E se la storia “sacra” fosse quella congetturale?
p. 52-58
Texte intégral
11. È vero, la maggior parte di coloro che si sono occupati e si occupano della vicenda biografica di Gramsci sono meno preoccupati della ricerca e rispetto della verità, che della tesi da sostenere e di dove andare a parare. A molti studi, per non parlare della pubblicistica corrente, manca del tutto la preoccupazione della scientificità. Non è avvertita l’esigenza di conoscere la letteratura precedente, documenti sono letti all’incontrario e tesi polemiche antiche e che dovrebbero considerarsi superate in virtù della documentazione disponibile vengono disinvoltamente riproposte all’infinito, se funzionali alla polemica e all’obiettivo pregiudiziale (anticomunista) che la muove.
2È come se la lotta condotta in molte forme da Mussolini e dal fascismo contro Gramsci e contro il Partito comunista non sia mai finita e abbia trovato nuova linfa nella restaurazione conservatrice seguita alla dissoluzione del PCI e alla suicidazione del PCI, riproponendosi con ondate di inusitata virulenza. Al fondo c’è probabilmente l’ansia di annientare le già sconfitte e disperse forze rivoluzionarie e chiudere i conti definitivamente con la prospettiva di cambiare il sistema del capitalismo. Ma anche un intimo senso di precarietà del pensiero dominante e dell’intellettualità cortigiana, la percezione che il successo conseguito non sia per sempre e il timore che Gramsci possa essere riferimento per la raccolta e riorganizzazione delle forze comuniste. Insomma il tema Gramsci, pensiero e biografia, viene collocato, più che nell’ambito culturale e scientifico, per le possibili ricadute sul fronte dell’attualità del confronto politico. E il fine furiosamente perseguito non bada a mezzi e metodi.
32. Stiamo ai documenti. Sul versante di Gramsci non c’è in tutti gli scritti e interventi del carcere, lettere, quaderni, colloqui riferiti da Tania o da Sraffa, testimonianze dei compagni del carcere che facciano riferimento alla lettera del 1926 al Partito comunista bolscevico e a quel confronto polemico a distanza con Togliatti. Né durante il periodo del carcere di Gramsci il tema entra mai nel dibattito pubblico o nelle riunioni interne di partito o dell’IC. La lettera del ’26 entra nel dibattito dopo la morte di Gramsci a opera di Tasca, e comincia allora l’uso strumentale contro Togliatti. Ma questa è una storia successiva. Certamente in passato c’è stata dell’agiografia nel presentare il rapporto Gramsci-Togliatti. Si tratta di personalità molto diverse. Si dimentica anche spesso che il principio organizzativo fondamentale del Partito comunista era la direzione collegiale. Una delle innovazioni più importanti introdotte dal PCd’I a Livorno rispetto al Partito socialista era stata l’abolizione dallo statuto della figura del segretario politico. E la direzione collettiva funzionava nel confronto critico quotidiano aperto e talvolta aspro, grazie alla tensione unitaria, all’autodisciplina e al senso profondo, condiviso della responsabilità. Non era certo il clima amicale salottiero immaginato da critici egocentrici, che si scandalizzano per i toni franchi e si immaginano permalose ritorsioni vendicative.
4Diversa origine ha il sospetto di Gramsci cresciuto attorno alla lettera di Grieco, ma non c’è qui lo spazio per affrontare questo tema.
53. L’arresto di Gramsci, e degli altri parlamentari e dirigenti comunisti, fu primariamente la conseguenza del colpo di Stato attuato da Mussolini tra l’8 e il 9 novembre 1926. La storiografia ha in genere sottovalutato il salto qualitativo rappresentato da questo passaggio, privilegiando in un’ottica aventinista la svolta del discorso del 3 gennaio 1925. Ma fu solo con il vero e proprio colpo di Stato di novembre che venne di fatto soppresso il Parlamento rappresentativo e imposta la dittatura, dando inizio all’«Era Fascista», sancita dall’aggiunta in tutti i documenti ufficiali e nella corrispondenza di regime della datazione fatta decorrere dal 28 ottobre 1922 («anno I dell’E.F.»).
6Il Partito comunista fu colto di sorpresa. Non si era illuso al contrario degli aventinisti che potesse essere il re a liberare il paese dal fascismo, ma non era arrivato a pensare che lo stesso re si facesse complice di Mussolini fino al punto di mettere sotto i piedi lo Statuto concesso dai suoi avi. Col senno di poi questo fu certo il principale errore. Non bisogna dimenticare però che le valutazioni si fanno sugli elementi di conoscenza a disposizione. E quelli di cui il PCI disponeva alla vigilia erano che alla seduta della Camera sarebbero stati dichiarati decaduti i deputati aventinisti, ma non quelli comunisti, e che dunque si dovesse partecipare per manifestare l’opposizione ancora esistente nel paese ai nuovi provvedimenti liberticidi, e difendere anche con la propria presenza l’esistenza dell’istituto parlamentare.
7L’arresto di Gramsci dipese anche dalla circostanza che la sera del 31 ottobre arrivando in treno a Milano per recarsi l’indomani alla riunione della centrale del Partito, aveva trovato la stazione occupata dagli squadristi che scorrazzavano in città in conseguenza del (finto) attentato di Bologna al duce. Ed era perciò dovuto tornare indietro. Una volta a Roma aveva rinviato la partenza a dopo la partecipazione alla seduta della Camera. A ciò egli si riferisce nel passo dei Quaderni dove parla del capitano che abbandona per ultimo la nave. E il passo successivo sulla necessità di evitare le prove inutili si riferisce alla mancata liberazione attraverso lo scambio di prigionieri provocata ai suoi occhi dalla lettera di Grieco, che fu la vera ossessione del periodo carcerario.
84. Il servizio segreto in URSS era una branca del ministero dell’Interno e mi pare che non sempre si distingua il tutto dalla parte. Nel caso di Tania Schucht sappiamo che lavorò come impiegata presso la delegazione commerciale russa a Milano e presso l’ambasciata sovietica a Roma, come dattilografa, ma anche come traduttrice e dando lezioni private di lingua italiana al personale. A causa della lunga permanenza a Turi – dal 26 dicembre 1929 al 6-7 luglio 1930 – fu licenziata per assenza prolungata dal lavoro. Il che non sarebbe certo accaduto se il suo “lavoro” fosse stato, come si è voluto insinuare, di stare alle costole di Gramsci per “controllarlo”. Il 21 giugno 1930, peraltro, scrivendo ai suoi, Tania chiede un consiglio sull’impiego che avrebbe dovuto cercare, «possibilmente non da burocrate», ed elenca le diverse possibilità: «l’insegnamento, le traduzioni, l’Istituto agronomico, i laboratori clinici, le colonie per bambini, per malati o persone deboli e infine una ditta commerciale italo-russa oppure una francese»; concludendo: «Negli ultimi tempi ho scritto direttamente a macchina per cui potrei anche essere corrispondente e contemporaneamente dattilografa». Non sono proprio aspirazioni e curriculum di “spia”.
9Anche il lavoro di Giulia a Mosca presso il ministero dell’Interno doveva essere di impiegata, come lo era stato nell’Ambasciata a Roma nel 1925-26. Anche lei viene licenziata nel 1930, per l’impossibilità di svolgerlo con regolarità a causa delle sue condizioni di salute.
105. Ci sono alcune discrepanze nei numeri dei Quaderni citati nelle fonti che hanno dato pretesto a Franco Lo Piparo per la costruzione di un romanzo del genere di quelli di Dan Brown. Nel libro su I due carceri di Gramsci (2012), egli enuncia per la prima volta che: «i quaderni teorici furono trenta [cioè 34 con le traduzioni] quando erano in possesso della famiglia e negli anni successivi, diventarono ventinove a partire dal 1947 e dopo l’accurata elaborazione di Togliatti». La base è che in una lettera alle sorelle il 25 maggio 1937 Tania, parlando dei Quaderni, usa l’espressione russa «30 stuk», trenta pezzi, che Vacca nel suo libro Vita e pensieri ha reso liberamente con «una trentina». Lo Piparo cita anche una lettera di Togliatti a Manuilskij, datandola 11 maggio 1937 e indicando come fonte Sraffa, mentre è dell’11 giugno e la fonte è la precedente di Tania. Lo stesso numero 30 è in una lettera delle sorelle Eugenia e Giulia Schucht a Stalin, del 5 dicembre 1940. Ora, senza entrare nel merito se sia meglio una traduzione letterale o una traduzione più attenta al reale contenuto, si deve osservare che per fare di 30 un numero preciso bisogna sostenere che Tania e le sorelle intendessero escludere dal computo i Quaderni di sole traduzioni. Il che per esse non aveva alcun senso. Tanto è vero che Tania nella sua etichettatura progressiva numera assieme senza distinzione Quaderni di note e traduzioni. È chiaro dunque che il numero 30 vale una trentina. Per cui tutti i ricami fatti sopra sono illazioni che poggiano sul vuoto.
11Lo Piparo si è anche fatto forte del “salto” che credeva di aver individuato nella numerazione di Tania, dal «quaderno XXXI al quaderno XXXIII», che egli afferma essere stato «mai esplicitamente segnalato» e anzi occultato con «varie procedure per colmare il vuoto». Ebbene questo “vuoto” è esistito solo nell’informazione molto approssimativa di Lo Piparo. Valentino Gerratana, accusato in particolare di aver «rattoppato la smagliatura», aveva invece detto e scritto in più sedi che Tania aveva lasciato due quaderni senza numerazione e che per completare i numeri mancanti li aveva apposti lui stesso. Sarebbe bastato per altro che Lo Piparo leggesse la Prefazione all’edizione critica dei Quaderni e avrebbe scoperto l’arcano in una nota alla p. xxxv.
12Nel suo secondo libro, L’enigma del quaderno (2013), Lo Piparo ha lasciato da parte il salto e si è aggrappato alle etichette. Avendo “scoperto” che Tania ne ha sovrapposte alcune ad altre ha attribuito ciò non all’ovvio e troppo banale significato della correzione di un errore commesso a suo giudizio, ma un significato… da agente segreto. Così, poiché sotto l’etichetta col n. “XXIX” ce n’è un’altra dove si può leggere a occhio nudo: «Incompleto/ da 1 a 26/ XXXII», egli ne ha dedotto la volontà di Tania di comunicare l’esistenza di un quaderno di 26 pagine che le sarebbe stato sottratto, e ci dice anche quando e dove. E cioè nella «casa di Sraffa» a Roma, peraltro mai esistita.
13Personalmente ho già attirato l’attenzione su un altro errore di Tania da lei non corretto. Ed è il Quaderno VIII (6 dell’Edizione critica, QdC) dove in copertina ha scritto: «Completo da pg. 1 a 79/ VIII», mentre all’interno le pagine scritte da Gramsci sono 156. Dal che si dovrebbe arguire col criterio di Lo Piparo che c’è un quaderno di 79 pagine, che attende anch’esso di essere… ritrovato. Non mi dilungo oltre. Dico solo che tutto questo chiacchiericcio sul “quaderno scomparso” potrebbe benissimo fare da apripista a qualche “creativo”, anche perché come Luciano Canfora insegna la fabbrica del falso non è di quelle che chiudono per crisi. Del resto, come avvertiva qualcuno che se ne intendeva, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
146. Piero Sraffa è stato, ed è noto, un comunista “irregolare”, nel senso che non era regolarmente inquadrato nell’organizzazione del Partito; ed ha svolto per il PCd’I compiti delicati, assicurando il collegamento con Gramsci in carcere e prima, probabilmente, impegnandosi nel settore commerciale dell’export dall’URSS per procacciare finanziamenti. E in quanto comunista non iscritto, ma di sicuro affidamento per il Partito comunista d’Italia, che era allora “Sezione” di un partito mondiale, l’Internazionale Comunista, si può considerare appartenente al Comintern. Tutto il resto e fino a prova contraria è pura fantasia.
157. Mussolini, che tenne il capo del PCI sempre sotto strettissimo controllo fino alla morte e anzi fino al seppellimento delle ceneri, e dunque doveva intendersene abbastanza, in una nota pubblicata sul quotidiano romano «Il Messaggero» il 12 maggio 1937 annoverò Gramsci tra i «più folli, fanatici comunisti», tra i quali – scrisse – «non era secondo a nessuno». Dopo di che non sono mancate le leggende. L’ex ministro del PSI Lelio Lagorio assicurò che si era iscritto al Partito socialista, solo che non si trovava più il questionario che aveva riempito, fatto forse sparire, denunciava, dal solito Togliatti. Eugenio Reale “rivelò” che a Parigi Gramsci era considerato appartenente a Giustizia e Libertà, ma anche in questo caso sarebbe scomparso il documento che lo avrebbe comprovato. Lo Piparo, più sbrigativo, vuole Gramsci direttamente convertito al liberal-capitalismo e la prova sarebbe appunto contenuta in questo fantomatico XXXIV Quaderno. Mi pare che siano tutte tesi che al fondo abbiano il desiderio di redimere Gramsci dal suo peccato comunista. Non diversamente per altro dal monsignore Luigi De Magistris che lo voleva asceso in cielo convertito tra i beati.
168. A proposito delle letture metaforico-congetturali dei testi riferiti a Gramsci, credo sarebbe stato più aderente al testo se il libro ultimo di Vacca, illustre e autorevole gramsciologo, invece che Vita e pensieri di Antonio Gramsci (2012) si fosse intitolato Pensieri di Gramsci e di Giuseppe Vacca.
179. Nel caso delle Lettere era apertamente dichiarato che si trattava di una scelta e laddove delle parti erano mancanti era segnalato da puntini di sospensione. Dal punto di vista editoriale dunque non c’è da menare scandalo; il che non toglie che, come per ogni antologia, si possano discutere le ragioni delle inclusioni e delle esclusioni, oggettive e soggettive. Per quanto riguarda i Quaderni la raccolta per temi era suggerita dallo stesso Gramsci dal momento che egli aveva iniziato a raccogliere le note sparse e a raggrupparle proprio per temi. Dopo di che, tanto di cappello all’Edizione critica, come pure a quella recente, anastatica, e, avviata finalmente, a quella che dovrebbe essere “definitiva”, nel corpus dell’Edizione Nazionale (EN). Mi chiedo però come mai non si meni scandalo della enorme operazione censoria che si fece con gli scritti politici di Gramsci degli anni 1921-1926, quando era dirigente comunista in piena attività. Prevista e annunciata pubblicamente in tre volumi nel programma editoriale Einaudi, la pubblicazione venne annullata dopo la fine del PCI.
1810. Mettere a confronto il pensiero di autori diversi è certo legittimo e può riuscire utile, purché però si conoscano gli autori che si mettono a confronto e si tenga conto del contesto. Il che non è stato il caso del libro del ricercatore Alessandro Orsini sulle “due sinistre”, approssimativo sia per quanto riguarda l’opera di Gramsci, conosciuto e interpretato molto superficialmente, che dello stesso Turati, letto e considerato solo per gli interventi ai congressi in cui mai peraltro i due si erano potuti confrontare. Il risultato è stato la costruzione di schemini astratti, decontestualizzati e arbitrari.
1911. Effettivamente, ricollegandomi alla risposta 6, trovo in questo affannarsi da varie parti per la conversione di Gramsci un qualcosa di “sacro”: si avverte un certo odore di sacrestia.
2012. Non credo sia possibile una storia puramente indiziaria. Sulla base di indizi, in aspetti su cui la documentazione manca o è incompleta, si possono legittimamente formulare ipotesi integrative, da proporre al vaglio della critica e della ricerca ulteriore, col requisito minimo che gli “indizi” siano tali e non costruzioni immaginarie; e non si confondano con “prove inoppugnabili”.
Auteur
dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici, Università di Ancona.
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