Linguistica e marxismo
p. 26-34
Texte intégral
12. Posso provare a rispondere a questa domanda solo da un punto di vista parziale, ossia in riferimento alla tesi secondo la quale l’interesse per il linguaggio e per la linguistica avrebbe introdotto nel pensiero gramsciano elementi appartenenti a una cultura liberaldemocratica, fino a spingere Gramsci, negli ultimi anni di vita, verso un distacco dal marxismo e dal comunismo di matrice sovietica. Mi riferisco, cioè, alla tesi che è stata espressa, in modo particolarmente esplicito e specificamente argomentato, da Franco Lo Piparo1. Ebbene, da questo punto di vista il comportamento di Togliatti negli anni immediatamente successivi al Secondo conflitto mondiale farebbe pensare, se accettiamo la tesi di Lo Piparo, a una notevole incoscienza oppure a manifestazioni sempre più contorte e sorprendenti della pur tante volte evocata “doppiezza” togliattiana. E ciò alla luce di quanto fece effettivamente Togliatti, il quale non cercò affatto di far passare in sordina – in anni in cui il rapporto con l’URSS era ancora fortissimo – il ruolo degli interessi linguistici in Gramsci, ma anzi sottolineò e utilizzò più volte questa componente linguistica. Più probabile, in realtà, è che la tesi di Lo Piparo sia da rifiutare (sulla base anche di altri argomenti che affronterò più avanti, rispondendo ad altre domande) e che Togliatti stesso abbia intuito come tra interessi linguistici e “filosofia della praxis” ci fossero più elementi di continuità che di rottura; ossia, che la sensibilità linguistica di Gramsci abbia sì influito sulla sua concezione dell’egemonia, conferendo tratti assai personali al suo marxismo, ma in un rapporto di scambio proficuo tra due componenti tutt’altro che incompatibili, e non quindi nei termini dicotomici di un presunto contrasto tra liberalismo linguistico da una parte e marxismo dall’altra.
2Vorrei partire da un episodio sintomatico dell’uso che Togliatti fece degli interessi linguistici del suo ex compagno di università. È noto che presso l’ateneo torinese Gramsci aveva studiato e svolto alcune attività di ricerca con l’insigne glottologo Matteo Bartoli. A parte la corrispondenza con il padre e la sorella Teresina del periodo 1912-1913, contenente richieste di informazioni sui dialetti sardi, non è facile dire quali potrebbero essere stati, concretamente, i risultati del lavoro svolto dallo studente sardo sotto la guida di Bartoli2. Negli anni si è fatto riferimento alla possibile esistenza di alcune esercitazioni scritte fatte svolgere da Bartoli e al lavoro di preparazione per la (mai discussa) tesi di laurea. A un certo punto, tale lavoro sembrò essere finito almeno in parte nelle mani di Luigi Russo3. «Gentiliano fattosi “alunno” di Benedetto Croce», Russo – che era stato nominato direttore della Scuola Normale pisana «dal 1944 al 1946 per poi essere defenestrato dal ministro democristiano Gonella nel 1948»4 – visionò in effetti del materiale allora inedito, per prepararsi a celebrare «il dirigente sardo alla Normale di Pisa il 27 aprile 1947, dietro invito di Togliatti»5. Nel suo discorso – pubblicato poi su «Belfagor» – Russo menzionò, oltre alle Lettere dal carcere, «filze di saggi dattiloscritti, che vedranno via via la luce in diversi volumi», in particolare saggi che testimoniano l’interesse di Gramsci per alcuni argomenti linguistici: «Linguistica (dove leggiamo un’animosa ma esatta stroncatura di tutta l’opera di Giulio Bertoni e dei chierichini suoi melensi elogiatori come accademico d’Italia), Lingua nazionale e grammatica (una discussione, ferrata di sillogismi crociani, contro un articolo e una tesi del Croce)»6. In realtà il coinvolgimento di Russo, nella vicenda che riguarda il lavoro svolto dal Gramsci studente di glottologia, si è quasi certamente basato su un malinteso, per cui alcuni dattiloscritti sono stati scambiati per una presunta esercitazione universitaria. Più tardi, infatti, Russo stesso avrebbe ricordato di aver ricevuto, «nel 1947, […] da Palmiro Togliatti, inaspettatamente, i dattiloscritti di quelle che furono poi le opere complete dello scrittore sardo-torinese»7. Ma ciò che importa notare è che, in quella fase storica, le riflessioni d’argomento linguistico rientrarono evidentemente tra le componenti del pensiero di Gramsci che Togliatti sfruttò per tessere una rete di rapporti culturali e anche personali, affinché il mondo intellettuale italiano – compresi certi ambienti latamente crociani, diffidenti verso il marxismo e verso i comunisti – s’interessasse a Gramsci. In questo senso, il caso illustre di Russo, che tra il ’46 e il’48 si avvicinò a comunisti e socialisti, risulta appunto emblematico8.
3Ma c’è dell’altro. Lo stesso Togliatti ricordò gli interessi linguistici di Gramsci nel discorso tenuto all’Università di Torino il 23 aprile del 1949, pubblicato su «l’Unità» il 1° maggio e quindi inserito nelle «raccolte di scritti togliattiani su Gramsci, del 1949, del 1953 e del 1967»9. Avrebbe ricordato ancora quegli interessi nel testo, Gramsci sardo, apparso su «Il Ponte» nel 195110. Intanto, nei primi mesi del 1950, ha luogo un’altra vicenda, forse tanto emblematica quanto quella che aveva coinvolto Luigi Russo. «[V]erso il 10 marzo deve arrivare a Genova il piroscafo sovietico Kameneta-Podolsk (capitano Samoilenko). Sopra questo piroscafo sono caricate 10 casse, del peso complessivo di Kg. 445, contenenti la biblioteca carceraria di Antonio Gramsci. La spedizione è al mio nome (Palmiro Togliatti, deputato al Parlamento – Roma)».11 Così scrive il segretario del PCI il 28 febbraio 1950 a Secondo Pessi. Il 19 marzo «l’Unità» dà notizia dell’arrivo dei libri, di nuovo con un coinvolgimento diretto da parte di Togliatti, il quale tra l’altro conferma al giornalista Tommaso Chiaretti l’«estremo amore» e l’«acuto interesse di Gramsci per i problemi della lingua»12. Accanto all’articolo di Chiaretti, intitolato Sono arrivati i libri che Gramsci lesse in carcere, il giornale riproduce una pagina della Guida alla grammatica italiana di Panzini, con annotazioni autografe di Gramsci. Quasi trent’anni dopo, Chiaretti avrebbe ricordato l’incontro del marzo del 1950 durante il quale Togliatti gli fece avere «trentasei foglietti minuziosi, scritti da ambo le parti, e impaginati con cura meticolosa. Togliatti non vi aveva messo nulla di suo, eccetto la fatica materiale dello scrivere, […] aveva cioè tradotto “in pulito” tutte, dico tutte, le note che Gramsci aveva scritto, con una evanescente matita, a margine di uno dei libri che teneva con sé in carcere: la Guida alla grammatica italiana di Alfredo Panzini»13.
4Insomma, fin da subito la messa in circolazione delle idee linguistiche di Gramsci fu consapevolmente favorita e direttamente gestita da Togliatti. Appare perciò difficile pensare a un Gramsci che, in contrasto radicale con Togliatti e proprio in virtù della sua formazione linguistica, si sarebbe avviato verso un’abiura del comunismo.
57. Direi di no; almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’evoluzione politica e intellettuale di Gramsci mostra una sostanziale continuità di fondo, senza scarti, vuoti o oscillazioni tali da far pensare a una sua imminente fuoriuscita dal marxismo rivoluzionario. Ciò che appare sempre più chiaramente è semmai la profonda eterodossia del suo marxismo, la sua propensione a criticare dall’interno l’esperienza comunista internazionale. La particolare attenzione di Gramsci per temi e concreti problemi linguistici offre senz’altro uno spunto utile per spiegare questa eterodossia: i suoi interessi linguistici furono uno dei fattori che più contribuirono alla maturazione dell’originale concezione gramsciana dell’egemonia, concezione che certo lo allontana nettamente da altre correnti marxiste, precedenti e coeve. Ma questo non giustifica, a mio parere, conclusioni quali quelle di Lo Piparo, secondo il quale la «matrice primitiva» della filosofia di Gramsci non andrebbe cercata «in Marx o in Lenin o in qualsiasi altro marxista, ma nella scienza del linguaggio»14; e ancora: «Se l’egemonia gramsciana ha la sua matrice originaria in Ascoli, Bartoli, Gilliéron, Meillet, Croce, e non in Lenin, è giocoforza rileggerla come nozione inscrivibile nella tradizione del pensiero liberale piuttosto che in quella marxista»15.
6Simili conclusioni si basano sull’individuazione e l’approfondimento di un certo tipo di fonti – a discapito di altre – e su una ripartizione della sua biografia intellettuale di fatto funzionale a tale selezione delle fonti di Gramsci. Si tratta, in realtà, di una periodizzazione già diffusa in lavori di ispirazione liberalsocialista, ben prima che Lo Piparo vi introducesse un’attenzione specifica per le idee e le fonti linguistiche di Gramsci: il giovane Gramsci fu un socialista eterodosso, assai sensibile a vari influssi anti-positivisti; si sarebbe quindi convertito al leninismo nella fase centrale della sua vita, per poi riavvicinarsi al socialismo democratico, negli anni del carcere, con la concezione dell’egemonia espressa nei Quaderni16. Questa tripartizione ben si concilia con l’interpretazione di Lo Piparo, secondo la quale Gramsci sarebbe stato particolarmente sensibile a discussioni e discipline linguistiche negli anni dell’università e della Guerra mondiale, prima dell’incontro con il leninismo; e poi ancora negli anni del carcere, quando la rinnovata influenza non-marxista, genericamente “liberale”, dei suddetti filosofi e linguisti (Croce, Bartoli, Meillet, ecc.) avrebbe modellato la sua concezione dell’egemonia, chiarendo definitivamente a Gramsci il ruolo decisivo del prestigio culturale e del consenso (contrapposti all’inefficacia storica della coercizione), e spingendolo, appunto, verso approdi sostanzialmente liberaldemocratici.
7Oltre ad essere funzionale a questo approccio interpretativo, la scarsa attenzione riservata al periodo 1919-1926 poteva derivare, all’epoca di Lingua, intellettuali, egemonia in Gramsci, da certe difficoltà della ricerca storica di allora, in primis dalla disponibilità limitata di documenti d’archivio e di altre informazioni dettagliate sui rapporti di Gramsci con il Comintern e con la vita politica e culturale della Russia rivoluzionaria17. A partire dagli anni Novanta, tuttavia, è emerso sempre più chiaramente che gli interessi linguistici di Gramsci non cessarono affatto durante il periodo “bolscevico”, sebbene se ne trovino tracce meno cospicue nei suoi scritti di quegli anni. Ad esempio, in una lettera di Tatiana Schucht del 30 agosto 1928 leggiamo il seguente passaggio, in cui Tania si rivolge alla sorella Giulia (conosciuta da Gramsci nel ’22 e vista per l’ultima volta nel ’26): «Ho promesso ad Antonio di ordinargli un libro del prof. Potebnja “La storia dello sviluppo della lingua” che dice sia molto interessante e tu stessa sai quanto ad Antonio interessi la linguistica. Mi è stato detto che tu potresti ottenere delle informazioni su libri importanti in questo settore presso Lunačarskij, dicono che egli si interessi di tutto e che sarebbe molto lieto di dare delle indicazioni in proposito»18.
8Anche altri elementi sono venuti a inficiare la periodizzazione degli interessi linguistici gramsciani proposta da Lo Piparo e l’interpretazione ad essa connessa. Vari studi recenti hanno mostrato che: (a) a livello interpretativo le idee linguistiche di Gramsci non presuppongono una netta alterità rispetto al marxismo19; (b) a livello di ricerca storica l’influenza di fonti “liberali” non fu affatto esclusiva nella formazione delle idee linguistiche gramsciane, alla quale contribuirono invece anche fonti e discussioni d’ispirazione marxista. A questo proposito mi limito a ricordare i lavori di Craig Brandist, il quale parla di un vero e proprio «debito» contratto da Gramsci nei confronti dei dibattiti assai dinamici e innovativi che accompagnarono, nella Russia rivoluzionaria e nella stessa Internazionale Comunista, i complessi tentativi di attuare politiche linguistiche e culturali ispirate al marxismo di Lenin20. Emerge così tutta l’importanza del periodo centrale della vita di Gramsci. I sui suoi soggiorni russi si collocano tra il 1922 e il 1925, cioè proprio nel periodo in cui – prima dell’irrigidimento stalinista – sono in corso vivacissime discussioni sulla questione nazionale, sulla lingua dei giornali e sulla comunicazione pubblica, sulla lotta all’analfabetismo, l’educazione linguistica, la catalogazione e pianificazione linguistica nell’immenso Stato sovietico. E infatti, le ricerche di Brandist e di altri studiosi rivelano varie affinità tra gli interessi e le preoccupazioni di Gramsci in ambito linguistico e gli approcci sviluppati, nel medesimo ambito e negli stessi anni, da specialisti più o meno direttamente legati al Partito Comunista Russo.
9Ma torniamo all’interpretazione dei testi e concentriamoci su una nozione pertinente sia per il pensiero politico gramsciano, sia per le sue idee linguistiche: la nozione di spontaneità. Le riflessioni di Gramsci sulla spontaneità nella storia politica sono in gran parte coerenti con le sue riflessioni sul ruolo della spontaneità nella storia linguistica21. Dato che i modelli ufficiali del passato hanno influenzato l’attuale modo di parlare (e di scrivere) di una comunità linguistica, le «grammatiche spontanee» non possono essere viste in contrapposizione rispetto alle «grammatiche normative»: la grammatica spontanea non è il frutto di scelte puramente personali, maturate consapevolmente e autonomamente, e perciò contrapponibili alle imposizioni esterne, alle influenze istituzionali22. Allo stesso modo, la formazione e la diffusione – apparentemente spontanee – di ideologie e valori condivisi non sono separabili da fenomeni di direzione politica presenti o precedenti; non sono cioè separabili dall’influsso di certe istituzioni statali, di certe gerarchie culturali, di stratificazioni sociali e relazioni di potere ineguali (ivi compreso il ricorso a forme di coercizione) risalenti a epoche più o meno recenti: un influsso che in certi casi può operare in maniera disorganica, lasciando tracce documentarie scarse e incoerenti23; e che in altri casi può essere invece così efficace da presentarsi come universale, non richiedendo che un ricorso del tutto marginale alla coercizione24.
10Questo modo di intendere la spontaneità nella storia ci mostra come – su questioni essenziali riguardanti l’egemonia dei gruppi dirigenti, la concezione dello Stato e la formazione del consenso – le idee linguistiche di Gramsci non siano affatto in contraddizione con una critica di stampo marxista alla democrazia liberale. Le sue idee linguistiche tendevano semmai a fornire elementi di supporto a tale critica, confermando come lo Stato liberale non consti mai di istituzioni ideologicamente neutrali, preposte alla mera rappresentazione di quei processi di formazione razionale del consenso che opererebbero “spontaneamente” nella società borghese. Insomma, anche in quest’ottica, poco o nulla ci autorizza a ritenere che il Gramsci dei Quaderni fosse in procinto di convertirsi alla socialdemocrazia, né tantomeno al liberalismo.
115. Credo di aver già risposto alla seconda parte di questa domanda. Quanto alla prima parte, mi sentirei soltanto di invitare tutti alla cautela. Cautela nello spingersi troppo avanti con le ipotesi, fino a sviluppare ragionamenti e asserzioni troppo puntuali su contenuti che, per il momento, rimangono ipotetici – visto che il testo in questione è da considerasi, allo stato attuale delle nostre conoscenze, perduto o mai esistito. Ma cautela anche nello svalutare e attaccare certe ipotesi solo perché tali, trascurandone il valore conoscitivo intrinseco – che esse hanno, in quanto frutto di ricerche e argomentazioni non superficiali – nonché l’utilità – in quanto stimolo e orientamento per ricerche ulteriori.
1212. Per chi proviene da studi linguistici e filologici l’utilità di indizi, ipotesi e congetture è un qualcosa che richiede ben poche difese o dimostrazioni. Non solo per lingue e protolingue d’epoca remota, ma anche per la storia di lingue e dialetti sviluppatisi in epoche relativamente recenti, l’avanzamento delle nostre conoscenze passa molto spesso attraverso ipotesi che si basano su metodi comparativi e/o di ricostruzione interna, e che talvolta trovano riscontro solo in alcuni “indizi” documentari. La costruzione di un’ipotesi convincente costituisce un passo decisivo della ricerca: ciò deriva dalla consapevolezza che la rappresentazione scritta di una lingua è sempre parziale e approssimativa rispetto al suo sviluppo orale, e dalla scarsità degli stessi documenti scritti che potrebbero permetterci di seguire dettagliatamente le varie fasi di questo sviluppo (documenti che possono talvolta venire a mancare completamente, soprattutto per certi strati sociali e in epoche quali, ad esempio, l’Alto Medioevo). Anzi, in casi estremi, l’accertamento dei fenomeni storici finisce sostanzialmente per coincidere con la costruzione di un’ipotesi che risulti la più convincente possibile, cioè quella che meglio integri conoscenze generali e tracce documentarie a nostra disposizione. In certi casi la ricerca, nel suo tentativo di ricostruzione storica, sa di non poter pervenire ad altro se non a un’ipotesi particolarmente solida. La ricostruzione è in questo senso approssimazione rispetto a ciò che è realmente accaduto (ad esempio nell’evoluzione dal latino agli idiomi romanzi), quindi l’ipotesi è un passaggio conoscitivo essenziale che favorisce e in certi casi di fatto già costituisce, di per sé, una ricostruzione. Non è perciò in linea di principio, o per astratte ragioni metodologiche, che propenderei per un disaccordo rispetto alle tesi di Lo Piparo – tesi con le quali, invece, mi sento in disaccordo per specifiche ragioni di merito che ho qui provato a sintetizzare25.
Notes de bas de page
1 Si veda in particolare Lo Piparo 1979 e 2012.
2 Sulla questione, si veda ora G. Schirru, Antonio Gramsci studente di linguistica, in «Studi Storici», LII, 2011, pp. 925-973.
3 Così D. Zucàro, Antonio Gramsci all’Università di Torino 1911-1915, in «Società», XIII, 1957, 6, pp. 1091-1111 (1095) e Romano 1965, pp. 63 e 585-586. Attraverso Russo, anche Giuseppe Vidossi conobbe alcune riflessioni linguistiche inedite di Gramsci; e ne citò una come proveniente da «un articolo» inedito, quando si tratta in realtà di un passo appartenente al Quaderno 3: cfr. G. Vidossi, Pro e contro le teorie di M. Bartoli, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», XVII, 1948, 3-4, p. 209, e QdC, p. 351.
4 Chiarotto 2011, p. 52.
5 Liguori 1996, p. 51.
6 L. Russo, Antonio Gramsci e l’educazione democratica in Italia, in «Belfagor», II, 1947, p. 396.
7 Id., I corsivi di Gramsci, in «Belfagor», XV, 1960, pp. 472-478 (472); poi anche in volume, col titolo Gramsci polemista, in Russo 1960, pp. 227-240.
8 All’inizio del 1952 Russo avrebbe così descritto il proprio distacco da Croce e l’avvicinamento al PCI: «A Lei debbo, ed al suo esempio, se mi sono incoraggiato a percorrere una via che avevo sempre vagamente intravista; devo anche questo orientamento ai giudizî di Antonio Gramsci, che mi fecero sussultare, rivelando me a me stesso, quando Lei me li trasmise per la mia commemorazione del ’47» (lettera a Togliatti del 16 gennaio 1952, AFG, FPT, Carte Botteghe Oscure, Corrispondenza, Palchetto 8, b. 2).
9 Nota ai testi, in Togliatti 2001, p. 37.
10 Ora ivi, pp. 151-56.
11 Lettera raccolta in Togliatti 2005, p. 111.
12 T. Chiaretti, Sono arrivati i libri che Gramsci lesse in carcere, in «l’Unità», 19 marzo 1950.
13 Id., Perché Gramsci leggeva Panzini, in «la Repubblica», 26 maggio 1977.
14 F. Lo Piparo, Studio del linguaggio e teoria gramsciana, in «Critica marxista», XXV, 1987, p. 167
15 Id., Le radici linguistiche del liberalismo gramsciano, in Polizzi 2010, p. 136.
16 Cfr. ad esempio Tamburrano 1963.
17 Cfr. S. Caprioglio, Per l’edizione critica degli scritti di Gramsci. Un volo per Mosca, in Sbarberi 1988. Erano relativamente limitate anche le conoscenze storiche circa il ruolo significativo delle politiche linguistiche e della linguistica applicata nell’edificazione del socialismo sovietico – su cui oggi disponiamo, invece, di lavori ricchi come ad esempio Smith 1997.
18 Schucht 1991, p. 42 (corsivo mio).
19 Già Luigi Rosiello e, più di recente, Giancarlo Schirru, hanno espresso delle riserve sulla presunta contrapposizione, in Gramsci, tra marxismo e interessi linguistici; ma si fa qui riferimento soprattutto ai lavori di Ives 2004a e 2004b.
20 Si veda in particolare C. Brandist, The cultural and linguistic dimensions of hegemony: aspects of Gramsci’s debt to early Soviet cultural policy, in «Journal of Romance Studies», XII, 2012, pp. 24-43.
21 Si confrontino QdC, pp. 737-739 e 2345-2346 (sull’emergere e il diffondersi delle innovazioni linguistiche) con pp. 1624-1626 (sull’emergere e il diffondersi di una certa visione del mondo).
22 Cfr. QdC (Q29). Si rimanda all’interpretazione di Ives 2004b, cap. 3.
23 Si veda in particolare QdC, pp. 328-32.
24 Ivi, pp. 1513-1530.
25 Ho espresso queste ragioni più distesamente altrove: Carlucci 2013; Id., Gramsci, language and pluralism, in Antonio Gramsci, a cura di M. McNally, Palgrave, Basingstoke, in corso di pubblicazione.
Auteur
College lecturer in Storia della lingua italiana, Keble College, Università di Oxford.
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