Terzo atto (1929-1938)
p. 69-107
Texte intégral
Uomo del suo tempo
1Nel gennaio 1929 il Goset tornò dall’Europa.
2Solomon Michoels fu nominato direttore artistico. Le difficoltà emersero subito: per prima cosa, c’erano problemi legati al repertorio. Per provare la propria fedeltà al regime, il teatro fu tenuto a mettere in scena opere di autori sovietici. In questi testi, i cosiddetti nemici del popolo erano presentati in modo colorito e commovente, in contrasto con “i buoni”, che si ribellavano contro la vecchia vita o entusiasticamente ne costruivano una nuova risultando così monotoni e noiosi.
3Un artista che senta la stupidità di un concetto non oserebbe ammetterlo, a volte neanche a se stesso.
Non ho mai mercanteggiato la mia lira, ma succedeva, quando s’alzava la minaccia del destino implacabile,
che un suono falso ne cavasse
la mia mano…1
Il poeta russo Nikolaj Nekrasov, che scrisse questi versi ai tempi dello zar, non ebbe problemi per ciò che scrisse. A questa altezza temporale, e per gli ebrei, tutto era più complicato. «Il suono falso» poteva essere dovuto al timore di un destino minaccioso, ma anche al desiderio di essere fedele alle autorità sovietiche poiché avevano creato le condizioni che portarono alla fioritura della cultura ebraica. Non si sapeva ancora che quella fioritura avrebbe avuto vita breve. Non si sentivano ancora come Ostap Bender, il protagonista di una popolarissima opera satirica russa: «Una colonna di pressione atmosferica del peso di duecentoquattordici chilogrammi schiaccia ogni uomo, anche i membri del Partito».2 Quindi, che cosa poteva fare un direttore artistico sottoposto a tale pressione? E gli attori? «Gli attori di questo meraviglioso teatro, esperti di volo e di grottesco».3 Supponiamo che avessero sostituito le pezze colorate con uniformi da operaio, come si sarebbero dovuti comportare in scena? Non sarebbe comunque bastato fare acrobazie e salti mortali tra le impalcature degli edifici e la catena di produzione.
4Lo stile doveva essere realistico. Gli attori furono costretti ad accentuare la compostezza dei movimenti o a cercare nuove forme di espressione e nuove tecniche di recitazione. Questo adattamento, che in condizioni di assoluta libertà non sarebbe stato necessario, avrebbe dato alcuni frutti, ma non subito.
Naftole Hoz
5Il sipario si alzò. Lo spettacolo La corte è riunita [Der gericht geit] di Dobrušin ebbe inizio. Oltre ad aprire la nuova stagione del Goset dopo il viaggio in Europa segnò l’inizio di una nuova era.
6La scenografia era ancora un elemento interessante, questa volta però gli operai che costituivano la maggioranza del pubblico vedevano «silhouettes di se stessi sul posto di lavoro».4 Il protagonista di La corte è riunita si metteva in viaggio per ricostruire un vecchio mulino e sposare una donna non ebrea. Così, presentavano al nuovo pubblico sovietico un nuovo ebreo, l’ebreo sovietico.
7Il personaggio di Zuskin, il muratore Naftole Hoz, fu il primo manovale a comparire sul palcoscenico del Goset. Era anziano ma ovviamente stava dalla parte dei giovani che si costruivano una nuova vita. Zuskin sapeva come fare, doveva salvare quel ruolo dalla sua vacuità.
8Un ebreo attempato stava lavorando, scambiava la pialla per una sega da affilare. Un momento, la pietra ollare era sparita! La scena ricordava la ricerca delle forbici nel Vecchio sarto anche se qui i movimenti dell’attore erano più precisi. Quella scena era impressa nella memoria degli spettatori e Zuskin sapeva come incantarli.
9In generale, la stampa accolse bene l’opera come primo assaggio del repertorio sovietico, ma non era felice che ci fosse un carpentiere che lavorava per conto proprio e che non era membro di una squadra all’interno di una fabbrica né era membro del Partito Comunista.
Eroe positivo
10Tra il 1930 e il 1933 i testi scelti dal Goset erano tutti di autori sovietici. Erano però i vecchi testi a continuare ad andare in scena e a garantire gli incassi del teatro al botteghino.
11Nello spettacolo Le dighe [Grobers], tratto dal romanzo di Hershl Orland, messo in scena all’inizio del 1930, ebrei e non ebrei, operai e agricoltori, tutti entusiasti, bonificavano paludi e costruivano dighe. A ciò si aggiungevano dispute tra ebrei e ucraini, uomini e donne, capisquadra e operai. Il tutto, unito a un triangolo amoroso, creava la dose necessaria di realismo socialista con l’aggiunta di alcune sfumature ebraiche.
12Zuskin interpretava Yossi il gobbo, che all’inizio lavorava come conducente del proprio carro restando fuori dalla società per redimersi alla fine ovviamente – ça va sans dire – quando si univa con entusiasmo ai costruttori di dighe.
13La stagione del 1930-1931 si chiuse con Non ti lamentare [Nit gedayget!] di Peretz Markiš, poeta e drammaturgo.
14Markiš e mio padre. Se è corretto il detto secondo il quale il grado di simpatia tra le persone è determinato non dal sangue che scorre nelle loro vene ma dal sangue che scorre dalle loro vene, allora non poteva esserci simpatia più forte di quella tra Zuskin e Markiš, la cui esecuzione avvenne contemporaneamente.
15La trama si svolgeva in uno shtetl e si concentrava sulla lotta tra gli abitanti che si univano al kolkhoz ebraico nella penisola della Crimea e su coloro che continuavano a restare aggrappati ai valori dello shtetl. Qui Zuskin era Mendel, il trasportatore autonomo di acqua che con gioia diventava – poteva andare diversamente? – membro di un kolkhoz. Per adattare il personaggio di Mendel alle regole del teatro, Zuskin arricchì il proprio modo di camminare utilizzando il grottesco e inserì una ninnananna che divenne un motivo ricorrente.
16Nel novembre del 1931, in onore del quattordicesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, il teatro mise in scena Quattro giorni [Fir teg] di Mark Daniel, che lo aveva adattato dal proprio romanzo dedicato a un personaggio realmente esistito, un attivista rivoluzionario clandestino di nome Yulis Šimeljovič.
17L’opera fu considerata il tentativo di dare vita a un genere nuovo, la tragedia sovietica, perché gli eroi preferivano suicidarsi piuttosto che farsi arrestare. Nel 1952, il fratello di Yulis, Boris Šimeljovič, sarebbe stato giustiziato come membro del Comitato Antifascista Ebraico, insieme a mio padre. Nel 1966, il figlio di Mark Daniel, lo scrittore Yurij Daniel, fu condannato alla prigionia per aver pubblicato un libro satirico in Occidente. Si può dire che il tentativo di dare vita alla tragedia sovietica ebbe un successo straordinario.
18Zuskin aveva uno dei ruoli principali, era Stanislav Bronevskij, un rivoluzionario polacco e compagno d’armi di Yulis (Michoels).
19Il polacco Stanislav Bronevskij fu il primo non ebreo interpretato da Zuskin e richiese infatti un approccio speciale al ruolo, in particolare alla sua espressione: non parlava con un accento particolare ma disseminava il discorso con «parole che hanno un certo tono nazionale».5
20L’apice dell’interpretazione fu raggiunto quando insieme ai compagni del movimento clandestino, Stanislav si prepara per il suicidio. Con meticolosa precisione si aggiustava l’orlo del cappotto, raddrizzava la schiena e scendeva nel seminterrato per spararsi.
21Avrebbe invidiato Stanislav ripensandoci anni dopo?
Eroe negativo
22A questo punto il Goset mise in scena due opere che descrivevano altre esperienze sovietiche, considerate però negative nell’ottica della propaganda ufficiale.
23Nel 1932 andò in scena Lo specialista [Spetz] di Yekhezkel Dobrušin e Yitshak Nusinov.
24In questo periodo il termine spetz, che stava per specialista, etichettava ingegneri o avanzi del regime zarista arruolati nell’industria sovietica, sospettati di sabotare la costruzione del socialismo.
25Michoels interpretava lo specialista, Spetz, e lo faceva splendidamente. Fu anche la prima produzione di cui fu il regista. L’opinione diffusa era che la regia non fosse così soddisfacente, Zuskin in ogni caso la considerava un buon punto di partenza.
26Zuskin aveva la piccola parte dello zio Miša: durante una festa data dall’ingegner Berg, Miša chiacchierava con coloro che stavano apparentemente sabotando la costruzione del socialismo e intanto corteggiava le ragazze invitandole a ballare.
27Avrebbe interpretato un altro personaggio che non accettava la Rivoluzione: il dottor Babitskij in Misura punitiva [Midas hadin] di David Bergel’son, che andò in scena nel 1933. Zuskin costruì il personaggio intorno a una frase: «Sono un uomo marginale»; camminava rasentando i muri, indossava un cappotto troppo lungo e un cappello a tesa larga. I capelli lunghi e i baffi folti nascondevano quasi completamente la parte del volto lasciata scoperta dal cappello. Tutto sottolineava la sua «marginalità» rispetto alla vita che lo circondava.
28Ogni eroe negativo di Zuskin, così come quelli positivi, non era uno stereotipo del bene o del male, l’attore non portava in scena categorie ma esseri umani, cosa che gli dava grande soddisfazione, certo, in fondo al proprio cuore sentiva però che questi ruoli non gli rendevano giustizia.
Eroe del cinema
29Nel periodo tra il 1930 e il 1933 l’attività di Zuskin come attore non si limitò al teatro, interpretò alcuni ruoli per il cinema.
30Il film sovietico L’uomo del paesino [Cheloviek iz mestechka] in lingua russa, scritto e diretto da Grigorij Rošal’ e Vera Stroeva, fu proiettato per la prima volta alla fine del 1930. Per Zuskin fu il primo film se non consideriamo il film muto Fortuna ebraica [Yevreyskoye schastye] del 1925, in cui appare sullo schermo in una scena che dura pochi secondi.
31Zuskin aveva il ruolo principale, David Gorelik. Simile allo Yossi di Le dighe e al Mendel’ di Non ti lamentare!, David, piccolo apprendista presso una sartoria che sogna di mettersi in proprio, diventava un uomo importante, direttore di una fabbrica sovietica di calzature.
32Il motivo per cui un sarto, in quell’era sovietica che prometteva felicità, dovesse occuparsi della produzione di scarpe per essere un uomo felice non è chiaro, il suo Gorelik riusciva comunque a portare avanti sul nastro trasportatore della propaganda sovietica una “piccola verità”.
33Nel 1933 uno studio cinematografico di Leningrado [San Pietroburgo fu chiamata con questo nome dal 1924 al 1991] presentò al pubblico il film La frontiera [Granitsa], basato sulla sceneggiatura e con la regia di Michail Dubson. Qui Zuskin interpretava Arieh, un giovane impiegato.
34La storia è ambientata in uno shtetl dell’Europa orientale vicino alla frontiera sovietica. Gli abitanti sono divisi in buoni e cattivi. I buoni sono ebrei poveri che aspirano a vivere all’interno dei confini dell’Unione, dove la vita è meravigliosa. I cattivi sono l’uomo più ricco della zona e i suoi scagnozzi, che cercano in ogni modo di sfruttare i buoni.
35Arieh lavora nell’ufficio del riccone. Il pubblico lo vede per la prima volta seduto alla scrivania e concentrato a fare conti su un pallottoliere, mentre canticchia una canzone improvvisata in cui al posto delle parole ci sono i numeri, mentre li scrive con attenzione sul libro contabile; le pause all’interno della melodia fanno capire che è molto concentrato sui calcoli.
36Nello sviluppo della trama ci si rende conto che la scelta di presentare un impiegato era finalizzata a mostrare fin dall’inizio un uomo diligente, affidabile e serio. Le sue qualità emergono anche quando è coinvolto in un’ attività clandestina.
37Nella scena finale, che segna la vittoria dei buoni, nella quale le forze sovietiche della luce vincono su quelle cattive del buio capitalista, Zuskin ebbe la possibilità di esprimere il proprio pensiero e sentimento nel modo che amava di più, per mezzo della musica o di una canzone. Inizialmente Arieh canticchia una melodia ebraica a bassa voce. Poi il canto si fa più forte e quando il suo compagno russo prende la fisarmonica per accompagnarlo con lo strumento, gradualmente la canzone diventa una melodia che potrebbe essere sia russa sia ebraica, e infine risuona trionfante.
38Le riprese terminarono nel 1933, ma il film uscì soltanto nel 1935.
39Nonostante la trama basata sui dettami dell’ideologia, Zuskin non si concesse di lavorare in modo scontato. Cercò di non ricorrere a un grottesco troppo ovvio, incompatibile con le richieste sovietiche, e trovò il modo di ritrarre i personaggi come soltanto lui sapeva fare. Si rese anche conto che il cinema richiedeva una concentrazione delle potenzialità attoriche ancora maggiore rispetto al teatro e in lui nacque un amore per il cinema che sarebbe durato a lungo.
Yosl Bobtses
40La mia storia è già arrivata al 1933, ma devo fermarmi e tornare indietro. La produzione di Il sordo [Der toyber], che David Bergel’son aveva tratto dal proprio romanzo dallo stesso titolo, andò in scena nel 1930. L’ho saltata intenzionalmente. Nonostante Bergel’son fosse un autore e un drammaturgo sovietico, il suo testo si riferisce infatti a un periodo che precede la Rivoluzione.
41Il personaggio di Zuskin, Yosl Bobtses, è un uomo che davanti al proprietario del mulino dove è impiegato umilia tutti, anche se stesso, ma soprattutto coloro che si trovano sotto di lui nella scala gerarchica. L’attore si immerse nella personalità di Bobtses e giunse alla conclusione che per Bobtses non si potevano che scegliere tonalità scure.
42Come sempre, Zuskin fu molto attento agli aspetti esteriori. Bobtses venne fuori gobbo, camminava come qualcuno che si intromette sempre, il suo costume e il trucco erano altrettanto pensati: Zuskin diede a Bobtses orecchie lunghe e sporgenti che suggerivano la sua abitudine a origliare in ogni occasione.
43Bobtses doveva confrontarsi con il Sordo, interpretato da Michoels. Il Sordo è un operaio del mulino che ha perso l’udito per un incidente sul lavoro. È dignitoso ed equilibrato fin quando i suoi istinti esplodono portandolo a ribellarsi. Nuovamente, gli irritabili critici sovietici rinfacciarono al teatro di avere messo in scena la ribellione di un singolo uomo e non quella di un gruppo. Al confronto tra Bobtses e il Sordo era data particolare enfasi nella scena in cui Bobtses, con gesti offensivi insinuava che il ventre di Esther – la figlia del sordo – fosse cresciuto e che la responsabilità fosse del figlio del padrone del mulino. La risata di Bobtses era maliziosa, stridula e simile a un lamento, il Sordo la “sentiva” a distanza e il suo contegno esplodeva, saltava addosso a Bobtses e lo prendeva per la gola cercando di strangolarlo. La tragedia era evidenziata dalla forza del contrasto tra la sua presa potenzialmente omicida e i fremiti di Bobtses.
44Granovskij non aveva soltanto compreso che il duo Michoels-Zuskin aveva una qualità unica, seppe anche prevedere che con il passare del tempo il loro potere nell’impressionare il pubblico sarebbe aumentato.
Anatole
45Il mediocre successo dei testi di autori sovietici tormentava Michoels e lo spronò a cercare idee nuove. Poteva valere la pena cimentarsi con la messa in scena di qualche classico europeo? Anche un testo leggero sarebbe stato una prova del nove per la compagnia.
46Scelsero infine il vaudeville Il milionario, il dentista e il mendicante [Der milioner, der tsahndokter un der oreman] di Eugène Labiche. Come altri attori, Zuskin si mise a studiare: bisognava capire che cosa fosse un vaudeville, cogliere l’atmosfera della Francia dell’Ottocento e capire come liberare gli attori dai gesti e dalle intonazioni tipicamente ebraici.
47Gli attori erano soddisfatti perché il testo sembrava allegro, in scena potevano agitarsi come matti sentendosi temporaneamente sollevati dal tedio sovietico e soprattutto, per la prima volta, agire fuori da sé, rinfrescati dall’esperienza europea.
48Il Goset invitò dalla Francia il regista Léon Moussinac, ebreo comunista. Per fargli da assistente fu scelta la ex moglie di Granovskij, Aleksandra Azarch-Granovskaja. I coniugi Granovskij si erano separati mentre trovavano ancora in Europa occidentale e nel 1933 lei era rientrata in Unione Sovietica. Lavorava come insegnate di recitazione e aveva molta familiarità con il teatro francese.
49Alla prima lettura del testo, Zuskin si innamorò del personaggio di Anatole il mendicante. Scoprì che nei meandri della propria memoria c’erano alcuni perditempo parigini del boulevard Saint Martin che aveva visto davanti al teatro in cui il Goset aveva lavorato. Zuskin voleva dare spazio a questi vagabondi come aveva fatto nei ruoli precedenti con i personaggi della sua infanzia e interpretò Anatole, il mendicante, mentre Micholes era Gredan, il dentista. A Eda fu invece assegnato il ruolo di Agnes. Lavorava ormai nel teatro da nove anni, vi era entrata come danzatrice ma non vi erano quasi più spettacoli che prevedessero parti danzate e lei interpretava piccole parti. In questo caso le fu assegnato un ruolo di primo piano che prevedeva la combinazione di testo e danza. Per Eda fece da ponte tra il mondo della danza e quello della recitazione.
50Zuskin ignorò il fatto di interpretare un non ebreo. Dopotutto, Anatole era uno di quei piccoli uomini che lui amava e che non erano a proprio agio con addosso una giacca di sartoria, con il farfallino e i baffi da damerino.
51Tra Moussinac e la compagnia nacque una grande amicizia. Iniziarono a provare nella primavera del 1934, in estate terminarono e partirono per una tournée in giro per l’Unione Sovietica. Moussinac chiese di accompagnare la compagnia. Avrebbe in seguito descritto la tournée con grande entusiasmo.
52Il 14 novembre 1924 il debutto di Il milionario, il dentista e il mendicante fu un successo. In quei giorni, a Mosca si teneva il primo congresso degli scrittori sovietici e furono invitati dall’Ovest alcuni autori di sinistra. Lo scrittore e giornalista francese Jean-Richard Bloch andò a vedere lo spettacolo e ne scrisse una recensione colma di complimenti per Anatole, che non aveva niente a che fare con “l’etica proletaria”: «Se solo il vecchio Labiche oggi fosse a Mosca! Secondo me il vecchio drammaturgo sarebbe catturato dal fascino di questo attore nel ruolo di Anatole. Il compagno Zuskin crea un personaggio che ha molto della farsa, è come se Pierrot fosse sceso dalla luna; con la sua grazia e la malinconia da clown questo personaggio è così esatto».6 Il comunista Bloch sembra non essere riuscito a sfuggire al concetto di “Ovest corrotto”.
53E la recitazione di Eda? «Ritratta da Berkovskaja, Agnes è giovane e splendida»,7 annota Bloch nello stesso articolo.
Fool
54Quando Michoels si accorse che nell’elenco dei testi classici autorizzati ad andare in scena nei teatri sovietici era compresa la tragedia shakespeariana Re Lear, annunciò agli attori che intendeva metterla in scena. La maggior parte di loro protestò con convinzione, anche Zuskin.
55Perché? Zuskin prese in considerazione la questione. Non vi era certo scarsezza di talento nel loro teatro. Gli attori non avevano familiarità con la cultura europea ma si potevano invitare docenti illustri. Per quanto riguardava il veto che il teatro si era imposto in passato in merito alla possibilità di ritrarre personaggi non ebrei, ormai non era più valido. E allora? Si trattava forse di scarsa autostima? È vero che non era sempre sicuro di sé, nel profondo Zuskin era però convinto di poter affrontare una sfida di questo tipo. Possibile che un attore che amava le sfide come lui non si lasciasse travolgere da una sfida di questa portata?
56Zuskin non aveva niente contro Shakespeare, ma sentiva che l’idea di Michoels non era adeguata all’essenza del teatro ebraico così come lui lo concepiva. Quando molti anni dopo in Israele fu progettato un film-documentario sul Goset, tra i titoli proposti ci fu anche Shakespeare in yiddish. Compresi immediatamente che questo atteggiamento – lo yiddish visto come qualcosa di inferiore al sublime Shakespeare – avrebbe potuto offendere chi è orgoglioso della lingua yiddish. Zuskin non voleva che il proprio teatro desse prova del fatto che gli ebrei sono “anche” esseri umani, non doveva dimostrare alcunché. Desiderava soltanto che il teatro fosse fedele a se stesso. Comunque sia, alla fine Zuskin e gli attori che erano contrari si rassegnarono e accolsero l’idea di Michoels e l’opinione di coloro che invece lo sostenevano, tra i quali c’era anche mia madre.
57Quando furono assegnati i ruoli non vi fu alcun dubbio su chi sarebbe stato re Lear, ovviamente Michoels, fu altrettanto chiaro a tutti che il Fool sarebbe stato Zuskin, poiché Michoels e Zuskin avevano già dato prova di essere una coppia straordinaria.
58Zuskin riuscì a reprimere i propri pensieri negativi e si mise al lavoro. Pezzo dopo pezzo il ruolo del Fool iniziò a conquistarlo. Secondo Michoels, «Zuskin, un attore dotato di un talento brillante […] in questo ruolo, uno dei più difficili del repertorio mondiale, ha messo all’opera tutte le proprie tecniche creative».8
59Come si è visto, Zuskin cercava sempre un modello da imitare e come primo prototipo per il ruolo del Fool fece ricorso allo scrittore russo Yurij Oleša. In seguito avrebbe quasi del tutto abbandonato questa prima intuizione ma qualcosa di lui sarebbe comunque rimasto.
60Non posso trascurare questa sua prima idea senza fare un salto in avanti. Nel 1969, anno del settantesimo anniversario della nascita di Veniamin Zuskin, alla Casa dell’Attore di Mosca fu organizzata una serata in sua memoria. Poiché divulgare il nome di un attore ebreo non sarebbe stato incoraggiato dalle “alte sfere”, fu inserita tra le serate titolate Li conoscevamo bene, in memoria di due artisti diversi. Sui manifesti affissi all’esterno era menzionato soltanto il titolo dell’evento, i nomi erano segnalati soltanto sulle locandine.
61I protagonisti della serata erano Zuskin e Oleša. Non sono sicura che gli organizzatori fossero a conoscenza del loro legame in quel triangolo segreto, Zuskin, Oleša e il Fool. Dopotutto si era trattato di un legame fortuito. A questo mondo però le coincidenze non esistono.
62A caccia di modelli da imitare, Zuskin rovistò nel proprio bagaglio personale e vi trovò sfumature ebraiche da utilizzare per il personaggio del Fool. Sergej Radlov, regista del Re Lear, era d’accordo che il Fool dovesse essere angloebraico. Zuskin era convinto che il Fool sembrasse davvero avere due nazionalità, ciò è vero però solo in parte, non era infatti consapevole del fatto che il suo Fool sarebbe stato un personaggio universale.
63Il rinomato attore e regista Leonid Leonidov ha descritto l’impressione che quell’opera fece su di lui tra le pagine del proprio diario: «Ieri ho visto Lear al Goset. Molto interessante… Zuskin porta il proprio Fool in prima linea […] Ho sentito l’urgenza di fare una regia di Shakespeare, magari Amleto […] chi potrebbe interpretare Amleto? Zuskin».9 Un esperto come Leonidov fu in grado di riconoscere nel Fool di Zuskin, dietro le sue stravaganze da clown, una nobiltà di spirito e una profondità di pensiero che sarebbero state adatte anche ad Amleto, forse il più profondo e sofisticato dei personaggi shakespeariani.
64Adesso cerchiamo di farci catturare dal re che lascia il trono e da quel Fool che lo sostiene con tutto il cuore, con timidezza e affetto, e lasciamoci incantare dalla performance straordinaria che troviamo descritta in dozzine di libri e in innumerevoli articoli.
65Immaginiamo che oggi sia il 10 febbraio del 1935, siamo alla prima del Re Lear del Teatro Ebraico di Mosca.
66Il sipario nero e rosso si apre, i cancelli del palazzo di Lear che si trovano al di sopra del palcoscenico vengono aperti e agli occhi degli spettatori appare il trono. Nella sala del trono il re è assente, il Fool fa un primo salto, con un secondo balzo va a sedersi a gambe incrociate sul trono. Il re fa il proprio ingresso. Prende il Fool per un orecchio e lentamente lo fa scendere dal trono. Con la stessa andatura lenta il Fool allunga una gamba, poi l’altra e seguendo la mano del re scivola giù delicatamente mettendosi a sedere ai piedi del trono, placidamente incrocia nuovamente le gambe.
67Il Fool risponde repentinamente a tutto ciò che accade. L’espressione del suo volto e il suo linguaggio corporeo riflettono i suoi sentimenti e pensieri, il suo atteggiamento rispetto agli eventi che lo circondano: dà una pacca sul braccio al re per esprimergli la propria simpatia; si gratta un orecchio e sorride ironicamente quando Regan e Goneril adulano falsamente il padre; si prende la testa tra le mani quando la più giovane, Cordelia, rifiuta di rispondere al padre che le chiede quanto lo ami; vola sollevandosi da terra allungandosi come una molla e in segno di addio tende una mano a Kent, il servitore di Lear. Poi, tornato al proprio posto, piange sommessamente.
68Dei buffoni bisogna parlare seriamente.
69Si trovano nei miti più antichi e nei racconti della tradizione popolare: «In tutte queste leggende [il buffone] non è uno stupido, anzi, è intelligente, ha l’innocenza di un bambino ed è visto come un personaggio sacro al quale è vietato fare del male».10
70Prima di Shakespeare c’erano i clown o i giullari – lui li chiama Fool – delle corti medievali. Secondo molti storici, questi buffoni erano saggi. Facevano parte della vita dei comuni cittadini e di quella di corte e avevano una influenza notevole sul re e le persone a lui vicine. Per il Fool, Zuskin adottò questi tratti caratterizzanti: «Mettere in scena Re Lear al Goset è un atto che riflette la storia e fa pensare alla devozione alla storia espressa dall’approccio di Zuskin al personaggio del Fool»,11 ha affermato un critico.
71Nelle opere di Shakespeare i buffoni hanno sempre un significato nascosto. È così anche nelle carte dei tarocchi, numerate secondo una gerarchia. Soltanto la carta con la figura del Fool non ha numero: è dappertutto e allo stesso tempo non è da nessuna parte, ma finché c’è il Fool, il gioco non è finito: «Il Fool dà la forza per continuare».12 In Re Lear la fine ha inizio quando il Fool scompare del tutto dalla scena. La fine del teatro ebraico in Unione Sovietica giunse quando scomparve il suo Fool ebreo, Zuskin. Nelle carte dei tarocchi il Fool è tradizionalmente mostrato mentre cammina verso l’abisso, cosa che mi ricorda una frase di mio padre: «In Re Lear sento di camminare sulla lama di un coltello».13
72Ma torniamo allo spettacolo. Il Fool sta piangendo, ma quando il Duca di Borgogna abbandona Cordelia dopo che è stata diseredata il suo volto si rasserena. Lascia l’angolino ai piedi del trono per avvicinarsi a Cordelia in avanscena e bacia l’orlo della sua veste.
73Il legame tra Cordelia e il Fool è una storia a sé. Perché Shakespeare non ha battute per il Fool quando parla Cordelia e viceversa? È cosa nota che in Gran Bretagna durante il regno di Elisabetta Prima alle donne era vietato apparire in scena e che i ruoli femminili erano interpretati da uomini: «L’attore che interpretava Cordelia interpretava anche il Fool»,14 sosteneva A.C. Bradley, studioso di Shakespeare.
74Giorgio Strehler ha scritto: «Nel legame tra il Fool e Cordelia c’è un mistero nascosto allo sguardo ma viene il sospetto che il Fool sia innamorato della figlia del re. In generale, il tema del Fool e di Cordelia è estremamente interessante. È poco compreso, scivola tra le dita».15 Strehler riteneva che il Fool amasse Cordelia nonostante in Shakespeare Cordelia e il Fool non appaiano mai contemporaneamente in scena, cosa che accadeva invece nello spettacolo del Goset.
75La questione di un legame tra il Fool e Cordelia è molto personale per me, perché Cordelia era interpretata da mia madre. A differenza del legame tra il Fool e Cordelia, l’amore tra i miei genitori non fu mai segreto, anzi fu sempre noto a tutti.
76Nel periodo in cui il Goset era a Parigi, dopo una prova mia madre stava andando a piedi all’hotel, quando sulla strada incontrò il poeta Louis Aragon con la moglie, la scrittrice Elsa Triolet. Si erano conosciuti in passato (Elsa era un’ebrea nata in Russia) e si fermarono a chiacchierare. Improvvisamente mio padre arrivò correndo e avvicinandosi tirò fuori dal cappotto un piccolo bouquet di fiori celesti e li porse a mia madre. «È il compleanno di Eda?» chiese Elsa, «No, niente di speciale, ho visto questi bei fiori»; «Quindi non sei soltanto un attore straordinario, – disse Aragon con grande emozione mentre Elsa Triolet traduceva – sei anche un pittore! Hai scelto dei fiori che si abbinano al colore degli occhi di tua moglie!».
77Zuskin studiò come altri attori avessero interpretato il Fool in Re Lear, incluso il più grande, Joseph Keinz. Con sua grande sorpresa, scoprì che la sua interpretazione del ruolo era completamente diversa. Sfortunatamente, Zuskin non sapeva ciò che aveva scritto Hegel: «I buffoni di Shakespeare sono sconvolgenti per la loro comprensione di ciò che accade e il loro humor geniale […] fanno i buffoni».16 Si potrebbe parlare dell’intuizione di Zuskin, in realtà l’intuizione e la ricerca di un modello da imitare furono soltanto i punti di partenza del suo lavoro sul ruolo: «Il Fool […] indescrivibile, incredibile! Soltanto un talento eccezionale è capace di una cosa del genere».17
78Zuskin-Fool e Michoels-Lear. Molto è stato scritto su questa coppia, ma uno studio di questo legame enigmatico non è ancora stato fatto.18
79Il contrasto tra loro raggiungeva l’apice nella scena della tempesta. Lear in piedi alzava le braccia al cielo e a voce alta chiedeva pietà. Il Fool restava in silenzio ma girava ritmicamente intorno al re, girava e rigirava. Le circonvoluzioni del Fool ricordavano una frusta che sferza l’aria sottolineando la posa risoluta di Lear. In questo modo mostravano al pubblico che la vera tempesta non è un fenomeno atmosferico ma ha luogo nel cuore dei due personaggi.
80L’attore armeno Vagram Papazian disse: «Non voglio e non sono in grado di mettere nessuno a confronto con Michoels-Lear e Zuskin-Fool. Non è che gli altri attori fossero peggio o meglio di loro, il fatto è come loro non c’è mai stato nessuno e mai ci sarà».19 Gordon Craig, il regista e studioso inglese di teatro e di Shakespeare in particolare, dopo avere visto lo spettacolo a Mosca, annotò: «Nel Fool Zuskin è eccellente, non è in alcun modo secondario a Lear, anzi è un personaggio indipendente sotto ogni punto di vista».20
81Ognuno, il re e il Fool, ha una propria personalità, come gli attori che li interpretavano, anche se sono stati sempre fianco a fianco, in scena, nella vita, nella morte e anche dopo la morte.
82Mettere in scena Re Lear al Goset fu una decisione giusta? Sì. Re Lear portò al teatro un successo vertiginoso e da istituzione con una identità molto specifica lo trasformò in un teatro universale. Anche con il passare degli anni, facendo riferimento al Goset si sarebbe accennato a questo spettacolo e ai suoi re e Fool.
83No. L’intuizione di Zuskin non era sbagliata. Il cenno con lo scettro del re e il tintinnio dei campanelli del cappello del Fool annunciavano l’inizio della fine. «Nella coppia costituita dal re e dal Fool era riflesso lo sviluppo tragico del destino individuale di entrambi i membri della coppia».21
84L’inizio della fine sarebbe arrivato tredici anni dopo e se ne sarebbe scritto in questi termini: «Prima hanno ucciso re Lear. Hanno ucciso re Lear nella città di Minsk e la direzione del teatro è caduta sulle spalle del suo Fool […] Il Fool ha atteso l’inevitabile arresto per un anno intero. Soltanto in seguito la sua famiglia sarebbe venuta a sapere della sua condanna a morte. C’erano una volta un re e un Fool […] c’erano una volta e non ci sono più».22
85Micholes e Zuskin furono trattati come il re il Fool in così tante occasioni che la definizione «il re e il Fool» li avrebbe avvinghiati; hanno avuto questo titolo un testo teatrale, un documentario, articoli e studi dedicati ai due attori e al loro destino, così come al destino del loro teatro e degli ebrei sovietici.
86Comunque sia, sembra che nessuno sia stato in grado di addentrarsi nel rapporto Lear-Fool, nel quale brilla il legame tra Michoels e Zuskin, meglio di come ha fatto Zuskin stesso nel suo articolo Il Fool del Re Lear, pubblicato in appendice a queste pagine, e nella canzone del suo Fool: «Nessuna gioia ci attende, / mio re, mio cieco, mio saggio».23
87Chi è il veggente, il Fool o mio padre?
Pinia
88Il 1935 fu un anno impegnativo.
89Lo spettacolo Re Lear era già in cartellone ma Zuskin continuava a lavorare sul personaggio del Fool mettendolo in prova di fronte al pubblico. Faceva lo stesso con i personaggi degli altri spettacoli in cartellone. Era inoltre spesso costretto a uscire di corsa dal teatro senza neanche passare da casa per andare alla stazione e prendere il treno notturno per Minsk, dove avevano luogo le riprese del film Cercatori di felicità [Iskateli ščast’ja]. Dopo le riprese, tornava a Mosca.
90Avevo sei anni quando mio padre mi disse: «Oggi andiamo al cinema». I bambini di oggi non si rendono conto che a quei tempi il televisore non c’era e la cinematografia per bambini, se esisteva già, era rudimentale. Non ero mai stata al cinema prima di allora.
91Mio padre ed io entrammo in sala. Di che cosa si trattava? Mio papà si sedette accanto a me, non indossava il costume e non era truccato. Il film stava per iniziare e lui sedeva lì al mio fianco come se non avesse niente a che vedere con il film: «Papà, sbrigati! Non farai in tempo!». Taceva, sulle sue labbra un sorriso soddisfatto.
92Suonò l’ultimo campanello. Le luci si spensero. Sullo schermo iniziarono a scorrere i titoli, si sentì una canzone molto bella e lenta, un scenario di distese immense fu sostituito dall’immagine di un fiume, in acqua c’era una nave. Sul ponte sedeva sui gradini un ebreo di mezza età, indossava uno sgualcito abito all’europea e aveva una bombetta calata sulla fronte. Era Pinia.
93Ero incantata. Non so dire che cosa mi sconvolse maggiormente, se l’interpretazione di mio padre o il fatto che fosse seduto accanto a me nei suoi abiti di ogni giorno; potevo toccarlo e allo stesso tempo vederlo lassù sullo schermo.
94Alcuni anni dopo mio padre mi raccontò che l’inizio di questo ruolo era stato una sua invenzione. Nella scena di apertura Pinia chiede a un uomo che si trova vicino a lui: «Quanto può costare una nave come questa?». Alla domanda del suo interlocutore «Vuoi comprarla?», Pinia rispondeva: «No, chiedo».
95La domanda era così in contrasto con l’aspetto del personaggio, che chiaramente non aveva un soldo in tasca, che il pubblico rideva a crepapelle.
96Mia madre mi raccontò che quando il teatro aveva fatto una tournée a Odessa, città nota per lo humor dei suoi abitanti, ogni mattina, un gruppetto di bambini svegliava mio padre gridandogli: «Compagno Zuskin! Vogliamo chiederti una cosa». Mio padre usciva sul balcone della sua stanza d’albergo e quando lo vedevano mezzo addormentato per il poco sonno dopo lo spettacolo della sera precedente i monelli gridavano: «Compagno Zuskin, quanto può costare una nave come questa?» e correvano via ridendo.
97Il film racconta la storia di una famiglia di ebrei che nel 1934 arriva in Unione Sovietica, in una regione al confine con la Cina. Nel 1928 quest’area si era popolata di ebrei provenienti da tutta la Russia e da altri paesi e nel 1934 il governo sovietico vi aveva fondato la Regione Ebraica Autonoma, la cui città principale era Birobidžan. Il film è ambientato proprio nel 1934.
98La famiglia al centro della trama è composta dalla vecchia Dvojra, da suo figlio Ljova e dalle due figlie Basja e Rosa e da Pinia, il marito di Basja, che diventano membri di un kolchoz.
99Fatta eccezione per Pinia, tutti iniziano a costruire quella nuova vita con entusiasmo. “Rovinato” dalla vita nel mondo capitalista, Pinia però rifiuta di lavorare e preferisce cercare l’oro che secondo alcune voci si trova in grandi quantità in quell’area.
100La ricerca dell’oro non gli dona la felicità. La sabbia lavata si rivela semplice metallo e viene arrestato mentre cerca di attraversare la frontiera con la Cina.
101La morale del film era «Trova la felicità chi, come Dvojra e i suoi figli, lavora per la madrepatria sovietica». La felicità promessa alle persone come Dvojra e i suoi figli, che hanno creduto che il Birobidžan potesse essere una Palestina all’interno dei territori dello stato socialista, è di una natura che mi è molto familiare. Nella vita reale quegli eroi “positivi”, persino Cornej, il fidanzato di Rosa, quando fosse giunta l’ora sarebbero stati arrestati come “nazionalisti ebrei”
102Il film continuava. La pioggia allaga la baracca, una specie di «castello di cartone», in cui la famiglia di Dvojra è temporaneamente alloggiata. In Unione Sovietica, va detto, le difficoltà erano infinite ma erano sempre definite temporanee. Pinia siede rannicchiato, coprendosi con un giornale, esclama amareggiato: «Che bell’alloggio! Confortevole come una villa!».
103Ogni volta che con mia madre in Unione Sovietica avevamo «difficoltà temporanee» o quando in Israele durante la Guerra del Golfo la casa di mia sorella è stata colpita da un razzo iracheno, esclamavamo: «Che bell’alloggio! Confortevole come una villa!».
104Ogni mattina Pinia prende di nascosto una grossa scodella e una pala e fingendo di andare a fare il proprio dovere consistente nel controllare l’orto, si dirige verso il bosco e scende sugli argini del fiume a setacciare la sabbia alla ricerca dell’oro. Un giorno, andando a caccia nel bosco, Ljova incontra Pinia esattamente nel momento in cui fissa eccitato una bottiglia piena di sabbia luccicante. Quando gli chiede che cosa avrebbe fatto dell’oro, Pinia rimugina un po’, non è ancora sicuro ma gli viene un’idea: acquisterà una fabbrica di shleykes, bretelle, e diventerà «il re delle bretelle».
105Zuskin-Pinia accompagna queste parole con il capo e un braccio in alto in segno di vittoria, con l’altra mano tiene la bottiglia con “l’oro”. In quel momento gli cascano i pantaloni, non ha i soldi neanche per comprarsi un paio di bretelle.
106Nonostante da Pinia Kopman ci separino tanti anni, chi vede il film Cercatori di felicità ricorda con un sorriso quel «re delle bretelle» che con la sua domanda indimenticabile «Quanto costa una nave come questa?» è entrato nella storia del cinema.
107Questo film di propaganda merita di essere ricordato non tanto per i suoi eroi sovietici, interpretati da attori straordinari, quanto per il personaggio disapprovato da tali personaggi. «Il ruolo di Pinia era facile da interpretare utilizzando le tecniche tradizionali, ma ho visto Zuskin in scena all’apice del suo incredibile talento nel ruolo del Fool e sono convinto che nessun’altro avrebbe potuto interpretare Pinia come ha fatto lui»,24 avrebbe scritto il regista Leonid Trauberg. Potrà sembrare paradossale ma il confronto con il Fool è appropriato. Il denominatore comune tra il Fool e Pinia è che entrambi dovrebbero far ridere, hanno però entrambi una dimensione ulteriore e suscitano una riflessione sulla crudeltà del mondo. Il film fu proiettato innumerevoli volte danneggiando la qualità della pellicola, che è stata restaurata nel 1987. Pensavo che a uno spettatore moderno, soprattutto giovane, sarebbe sembrata superata e noiosa; sono stata molto felice e sorpresa di sapere che un giovane attore israeliano, dopo avere visto il film alla fine degli anni Novanta, e un altro che lo ha visto nel 2013, erano entusiasti proprio per la modernità della recitazione di mio padre.
108A Mosca il film fu proiettato alcune volte presso la casa del cinema, luogo designato alla proiezione di vecchi film. Abitavo lì vicino e lo vidi ripetutamente, lo ricordo bene e conosco quasi tutte le battute a memoria, non solo quelle di mio padre.
109Quando immagino il momento in cui mio padre ascoltava la sentenza della propria condanna a morte vedo Pinia in primo piano con l’ufficiale della polizia segreta: ha le spalle curve e la disperazione nello sguardo. Sento il tono inimitabile con il quale pronuncia l’ultima battuta del film – forse l’ultima battuta della sua vita? – «Non ci capisco niente».
Padre
110Nel 1934, a quindici anni dalla fondazione del Goset, e nel 1935, vi furono festeggiamenti ufficiali per la ricorrenza.
111Per tutti quegli anni Michoels e Zuskin avevano vissuto nel dormitorio angusto su via Stankevič. Il successo del Re Lear e le celebrazioni in onore del Goset ebbero il loro esito. All’inizio del 1936 la città di Mosca assegnò a entrambi un appartamento al numero 12 del Tverskoj bul’var, non lontano dal teatro. L’appartamento di Michoels consisteva in una grande stanza all’interno di un appartamento condiviso con diversi altri inquilini, al piano terra, al livello dell’ingresso dell’edificio, per sé e la moglie Asja; gli era stato assegnato anche un appartamento di due camere al terzo piano, cui si accedeva da un secondo ingresso, per le due figlie e per la sorella della loro madre, venuta a mancare tempo prima. Esattamente sopra di loro, al quarto piano, si trovava l’appartamento di Zuskin, una camera da letto.
112Il 17 febbraio di quell’anno, nel tardo pomeriggio, Eda fu portata alla clinica ostetrica. Quella sera, la suocera e la cognata di Eda ricevettero la telefonata tanto attesa: «Abbiamo una figlia!». La figlia sono io, l’autrice di questo libro. Sono nata un quarto d’ora prima di mezzanotte e il mio giorno di nascita è considerato il 17 febbraio. In ogni caso, poiché a causa di alcuni problemi respiratori feci il mio primo respiro soltanto dopo la mezzanotte, mio padre decise che avremmo celebrato il mio compleanno il 18 febbraio, perché il 18 corrisponde alle lettere ebraiche ha’i, che significano vita.
113Eda era ancora in clinica, ma gli operai della fabbrica di mobili, ammiratori del talento degli inquilini, sistemarono il mobilio mettendo ogni cosa al proprio posto. Ciò perché in precedenza, senza che Eda lo sapesse, avevano preso le misure e realizzato ogni pezzo in base al posto cui era destinato.
114Eda era andata alla clinica ostetrica dalla residenza precedente, ora rientrava con un neonato in una casa nuova. Raggiante di gioia e con un luccichio malizioso negli occhi, Zusa spalancò la porta. Eda entrò, la sua bocca si spalancò per la sorpresa ma non riuscì a proferire parola. L’appartamento iniziò immediatamente a riempirsi di attori e amici che portavano fiori di mimose. In quel periodo dell’anno le mimose arrivavano a Mosca dal Caucaso ed erano vendute agli angoli delle strade.
115Zusa pensava sempre a Tamara.
116Teneva con lei una corrispondenza regolare e non trovava pace; a causa delle circostanze politiche non poteva incontrarla.
117Iniziò a indagare per trovare il modo di invitare Tamara a Mosca. Alla fine, anche se non c’era libero transito tra la Lituania e l’Unione Sovietica, con l’aiuto di alcuni membri del governo sovietico, un ebreo e devoto ammiratore di Zuskin riuscì a ottenere un permesso per la figlia. Alla fine dell’autunno del 1936 Tamara arrivò a Mosca, aveva quindici anni.
118Zuskin andò ad accoglierla alla stazione. A casa, Tamara fece la conoscenza di Eda e della sorella più piccola.
119Le nuove condizioni colpirono Tamara. In Lituania aveva una camera per sé e poteva presumere che se era così in un appartamento modesto come quello di sua madre, nel caso del padre, attore molto famoso, le condizioni sarebbero certamente state decisamente migliori. L’appartamento del padre risultava confortevole soltanto dal punto di vista sovietico. Quell’unica camera da letto era utilizzata dai genitori e dalla neonata, il soggiorno fungeva anche sala da pranzo, studio e luogo in cui papà riposava tra una prova e l’altra. Ora avrebbe ospitato anche il letto di Tamara.
120Fin dal primo giorno Tamara si dimostrò una ragazza attenta, intelligente e straordinariamente educata. Giocava con la sorellina, ricamava i suoi vestitini, aiutava con le faccende domestiche ed eccelleva a scuola.
121Le preoccupazioni di Eda circa le possibili difficoltà di Zusa di dividere l’affetto paterno tra le due figlie si rivelarono prive di fondamento. Zuskin coccolava la piccola, la più grande invece era come un’amica per lui. Tamara era adolescente ma era cresciuta all’Ovest e vedeva la propaganda sovietica come un inganno deliberato. Improvvisamente Zuskin ebbe il desiderio di aprirle il proprio cuore, o per meglio dire, di aprirlo a se stesso in presenza della figlia. Espose i propri dubbi: con un limpido senso di appartenenza a tutto ciò che era ebraico, era tormentato dal fatto che il teatro abbandonasse la propria espressione di tale appartenenza; non permise a se stesso di essere critico nei confronti del regime sovietico neanche con il pensiero. Il regime gli aveva dato il suo teatro, ma «il cuore e lo spirito non si incontrano.»25
122Nella vita e nella casa di Zuskin stava entrando una nuova generazione.
Insegnante (inizi)
123Come ho già scritto, nel 1920 il teatro-studio di Granovskij si era trasferito da Pietrogrado a Mosca, dove aveva ricevuto la denominazione di Teatro Ebraico di Stato da Camera (Gosekt) e nel 1925 era diventato Teatro Ebraico di Stato (Goset). Nonostante i nomi del teatro non menzionassero il termine “studio”, lo studio o Scuola Ebraica di Recitazione continuò ad operare parallelamente alle attività del teatro. La situazione restò immutata fino alla tournée del Goset in Europa nel 1928, durante la quale lo studio cessò la propria attività.
124Mentre il teatro si trovava al di fuori dei confini dell’Unione, il regime sovietico non rimase inoperoso. Gli istituti per l’istruzione furono riorganizzati secondo un criterio di uniformità. Nell’autunno del 1929, meno di un anno dopo il ritorno dalla tournée europea, la Scuola Ebraica di Recitazione riaprì, con la funzione di preparare una nuova leva di attori per il Goset moscovita e per tutti i teatri ebraici dell’Unione.
125È incredibile quanti candidati si presentassero, si trattava soprattutto di giovani cresciuti in ambiente ebraico. Le audizioni si tenevano prevalentemente nei periodi in cui il teatro si trovava in zone ad alta densità di popolazione ebraica. Si presentavano giovani che sognavano di diventare attori ebrei, ma spesso non avevano idea alcuna dell’arte teatrale né alcuna cultura generale.
126Il direttore artistico della scuola Solomon Michoels e Moishe Belenkij, il direttore generale, erano convinti che chiunque volesse diventare attore dovesse essere adeguatamente istruito. Organizzarono un corso di studi basato su questo presupposto. Oltre a materie come recitazione, dizione, musica, canto e movimento, i fondamenti dell’arte teatrale, la scuola insegnava anche storia dell’arte, teatro e letteratura ebraici e russi e le due lingue. Non vi era alcuna via di scampo da corsi di insegnamento ideologici voluti dal regime, dove si insegnava il materialismo, dialettico e storico. Quale fosse esattamente la differenza tra i due, nessuno lo sapeva davvero. Oltre agli insegnanti regolari e ai docenti dello staff, vi erano alcuni ospiti scelti tra i migliori intellettuali di Mosca. Molti corsi erano tenuti dai due direttori, Michoels e Belenkij.
127Zuskin seguì lo sviluppo della scuola con grande interesse. L’alto livello dell’istruzione fornita lo entusiasmava ed era particolarmente soddisfatto del modo in cui era insegnato lo yiddish. Gli studenti arrivavano da diverse regioni, ognuno parlava una varietà della lingua, spesso lontana dallo yiddish letterario richiesto al Goset. Zuskin parlava lo yiddish lituano, considerato lo standard della correttezza linguistica. In seguito avrebbe scritto con orgoglio: «Al nostro teatro si lavora duramente sul vocabolario, sulla pronuncia e sull’aspetto musicale della lingua».26
128Michoels e Belenkij cercarono di convincere Zuskin a farsi coinvolgere nell’insegnamento. Nonostante la propria convinzione in merito alla necessità di creare una riserva di attori di nuova generazione, lui esitava. La sua esperienza giovanile come insegnate privato e la sua insicurezza in merito alle proprie competenze teoriche in capo artistico non gli permettevano di cimentarsi con l’insegnamento, che sentiva come una grande responsabilità. Iniziò tuttavia ad abituarsi all’idea che un giorno avrebbe potuto farlo.
129Dopo il conseguimento del diploma da parte degli studenti del primo ciclo, durato tre anni, dal 1929 al 1932, ebbe inizio il secondo e il percorso fu esteso a quattro anni di studio, dal 1932 al 1936. Zuskin iniziò a insegnare. Non faceva parte del corpo insegnante regolare: faceva pratica con uno o due studenti, a volte con un gruppo leggermente più numeroso. L’impegno che metteva in queste sessioni di pratica era lo stesso che riteneva necessario per interpretare i propri ruoli. Come il pubblico amava i suoi movimenti agili senza essere consapevole di quanto fosse faticoso ottenere quell’agilità, gli studenti godevano del sorriso di Zuskin e dei suoi scherzi senza rendersi conto di essere spremuti al massimo dall’insegnate.
130Ogni tanto a Zuskin era richiesto di tenere discorsi agli studenti; parlava dei doveri dell’attore, sottolineava che il teatro è una sorta di “missione sacra”.
131Nel 1936 Zuskin diventò un insegnante regolare e responsabile di una classe per l’intero periodo di studi; avrebbe insegnato arte della recitazione e supervisionato tutti i passaggi negli studi di quella classe. Tra lui e gli studenti si creò una intimità autentica. Per gli allievi una scintilla di soddisfazione negli occhi dell’insegnante contava più dei voti ufficiali. Zuskin era rigoroso e inflessibile, le sue richieste erano tante, sapeva però creare un’atmosfera rilassata, informale e amichevole, dalla sua aula si sentivano spesso provenire risate.
132L’ultimo anno, ovvero il 1939-1940, andrebbe collocato cronologicamente nel Quarto atto, ma volendo descrivere il percorso accademico del gruppo mi concedo una digressione.
133L’ultimo anno sarebbe stato dedicato alla preparazione del saggio finale e Zuskin doveva scegliere un’opera da allestire. Era meglio scegliere non un testo molto lungo ma alcuni più corti e differenti tra loro. Ci pensò molto: in quel modo ogni studente poteva esprimersi in scena in vari stili pur facendo parte di un unico progetto. Cercò i testi adatti tra i classici della letteratura yiddish, l’obiettivo era insegnare il gusto necessario e con quelle battute assicurare lunga vita alla lingua letteraria.
134Decise per quattro opere di Y.L. Peretz: il racconto Morte di un musicista [A klezmer toyt], due atti unici, Champagne [Shampanyer] e Fuoco! [S’brent!], e un dramma simbolista romantico in versi liberi intitolato Incatenato nel vestibolo della sinagoga [In poylish af der keit].
135Prima che iniziasse l’anno accademico, Yekhezkel Dobrušin adattò la storia e tagliò le opere e il dramma. Alla prima lezione Zuskin annunciò ai propri studenti che il saggio finale si sarebbe intitolato Una serata con Peretz [A Peretz ovnt].
136Zuskin costruì il lavoro con gli studenti come costruiva i propri ruoli in teatro. Era così interessante! Fu sorpreso di scoprire di avere una sorta di metodo sistematico. Gli studenti fecero la propria parte con entusiasmo. Era anche desideroso di introdurli nell’incredibile mondo di Peretz e alla dimensione incantata della scena.
137Il saggio finale fu il 3 aprile 1940, esattamente vent’anni dopo la scomparsa dell’autore. Una serata con Peretz ebbe grande successo e per un certo periodo lo spettacolo fu inserito all’interno del repertorio del Goset. In seguito la maggior parte dei diplomati lasciarono Mosca perché furono invitati a lavorare nei teatri ebraici di altre città, incluso il Birobidžan.
Chaim Boytre
138Il poeta e scrittore Moishe Kulbak offrì al teatro un suo testo, Il bandito Boytre [Boytre der gazlen].
139Il copione aveva tutto ciò che si potesse desiderare: un drammaturgo sovietico, un’atmosfera ebraica, un amore sincero, una battaglia giusta, l’ambientazione storica. La trama si svolgeva nel 1829, durante il regno dello zar Nicola I e ritraeva fedelmente il periodo. L’opera si adattava anche alla tendenza a ritrarre eroi leggendari come Robin Hood, il russo Stepan Razin o il tedesco Karl Moor, eroe dei Masnadieri di Schiller. Una canzone del Bandito Boytre, le cui parole furono tratte da I masnadieri, alludeva proprio al rapporto tra le due opere.
140La trama aveva inizio nel momento in cui Boytre (Zuskin), fuggito dall’esercito, torna nella propria città natale e trova rifugio nella foresta, in un capanno utilizzato da una piccola fabbrica di catrame. Era stato chiamato come recluta. Questo arruolamento forzato era stato voluto da Aaron Wolf, il ricco del paese che intendeva proteggere la propria figlia Sterke dal corteggiamento dell’orfano Boytre.
141Boytre si traveste da klezmer, musicista, ed entra nella sala in cui si sta celebrando il matrimonio dell’amata. Dopo avere osservato la scena in silenzio fugge con Sterke, i due si nascondono nella foresta.
142Questa azione da parte di Boytre e i suoi passi successivi, come la punizione di Aaron Wolf e il tentativo di rapinare i forzieri dello Stato per aiutare i bisognosi e i malati, dimostrano che Boytre è capace di atti coraggiosi. Tuttavia, durante la notte, nella foresta, quando gli amici di Boytre e Sterke si addormentano, diventa una persona diversa, sognante e, malinconico, si mette a cantare. Al pubblico era chiaro che Zuskin stesse cercando di «presentare Boytre come un piccolo uomo, una persona comune che a causa delle circostanze è costretta a compiere azioni straordinarie».27 Non aveva la natura del bandito.
143In generale l’opera ricevette recensioni positive e Zuskin numerosi complimenti per la propria interpretazione. Al di là di ciò, era consapevole che la propria recitazione aveva alti e bassi. Negli ultimi tempi sentiva la fatica: prove e spettacoli, riprese, l’insegnamento, preoccupazioni legate alle discussioni con Michoels, pensieri angoscianti relativi al destino del teatro, esitazioni riguardo il proprio percorso professionale e incertezze relative alla vita che lo circondava. Non tutti erano in grado di far fronte a tutto ciò, neanche chi era meno emotivo di lui. «Disse che non poteva più recitare e che avrebbe lasciato il teatro»,28 ricordava Sergeij Yutkevič, regista di cinema, riferendosi a un incontro risalente a questo periodo, quando Zuskin gli era sembrato un uomo sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
144Riguardo il proprio desiderio di abbandonare il teatro, in quel momento Zuskin aveva parlato a caldo. Avrebbe superato la propria crisi molto rapidamente. Il 14 ottobre 1936 il Goset inaugurò la nuova stagione con Il bandito Boytre. Tra il pubblico c’era anche Lazar Kaganovič, figura di spicco del Comitato Centrale del Partito Comunista nonché membro del governo, che espresse la propria insoddisfazione per il dramma: «Dove si sono mai visti ebrei caricaturali come questi, con i riccioli sul volto?», aveva gridato furioso. «Le sue parole erano risultate particolarmente potenti per l’intensità che la forza dei suoi muscoli e la sua statura emanavano».29 Nella reazione di Kaganovič allo spettacolo vi era anche un riferimento alla presenza di eroi genuini in scena, eroi del passato, come i Maccabei o Bar Kochba. Le sue parole avrebbero influenzato il repertorio del Goset per molto tempo a venire.
145Il bandito Boytre non ebbe lunga vita in scena.
146A due mesi dalla prima, nell’agosto del 1936, i media diedero notizia della messa in stato di accusa per il caso noto come “Processo al centro terrorista”, che segnò l’inizio di una grande ondata di purghe. Nonostante in Unione Sovietica non ci sia mai stato un periodo privo di una qualche forma di purga, quella nuova ondata era come una marea. Qualcosa che non era ancora stato concepito dalla mente delle persone aleggiava sul paese, sul teatro e ovviamente sui suoi attori e stava minacciosamente in agguato. Le persecuzioni non avrebbero riguardato in particolare gli ebrei, piuttosto l’élite della società sovietica, nella quale la percentuale di ebrei era alta poiché essi avevano ricoperto ruoli chiave nella rivoluzione e all’intero delle istituzioni fondate in seguito.
147Di tutti i casi giudiziari che ebbero luogo in Unione Sovietica in questi periodo soltanto una parte esigua riguardava espressamente gli ebrei in quanto ebrei. Nel complesso di uno di questi casi, definito “Centro Terroristico di Minsk”, nel 1937 Moyshe Kulbak, autore de Il bandito Boytre, fu arrestato. Sarebbe scomparso alcuni anni dopo. L’opera fu rimossa dal repertorio del Goset.
Regista (inizi)
148Per la prima volta nella propria vita, Zuskin stava per lavorare come regista. Doveva dirigere una produzione basata sul testo Hershele Ostropoler di Michail Geršenson. L’opera era basata sulla trama di uno dei racconti popolari ebraici noti a Zuskin dai tempi dell’infanzia. Hershele è un clown allegro e scaltro, imbroglione e burlone, il quale con trucchetti astuti riesce a spillare soldi ai ricchi e a dividerli generosamente tra i poveri. Un saggio chassidim lo elogia poiché «è un principio fondamentale, ovvero un mitzvah, essere sempre felici».30 Lo stesso approccio di Hershele appare in un testo di Isaac Babel’, uno dei più grandi autori sovietici che nonostante scrivesse in russo si riferiva prevalentemente a tematiche ebraiche e alle proprie origini: «“Che cosa fa un ebreo per vivere?”, chiedeva il rabbino sollevando le palpebre. “Sto scrivendo i racconti di Hershele Ostropoler in versi”, “Qualcosa di grandioso”, bisbigliava il rebbe e chiudeva gli occhi. “Che cosa cerca un ebreo?”, “Gioia, rebbe Mordechai” diceva l’uomo giusto… “Fate sedere questo giovane alla nostra tavola… e lasciatelo essere felice di essere vivo e non morto”».31 Così ha scritto Babel’ nel racconto Rebbe, nel quale un soldato ebreo dell’Armata Rossa capita nella casa di un vecchio rebbe.
149Zuskin cercò di instillare un po’ di gioia nell’opera.
150La maggior parte dei critici erano convinti che quel regista principiante potesse e dovesse diventare regista. Commentarono favorevolmente le sue regie, il gusto, lo humor, il ritmo, la fedeltà allo spirito eterno del popolo come quella tipica combinazione del Goset tra humor e grottesco. Allo stesso tempo descrissero così ogni scena a sé stante, lamentando che la produzione mancava di integrazione tra le parti a causa del testo, costruito per inesperienza del regista per mezzo di una collazione di testi diversi.
151Zuskin era consapevole delle proprie mancanze. Dopotutto, avrebbe preferito lavorare con i singoli attori piuttosto che sull’intera produzione. È difficile giudicare se fosse davvero così. Sarebbero infatti passati soltanto due anni tra il 1946, quando si espresse in questo modo, e il 1948, anno che avrebbe segnato la fine della sua vita in libertà. Il lettore potrà venire a conoscenza degli altri tentativi di Veniamin Zuskin come regista nelle prossime pagine.
Nella morsa della paura
152Il 1936 e il 1937 si susseguirono in rapida successione. Gli arresti aumentavano, in particolare tra gli attivisti del partito che non erano ben visti dal regime e che avevano suscitato invidia. Tra i detenuti c’erano squali i cui nomi in passato avevano provocato venerazione e paura, c’erano però anche pesci piccoli. La Evsekzija, la sezione ebraica del Partito Comunista, era stata smantellata all’inizio degli anni Trenta. Nel 1937 Moishe Litvakov fu arrestato e dopo di lui fu il turno di Ida Laševič, direttore amministrativo del Goset e membro del partito da molti anni. In seguito la stessa sorte sarebbe toccata a due studenti della Scuola ebraica di recitazione che si erano fatti scappare qualcosa che non poteva essere affermato in pubblico.
153Dopo che le autorità più alte ebbero pronunciato sentenze severe nei confronti di attivisti del partito e di altri, le cui esecuzioni furono immediate, rivolsero la propria attenzione agli intellettuali.
154In realtà questa affermazione è imprecisa. Delle persone istruite nel campo dell’ingegneria, ossia degli specialisti (si pensi a Lo specialista), si erano già occupati in precedenza. Dal palco della Conferenza degli scrittori tenutasi nel 1934, gli autori erano stati istruiti su ciò che potevano scrivere e come. Se non lo avessero fatto… Molti di coloro che avevano agito diversamente erano ormai scomparsi. La musica fu punita nel gennaio 1936, le arti visive in marzo. Ora, nel 1937-1938, iniziava l’accerchiamento degli ultimi rimasti.
155Giunse l’ora dei teatri. C’erano molti teatri, ognuno si atteggiava diversamente: chi provava a fare una certa cosa, chi ne inventava un’altra. Ma che cosa si poteva ancora inventare? Tutto andava fatto come nella vita. D’altra parte, se i teatri sovietici avessero insistito a mettere in scena esattamente tutto ciò che accadeva nella vita, avrebbero messo in scena l’orrore.
156L’anticonvenzionale e straordinario teatro diretto da Vsevolod Mejerchol’d fu definitivamente chiuso nel 1938. Mejerchold’ fu arrestato un anno dopo e due anni dopo la sua condanna a morte fu eseguita.
157Il Goset era sotto assedio. Non gli fu perdonato né Kulbak «il terrorista», né Il bandito Boytre. Più grave di tutti era stato il primo peccato commesso, la defezione di Granovskij, che aveva abbandonato la madrepatria. Il fallimento nel tentativo di comprendere che cosa stesse accadendo e l’ansia ormai installatasi nel petto di ognuno non si attenuava neanche tra le mura domestiche.
158Zuskin non era diverso dagli altri. Più di altri era logorato dal timore per il destino del teatro: nel caso peggiore, non sarebbe rimasto nulla di cui preoccuparsi. Più precisamente, non sarebbe rimasto nessuno che se ne occupasse. E nel migliore dei casi? Quali potevano essere i progetti se il teatro fosse mai riuscito a spuntarla? Dopotutto quel teatro era per definizione diverso dagli altri. Ora aveva ricevuto l’ordine di mettersi in riga e di essere come gli altri. Non aveva alcun senso mettere in scena drammi sovietici o stranieri, i cui ruoli potevano essere interpretati dagli attori di qualsiasi altro teatro che parlassero qualsiasi altra lingua. Agli altri attori sarebbe mancato quel qualcosa che si era tramandato di generazione in generazione. Senza quel qualcosa i personaggi familiari e universalmente ammirati di Shakespeare o ignoti come Naftole Hoz di La corte è riunita non sarebbero stai ritratti magistralmente e nel modo unico del Goset. Eppure, come capita nei mosaici, sostituendo alcuni pezzi, la figura si fa meno bella ma rimane.
159E se si stesse sbagliando? Se semplicemente non avesse capito che aria tirava? Forse Eda aveva ragione? Sapeva che lei non era meno terrorizzata e disperata di lui, ma aveva un forte istinto di sopravvivenza e cercava di convincere Zusa e se stessa del fatto che sembrava esserci bisogno di ciò che stava accadendo e che lui non avrebbe dovuto vedere tutto in modo così pessimistico.
160Ricordava i tempi di Granovskij. All’inizio non aveva del tutto compreso il suo stile, poi ne era stato entusiasta. Che il teatro di Granovskij non fosse, al di là della lingua, ebraico, era sbagliato e adesso risultava corretto. Era vero, con Granovskij vigeva una disciplina ferrea, proprio in questo modo il teatro aveva potuto raggiungere la perfezione, non con le successive punizioni per i ritardi con le prove. Granovskij? Anche solo pensarci era proibito.
161E Michoels? A quel punto Michoels aveva troppi impegni di carattere politico, esterni al lavoro in teatro. Era troppo noto ormai. Forse stava prendendo le distanze da «quella moda che resta insuperata anche dopo un secolo».32 Da parte sua, per la propria adesione a quella moda vecchia di duemila anni, Michoels si era messo di traverso laddove tutti si allineavano. Non confessava alcun colpa e non era disposto a rinunciare in alcun modo alla propria visione del mondo. Eppure stava lanciando “loro” un osso. Doveva condannare la religione? Bene: «Il realismo socialista non può rassegnarsi alla religione»,33 aveva affermato in un suo discorsi, precisando in seguito: «L’uomo non ha aspirazioni superiori rispetto alla conoscenza e non trova altra gioia grande quanto quella della conoscenza. È scritto nel libro più antico del mondo, la Bibbia».34 Dimostrare lealtà al partito era un dovere? Ecco come farlo: «La nostra arte deve contribuire alla felicità umana. Ecco ciò che impariamo dal partito».35 Se non fosse che si trattava di una adesione di facciata era tutto vero, chi avrebbe potuto opporsi alla felicità umana? Michoels fu premiato: le minacce nei confronti del teatro cessarono.
162Fu d’aiuto anche il fatto che il Goset avesse la funzione di asso nella manica con cui respingere le calunnie che arrivavano da Ovest: «Guardate, a Ovest, nella Germania nazista, tutte le istituzioni culturali ebraiche sono state spazzate via, qui in Unione Sovietica invece si sostiene il teatro, centro della cultura ebraica».
163Bisognava occuparsi del repertorio. Michoels decise di restare fedele alla politica che aveva scelto: continuare ad adeguarsi in apparenza mentre in realtà si atteneva a ciò che era “superato” e in questi salti mortali stava attento a non perdere il senso della misura. Tra le sue affermazioni scelse di aderire a un tipo di creazione artistica ebraica, soltanto i contenuti sarebbero stati socialisti.
164Sarebbe stato possibile aggiungere a quel “tipo di creazione” allusioni a un passato glorioso o ai valori nazionali? «In seguito all’eliminazione dei censori di origini ebraiche, competenti in merito alla storia e alle tradizioni ebraiche, non sarebbe rimasto nessuno nella schiera dei censori politici in grado di decifrare i codici del teatro nazionale».36 I nuovi censori avrebbero visto soltanto ciò che stava sulla superficie.
165Se Zuskin fu temporaneamente rassicurato, lo fu solo parzialmente, poiché a causa del processo di assimilazione forzata, la maggioranza degli ebrei che componeva il pubblico del teatro non avrebbe compreso quel codice allo stesso modo dei nuovi censori.
166E che dire di Michoels come personaggio pubblico? Gradualmente e senza riserve era diventato, agli occhi del pubblico, una figura di spicco rispettata come una vera e propria autorità. È possibile che in modo graduale e senza risparmiarsi, Michoels fosse diventato Vovsi? «Correndo avanti e indietro, come se fosse costretto a farlo da una qualche sentenza, spostarsi era diventato per papà un simbolo della propria esistenza scissa».37 Con queste parole, Tala, la figlia di Michoels, avrebbe commentato la vita del padre “tra” i due appartamenti, quello delle figlie e il proprio.
167Zuskin cercava con fatica di fare in modo che le persone intorno a lui non notassero che era sempre più cronicamente amareggiato. Allo stesso tempo, il suo amore per la vita e la sua inclinazione allo scherzo, in casa come in teatro, avevano spesso la meglio sulla malinconia.
Rabbi Akiva
168Michoels non poteva dimenticare la richiesta di Kaganovič di mettere in scena eroi forti e positivi del passato. Commissionò al poeta Shmuel Halkin, autore della magnifica traduzione del Re Lear in yiddish, un adattamento di due opere di Goldfaden: Shulamis e Bar Kochba.
169Dall’aprile 1937 il Goset mise in scena Shulamis, un testo basato su un racconto omiletico del Talmud che riflette il tentativo del teatro di raccontare la Giudea antica.
170Shulamis ebbe lunga vita in scena. Tra gli altri c’erano personaggi di animali, lo vidi infatti diverse volte nel corso della mia infanzia, alle matinées, entusiasta della bellezza, della recitazione e della danza di mia madre nel ruolo di Abigail. «Eda Berkovskaja crea una immagine potente […] La sua danza sa esprimere sfumature psicologiche».38 Era la disonestà di Abigail a intristirmi; l’eroina ritratta da mia madre avrebbe dovuto essere irreprensibile.
171Il soggetto del dramma Bar Kochba era la storia della rivolta dei giudei contro Roma nel 132-135 d. C.. La rivolta guidata da Bar Kochba è un fatto storico e la ribellione contro gli oppressori era compatibile con l’ideologia sovietica. Furono introdotte alcune modifiche rispetto alla realtà storica, finalizzate a mettere in risalto l’adesione del teatro all’ideologia: la lotta degli ebrei per la libertà era presentata non come la battaglia di un popolo ma come la guerra di indipendenza di tutte le genti residenti in Giudea. Nella messinscena tale aspetto era meno evidente rispetto al testo: le scene in cui erano protagonisti i combattenti ebrei e di altre nazionalità erano accompagnate da melodie e danze chassidiche. Il concetto era chiaro, nel chiamare in causa la familiarità del pubblico con il passato le melodie chassidiche avrebbero suggerito che il legame tra ebrei è inscindibile.
172La prima di Bar Kochba si tenne nel marzo del 1938. Zuskin interpretava Rabbi Akiva.
173Per preparare il ruolo dovette rinfrescare la propria memoria e lesse molto. Immaginava ogni dettaglio del personaggio di Akiva, nato pastore e diventato un rabbino stimato, filosofo e mentore dei ribelli.
174Come Re Lear, il testo era in versi e ricco di significati reconditi. Per esempio, rivolgendosi a Rabbi Eliezer, che credeva alle promesse dei romani, Rabbi Akiva affermava: «Eliezer, tu sei un cieco o uno storpio: chi avrà bisogno della Torah se nessuno sopravvivrà? »39
175Queste parole riflettevano anche i pensieri di Zuskin: chi avrebbe avuto bisogno del teatro ebraico se lo spirito ebraico non era più radicato nell’anima del pubblico?
176Intanto gli appassionati di teatro potevano godersi lo spettacolo e il personaggio di Rabbi Akiva. «Il protagonista di Zuskin», scrisse un critico, «ha la dignità degli eroi biblici, i suoi movimenti sono misurati e imponenti come i loro».40
177Eda aveva un ruolo anche in Bar Kochba, era Zagyr, la donna greca che attende l’amato Bar Kochba, ruolo nel quale combinava il proprio talento come danzatrice con il temperamento drammatico. Fu molto apprezzata.
178Grazie al successo e alle soddisfazioni nel lavoro, le paure di Zuskin e di Eda passarono per un po’ in secondo piano.
Motke
179Il 7 novembre 1937 al Goset ci fu la prima dello spettacolo La famiglia Ovadis [Die Ovadis mishpokhe], tratto da un dramma di Perets Markiš scritto in occasione delle celebrazioni per il ventesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre.
180In quest’opera, Markiš era riuscito a enfatizzare un aspetto fondamentale della tradizione ebraica, la dimensione famigliare. Non sarebbe più potuto accadere che al Goset un testo sovietico dai contenuti socialisti presentasse un tema tradizionale come la famiglia. In casi come questo era impossibile sostituire gli attori ebrei con altri, vi è una netta differenza tra la vita in famiglia, la costruzione di dighe o il faticoso lavoro in fabbrica.
181Il padre della famiglia Ovadis, il vecchio Zevyl (Michoels), vive nel passato. In realtà presta attenzione alle opinioni dei figli, ognuno a proprio modo travolto dal flusso della vita contemporanea. La trama si svolge nel Birobidžan. Zuskin aveva familiarità con quel “paradiso” ebraico sovietico già dai tempi delle riprese di Cercatori di felicità: se però nel film Zuskin-Pinia cercava di fuggire da quel paradiso, in questo caso il suo personaggio, Motke, un segretario del consiglio regionale del Partito, cercava di dargli forma.
182Credo che il ruolo di Motke avesse affascinato mio padre, che desiderava avere la parte di un uomo retto, attraente, pulito, diverso rispetto ai suoi ruoli precedenti. Potrei ipotizzare che dietro tutto ciò vi fosse la necessità di interpretare qualcuno che ha il controllo sugli eventi. Nel corso del lavoro solitamente mio padre arrivava a decifrare l’essenza di ogni personaggio, forse in questo caso sperava di svelare l’essenza di un vero comunista e ciò che esso rappresentava. Sarebbe così arrivato alla radice della questione.
Shapiro
183Due anni e mezzo dopo, Zuskin era contemporaneamente impegnato con delle prove in teatro e le riprese di un film. Presso gli studi della Detfilm a Mosca tra la fine del 1937 e l’inizio del 1938 ebbero luogo le riprese di Il blu e il rosa [Goluboye i rozovoye].
184Zuskin tornò volentieri a lavorare nel cinema, inoltre amava il ruolo di Shapiro. Quando appena prima dell’inizio delle riprese ricevette il bozzetto dell’immagine di Shapiro fu però deluso dal trucco previsto: somigliava a Pinia in Cercatori di felicità. Secondo lui la minima somiglianza tra Shapiro e Pinia avrebbe messo a rischio la riuscita del personaggio. Alla fine la questione del trucco fu risolta ma il film, con dispiacere dei suoi creatori, non arrivò mai nelle sale. Non era piaciuto a “qualcuno” del comitato tal dei tali.
185Alla fine della primavera del 1938 terminarono le riprese. Non molto prima Zuskin era stato invitato al Comitato delle fabbriche di alimenti che controllava anche le industrie produttrici di trucco. La commissaria Polina Žemčužina faceva parte della élite sovietica, essendo la moglie di Vjačeslav Molotov, dopo Stalin l’uomo più importante a capo del partito e dello Stato. Era ebrea, adorava il Goset e l’attore Zuskin, sapeva che si truccava da solo, perciò lo invitò a fare da cavia per i trucchi di scena di nuova produzione in Unione Sovietica.
186Zuskin sperava di approfittare dell’incontro con una persona così importante per eliminare la messa al bando di Il blu e il rosa, quel giorno però Žemčužina doveva recarsi da qualche parte e non aveva potuto – o non aveva voluto – neanche vedere il film.
In preda alla disperazione
187Nel 1937-1938, anni di purghe e terrore, si tennero spesso festeggiamenti che ricordano le feste della Londra del Diciassettesimo secolo negli anni dell’epidemia di peste.
188Ai club degli scrittori e presso le associazioni degli artisti fu organizzata ogni sorta di evento mondano. I responsabili del controllo della “lealtà” degli scrittori in queste occasioni tenevano bene aperte le orecchie. Ascoltare inosservati conversazioni che avevano luogo a voce alta in un’atmosfera rilassata era più facile. Gli artisti compravano completi da sera, le loro mogli o le artiste che aspiravano a mettersi in mostra ordinavano abiti da sera nelle sartorie di lusso. Proprio questi negozi, di proprietà della divisione delle associazioni dei servizi degli scrittori e degli artisti, erano luoghi ideali per origliare.
189In questo periodo Zuskin incontrò importanti attori russi e si sentì improvvisamente molto distante dallo shtetl. La verità è che desiderava prendere le distanze da se stesso più che dal soggetto, in particolare dal cliché ormai inevitabilmente connesso a quel tema. Si sentiva in trappola. Il teatro, che restava la sua priorità, aveva deviato rispetto alla propria missione. La verità è che per uscire dalla “missione ebraica” avevano fatto ricorso a Shakespeare. Grazie al Re Lear avevano al tempo stesso ottenuto notorietà e la possibilità di inserire temi ebraici all’interno di un’opera universale. Il teatro era risorto grazie a Shakespeare – per un momento! – era proprio questo il problema.
190Il teatro aveva raggiunto il proprio maggior prestigio con Shakespeare? Assolutamente. Zuskin ricordava con precisione le parole di un vecchia recensione genericamente favorevole al Re Lear: «Il Goset sembra essere entrato in un periodo di abnegazione».41 Ai tempi aveva ignorato la frase, che però era rimasta impressa nella sua mente.
191Continuava a pensare: se la fusione tra il proprio essere un attore e l’essere ebreo non è possibile e se confrontarsi con un testo di Shakespeare è in qualche modo una fuga, allora perché non fuggire? Per il momento si rivolse al cinema.
192Era interessato a entrare nell’industria cinematografica come attore e chiese di parlare con il presidente del Comitato della Cinematografia Semën Dukelskij.
193Fu ricevuto da un rappresentante del Comitato Centrale del Partito che sovrintendeva le questioni legate al mondo del cinema. Il presidente Dukelskij era presente: disse a Zuskin che il Comitato Centrale del Partito aveva visto alcuni frammenti di alcune sue interpretazioni cinematografiche scelte appositamente e che sia il supervisore del partito sia lui non avevano alcuna obiezione rispetto al suo desiderio di passare dal teatro al cinema.
194Ma Bojarskij, il rappresentante del Comitato per gli Affari Artistici responsabile del Goset, non volle neanche sentir parlare delle dimissioni di Zuskin poiché il repertorio del Goset e il suo prestigio dipendevano da lui. Rifiutò quindi di accettare la richiesta di Zuskin e come amico gli suggerì di prendersi una lunga vacanza. Questo «no» definitivo, benché educato, che non lasciava spazio ad alcun appello, gettò Zuskin nella disperazione.
195Trascorsero otto mesi, Zuskin continuava a rifiutare ruoli nuovi e andava in scena sporadicamente. Continuò a lavorare a tempo pieno soltanto presso la Scuola di Recitazione. A casa seguiva una terapia, in seguito alla quale poté nuovamente andare in scena. All’inizio di quegli otto mesi era stato molto amareggiato per il rifiuto ricevuto.
196Se avesse abbandonato il teatro, sarebbe stato lontano dalla tensione che vi regnava, dalla paura per il futuro e non se la sarebbe presa per le assenze di Michoels. Il fatto che quest’ultimo stesse utilizzando il proprio talento in attività politiche esterne al teatro si può spiegare con il desiderio di tentare di salvare il teatro e il proprio popolo. Ciò fu possibile nell’arco di tempo stabilito. Zuskin però, indifferente alle frequentazioni in società, era preoccupato per il coinvolgimento di Michoels e di sua moglie Asja in quella vita mondana. Michoels si era fatto trascinare dall’adorata moglie o era anche lui in cerca di gloria? Oppure era un modo per distrarsi?
197Con il tempo i pensieri di Zuskin si fecero più chiari e meno torvi. Riconsiderò la propria carriera in teatro. Non era mai stato facile, però c’erano stati momenti di esultanza, la sensazione di volare alto e di essere liberi di creare. A quale lavoro risaliva l’apice della sua felicità al Goset? Ma certo! Ai Viaggi di Beniamino Terzo. Com’era la canzone che cantava? «Ci siamo seduti davanti a un piatto saporito. / Ci siamo seduti e non abbiamo mai mangiato».
198Noi. Come avevano potuto dimenticare il “noi”? Se avesse lasciato, non avrebbe più avuto quel compagno così brillante. «Più è grande l’attore con cui vai in scena, maggiore sarà il suo contributo alla tua recitazione. Sono stato fortunato: come compagno di scena molti anni fa il destino mi ha dato Solomon Michoels».42 Zuskin avrebbe scritto queste parole nel 1946, quando era ormai vicino alla fine della propria vita, quella vera, non quella che gli fu imposta durante gli interrogatori e al processo.
Spettatore
199Dopo La famiglia Ovadis, al Goset decisero di presentare un altro dramma ambientato in seno alla famiglia.
200Il teatro dovette però interrompere la preparazione della storia di famiglia e confrontarsi con un testo molto noioso che era stata vivamente “consigliato”. L’opera in questione si intitolava L’età irrequieta [Umruike elter], era la storia di uno scienziato al servizio dello zar, il quale, dopo la Rivoluzione mette la propria conoscenza a disposizione del proletariato. L’opera, la cui produzione non era altro che il pagamento di un debito di tipo ideologico, non ebbe successo.
201Zuskin non aveva un ruolo nello spettacolo, è però interessante quello che ebbe come spettatore. Mia madre mi raccontò in seguito che mio padre non era stato soddisfatto dell’interpretazione del suo collega Daniel Finkel’kraut come protagonista, lo scienziato Poležaev. Nello scienziato ritratto dall’attore mio padre non aveva trovato alcun trasporto per le piante, mentre Poležaev è un esperto di piante. Secondo mia madre, mio padre usava ricordare il modo in cui il suo insegnante di matematica del collegio di Ekaterinburg trattava variabili del tutto astratte e piccolissime come fossero persone in carne e ossa o come i protagonisti di un dramma e si disperava per il fatto che in quel Poležaev non vi fosse niente di simile.
202Il 27 novembre 1938 il Goset debuttò con l’allestimento di Tevye il lattivedolo [Tevye der milkhiker] di Sholem Aleichem. Il regista era Solomon Michoels, anche interprete del protagonista, Tevye. Nel ruolo dell’anziano e intelligente lattivendolo, la sua ultima interpretazione, il grande Michoels toccò il punto più alto della propria carriera sulle scene di quel teatro.
203Zuskin non aveva alcun ruolo, valutò il testo, era ottimista: il teatro avrebbe potuto mettere in scena una produzione importante. Qualcosa però lo infastidiva, la sala. Che cosa lo disturbava della sala? Da dove veniva quel rumore? Era minimo e smorzato, però incessante. Chiaro! In Tevye il lattivendolo ogni parola è una perla ma gran parte del pubblico, ormai, non comprendeva lo yiddish. In sala vi era quindi chi traduceva quelle battute e intanto spiegava alcuni concetti o il significato di alcuni movimenti. Per esempio, Micholels «si rivolgeva a voce alta alla memoria nazionale»43 alzando le braccia con un gesto che ricordava la preghiera, ma i segni che rimandavano alle radici della tradizione nazionale erano ormai stati spazzati via dalla memoria degli spettatori.
204Gli uomini e le donne del Goset si preparavano per il ventesimo anniversario del teatro. Correva voce che ci sarebbero state grandi celebrazioni, sarebbero stati assegnati titoli e premi alla carriera. Forse Zuskin si era sbagliato? Nonostante tutto c’era ancora posto per il teatro?
Notes de bas de page
1 Dalla poesia di Nikolaj Nekrasov, Morirò presto. Una triste eredità, o patria!, ti lascio.
2 Ilia Ilf, Yevgeni Petrov, trans. Anne O. Fisher, The Little Golden Calf, Russian Life Books, Burlington 2009, p. 411.
3 B. Zingerman, Parižskaja škola cit., p. 294.
4 Jeffrey Veidlinger, The Moscow State Yiddish Theater, Indiana University Press, Bloomington 2000, p. 115.
5 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
6 Jean-Richard Bloch, Si Labiche était à Moscou!, «L’Humanité», 26 dicembre 1934.
7 Ibid.
8 S. Michoels, Il mio lavoro sul Re Lear di Shakespeare cit.
9 Leonid Leonidov, Vospominania, statii, besedy, perepiska, zapisnyie knižki [Memorie, articoli, conversazioni, note], Iskusstvo, Mosca 1960, pp. 408-409.
10 Yoseph Ben-Dov, Kria beklafim [Leggendo le carte], Keter, Gerusalemme 1999, p. 163.
11 Sofia Nels, Korol’ Lir v postanovke Goseta [Il Re Lear messo in scena dal Goset], «Teatr», 5 (maggio 1935), p. 128.
12 Rachel Pollack, Salvador Dali’s Tarot, Rainbird, London 1985, p. 10.
13 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
14 Andrew Cecil Bradley, Shakespearean Tragedy, in Commentaries in The King Lear by William Shakespeare, Russell Fraser, ed, St Martin Press, New York 1920, p. 131.
15 Giorgio Strehler, Il Re Lear di Shakespeare, in Id., Per un teatro umano, a cura di Sinah Kessler, Feltrinelli, Milano 1973, pp. 280-281.
16 Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Estetika, Nauka, Mosca 1975, p. 111.
17 A. Azarch-Granovskaja, Vospominanja cit., p. 134.
18 Per l’Italia cfr. C. D’Angelo, La danza della conoscenza in Id, Re Lear. Storia di uno spettacolo yiddish sovietico cit., pp. 194-218.
19 Vagram Papazian, Korol’ i šut [Il Re e il Fool], in Zhizn’ artista, Iskusstvo, Mosca-Leningrado 1960, p. 410.
20 Sofia Nels, Tri razgovora c Gordonom Kregom [Tre conversazioni con Gordon Craig], «Sovietskoye iskusstvo», 5 marzo 1935.
21 Inna Višnievskaya, Zvezdy ne padajut, zvezdy bluždajut [Le stelle non cadono, le stelle vagabondano], «Kultura», 2 (1966), p. 12.
22 Felix Kandel, Zakoldovanny teatr [Il teatro stregato], in Vrata iskhoda našego, Biblioteka Aliya, Tel-Aviv 1980, pp. 36-37.
23 Canzone del Fool che non esiste nel testo di Shakespeare ma soltanto nello spettacolo del Goset. Si cita dalla traccia #12, I am a jester, CD, Cubo-Futurist Klezmer cit.
24 Leonid Trauberg, Vozvraščenie Venjamina [Il ritorno di Veniamin], «Sovetskij ekran», 2 (1988), pp. 30-31.
25 Aleksandr Griboedov, Che disgrazia l’ingegno!, in it., Marchese, Grumo Nevano 2017.
26 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
27 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
28 Sergej Yutkevič, Istorija zagublennogo filma [Storia di un film rovinato], in Id., Sobranije sočinienii, Iskusstvo, Mosca 1991, 2, pp. 183-184.
29 J. Veidlinger, The Moscow Yiddish Theater cit., p. 159.
30 S. Raz, A Very Narrow Bridge cit., p. 269.
31 Isaac Babel’, Rabbi, in Id. Konarmia, Izdatelstvo khudožestvennoy literatury, Mosca 1957, p. 46 (trad. it. L’armata a cavallo, Einaudi, Torino 2003).
32 O. Mandel’štamm, “Michoels” cit., p. 107. Vd. Anche, qui, “Atto secondo”.
33 Solomon Michoels, Lož religii [La menzogna della religione] in Aa. Vv., Michoels. Stat’i. Besedy. Reči, Vospominanjia o Michoelse cit., p. 178.
34 S. Michoels, Rol’ i mesto režissera v sovetskom teatre [La funzione e la posizione del regista nel teatro sovietico], in Aa. Vv. Michoels. Stat’y. Besedy. Reči. Vospominanja o Michoelse cit., p. 202; cfr. C. D’Angelo, Re Lear. Storia di uno spettacolo yiddish sovietico cit., pp. 292-209.
35 Ivi, pp. 211-212.
36 J. Veidlinger, The Moscow Yiddish Theater, cit., p. 188.
37 Natalia Vovsi-Michoels, Moi otets Solomon Michoels [Mio padre Solomon Michoels], Vozvraščenie, Mosca 1996, p. 101.
38 Y. Dobrušin, Zuskin cit., p. 60.
39 Shmuel Halkin, Bar Kochba, in Id. Stikhi, ballady, dramy, Sovetsky pisatel’, Mosca 1958, p. 24.
40 Y. Dobrušin, Zuskin cit., p. 58.
41 Zinovy Fridliand, Teatr tragičeskikh komediantov [Teatro dei commedianti tragici], «Literaturnaya gazeta», 6 marzo 1935.
42 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
43 Lea Avrutina, Sosdanie obraza v tvorčestve Solomona Michoelsa: prinzip kontrapunta i sistema podtekst [Creazione del personaggio nell’arte di Solomon Michoels: il principio del contrappunto e il sistema del sottotesto], in Il teatro ebraico in Unione Sovietica, a cura di M. Altshuler, cit., p. 287.
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