in cui la performance registrata diventa materiale compositivo, le due istanze della qualità audiotattile e della sua codifica si trovano lavorare su binari distinti, così come nel processo di produzione discografica è presente la separazione tra la fase di registrazione delle parti (pre-produzione, produzione) e la loro lavorazione in vista di una pubblicazione discografica (post-produzione, mastering). Nel momento attuale, in cui sempre più spesso sono gli autori stessi a curare tanto della ripresa del suono quanto della sua manipolazione, le scelte relative alla seconda fase sembrano acquisire una rilevanza sempre più spiccata, e il trattamento della voce in questo contesto è probabilmente un punto di osservazione privilegiato per cogliere le trasformazioni in atto, frutto di cambiamenti di ordine socio-tecnologico più generali, quali la diffusione delle tecnologie digitali e l’ampliamento delle competenze tecniche dei musicisti dell’ambito popular.
26Negli esempi presi in esame nelle pagine precedenti emerge un rapporto particolarmente stretto tra la voce e il suo trattamento tecnologico, con la prima a ritrovare nell’oralità mediata, esagerata, simulata, emulata dalla tecnologia le possibilità di farsi percepire, di fornire all’ascoltatore una griglia di aspettative e di matrici per modularne l’attenzione, di sviluppare riferimenti culturali alla storia della popular music, di rendere percepibile la tensione tra il detto e l’indicibile. Se questo è vero – in generale – per tutta la storia della registrazione sonora, la cifra distintiva di questi ultimi decenni è la diffusione e la possibilità di accesso a tecnologie in grado di contribuire in maniera ancora più profonda alla ricerca e definizione di una “voce” mediatizzata caratteristica di ogni performer, con un impatto non secondario nel dare origine a una sempre più difficile distinzione tra le categorie della voce naturale, mediata e artificiale32. La tecnologia diventa non solo possibilità di modifica e trattamento della performance post factum, ma anche parte di un ambiente in cui la nozione di “naturalezza” viene a trasformarsi. In tale contesto la voce – in quanto elemento identificativo della soggettività – reagisce e si fa agire dalla tecnologia come materiale sempre più duttile e plastico; proprio per queste sue qualità può sottolineare quegli sfrangiamenti semantici (connessi agli elementi aurali, verbali e fisiologici dell’oralità) che rendono possibile per il fruitore della traccia fonografica un livello di coinvolgimento mediato dall’ascolto non raggiungibile da nessun altro tipo di materiale sonoro.
27La distinzione tra l’artificiale e il fisiologico nei termini di una “nostalgia della performance” quale punto originario, perde forza nel caso di musicisti per i quali tale differenza sembra non essere più una categoria fondante la valutazione estetica dei materiali creativi. La coesistenza tra naturale e artificiale trova un punto di convergenza proprio nell’apparato fonatorio e nella sua azione non linguistica, in cui gli elementi inarmonici della voce diventano «the voice of the vocal apparatus itself heard in parallel and in excess to the voice. Where the voice seeks to shape the mouth and the speaking voice in accord with meaning, these noises seek to pull the meaning back into the shape of the speaking apparatus, to draw the whole round world into the hollow O of the mouth»33. La registrazione e la tecnologia digitale, mentre permettono possibilità di manipolazione inedite, si propongono anche quale mezzo per una riconciliazione tra fisiologico e macchinico. In parallelo, l’artefatto fonografico modella il suo ascoltatore secondo le sembianze della voce del cantante attraverso la riproduzione e l’esagerazione delle sue più minute caratteristiche, così come in certa poesia contemporanea la notazione sempre più precisa dei versi e delle sillabe agisce sul lettore:
while the text is the poem’s medium, its mode of transmission, the reader her or himself becomes the substrate into which the inscription occurs – it is not the poet’s breath which is inscribed but that of the reader. By the same token, the breath of the reader loses its specificity, its belonging with readers, its quality of them. Breath itself becomes an object oddly separable from any given breather, transferrable and impersonal (and as suggested, the ‘embodiment’ at issue is thereby a counterintuitively idealised and abstract one)34.
28Seguendo il ragionamento ispirato dal saggio di Olson The Projective Verse nella recente rilettura di Gillott, la manipolazione della voce cantante, in quanto tecnologia di inscrizione dell’ascoltatore, dovrebbe avere l’effetto analogo di favorire l’identificazione tra il corpo del cantante e quello dell’ascoltatore.
29Considerare in questi termini la voce registrata riporta l’accento su quel livello di comunicazione empatica che la voce favorisce e implica al di là del (e in aggiunta al) livello semantico. Discutendo tale dinamica già Paul Zumthor sottolineava che quella di farsi veicolo per la parola fosse solamente una tra le molteplici funzioni della voce: «The spoken word is, in our culture, the most obvious manifestation of this function, but not the only one and perhaps not the most vital – I mean here the exercise of its physical power, its capacity to produce phonic elements and organize the substance of these sounds. This phōnē does not take on meaning in any immediate fashion; it only prepares for it the setting where it will be realized»35. Si viene a configurare, in particolare in questi casi ma più in generale attraverso la dimensione vocalica della voce, un’occasione particolarmente cogente per «tematizzare il primato della voce rispetto alla parola, […] aprire nuove strade per una prospettiva che non solo può focalizzarsi su una forma primaria e radicale di relazione non ancora catturata dall’ordine del linguaggio, ma è soprattutto in grado di precisarla come relazione fra unicità»36. Nel caso della canzone registrata – tra le forme per eccellenza di unione testualizzata tra parola, vocalità e musica – specificare la presenza di un elemento di mezzo tra il verbale e il musicale (che in queste pagine ho spesso chiamato, in mancanza di un’alternativa migliore, “vocalico”) è particolarmente rilevante perché, sulla scorta di Cavarero, permette di evocare un terreno per il dialogo tra diverse soggettività, prima fra tutte quella del cantante e dei suoi ascoltatori. In tale relazione uno/molti, in cui la singolarità della traccia fonografica si confronta con il potenzialmente infinito numero dei suoi fruitori, si può individuare la voce come catalizzatore per la messa in comunicazione di quella che si configura – a causa della qualità comunque individuale dell’ascolto – come una molteplicità di dialoghi, che diventano collettivi solamente grazie al tramite di un referente comune rappresentato dall’artefatto discografico riprodotto in serie. Tale effetto di confronto personale tra ascoltatore e oggetto fonografico è ancor più in primo piano quando, come in molti degli esempi che abbiamo visto, la voce esce dal suo ruolo di protagonista della traccia registrata per diventare sfondo sonoro e ambiente, teatro per la rappresentazione proposta dalla traccia discografica. In questi casi il vocalico diventa il luogo dal quale la voce veicola la parola, travalicando il mero significato letterale per diventare mezzo espressivo dalla portata più ampia. Un simile ampliamento nella considerazione delle funzioni della voce nella canzone registrata diventa quindi un’acquisizione concettuale utile a guadagnare una maggiore ampiezza di prospettive sui molteplici livelli di espressione dell’oralità mediatizzata. In questo senso l’analisi e l’interpretazione degli specifici elementi da cui tali processi si originano, così come esemplificati nelle pagine precedenti, porta in piena luce la sinergia di istanze formali, performative, produttive, commerciali e mediali caratteristica del campo contemporaneo della canzone.
Notes de bas de page
1 U. Fiori, Servono, al rock, le parole?, «Musica/Realtà», 27 (1987), p. 54 (corsivo nell’originale).
2 Ivi, p. 64.
3 S. Frith, Why Do Songs Have Words?, «Contemporary Music Review», 5 (1989), p. 90 (corsivo nell’originale).
4 È lo stesso Barthes a definire la “grana della voce” «il resoconto impossibile di un piacere individuale», irriducibile alla formalizzazione analitica. R. Barthes, La grana della voce, in Id., L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici iii, Einaudi, Torino 2001, p. 259.
5 M. Garda, La traccia della voce tra poesia sonora e sperimentazione musicale, in M. Garda, E. Rocconi (a cura di), Registrare la performance. Testi, modelli e simulacri tra memoria e immaginazione, Pavia University Press, Pavia 2016, p. 74.
6 M. Rizzuti, S. Lombardi Vallauri, Introduzione, in S. Lombardi Vallauri, M. Rizzuti (a cura di), La voce mediatizzata, Mimesis, Milano-Udine 2019, p. 10.
7 S. Lombardi Vallauri, Intimità remota, empatia mediata. Cos’è e cosa comunica la voce nella canzone popolare riprodotta tecnologicamente, in S. Lombardi Vallauri, M. Rizzuti, La voce mediatizzata cit. p. 38.
8 Id., La cover di canzone come riscrittura della persona, in L. Brignoli (a cura di), InterArtes. Diegesi migranti, Mimesis, Milano-Udine, 2019, p. 188.
9 Ivi, p. 190.
10 Sul concetto di persona, cfr. Ph. Auslander, Musical Personae, «TDR: The Drama Review», 50/1 (2006), pp. 100-119.
11 Si riprende qui la definizione di “fonogenicità” proposta da Patrick Feaster: «phonogenicity refers broadly to a person’s capacity for making sounds in real time that will in turn make good phonograms, this often owes as much to specific things people do as it does to characteristics their voices or instruments simply have». P. Feaster, Phonography and the Recording in Popular Music, in A. Bennett, S. Waksman (eds.), The SAGE Handbook of Popular Music, SAGE, Los Angeles 2015, cap. 29 (Kindle).
12 Sull’uso della categoria concettuale della “frizione”, in quanto generatrice di ambiguità e sfrangiamento delle interpretazioni possibili di una canzone a seguito della sua dimensione performativa, cfr. A. F. Moore, Song Means: Analysing and Interpreting Recorded Popular Song, Ashgate, Aldershot 2012, pp. 163-178.
13 L. Voce, Per una poesia ben temperata, in L. Voce, F. Nemola, Il fiore inverso, Squilibri, Udine 2016, p. 70.
14 Per una sintesi dell’approccio dello studioso, cfr. M. Edgerton, The Extra-normal Voice, in G. Welch, D.M. Howard, J. Nix (eds.), The Oxford Handbook of Singing, Oxford University Press, Oxford 2014 (Oxford Handbooks Online).
15 R. Strachan, Sonic Technologies. Popular Music, Digital Culture and the Creative Process, Bloomsbury, New York 2017, cap. 3 (Kindle).
16 Iosonouncane, Die, CD, Trovarobato, TRB 041, 2015.
17 Ho presentato l’analisi di questo particolare aspetto del brano nel corso del convegno Gli attrezzi delle Muse. Itinerari tra musica e poesia, tenuto a Trento dal 14 al 16 novembre 2018, nella sessione Musica e poesia nell’estremo contemporaneo curata da Carlo Tirinanzi De Medici e Giulia Sarno. La pubblicazione delle relazioni presentate nel corso del convegno è attualmente in preparazione per la collana dei “Quaderni del seminario permanente di poesia SEMPER”.
18 Comunicazione privata, 24 giugno 2020. Desidero ringraziare Giacomo Pirani, che ha raccolto una preziosa testimonianza sull’album Die per il seminario dottorale Il processo creativo nella canzone (tenuto da Stefano La Via e Alessandro Bratus, Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali, Università di Pavia, a.a. 2019/2020), per la generosa condivisione del materiale e per aver raccolto le risposte ai quesiti specifici posti per la preparazione del presente articolo.
19 Ibid.
20 Levante, Le feste di Alfonso, EP, INRI, ITV EP 001, 2013. La versione di Bianco della canzone è pubblicata in Nostalgina, CD, INRI, ITV 001, 2011.
21 L. Battisti, Anima latina, LP, Numero Uno, DZSLN 55675, 1974. Per una panoramica sulle polemiche e critiche riservate al disco, cfr. in particolare la tavola rotonda tra alcune delle voci più in vista della critica musicale del tempo, pubblicata il 5 gennaio 1975 su «TV Sorrisi e Canzoni», o le dichiarazioni di Mogol sul numero della stessa rivista uscito il 16 febbraio, così come riportato in F. Mirenzi, Battisti Talk. La vita attraverso le parole: interviste, dichiarazioni, pensieri, Castelvecchi, Roma 1998, pp. 196-199.
22 La canzone non è inserita nella discografia ufficiale di Cosmo, ma è stata diffusa prima su Rockit.it nel 2012 e, in seguito, anche sui canali YouTube e SoundCloud del musicista (<https://soundcloud.com/cosmo-suoni-e-parole/cosmo-abbracciala-abbracciali>).
23 Sul termine “sineddoche di genere”, cfr. Ph. Tagg, Music’s Meaning. A Modern Musicology for Non-Musos, MMMSP, Larchmont 2012, pp. 524-528.
24 Luca Marconi ha proposto per questo genere di reinterpretazioni la definizione di “cover stereofonica”, ovvero «che invitano il loro fruitore modello a confrontarli con l’originale». In particolare ci troveremmo qui in presenza della seconda tipologia, nella quale viene posta in evidenza «la presenza di stilemi simili a quelli adottati dal soggetto riproponente, invitando il fruitore modello a una rivalutazione a posteriori». Cfr. L. Marconi, Per una tipologia e storia delle cover, in N. Dusi, L. Spaziante (a cura di), Remix-Remake. Pratiche di replicabilità, Meltemi, Roma 2006, p. 222.
25 Coma_Cose, Inverno ticinese, EP, Believe-Asian Fake, BLV2018032, 2018.
26 Fausto “Lama” Zanardelli, comunicazione personale (e-mail, qui e in seguito riportata letteralmente), 4 maggio 2020. A complemento dell’esempio qui discusso, e come ulteriore approfondimento sulle possibilità che il duo esplora nel confronto con gli elementi del passato, si confronti il riferimento alle sonorità della surf music americana in Beach Boys distorti (contenuto in Hype_Aura, CD, Sony Music-Asian Fake, 190759359129, 2019).
27 Nei 21 versi delle tre strofe della canzone si contano complessivamente 2 quinari, 5 senari, 7 settenari, 5 ottonari, 2 novenari e un decasillabo.
28 F. Zanardelli, comunicazione personale cit.
29 Con l’aggettivo sostantivato “sporche” si intende colloquialmente – nella produzione del rap e dei generi associati a questa radice stilistica – una seconda traccia vocale complementare alla voce principale, che la contrappunta a volte enfatizzando specifiche parole, a volte con interiezioni e parole di commento. A proposito del loro uso, mi è stato riferito che il loro scopo è quello di «rafforzare la voce principale con dei suoni che aiutano a rendere un’emozione ancor più onomatopeica. La nostra produzione ne ha fatto spesso bandiera e inserire questi suoni su questo brano è stato fisiologico e spontaneo» (ibid.).
30 Ibid.
31 Ci si riferisce con questo aggettivo all’uso di Vincenzo Caporaletti, che definisce “codifica neoauratica” «l’azione di stabilizzazione formale ed estetica svolta dal medium di registrazione/riproduzione fonografica». Cfr. I processi improvvisativi della musica. Un approccio globale, LIM, Lucca 2005, p. 122. Inoltre, cfr. il concetto di “codifica neoauratica secondaria” proposto in V. Caporaletti, Neo-auratic Encoding, Phenomenological Framework and Operational Patterns, in G. Borio (ed.), Musical Listening in the Age of Technological Reproduction, Ashgate, Farnham 2015, p. 244.
32 In questo frangente anche la discussione sulla possibilità di desoggettivizzazione dell’“oggetto voce” discussa da Richard Middleton sulla scorta di Lacan e Žižek e definita come «that impossible (because inaudible) surplus left over when the symbolic stratum of the vocal stream has been accounted for» (R. Middleton, Voicing the Popular. On the Subjects of Popular Music, Routledge, New York 2006, p. 103) viene a perdere di attualità nelle presenti condizioni tecnologiche. Una situazione del genere dimostra proprio come tale “resto” – nelle pratiche del sampling e del trattamento elettronico del segnale, nei casi discussi in queste pagine – diventi costitutiva di una nuova forma di soggettività ibrida, che pone in relazione di contiguità e ibridazione, piuttosto che opposizione ed esclusione, le istanze tecnologiche e fisiologiche. Ciò rimane anche vero, ad esempio, quando la traccia della voce venga mascherata, processata e resa (praticamente) irriconoscibile, come nel caso di Sine di Kode 9 discusso in R. Gibson, Carbon and Silicon, in N. Neumark, R. Gibson, Th. van Leeuwen (eds.), VOICE. Vocal Aesthetics in Digital Arts and Media, MIT Press, Cambridge (Ma) 2010, pp. 211-224.
33 S. Connor, Beyond Words. Sobs, Hums, Stutters and Other Vocalizations, Reaktion, London 2014, p. 78.
34 B.C. Gillott, Charles Olson’s ‘Projective Verse’ and the Inscription of the Breath, «Humanities», 7/108 (2018), p. 10 (corsivi nell’originale).
35 P. Zumthor, The Text and the Voice, «New Literary History», 16/1 (1984), p. 69.
36 A. Cavarero, A più voci. Filosofia dell’espressione vocale, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 22-23.
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