Secondo atto (1921-1928)
p. 25-66
Texte intégral
Novizio
1Un giovane che indossa una logora uniforme da studente siede davanti alla macchina da scrivere, porta un cappello da studente, la visiera è rotta, ai piedi le galosce sono legate con una corda. Il portamento è eretto e aggraziato, l’aspetto è elegante nonostante i segni della povertà. Scrive velocemente a macchina senza chiedere nulla del contenuto del documento, quando ha terminato, porge il foglio dattiloscritto all’uomo per il quale lo ha battuto a macchina. Dice il proprio nome: «Zuskin». L’altro ringrazia e si presenta: «Michoels».
2Soltanto le grandi passioni, gli anfiteatri e i personaggi avvolti da tuniche ricamate in oro di una tragedia greca possono avere un momento fondamentale quanto lo è stato l’incontro tra quei due giovani malvestiti in una camera fatiscente nella povertà della Mosca post-rivoluzionaria, davanti a una macchina da scrivere logora con i tasti rotti. Tutto questo può reggere il confronto con il volo vertiginoso, la comprensione reciproca perfetta, le discussioni che arrivavano all’odio, la devozione simile all’amore e una fine come quella che fecero entrambi, così inaccettabile per una mente razionale?
3A un altro bivio fondamentale nelle vita di Zuskin c’è un altro oggetto – nuovamente un oggetto! – questa volta una macchina da scrivere.
Quando Zuskin venne a sapere del lavoro del compagno in ambito teatrale chiese se poteva recitare qualcosa così da farsi un’opinione circa le proprie capacità. Recitò frammenti di un racconto di Čechov, poi mostrò alcune scene di melodrammi e altre opere. Michoels gli disse che certamente sarebbe stato ammesso alla scuola teatrale fondata e diretta da Aleksej Granovskij.
4L’indomani Zuskin fu presentato a Granovskij. Si fece coraggio e presentò all’ onnipotente direttore la stessa selezione con cui aveva conquistato l’approvazione di Michoels. Nonostante la tensione e la mancanza di fiducia in se stesso, nello sguardo di Granovskij riconobbe alcuni bagliori di incoraggiamento.
5Granovskij spiegò che il regime sovietico aveva offerto al teatro ebraico la possibilità di essere ricostruito, per la prima volta nella storia del popolo ebraico veniva fondato un teatro yiddish di Stato. E aggiunse che invece non sapeva come sarebbero potute andare le cose per Zuskin allo studio di Vachtangov.
6Zuskin fu invitato a presentarsi a una audizione nei giorni seguenti. Era esitante, prima avrebbe voluto vedere lo studio di Granovskij dall’interno, assistere ad alcune prove: «Prego! Venga pure!». A una prova di Michoels la recitazione lo impressionò e lo commosse. Si accorse a poco a poco che le sue non erano lacrime provocate dal riso. Stava proprio piangendo. Non aveva mai sospettato che l’arte avesse il potere di sconvolgere una persona in quel modo.
7Accettò di presentarsi all’audizione. Oltre a recitare un testo, doveva preparare un pezzo che includesse canto, movimenti e mimica del volto. Mimica? Del volto? Se sapeva di che cosa si trattasse, ne aveva soltanto una vaga idea. Che cosa poteva fare? Gli venne un’idea: «Il nonno!». Se l’esame doveva segnare l’inizio della sua carriera come attore, perché non tornare alle origini?
8Arrivato all’audizione, pregò: «Nonno aiutami!», andò al centro della stanza, si chinò sopra un tavolo immaginario, strizzò l’occhio sinistro, sussurrò, si sfregò le mani, estrasse un paio di occhiali immaginari dalla tasca, se li mise sul naso, poi li tolse e li pulì con le falde del vestito, li mise nuovamente sul naso, posandoli sulla punta e immediatamente si trasformò in un attempato vecchietto. Passò le mani sul tavolo come per lisciare un pezzo di stoffa, prese un metro inesistente e canticchiando iniziò a misurare la lunghezza e la larghezza del pezzo. Poi tirò fuori dalla tasca laterale un gesso e iniziò a fare segni sulla stoffa. Infine arrivò alla parte principale, il taglio. Ma dov’erano le forbici? Non c’erano! La melodia che ora canticchiava risuonava come se chiedesse: «Sapete dove sono le mie forbici?». Le cercò dappertutto, alzò la stoffa, guardò sotto, non c’erano! Le forbici erano scomparse! La melodia aveva preso forza, sembrava stesse gridando: «Dove diavolo sono finite le forbici?!». Tirò un pugno sul “tavolo”. Dio Santo! La melodia si fece gloriosa: «Ecco! Finalmente le ho trovate!». Tagliava. Le forbici non andavano sempre lisce, si bloccavano nel tessuto, con la mano sinistra dava alcuni colpi al tessuto e il movimento delle forbici di nuovo filava liscio. Il taglio terminò. Ridacchiava contento. Tirò fuori dalla tasca del gilet immaginario un ago immaginario, infilò il filo immaginario, anche qui non tutto andava sempre liscio, e iniziò a cucire. Era pronto! Un sospiro di sollievo. Infilò l’ago nel gilet, ammirò il risultato del proprio lavoro. Un colpo con la mano, che eccezionale plasticità in questo gesto! E il tavolo, le forbici, la stoffa, l’ago e il filo, il gilet e il vecchietto scomparvero. Ora di fronte al pubblico c’era un giovane con indosso un giubbotto nero da studente, sotto i loro occhi si era compiuto un miracolo!
9La stanza era affollata. Immerso nel proprio etjud, il giovane era comunque riuscito, con la coda dell’occhio, a notare che la stanza dove si trovava la commissione era gradualmente sempre più affollata di sconosciuti. Si trattava di allievi dello studio, attori, collaboratori del giovane teatro. È difficile descrivere l’entusiasmo che suscitò questo etjud.
10Per molti anni Zuskin avrebbe mostrato Il vecchio sarto [Der alte shnayder] ai recital. L’etjud divenne il cavallo di battaglia del suo repertorio da varietà e sarebbe diventato così famoso che a quasi ogni invito a comparire a un recital o a una serata alla Casa dell’attore gli dicevano: «Non dimenticare di portare ago e filo!».
11Uno dopo l’altro, seguirono incalzanti altri eventi importanti.
12Nel marzo del 1921 entrò a fare parte dello studio di Granovskij.
13Il 19 aprile del 1921 nacque sua figlia Tamara.
14Nel giugno del 1921, tre mesi dopo l’ammissione allo studio, abbandonò l’Accademia di Ingegneria Mineraria ed entrò a far parte della compagnia del teatro.
15E se le cose fossero andate diversamente? Se avesse terminato gli studi da ingegnere? Non c’è motivo di rimpiangere questa sorte poiché anche molti ingegneri, persino i geologi, andarono incontro a un destino nefasto, basti pensare al Processo agli ingegneri minerari del 1928 o a quello del Partito Industriale nel 1930.1 La roulette chiamata XX secolo aveva per caso un numero vincente?
16Zuskin poteva ormai ritenersi fortunato. Era un attore. Non abbandonò gli impegni che si era assunto il primo giorno: allo studio scriveva e illustrava manifesti, batteva a macchina e faceva le veci di un segretario, la sua devozione nello svolgimento di questi compiti non era in alcun modo inferiore a quella per il lavoro di scena. Ormai era a Mosca, al Teatro Ebraico.
17Come era nato questo teatro?
18Molti degli intellettuali che avevano dato il benvenuto alla Rivoluzione d’Ottobre desideravano riscoprire e dare vita a nuove forme artistiche. Ebbri di libertà, gli ebrei lasciavano le zone di residenza per le grandi città per soddisfare la propria sete di espressione. Eduard Bagritskij, un poeta russo di origini ebraiche, ha espresso chiaramente questo sentimento scrivendo: «Spalancate le porte!».2 Come avrebbero potuto immaginare che quelle porte spalancate non avrebbero portato da nessuna parte?
19Moyshe Litvakov, una delle figure chiave della Evsektsia (sezione ebraica del Partito Comunista-Bolscevico russo) e responsabile della cultura ebraica nella nuova Russia, era un entusiasta sostenitore del rinnovamento del teatro ebraico.
20Nel marzo 1918 a Pietrogrado era stata fondata la Scuola Ebraica di Recitazione, la prima nella storia. Aleksej Granovskij ne era il direttore.
21Nel gennaio del 1919 lo studio aprì i battenti al pubblico e in occasione dell’importante evento gli fu riconosciuto lo status di teatro, anche se in effetti continuava a lavorare come una scuola.
22Allo stesso periodo risalivano vari tentativi falliti di fondare uno studio teatrale ebraico a Mosca. Dopo che una delle persone coinvolte nell’iniziativa, Abram Efros, prese contatto con Granovskij e con le istituzioni coinvolte, fu presa una decisione. Il teatro diretto da Granovskij doveva trasferirsi da Pietrogrado a Mosca. Era l’ottobre del 1920.
23Alla fine di quello stesso anno dal Commissariato del Popolo per l’Istruzione era arrivato l’ordine di cambiare lo statuto del teatro-studio di Pietrogrado, a Mosca sarebbe diventato Teatro Ebraico di Stato da Camera, Gosekt (acronimo di Gosudarstvennyj Evrejskij Kamernyj Teatr, in italiano Teatro Ebraico da Camera di Stato) il primo teatro yiddish della storia sovvenzionato dallo stato.
24Vent’anni dopo Zuskin avrebbe detto che i sogni di quel teatro «avrebbero potuto realizzarsi soltanto nel nostro paese»,3 affermazione che potrebbe essere vista come una conseguenza del bisogno di compiacere le autorità, ma Zuskin lo pensava davvero. Era oltretutto una considerazione assolutamente veritiera. Soltanto il «nostro paese» sovietico ha fondato teatri e istituzioni la cui funzione era «dare voce alle minoranze nazionali».4 Sì, soltanto il nostro paese, con il disegno di esercitare il controllo su tutto, con ciò che definiva “fronte ideologico”, avrebbe potuto fondare un teatro del genere, soggiogarlo e alla fine gettarlo nell’abisso. Soltanto il nostro paese ne avrebbe assassinato gli attori.
25Dopo il trasferimento del teatro a Mosca, dove si riunirono la compagnia di Pietrogrado e quella della capitale, furono ammessi nuovi attori e la progettazione del repertorio richiese più di due mesi di lavoro.
26Il primo gennaio 1921 andò in scena lo spettacolo inaugurale.
27Zuskin si unì al teatro quando era al primo stadio di formazione. «Cercare, questa è la parola d’ordine che metteremo al primo posto nel nostro progetto»,5 ripeteva il direttore artistico del Gosekt, Aleksej Granovskij.
28Nato in Russia da una famiglia di ebrei assimilati, aveva studiato in Germania con il grande regista Max Reinhardt. Con lui aveva appreso gli stili del teatro moderno e aveva energicamente cercato di fondare un nuovo teatro yiddish. Intendeva ricrearlo partendo da zero.
29Da zero? No, non era possibile. È chiaro che senza la decisione e il sostegno delle istituzioni governative da una parte e la personalità unica di Granovskij dall’altra, il teatro non avrebbe mai fatto ciò che fece.
30La storia del teatro yiddish, invece, era iniziata molto prima.
31Tra le condizioni per essere ammessi allo studio di Granovskij vi era un principio fondamentale, non si accettavano candidati che avessero già esperienza del vecchio teatro ebraico, questo per evitare che contaminassero il nuovo teatro yiddish con vecchie consuetudini.
32In ogni caso, il teatro ebraico non era soltanto portatore di vecchi schemi ma aveva anche un legame con la tradizione e la storia di un popolo. Si sa di un primo allestimento teatrale del Libro di Ester che risale al II secolo. Nel Medioevo la festa di Purim era celebrata con gioia, gli spettacoli conosciuti come Purimshpil ebbero inizio allora.
33Un teatro yiddish con un repertorio regolare era stato fondato nel 1876 in Romania da Abraham Goldfaden. Le sue opere sono messe in scena ancora oggi nei teatri ebraici del mondo.
34Per la sua cultura, esperienza e talento, Granovskij era considerato un divo, ed era un regista brillante. Gli mancava la conoscenza della tradizione ebraica ma aveva la scintilla del genio e una percezione che può essere descritta con le parole di Osip Mandel’štam: «Il linguaggio del corpo degli ebrei è una espressione di senso che ha tutte le caratteristiche di una moda che non è stata superata per millenni».6
35Per Granovskij «la base di ogni performance era il ritmo».7 Sapeva percepire «le pulsazioni del cuore e del sangue delle persone».8 Aggirò ed evitò lo stile dello shtetl, le compagnie di Purimshpil e innestò nel teatro un ritmo primordiale. Fu questo ritmo a renderlo un Teatro con la maiuscola.
36Granovskij sapeva «leggere un testo come un evento»9 e non esitava a tagliarlo o modificarlo secondo necessità. «La parola è un evento, il silenzio è più naturale»,10 il gesto è ancora più forte. La stilizzazione dei gesti non serviva a una qualche trovata esteriore ma permetteva di «superare il tedio della vita quotidiana».11 Granovskij di solito progettava un’opera non come un’operetta, con passaggi di discorso e di canto, ma come una sinfonia in cui «gli elementi musicali in sequenza ininterrotta sono sostituiti dal testo, dalla recitazione, dalla scena, dalle luci, dal canto, dalla mise-en-scène e dalle pause».12 Come un direttore d’orchestra, «sapeva come dirigere la massa in modo che ognuno avesse il proprio personaggio e allo stesso tempo fosse parte dell’insieme».13 Qualcosa di simile si diceva a proposito di Zuskin: «In ogni ruolo che interpretava, Zuskin era un intero»,14 questo anche se ogni dettaglio della sua interpretazione era un evento a sé.
37A Mosca, al teatro fu assegnato un edificio di tre piani al numero 12 di via Stankevič. Il primo e il terzo piano erano utilizzati come alloggi per gli attori e gli impiegati del teatro. Michoels viveva al terzo piano, Zuskin al primo.
38Fino al 1936 avrebbero vissuto entrambi in questi alloggi con una cucina e un bagno in comune per quindici o sedici famiglie. Molti degli altri inquilini avrebbero continuato a vivervi ancora per molto tempo.
39Il teatro era al secondo piano. «Dal giorno in cui il teatro fu inaugurato a Mosca nell’aprile del 1922, montò i propri spettacoli su un palcoscenico davvero piccolo. In sala c’erano soltanto novanta posti a sedere»,15 ha scritto Zuskin in uno dei suoi articoli.
40La sala fu decorata da Marc Chagall, che disegnò anche le scenografie e i costumi per il primo spettacolo moscovita.
41Secondo Chagall, la carne e il sangue degli attori, vestiti con costumi disegnati e realizzati secondo il proprio stile, si sarebbero mossi intorno agli oggetti della scenografia che lui stesso aveva realizzato e sarebbero diventati tutt’uno con le immagini con cui aveva decorato il sipario, i muri e il soffitto. Inoltre, «gli attori avrebbero espresso emozioni ebraiche tradizionali con uno stile moderno»,16 come le immagini dipinte.
42Lungo quanto tutto il muro laterale della sala realizzò un dipinto intitolato Introduzione al nuovo teatro ebraico che ritraeva figure geometriche insieme a immagini fantastiche e ritratti di Granovskij, Efros, di se stesso e di Michoels. Anche quando il dipinto era già al suo posto, Chagall continuò a modificarlo e ad aggiungervi nuovi elementi. Dopo qualche tempo aggiunse alla composizione anche Zuskin.
43Sulla parete opposta, tra le finestre, furono affissi quattro quadri intitolati La musica, La danza, Il teatro e La letteratura, che facevano parte della serie chiamata Le arti. Il fregio sopra di essi era una decorazione stretta e lunga che si sviluppava lungo la parete, Il banchetto nuziale, che creava una connessione tra le quattro arti e l’arte del teatro. Nella concezione di Chagall le arti erano legate alla Rivoluzione. Proponeva una visione della Rivoluzione che ricordava una grande festa, come il teatro o il matrimonio. Nel 1922, quando l’artista comprese che la «rivoluzione è un matrimonio cruento che inizia come una festa e finisce con una rissa in cui spuntano i coltelli»,17 abbandonò per sempre la Russia sovietica.
44Sempre nel 1922, in vista del trasferimento del teatro nella nuova dimora, i dipinti furono affissi nel foyer. I lavori di restauro dell’edificio che furono realizzati alcuni anni dopo furono un pretesto per eliminare le opere dell’artista ormai considerato un traditore.
45In alto a destra del dipinto più grande ci sono due donne. «Le donne suonano la lira e il tamburello. I loro strumenti richiamano quelli utilizzati da Miriam dopo la separazione delle acque del Mar Rosso… Per bilanciare questa visione del passato più lontano, le donne vengono guidate da Zuskin verso il teatro moderno».18 È lecito supporre che per guidare le donne dal passato più remoto al teatro moderno Chagall si fosse affidato a Zuskin perché aveva notato che il suo stile, così moderno, era radicato nella memoria del passato.
46Mandel’štam ha scritto: «Quando avvista un ebreo, questo teatro paradossale perde la testa e immediatamente lo spinge nel proprio laboratorio».19 In questo «teatro paradossale» a Veniamin Zuskin fu affidato un ruolo fondamentale.
Il primo ebreo
47Zuskin si impegnò con tutte le proprie forze a preparare il proprio primo ruolo. Quali che fossero le sue preoccupazioni, le persone che lo circondavano vedevano un uomo allegro, buono e aperto; nel piccolo teatro e negli affollati alloggi si sentiva spesso chiamare: «Zus! Zusa! Zuska!».
48Che cosa significava il suo nome?
49Passando dall’infanzia all’adolescenza, Nëmka era diventato Veniamin. Ma per qualche ragione, questo nome in teatro non gli si addiceva e dopo uno scherzo casuale, le persone che lo circondavano iniziarono a chiamarlo con una versione abbreviata del suo cognome, Zus, Zusa o Zuska.
50Era sempre pronto a incantare gli amici con lunghi racconti, molto divertenti, legati alla propria infanzia. Dopo poco tempo tutti gli attori conoscevano i suoi amici d’infanzia e si scambiavano battute tratte dai suoi racconti. «Dalla sua infanzia attingeva emozioni e figure»,20 avrebbe detto Michoels riferendosi a Zuskin. Molti attori del Goset ricordavano che Zuskin li aveva fatti entrare nel mondo della sua infanzia.
51Il primo gennaio 1921 Serata con Sholem Aleichem [Sholem Aleichem ovnt] segnò l’apertura della prima stagione del teatro a Mosca. Lo spettacolo era in tre atti: due testi brevi, Agenti [Agentn] e Congratulazioni! [Mazel tov!], e il monologo Una celebrazione rovinata [A farshterter peysech]. Erano tutti tratti dai testi di Sholem Aleichem, avevano tutti la regia di Granovskij e scenografie di Chagall. I primi due atti unici erano i più interessanti, in seguito fu infatti deciso di sostituire il monologo con un altro atto unico dal titolo È una bugia [S’a lign!], sempre di Sholem Aleichem, con due soli personaggi. Zuskin fu ammesso nella compagnia nel momento in cui si stava prendendo questa decisione e gli fu offerto di interpretare uno dei due protagonisti.
52Al debutto, «dal primo momento in cui fu in scena, Zuskin ha dimostrato di avere grande talento».21 Era il 24 settembre 1921, data che segnò l’inizio della sua carriera.
53La trama era abbastanza semplice: due ebrei siedono sulla panca di un vagone ferroviario e chiacchierano tra loro. Il Primo Ebreo ha l’aria di essere un sensale di matrimoni, cerca infatti di ottenere dal Secondo Ebreo dettagli a proposito della fortuna e delle figlie di un ricco ebreo di Kolomie, poiché il Secondo Ebreo viene da lì. A ogni domanda del Primo Ebreo, il Secondo risponde raccontando l’inizio di una storia: «Alcuni dicono che…» e si ferma subito nel proprio racconto esclamando in modo categorico: «È una bugia!», come a voler dire, «Lasciali parlare!» e continua a spettegolare con allegria. Il Primo Ebreo lo ascolta con attenzione e si interessa ai dettagli. Ogni domanda e ogni risposta sono accompagnate da gesti esagerati che ricordano i movimenti delle marionette e lo sketch finisce con i due che mentre chiacchierano si trasformano in statue. Tutto qui.
54L’ebreo di Kolomie era molto familiare a Zuskin. Sapeva bene che tipo fosse quello che doveva interpretare, ma non sapeva come ritrarlo. Non aveva esperienza, lo stavano gettando nel fiume della modernità europea senza che fosse preparato. Granovskij non spiegava nulla ma esigeva una precisione matematica nel disegno della gestualità ebraica. Come era potuto accadere che la performance fosse comunque un successo? «L’originalità di Zuskin ha saputo andare oltre la gag schematica»,22 nonostante le innovazioni era rimasto fedele a se stesso.
55Zuskin si rendeva conto che la propria intuizione da sola non era sufficiente e cercava di decifrare ciò che gli era chiesto di fare. Questi pensieri non gli davano pace. Che cosa fare? Lasciare tutto e andarsene? L’opzione di abbandonare la compagnia e andarsene fu discussa e ridiscussa in famiglia. Secondo i genitori di Rachel, Mosca non offriva le giuste condizioni per far crescere la piccola Tamara e facevano pressione affinché la figlia tornasse in Lituania. Nonostante le numerose difficoltà, Zuskin non intendeva abbandonare il proprio sogno di diventare attore. Giunsero finalmente a un compromesso, Rachel sarebbe partita con la bambina e i parenti per andare in Lituania per qualche tempo e sarebbe tornata a Mosca se e quando lo status di Zuskin fosse stato più definito. Altrimenti sarebbe stato lui a raggiungerli.
56Come stabilito, Rachel, Tamara e i parenti partirono. Con il tempo le cose si sarebbero complicate: la Lituania diventò un paese autonomo e il confine con la Russia fu chiuso. Rachel avrebbe ottenuto il divorzio, si sarebbe risposata e avrebbe messo su una nuova famiglia.
57Che cosa sarebbe accaduto a Zuskin se fosse partito con Rachel e avesse vissuto con la famiglia in Lituania? Rachel morì nel ghetto durante la Seconda guerra mondiale. Un altro scherzo del destino, un’altra piega del Ventesimo secolo.
La strega
58Nell’aprile del 1922, il Goset si trasferì dalla sede in via Stankevič con la sua piccola sala a un nuovo domicilio sulla Malaja Bronnaja. Nel nuovo edificio la sala aveva cinquecento posti a sedere contro i novanta della precedente. Il nuovo palcoscenico era più ampio e il repertorio avrebbe dovuto essere adeguato.
59Gli spettacoli del Goset avevano successo ma Granovskij si rendeva conto che il teatro non aveva ancora sviluppato a pieno il proprio potenziale. Avrebbe voluto mettere in scena una performance che lasciasse senza fiato, che incantasse, che diventasse il manifesto di quel teatro. Per farlo scelse il testo La strega [Di kishefmakherin] di Goldfaden, un’opera molto comune nel repertorio del teatro yiddish.
60Il vecchio teatro yiddish aveva un atteggiamento sentimentale nei confronti della vita dello shtetl, quello moderno ne avrebbe invece enfatizzato gli aspetti sociali e deriso il desiderio “borghese” di ricchezza. Furono trovati il compositore, lo scenografo e il costumista, agli attori erano già state assegnate le parti. Restava una sola cosa da decidere: chi avrebbe interpretato la Strega. Pur avendo respinto gran parte delle consuetudini del passato, ce n’era una che Granovskij non intendeva abbandonare, la Strega doveva essere interpretata da un uomo.
61Aleksandra, la moglie di Granovskij, donna affascinante e intelligente, alzò le spalle attonita: «Che bisogno c’è di pensarci tanto? Abbiamo a che fare con una vera strega, una di quelle descritte nelle fiabe, che volano a cavallo di una scopa. Prendi Zuskin. Mettilo alla prova. Tutto ciò che fa è divino».23
62Zuskin iniziò a considerarsi un attore, un vero attore, soltanto dopo avere interpretato La strega.
63In cartellone si leggeva: «La strega. Un divertente gioco ebraico. Ideazione e regia: Aleksej Granovskij. Adattamento musicale: Joseph Akhron. Adattamento del testo: Moyshe Litvakov, Yekhezkel Dobrušin. Scene e costumi: Yitshak Rabinovič. Cast: la Strega – Veniamin Zuskin».
64Veniamin Zuskin? Chi è?
65È una bugia! era una delle tre parti di uno spettacolo, Zuskin interpretava uno dei due personaggi ma restava sconosciuto al pubblico. Il giorno dopo il debutto dello spettacolo La strega, che ebbe luogo il 2 dicembre 1922, il suo nome era sulle labbra di tutta Mosca.
66Diamo uno sguardo allo spettacolo. In uno shtetl un vedovo di nome Avremtse vive con la figlia Mirele. Si sposa, la moglie Basia è l’incarnazione della matrigna con tutte le sue connotazioni più negative: detesta Mirele e per liberarsene si rivolge alla fattucchiera locale. Quest’ultima riesce a convincere Mirele a farle visita e con l’aiuto del crudele Elyokum la vende a un harem del sultano turco. Alla fine, come accade nelle fiabe, i buoni – Marcus, il promesso sposo di Mirele, e Hotzmach, mercante e capo degli ambulanti del mercato – trionfano sui cattivi: Basia, Elyokum e la Strega sono sconfitti.
67Questa è la trama del testo: «Era semplicemente un intreccio di episodi e personaggi… Il grottesco rendeva molto intenso e divertente tutto ciò che era in scena».24 In palcoscenico infatti tutto si muoveva in ogni direzione, gli attori erano sul soffitto, alle finestre, a destra e a sinistra, in avanscena e nel fondoscena.
68Artisti e critici diedero voce al proprio entusiasmo. Parlarono molto bene dello spettacolo e di Zuskin in particolare, erano in competizione tra loro negli elogi. Efros: «La strega è stata accolta con grandi onori».25 Ljubomirskij: «Il pubblico era esaltato come fosse ubriaco».26 Goldblatt: «La comparsa di Zuskin nel ruolo della Strega è stata una pura rivelazione».27 Deutsch: «Il ritmo e la gioia erano esilaranti».28 Markov, dieci anni dopo: «La strega sconvolgeva gli spettatori con fiamme, salti mortali, capriole, cadute in totale accordo con le leggi della musica, secondo la cadenza delle parole. Tra tutte quelle che hanno visitato Mosca, la più vicina allo stile della regia di Granovskij era la compagnia nera di Porgy e Bess».29
69Pavel Markov deve avere visto Porgy e Bess a Mosca quando l’ho visto io, nel 1956. Ho assistito a questo spettacolo elettrizzante con mia madre e avevo notato che la sua euforia era mista a una certa tristezza. Anche lei aveva notato la somiglianza tra ciò che avevamo visto e lo stile del suo teatro, anche se La strega era uno spettacolo più abbagliante, esaltante, turbinoso e teatrale.
70I personaggi erano maschere. Il capo degli ambulanti, Hotzmach (Michoels), per esempio, era una maschera come la vecchia strega (Zuskin) crudele e subdola.
71Zuskin aveva creato una sorta di anziana commerciante navigata. Ciò era anche legato al suo modo di parlare: le note basse dei momenti in cui faceva delle richieste si alternavano alle note più acute delle sue risatine adulatorie. Zuskin aveva pensato al proprio nonno, che sapeva giocare con la voce. Aveva ripensato a Ponevež, dove due venditrici ambulanti sedevano sempre di fronte al cheder: una parlava con voce bassa, l’altra con una voce alta dai toni acuti.
72Per la partitura musicale del ruolo, Zuskin aveva richiamato alla memoria le preghiere in sinagoga o la folla di ebrei nella piazza del mercato con le sue tonalità contrastati tra loro.
73E per i movimenti? Prima della Strega, in È una bugia!, il protagonista era fermo, muoveva soltanto le mani, in modo estremamente espressivo ma con poca varietà, qui era necessario un ampio spettro di gesti e contorsionismi da acrobata di circo.
74Non ho ancora detto nulla dell’aspetto della Strega.
75Il costume. Granovskij voleva disegnare la Strega come la descrivono le fiabe europee tradizionali. Per suggerire la sua chiaroveggenza aveva delle carte cucite sul vestito e per ricordare che era ebrea la sua gamba sinistra era avvolta dalle cinghie dei filatteri. Una vera e propria profanazione del nome di Dio!
76Filatteri! Su un piede! Sul piede di una donna? E non di una donna qualsiasi ma di una fattucchiera, una creatura né onesta né pia!
77Il trucco. Come è noto, Zuskin sapeva disegnare. Quando si preparava a interpretare un ruolo, disegnava il ritratto del personaggio, lo ritraeva e lo modificava fino a ottenere un risultato soddisfacente. Il ritratto era alla base del trucco. Per la Strega aveva scelto un naso lungo e appuntito e occhi da gufo. Lo scenografo Yitshak Rabinovič non risparmiò le lodi. Con maestria straordinaria Zuskin aveva anche disegnato le mani della Strega, che secondo lui dovevano essere molto lunghe.
78Ho appreso da mia madre che nel 1928 a Parigi allo spettacolo aveva assistito un famoso truccatore, il quale, dopo avere visto La strega, aveva iniziato a utilizzare il metodo di Zuskin per truccare le mani. Così facendo, le dita delle sue clienti sembravano più lunghe e aggraziate. Insomma, si può scherzosamente affermare che l’acclamato mondo della moda di Parigi aveva fatto ricorso a Zuskin.
79Il punto più alto dello spettacolo La strega, sia per l’aspetto di Zuskin che per la performance, era la scena della seduzione di Mirele.
80«Iiiii…», la Strega alzava la voce, pausa: «Iiiii, sono la St-r-e-g-a…», continuava ad alzare la voce e passava gradualmente dal canto al discorso cantato. «Sono venuta da te al momento giusto». Il suo discorso diventava così liquido da fluire con scioltezza: «Leggo le carte, mi occupo di malefici, pettegolezzi, lamenti, voci e profezie. La cosa fondamentale è tirare a campare, ebrei. I soldi sono l’unica cosa che conta».
81L’orchestra taceva. Sullo sfondo della folla colorata e agitata nella piazza del mercato appariva Mirele. La Strega la chiamava cercando di portarla in casa propria, la copriva di bugie presentandosi persuasivamente come un membro della famiglia. Mirele rifiutava l’invito, ma la Strega non cedeva. Alla fine alzava la voce: «Vieni a casa con me. Ti offrirò delle p-r-e-l-i-b-a-t-e-z-z-e». L’orchestra riprendeva a suonare e alle prime note la Strega iniziava la famosa canzone: «Kum kum kum tsu mir, kum tsu mir, tokhter meine» e Mirele rispondeva: «Nein, Nein»; «Kum kum»; «Nein, Nein»; «K-u-u-m!».30
82Un balzo. La Strega spiccava il volo e allungava le mani verso Mirele con le dita protese – le mani truccate – come un avvoltoio in picchiata verso una preda vulnerabile. Lo spettatore ascoltava e osservava. Avrei potuto ascoltarne una registrazione audio molti anni dopo: la Strega con i suoi modi “seducenti” non sarebbe riuscita a ingannarlo grazie all’ironia dell’attore, nonostante la perfidia del personaggio. «La possibilità di prendersi gioco dello shtetl come cosa del passato mi affascinava. Più di tutto, mi sono divertito a spese del teatro yiddish più semplice e a demolirne le consuetudini»,31 affermava Zuskin riferendosi al ruolo della Strega.
83Con quest’opera la compagnia ottenne grande successo. L’interpretazione di Hotzmach da parte di Michoels provò che era un attore brillante e allo stesso tempo, per dirla con le parole di Efros: «Zuskin è più conturbante; la sua recitazione resta impressa nella mente».32 Mentre Michoels cercava di dare espressione agli insegnamenti di Granovskij, Zuskin «involontariamente, con il caldo temperamento del novizio, strappava il tessuto sottile della partitura e raggiungeva l’apice» ;33 «La Strega era così! Era così! Ciò che non si impara in classe… Anche con la brezza più leggera, lui è già in aria! Era qualcosa di paradisiaco…».34 Zuskin non ne era consapevole e non si aspettava quel successo vertiginoso.
84Non se lo aspettava neanche Michoels. Sarebbero passati trent’anni e Zuskin avrebbe raccontato che leggere nelle recensioni il suo nome prima di quello di Michoels aveva ferito il maestro e Zuskin era sensibile a queste cose. Sarebbe naturale ritenere che ci siano state manifestazioni di gelosia, sentimento comune tra gli attori, però in questo caso abbiamo a che fare con persone che non avevano niente di ordinario.
85Zuskin continuò a rifinire il proprio ruolo, lavorava diligentemente per raggiungere la perfezione in ogni dettaglio.
86La tensione ebbe i suoi effetti. Nel 1924, durante una delle repliche della Strega, dopo un lungo monologo, Zuskin cadde dalla parte più alta del palcoscenico e sentì di non poter più pronunciare una parola. La bocca era spalancata, dalla gola usciva una specie di ruggito. Gli spettatori ridevano di gusto, pensavano fosse previsto dal copione. Riuscì a un certo punto a far uscire una parola, in russo: «Zanaves!» (Sipario!). Il sipario si chiuse. Il pubblico fu informato che a causa di un improvviso malore di Zuskin lo spettacolo era rimandato. Ma Zuskin non riusciva a recitare. Il ruolo fu temporaneamente affidato a un altro attore.
87Era accaduto come durante la sua infanzia. Ora non se la sentiva di tornare in scena, era come andare alla forca. Era il debito da pagare per la fama, una fama che secondo l’opinione comune aveva ottenuto con facilità.
88Ebbe un esaurimento nervoso. La malattia durò alcuni mesi, inizialmente i medici non furono in grado di diagnosticarla. Alla fine fu spinto a tornare in scena e pieno di energia e di fiducia tornò con ispirazione a essere quello Zusa allegro ed esuberante e anche alla sua strega volante.
Lo shadkhen Soloveyčik [Il sensale Soloveyčik]
89Nel 1923 il teatro tornò alle opere di Sholem Aleichem, questa volta a La grande vincita [Dos groise gevins], titolo sostituito con Duecentomila [Tzvei hundert toyzent]. Dobrušin adattò il testo secondo le idee registiche di Granovskij.
90Il protagonista, il povero sarto Shimele Soroker, interpretato da Michoels, vince alla lotteria duecentomila rubli. Il nuovo ricco è subito vittima di un raggiro e così come è diventato ricco in un battibaleno si ritrova povero.
91La morale dello spettacolo era: preservare la dignità umana è più importante della ricchezza. Granovskij ambiva a ottenere la dovuta espressività ed elaborò la regia in relazione alla partitura verbale, ciò non per mancanza di rispetto nei confronti dei classici ma poiché desiderava servire un classico sul vassoio del teatro più moderno.
92Zuskin aveva il ruolo del sensale di matrimoni Soloveyčik.
93Quando appariva per la prima volta tutti i personaggi erano già in scena. Non aveva un’entrata in scena banale, si paracadutava dall’alto con un ombrello rosso. Una volta atterrato, cantava una canzone allegra, saltellava intorno ad alcuni personaggi e risaliva per tornare sul lato opposto della parte alta della scena.
94Quel paracadutarsi con l’ombrello, l’importunare i presenti, il passo danzante, quel fiume di parole al posto di una conversazione normale erano tutte tecniche volte a rappresentare un uomo che non ha il terreno sotto i piedi e una professione assai particolare. Il sensale di matrimoni deve sapere come danzare ai matrimoni, ingraziarsi i presenti e sedurli con discorsi divertenti. Per Zuskin, in concreto come in astratto, il generale e il particolare erano sempre intrecciati.
95Nel corso del lavoro sul ruolo, Zuskin cercò nella memoria il proprietario di un negozio che aveva l’abitudine di saltellare tra i clienti e di parlare con loro in modo strano. Per rinfrescare questi ricordi andò in un negozio di giocattoli vicino al teatro, per osservare i movimenti delle mani del proprietario, simili a quelli di due ali. Tutto ciò non era ancora sufficiente: «Se la base del ruolo è il flusso del movimento, allora il suo apice è lo sfarfallare delle dita».35
96Le transizioni di Soloveyčik da una situazione all’altra erano impressionanti. Il sorriso ossequioso quando era ricevuto da Soroker appena diventato ricco lasciava posto a una espressione di amarezza e dolore quando era rifiutato come un oggetto ormai inutile. Durante il ballo, obbligato a danzare con una sedia perché per lui non vi erano signorine non era più un pupazzo meccanico, ma un essere umano che soffre. Lo stesso abito in un certo momento dà a Soloveyčik un aspetto elegante e in un altro i suoi pantaloni sembrano troppo grandi, il cappotto troppo corto e stretto. Sul finire dello spettacolo l’espressione remissiva del suo volto era repentinamente sostituita dal solito sguardo.
Sholem lo Shadkhen
97Quello stesso anno Zuskin interpretò un altro sensale di matrimoni, il cui nome questa volta era Sholem.
98Un confronto tra i due ruoli mostra come il sensale di matrimoni Sholem sia il più riservato dei due, cosa che si rifletteva nei suoi gesti, nei movimenti e nel modo di parlare.
99Sholem è un personaggio di Documenti di un divorzio [Der get] che fu aggiunto a Serata con Sholem Aleichem come quarto atto. Era basato su una idea di Granovskij e adattato dal testo di Sholem Aleichem da Dobrušin.
100Il testo Documenti di un divorzio è una satira che contiene elementi tragici misti al grottesco. Si pensi per esempio che il personaggio principale, Reuben-Hirsch, si suicidava impiccandosi e il suo corpo restava appeso a una corda in mezzo alla scena.
101Anche Zuskin fece ricorso al grottesco. Quando la moglie del personaggio usciva dal negozio dove si guadagnava da vivere per andare a casa e occuparsi delle faccende domestiche, sorprendeva il marito a studiare la Mishnah con Reuben-Hirsch. «La moglie entrava e chiamava il marito. Lui non rispondeva. Allora lei prendeva la scopa e si metteva a pulire. A questo punto Zuskin spiccava il volo verso il pubblico in sala. Il suo non può essere definito un balzo perché avrebbe richiesto un certo sforzo. Tutto ciò che faceva era invece perfetto, tutto!».36
Il Principe von Vlasco e gli altri
102Nel 1922-1923 Zuskin apparve in piccoli ruoli di supporto tra i quali quello di Shlomke in Dio della vendetta [Got fun nekomeh] di Sholem Ash.
103Nel 1924, quando sia gli attori che il pubblico iniziarono a mostrare segni di stanchezza per gli spettacoli ricchi di effetti speciali e allusioni complesse, fu necessaria una tregua e il teatro scelse di presentare Tre uve ebraiche [Drai yidishe pintelekh].37
104In quest’opera il teatro si faceva beffe sia di un musical storico di Odessa per la sua volgarità e cattivo gusto sia del musical americano insipido e stridulo. Derideva inoltre i pregiudizi espressi dagli spettacoli di tono mistico.
105La prima uva: Il principe von Vlasco Drigo. Una tragedia. Teatro ebraico a Odessa. «Si può dire che ha tutto ciò che si possa desiderare: la moglie del sultano Tzipke-Dripke, ladri, l’Ebreo errante e l’aristocratico Principe von Vlasco Drigo. I personaggi sono presi in giro in una satira tagliente ma anche con straordinario senso della misura».38 Zuskin era il Principe von Vlasco Drigo. Finalmente il giovane attore aveva un ruolo in uno spettacolo “esclusivamente” allegro.
106La seconda uva: Il musical ebraico in America. Qui c’erano soltanto danze e canti. Le parti di dialogo non in rima erano utilizzate per introdurre la danza e il canto. Tutti i partecipanti seguivano un ritmo sincronizzato ed erano felici di danzare e contagiare il pubblico con le proprie risate. Zuskin interpretava un afroamericano. Accennando alla somiglianza tra i due spettacoli, La strega e Porgy e Bess, era emerso che i due gruppi di attori si somigliavano nella loro connessione con il ritmo del loro popolo. Qui l’ebreo Zuskin riusciva a incarnarli entrambi ballando il tip-tap con la precisione di un afroamericano.
107Terza uva: Una notte dal rebbe chassid. Quasi tutte le scene erano di massa. La precisione e la bellezza erano fuori dal comune. Gli attori esultavano sinceramente, come fanno i chassidim, «danzando e battendo le mani si mitiga anche la sentenza più dura».39 Purtroppo né le danze né gli applausi che Zuskin ottenne in abbondanza avrebbero mitigato la sua sentenza definitiva.
Il secondo badkhen
108Un anno dopo, nel 1925, il teatro mise in scena Una notte al Mercato Vecchio [Bay nakht afn altn mark], basato sul dramma romantico di Yitshak Leybush Peretz.
109L’opera è una sorta di “carnevale dei fantasmi” in cui una città morta e un cimitero prendevano vita. Nella città morta abitavano i vivi: la guardia, le prostitute, i clerici, le vecchie, gli ubriaconi e i bambini che gridavano e correvano; le persone si rivolgevano qualche parola, canticchiavano, ridevano, gridavano, pregavano, piangevano e tornavano alle loro povere case fatiscenti passando dal Mercato Vecchio. I badkhen li disperdevano ripetendo con un ruggito e tra le risate: «I morti si risveglieranno!». Appariva allora una vera e propria parata di morti, adulti e bambini, che danzavano a un matrimonio in nero e poi erano portati via da un soffio di vento, scomparendo accompagnati dalla risata beffarda dei badkhen.
110Questa era la trama “divertente”. I movimenti di scena, la musica, le scenografie, tutto contribuiva alla potenza straordinaria dello spettacolo. Il ritmo era molto concitato: il suono, i movimenti, le luci – un fascio di luce faceva emergere un personaggio, il suo volto o le sue mani, un piede – un discorso, anche una frase di sole tre parole poteva essere spezzata e pronunciata da tre diversi attori.
111Quando Granovskij adattò l’originale divise il badkhen, il personaggio centrale in Peretz, in due: mise quindi al centro dell’opera ben due badkhen. Il Primo Badkhen (Michoels) era il “messaggero della negazione”.40 Sembrava inequivocabile e invece mandava un messaggio duplice: negava l’esistenza stessa dell’evanescente mondo delle ombre e allo stesso tempo lo prendeva in giro, come se in realtà esistesse. Il Secondo Badkhen (Zuskin) non aveva testo, perché non esisteva nell’opera di Peretz. I suoi segnali erano una eco di quelli del Primo Badkhen, ripeteva rapidamente le sue intonazioni, le parole sembravano volare e sfrecciare come pallottole. Si rivolgeva al Primo Badkhen ruotando come una trottola ma Zuskin agiva sempre in modo indipendente, nelle scene più leggere come in quelle in cui si sfiora la tragedia.
112Quando i due badkhen stavano uno di fronte all’altro, il Secondo nella parte bassa della scena e il Primo in quella alta, con le sue battute e i suoi movimenti, il primo era il riflesso del secondo. La situazione che si creava poteva essere buffa e divertente, in realtà il comportamento del Secondo Badkhen alleggeriva i gesti taglienti del Primo rendendo le sue parole sarcastiche un po’ più umane.
113È difficile spiegare perché Granovskij avesse scisso il personaggio del Badkhen in due. Forse aveva capito che quello del doppio sarebbe stato un tema ricorrente nelle produzioni del Goset. Era stato anche il caso della Strega. Il regista aveva capito che gli accesi contrasti tra le azioni matematicamente precise di Michoels-Hotzmach e quelle della Strega volante di Zuskin avrebbero trasmesso qualcosa che altrimenti sarebbe sfuggito a una spiegazione razionale. Sembrava voler scommettere: che cosa tireranno fuori quei due?
114In realtà, l’ispirazione, i sentimenti di fiducia e sfiducia, le ferite del destino e persino la morte sarebbero volati tra Michoels e Zuskin come le parole avevano ronzato tra loro nelle vesti dei due badkhen. Il doppio messaggio del comportamento del Primo Badkhen sarebbe riemerso più volte nei personaggi interpretati da Michoels. Più di una volta Zuskin sarebbe rimasto colpito e triste riconoscendo qualcosa di simile in Michoels anche come uomo. L’idea dell’alter-ego sarebbe emersa molte altre volte, nella vita e nell’arte, nonostante in realtà Zuskin fosse sempre se stesso.
115Lo spettacolo Notte al Mercato Vecchio colpì il pubblico e i critici di tutta Europa. Alfred Kerr, tra i critici più eminenti e influenti del tempo, scrisse: «Questa è grande arte. Grande arte. L’eternità espressa con una pantomima… Incredibile».41 In questo spettacolo vi era qualcosa di nascosto, la sua profondità era tale da risultare inafferrabile. Dopo una performance di Una notte al Mercato Vecchio a Vienna, un uomo chiese che a Granovskij fosse riferito che l’opera lo aveva sconvolto al di là di ogni immaginazione. «Chi devo dire?», fu chiesto, l’uomo ripose: «Sigmund Freud».
116Nel 1968 negli Stai Uniti fu pubblicato un elenco dei cento migliori spettacoli al mondo andati in scena nei cinquant’anni precedenti la fine della Seconda Guerra Mondiale. L’elenco includeva due spettacoli del Goset con la regia di Granovskij: Notte al Mercato Vecchio e I viaggi di Beniamino Terzo.
117Nel 1925, il Teatro Ebraico di Stato da Camera di Mosca (Gosekt) fu promosso: la definizione “da camera”, che denotava obiettivi modesti e un pubblico ristretto, fu rimossa e fu rinominato Teatro Ebraico di Stato di Mosca [Gosudarstvennyj Evreiskij Teatr], da cui l’acronimo Goset.
Marito
118Prima dell’apertura della nuova stagione 1925-1926 in teatro si era accumulato molto lavoro burocratico e anche prima che iniziassero le prove a Zuskin fu chiesto di dare una mano negli uffici, come faceva un tempo.
119Con l’acquisizione del nuovo status, il teatro doveva attenersi a nuovi criteri, la compagnia si aspettava rinforzi, soprattutto danzatori poiché l’arte del movimento era ritenuta molto importante. Da quasi due anni esisteva una scuola che preparava i danzatori per i teatri drammatici di Mosca e quell’anno alcuni dei suoi diplomati furono indirizzati al Goset.
120Una mattina di settembre nel 1925 Zuskin sedeva alla scrivania dell’ufficio del teatro. Sulla sua scrivania si trovavano le domande di ammissione da compilare e una macchina da scrivere. I diplomati della scuola di danza aspettavano nel corridoio e si accostavano alla scrivania uno alla volta mentre Zuskin scriveva scrupolosamente i loro dati sulle domande di ammissione.
121Fu il turno di una delle ragazze. Gli occhi fissi sul foglio, Zuskin chiese: «Nome?», «Eda»; «Cognome?», «Berkovskaja». Alzò lo sguardo dalla macchina da scrivere per una frazione di secondo. Due mesi dopo erano marito e moglie. Anche a questo incrocio della vita di Zuskin c’è un oggetto, ancora una macchina da scrivere.
122Mia madre, Eda Berkovskaja, era arrivata a Mosca nel 1922 dalla sua città natale, Minsk. A Mosca si era diplomata in studi classici al ginnasio russo e aveva iniziato a studiare danza durante il giorno, la sera frequentava lezioni di storia dell’arte all’università. Dopo essere stata accettata al Goset, come mio padre prima di lei, abbandonò l’università.
123Mia madre ha lavorato al Goset fino alla sua chiusura nel 1949. Iniziò la propria carriera come danzatrice, in seguito diventò anche attrice ma non abbandonò mai del tutto la danza: lavorò come danzatrice e come assistente coreografa.
124Il matrimonio dei miei genitori sarebbe durato ventitre anni, dal 22 novembre 1925 al 15 dicembre 1948, quando mia madre partì per una tournée e al ritorno scoprì che in sua assenza mio padre era stato arrestato. Avrei potuto chiudere questo paragrafo come finiscono le favole: «E vissero tutti felici e contenti fino a quando la morte non giunse a separarli». A separare i miei genitori fu qualcosa di molto più terrificante persino della morte.
Friedl, l’Angelo buono
125Nel 1926 Granovskij mise in scena Il decimo comandamento [Dos tsehnte gebot], tratto da un testo di Goldfaden e adattato da Dobrušin, allestito come una sorta di varietà. Ricordava Tre uve ebraiche ma c’era una profonda differenza, nelle Uve si derideva il vecchio teatro yiddish, mentre qui la satira era rivolta alla borghesia boriosa e compiaciuta.
126Il lavoro di Goldfaden fu utilizzato come base per l’adattamento della pièce in “stile shtetl ebraico” che tratta della moralità del comandamento «non desiderare la donna d’altri». In questo allestimento ci si faceva beffe del Paradiso, dell’Inferno e dell’arroganza che domina il pianeta. Tutto con ricchezza e vivacità di colori.
127Le figure principali erano Michoels e Zuskin: Michoels era l’Angelo Cattivo intelligente e razionale, Zuskin l’Angelo Buono, silenzioso e impacciato.
128Prima di parlare di angeli, restiamo tra le cose terrene e aggiungiamo che in Decimo comandamento debuttò mia madre, Eda Berkovskaja.
129La trama di Decimo comandamento aveva inizio in Paradiso, dove due angeli, il Buono e il Cattivo, facevano una scommessa: «Che cosa determina come va il mondo?». Nelle loro peregrinazioni sulla terra, l’angelo Cattivo era Ahitoyfel, servitore del ricco Ludwig a Berlino, l’Angelo Buono era Friedl, servitore del ricco Genoch nella città di Nemirov. Poiché i due uomini ricchi venivano scelti per risolvere la loro disputa, Ahitoyfel li convinceva, per iniziare, a scambiarsi le mogli. La trama si svolgeva nell’Europa dell’est e tra Berlino, Parigi, la Palestina e il Paradiso.
130In ognuno di questi luoghi il personaggio di Zuskin assumeva a sua volta le sembianze di qualcuno: quelle dell’Angelo Buono in Paradiso, l’umile servo Friedl sulle strade dell’Europa orientale e l’intrattenitore in abiti eleganti in uno spettacolo di cabaret di un prestigioso caffè parigino.
131Nel ruolo dell’Angelo, Zuskin scivolava con agilità e ritmo sulla scena, come un angelo in cielo. La sua andatura svolazzante era anche caratteristica del personaggio di Friedl, così che il pubblico non poteva dimenticare che si trattava dell’angelo. Guardando la fotografia di Friedl vediamo che i suoi piedi erano paralleli e perpendicolari rispetto al pubblico, stavano uno di fronte all’altro e immaginando una camminata veloce con questa postura è possibile cogliere quel suo “svolazzare”.
132Nel ruolo vi era una combinazione di clownerie e adulazione, c’era anche ironia, a Zuskin piaceva Friedl e lo metteva in ridicolo.
133Verso la fine dello spettacolo, Friedl capiva che nel mondo non vi sono né giustizia né onestà e abbandonava il ruolo di angelo. Gli altri personaggi lasciavano il Paradiso per l’Inferno perché più divertente e affiggevano un cartellone: «non desiderare…» Decoravano il cartellone con molte lampadine, ma casualmente il «non» restava oscurato. La trama era insomma il decimo comandamento al contrario.
134Per quanto riguarda Zuskin, ancora una volta si immerse in un’atmosfera da varietà. È importante notare che nel personaggio di Friedl si trovano le fondamenta di quella che fu la più grande interpretazione di Zuskin, il personaggio di Senderl.
Senderl
135Il 20 aprile 1927 debuttò una nuova produzione, I viaggi di Beniamino Terzo [Massoes Binyomin Hashlishi]. Dopo venticinque anni di lavoro in teatro e nel cinema, nel 1946 Zuskin avrebbe affermato: «I viaggi di Beniamino Terzo è stato la cosa migliore che io sia mai riuscito a fare».42
136Il lettore comprenderà quindi perché io voglia dedicare a questo spettacolo un’attenzione particolare.
137L’opera teatrale si basa sulla versione yiddish del racconto di Mendele Moykher Sforim43 rielaborata e diretta da Aleksej Granovskij, con scenografie di Robert Falk e musiche di Lev Pul’ver. Al centro della trama ci sono due ebrei, Beniamino e Senderl, noti nel mondo della letteratura come “Don Chisciotte e Sancho Panza in versione ebraica”. Sono i più poveri e disprezzati della cittadina di Tuneyadevke.44 Tutti, anche le loro mogli, li disprezzano, in particolare Senderl, soprannominato “Senderl la Casalinga” per la sua codardia. Disgraziato e oltraggiato, Senderl segue Beniamino il sognatore in un viaggio che termina, con stupore degli stessi protagonisti, con il loro ritorno a Tuneyadevke.
138Il racconto è un testo dalla satira tagliente, il titolo stesso è satirico: un giro intorno a una città è definito un viaggio e il protagonista, Beniamino, conquista il titolo di Terzo, verosimilmente successore di una stirpe di altri due famosi viaggiatori, Beniamino di Tudela nel Dodicesimo secolo, noto come Beniamino Primo e Joseph Israel nel Diciannovesimo secolo, che si fece chiamare Beniamino Secondo in memoria del Primo.
139Il testo mitigava la satira dell’originale e lo spettacolo la ammorbidiva ulteriormente: «Dietro il sarcasmo di Mendele Moykher Sforim è possibile vedere tutti i Beniamini e i Senderl illuminati dalla nobiltà d’animo»,45 questa l’interpretazione di Zuskin.
140In scena il personaggio di Zuskin aveva un aspetto stravagante: il volto era sbarbato come quello di una donna, aveva un grosso neo sulla guancia sinistra da cui fuoriuscivano tre lunghi peli, la guancia destra era bendata e gonfia a causa degli schiaffi ricevuti dalla moglie, aveva gli occhi innocenti di un bambino, il ventre gonfio per la fame, le gambe un po’ piegate. L’abbigliamento era sia maschile sia femminile, i pantaloni in lino di cotone ingrossavano le cosce e lo facevano sembrare una donna insieme a uno scialle che portava sulle spalle all’inizio dello spettacolo, sostituito in seguito da un cappotto da donna, completava il quadro un berretto da uomo con la visiera rotta. Per essere certi che “Sancho Panza” fosse più basso di “Don Chisciotte”, Zuskin, che in realtà era più alto di Michoels, dovette trovare il modo di ridurre la propria statura. «Mentre lavoravo su Senderl, una volta vidi su un carretto un uomo con le gambe piegate, forse per il rachitismo… Mi resi conto che avevo bisogno proprio di quelle gambe», ricordava Zuskin.
141Quell’aspetto comico e patetico e il comportamento che rivelava nobiltà d’animo avevano indubbiamente un effetto potente, ma l’impressione prodotta dall’aspetto esteriore si dissolveva lungo lo sviluppo della trama.
142Nonostante il ruolo di Senderl avesse molto testo e non permettesse di sostituirlo quasi per niente con gesti o espressioni del volto, prediletti da Zuskin, l’attore riuscì a trovare momenti in cui introdurre alcuni “gesti parlanti”.
143Il Senderl di Zuskin aveva un animo buono: «Se c’è del sentimentalismo, appartiene a Senderl, non all’attore Zuskin».46 Per mostrare il lato comico di tale sentimentalismo, Zuskin scelse il grottesco.
144Lo spettacolo rimase in cartellone per quindici anni. Io non l’ho mai visto perché il debutto risale a prima della mia nascita e nei suoi ultimi anni ero ancora una bambina. Ho sempre saputo però che per mio padre nessuno dei suoi successi ha significato quanto Senderl.
145Questo spettacolo e il nome Senderl sono anche legati alla storia della mia vita. Secondo la tradizione ebraica, i figli prendono il nome dal nonno, in ogni caso, il primo nome dei miei figli riflette due aspetti della personalità del loro nonno: Aleksander (versione russa del Senderl yiddish), il suo punto più alto come attore, e Beniamino o Veniamin, il suo nome da uomo. E a parer mio nessun titolo è adatto a questo libro quanto I viaggi di Veniamin Zuskin.
146«Che sia sul piede destro!», con queste parole gli ebrei augurano buon viaggio. Sono le parole di apertura pronunciate da Beniamino e Senderl quando partono per il loro viaggio. Quando il Goset andò in tournée in Europa, l’augurio «Sul piede destro!» fu riportato dai giornali come titolo per la colonna delle recensioni degli spettacoli del Goset. Quando qualcuno nella nostra famiglia sta per mettersi in viaggio o deve iniziare qualcosa di importante non c’è augurio migliore di «Sul piede destro, Senderl!».
147In scena, quando Senderl sentiva questa benedizione di Beniamino, faceva un passo con la destra e si rivolgeva al cuore dello spettatore. Era indimenticabile.
148Entrambi sono indimenticabili, Michoels-Beniamino e Zuskin-Senderl.
149Il loro duo era così riuscito, unito, completo e formidabile nella perfezione di ognuno! Ciò vale anche per le differenze che esistevano tra loro: mentre Beniamino prevedeva che da qualche parte ci fosse qualcosa di buono per l’umanità intera, Senderl, che gli è fedele, era incantato da quel suo sogno ma in cuor suo sapeva che si trattava di idee irrealizzabili. Non era distaccato dalla realtà e non smetteva di preoccuparsi per il proprio fagotto, contenente tutte le loro “ricchezze”, rimasugli di cibo e una manciata di copechi. In futuro Michoels avrebbe lavorato assiduamente per il bene dell’umanità mentre Zuskin, fedele all’amico, non avrebbe mai cessato di preoccuparsi per il loro bagaglio di ricchezza spirituale, ricchezza autentica dal suo punto di vista.
150Guardandoli uno di fianco all’altro si vedono chiaramente le somiglianze e le differenze: Beniamino camminava a testa alta, il bastone stretto nella mano destra, la sua figura ricorda una corda tesa. Senderl aveva anche lui un bastone da passeggio nella destra ma si trascinava dietro la canna, lo sguardo era rivolto verso il basso, a terra. Come sono giuste quelle gambe piegate!
151Dove erano diretti? Dove li stavano portando quelle gambe? Chiedevano dove svoltare ai contadini nei campi, a chiunque incontrassero, ai bagni pubblici o al mercato: «Qual è la strada per la Terra d’Israele?». Arrancavano oltre, con i loro bastoni, i profili rivolti al pubblico.
152Il viaggiatore sfinito raggiunge una locanda e si riposa, loro si sdraiavano su dure panche di legno: «Oi! Ai!», si sentiva la voce profonda di Beniamino, «Oi! Ai!», Senderl ripeteva quelle esclamazioni con voce delicata. L’orchestra dava un preavviso di ogni intonazione e la concludeva. «Beniamino, mi senti? Ho fame. Potrei mangiare qualcosa prima di dormire. E tu, Beniamino?»; «Io?», anche se la sua voce faceva trapelare la fame, Beniamino continuava a fare l’eroe: «No, buonanotte». «Beniamino, sei sveglio?». Dall’orchestra rimasta in silenzio durante la conversazione arrivava la nota più alta e leggera dell’oboe e il fagotto prendeva vita come se replicasse le domande e le risposte: «Sto dormendo», rispondeva Beniamino; «Quindi, stai dormendo?», «Sto dormendo», la voce di Senderl, accompagnata dalle note alte e leggere dell’oboe, si sentiva appena. I due compagni si auguravano ancora una volta la buonanotte e finalmente si addormentavano.47
153Nei loro sogni si vedevano in una terra immaginaria. Una creatura che stranamente somigliava all’inserviente dei bagni pubblici in cui si erano fermati lungo il cammino li portava da Alessandro Magno, il quale ungeva il capo di Beniamino che diventava re degli Ebrei dai Capelli Rossi e lo dava in sposa alla figlia, Rahab la Prostituta. Tutti si univano alla festa, con cibo e vino in abbondanza. Nel bel mezzo della festa danzante comparivano le mogli di Beniamino e Senderl che si mettevano a picchiare i mariti.
154La musica da festa era sostituita dai gemiti di Senderl: «Oi! Ai»; «Che cosa succede, Senderl?», chiedeva Beniamino; «Ho avuto un incubo, Beniamino», rispondeva Senderl in preda allo sconforto; «Anche io», anche Beniamino era avvilito, l’uno raccontava il proprio sogno all’altro. Ma guarda, lo stesso sogno!
155«Bene, allora. Proseguiamo il nostro cammino. Sul piede destro, Senderl!»; «Sul piede destro, Beniamino!», mormorava Senderl, con devozione ma senza speranza. L’orchestra suonava una ripresa, i due si rimettevano in viaggio e arrancavano oltre, con il bastone in mano e il profilo rivolto al pubblico.
156A questo punto la musica cambiava e diventava una marcia lenta che permetteva al pubblico di capire quanto per i due compagni fosse faticosa la traversata e di immaginarsi al loro posto. «Vediamo la città con gli occhi della disgraziata coppia, con loro attraversiamo il mercato e facciamo il bagno ai bagni pubblici, poniamo l’ultima domanda al contadino: “Da che parte si va per la Terra d’Israele?” La strada è questa e porta all’eternità perché Michoels e Zuskin hanno messo l’anima in quel “Oi! Ai!”», scrisse un critico ebreo austriaco.48
157Improvvisamente i movimenti e la musica si arrestavano.
158I due viaggiatori si ritrovavano nella loro vecchia città; «Non c’è niente da fare, Senderl», diceva Beniamino: «Dopotutto, la terra è rotonda»; «Sì», rispondeva Senderl disperato, «Ma che cosa diremo alle nostre mogli?», si era accorto che le mogli furiose erano poco distanti.
159«Comunque, abbiamo fatto un sogno bellissimo, è vero, Senderl?»; «Che sogno! Che sogno!», ripeteva Senderl con voce che esprimeva prima angoscia, poi entusiasmo e infine disperazione.
160La musica tornava a farsi sentire con forza e i due compagni intonavano la famosa canzone, Che sogno!:
Beniamino: «Ci siamo seduti davanti a un piatto saporito». Senderl: «Ci siamo seduti e non abbiamo mai mangiato».49
L’orchestra rendeva la performance perfetta. Una sinfonia senza pari! «Le uscite strampalate dell’ispirata coppia Michoels-Zuskin iniziano a sbiadire al confronto con le loro anime nobili e tragiche. Alla fine della prima, il pubblico si è alzato tutto, sembrava che il teatro stesse per esplodere»,50 scrisse un critico.
Con mio rammarico, non ho mai visto l’ “ispirata accoppiata” eccezion fatta per una occasione in memoria di Mendele Moykher Sforim nel 1947. I miei genitori mi portarono a vedere con i miei occhi quali miracoli possono accadere, anche se per breve tempo.
161I due apparvero in abiti da sera scuri, mio padre indossava una camicia inamidata, il papillon e scarpe di vernice. Sapevo che non amava apparire in abiti formali quando doveva interpretare un personaggio in occasioni come questa: «Preferisco non essere in camicia bianca e giacca e frac ma piuttosto con il costume e il trucco del personaggio»,51 ha scritto nella sua autobiografia.
162In ogni caso, nel momento in cui sentii il loro «Oi!» e «Ai!» dimenticai il papillon e davanti a me vidi quei due sfortunati individui con un grande sogno che non potrà mai realizzarsi. La sensazione di toccare qualcosa di irraggiungibile perseguitava non soltanto i due in scena, raggiunse anche me che sedevo tra il pubblico al fianco di mia madre nel suo abito da festa. La sensazione fu mantenuta nella voce di Michoels, profonda e carica di pathos, e dalla voce di mio padre, buona e gentile: «Che sogno!».
163E che risveglio.
164La performance di Beniamino e Senderl era nella seconda metà del programma della serata. La prima parte prevedeva alcuni discorsi. Il discorso di Michoels è rimasto impresso nella mia memoria, era molto suggestivo.
165Aveva parlato, tra le altre cose, di come Mendele non escludesse dai propri testi parole di altre lingue. Nella versione del racconto che aveva scritto in yiddish, Beniamino e Senderl si rivolgono ai contadini sulla strada in russo: «Kudy doroga na Eretz-Yisroel?» (Da che parte per la Terra d’Israele?). Nel giorno dedicato a Mendele, quella domanda non ebbe risposta. Poco tempo fa, aveva detto Michoels, il compagno Gromyko ha risposto a quella domanda dal palco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.52 Sentendo queste parole, il pubblico era esploso in un giubilo incontrollato.
166L’evento in memoria di Mendele Moykher Sforim ebbe luogo nel dicembre del 1947 e nel suo discorso Michoels aveva fatto riferimento al 29 novembre dello stesso anno, quando il rappresentante sovietico alle Nazioni Unite, Andrei Gromyko, aveva annunciato il sostegno del proprio paese alla spartizione della Palestina, che avrebbe portato alla creazione dello stato di Israele.
167Quando il giorno dopo il memoriale, come da accordi presi in precedenza, Michoels andò a ritirare la registrazione del proprio discorso, gli riferirono che la registrazione era stata distrutta: «Un errore tecnico», dissero.
Ci siamo seduti davanti a un piatto saporito.
Ci siamo seduti e non abbiamo mai mangiato.
Grande attore in ruoli minori
168A seguito dello straordinario successo dello spettacolo I viaggi di Beniamino Terzo, le autorità decisero di mandare il Goset all’estero al fine di promuovere l’arte dell’Unione Sovietica, in particolare quella delle minoranze nazionali residenti nel paese e discriminate in passato. Le più importanti istituzioni sovietiche avviarono trattative con agenti dei teatri occidentali, intanto il teatro mise in cartellone alcuni nuovi spettacoli.
169Uno di questi era destinato a pagare i debiti del teatro con il Comitato Centrale per il Repertorio, il quale esigeva che si mettessero in scena opere su soggetti legati alla Rivoluzione. Così, il 27 novembre 1927, a dieci anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, il teatro debuttò con Rivolta [Oyfshtand] del drammaturgo sovietico Lipe Reznik. Il Comitato per il Repertorio non ne fu soddisfatto: nonostante ci fosse un riferimento alla rivolta degli oppressi contro coloro che li governavano, la vicenda si svolgeva sulle lontane isole di Giava, che non era un territorio rilevante per la storia della Russia sovietica. Comunque era meglio di niente.
170A Zuskin fu offerto un ruolo secondario, uno dei capi della rivolta.
171Non era il primo spettacolo basato su un testo sovietico, un anno prima dei Viaggi, nell’aprile del 1926, il teatro aveva presentato lo spettacolo 137 case per bambini [Hundert-zibn-un-draysik kinderhayzer], adattamento di un racconto dell’autore sovietico Abraham Veviurka.
172Il lettore deve cogliere una sfumatura particolare. La ragione per cui la pièce si intitolava 137 case per bambini (orfanotrofi) è ovvia, al centro della produzione vi era una richiesta di donazione per gli orfanotrofi. Ma perché il numero 137? La risposta era che nonostante le numerose concessioni fatte al Goset, il teatro desiderava ancora ricordare ai seguaci e a chi tra il suo pubblico poteva riconoscerlo le parole del quarto versetto del Salmo 137: «Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia mano destra».
173Zuskin fu fortunato che quello del matto del villaggio fosse un ruolo secondario privo di implicazioni ideologiche e il caso volle che Eda Berkovskaja interpretasse il ragazzino selvaggio che provoca il matto.
174All’inizio del 1927, prima del viaggio in Europa, il teatro aveva messo in scena uno spettacolo molto europeo, Trouhadec. L’opera era stata scritta dal drammaturgo francese Jules Romains e il testo era stato tradotto in yiddish. Nonostante a Zuskin fosse stata offerta una parte interessante, il ruolo di Trestaillon, rifiutò categoricamente. È vero che era passato molto tempo da quando era un dilettante, ma nonostante l’esperienza accumulata, non si sentiva pronto a interpretare la parte di un non ebreo. Molto più avanti ho letto i testi di Romains e non li ho apprezzati molto. Poi ho pensato che forse una delle ragioni del rifiuto di mio padre a partecipare allo spettacolo derivava dalla suo raffinato senso estetico e dalla sua ambizione alla perfezione.
175L’ultimo spettacolo precedente la tournée europea era di un autore considerato dal Goset come uno di famiglia, Sholem Aleichem. Questa volta si trattava di Luftmentsch. Michoels interpretava il ruolo principale, Menachem-Mendel, un uomo d’aria nonché sensale di matrimoni. Fedele a se stesso, Granovskij sdoppiò il personaggio. Il personaggio del doppio di Menachem-Mendel, Kapote, naturalmente era interpretato da Zuskin, che «decise di creare un personaggio che è l’opposto di Menachem-Mendel».53
176Il pubblico, che aveva famigliarità con le bizzarrie della Strega, ricordava Soloveyčik che camminava sulle punte dei piedi e lo svolazzare di Friedl, fu scioccato di vedere non un uomo d’aria, ovvero «sospeso in aria», ma piuttosto «l’aria senza l’uomo».54
177Due mesi dopo la prima di Luftmentsch, il Goset partì per la tournée europea. Al termine dell’ultimo spettacolo prima della partenza, gli attori attendevano impazientemente qualcosa. Alla fine Zuskin se ne occupò: «Oggi si preparano i bagagli / perché stiamo per andarcene lontano».
178Sentendo la canzone, mentre si struccavano nei camerini, gli attori, gli studenti della scuola del teatro che gironzolavano tra le quinte, mentre i macchinisti abbassavano il sipario, abbandonarono tutti ciò che stavano facendo per unirsi al canto.
Europeo
179Il 2 aprile 1928 la compagnia del Goset, eccitata ed entusiasta, salì sul treno che l’avrebbe portata in Europa.
180La prima stazione era Varsavia. Rimasero in città per alcuni giorni. Per il momento non erano in programma spettacoli in città, forse ci sarebbero stati sulla via del ritorno.
181Gli attori sbarcarono sulla banchina della stazione e si trovarono circondati da persone dall’aspetto distinto venute a dare il benvenuto ai membri della compagnia. Sulla banchina c’erano rappresentanti della comunità ebraica polacca: attori, scrittori, figure pubbliche e membri dell’élite ebraica.
182L’ensemble del Goset fu invitato quella sera al seder della Pasqua ebraica. Dio del Paradiso! Nella vita quotidiana in Unione Sovietica, alcuni attori avevano ormai dimenticato le feste ebraiche e persino la più vicina al cuore di ogni ebreo, non sapevano neanche più che la vigilia della Pasqua cadeva proprio quel giorno. Alla serata sedettero tutti intorno a un tavolo rotondo, a ognuno furono consegnati libretti con la Haggadah in ebraico e in yiddish. Leggendo il testo molti di loro si commossero mentre il rabbino capo di Varsavia leggeva a voce alta.
183Il viaggio a ovest continuò. Gli attori si fecero silenziosi. Pensavano che pur considerando l’Europa un luogo moderno, con le persone ben vestite e le città ben tenute, i negozi di lusso dalle vetrine accattivanti, al loro arrivo avevano incontrato il proprio passato di ebrei, famigliare a molti ma non a tutti, che negli spettacoli che mettevano in scena li faceva ridere. Faticarono ad assimilare l’intensità di quell’incontro.
184A Berlino, dove rappresentarono il primo spettacolo della tournée, non erano più così sicuri che il loro ridere sommessamente fosse davvero soltanto un ridere sotto i baffi. «In apparenza poteva sembrare che il teatro prendesse in giro la tradizione ma non era questo il caso. Per gli ebrei ridere delle proprie tradizioni è una antica tradizione», così Joseph Roth reagì allo spettacolo del debutto.55
185Il primo giorno a Berlino la compagnia fu invitata a un pranzo organizzato in suo onore. La grande sala era decorata dai colori dell’arcobaleno riflessi dai cristalli dei lampadari e dei servizi da tavola. Una sorpresa particolare attendeva la compagnia. Gli attori, abituati con il regime sovietico a uno stile di vita modesto, si sentivano a disagio in quell’atmosfera lussuosa. Furono assai stupiti di scoprire che in quell’ambiente Granovskij, a differenza di tutti loro, si sentiva a casa: conversava con facilità e si poneva sullo stesso piano dei suoi ospiti, eminenti esponenti del mondo della cultura europea. Se a Varsavia gli attori si erano subito resi conto del loro legame con la tradizione ebraica, a Berlino iniziarono a capire che lo stile che tanto ammiravano senza chiedersi da dove venisse, quello di Granovskij, apparteneva alla cultura europea. Quello stile era in effetti il risultato della sintesi di due culture e loro se ne rendevano conto soltanto adesso.
186L’11 aprile il Goset iniziò le presentazioni europee a Berlino, nell’edificio impressionante e imponente del teatro di Des Westens con Duecentomila. Il giorno dopo andò in scena I viaggi di Beniamino Terzo. La stampa berlinese dedicò ai due spettacoli più di quaranta recensioni: «La recitazione […] non abbiamo mai visto niente di simile».56
187Nelle parole di apprezzamento relative alla regia di Granovskij si trovavano perfino affermazioni secondo le quali Granovskij avrebbe superato il proprio maestro Max Reinhardt. Superare i risultati di quest’ultimo era ritenuta una impresa impossibile, essere ammessi all’interno della sua compagnia un sogno che neanche attori tedeschi di fama ritenevano realizzabile: «Se in Europa avessero saputo che un attore aveva rifiutato l’invito da parte di Reinhardt a lavorare con lui sarebbero stati sconvolti e ne avrebbero fatto uno zimbello».57 È possibile immaginare qualcuno di così strano? «Reinhardt mi invitò a far parte della sua compagnia ma io rifiutai»,58 dichiarò Zuskin.
188Dopo alcune settimane di grande successo a Berlino, emerse che i tedeschi consideravano città “ebraiche” Francoforte e Mannheim: «Siamo arrivati a Francoforte durante la festa di Shavuot e i nostri spettacoli sono stati boicottati. Siamo andati a Mannheim, dove le organizzazioni ebraiche avevano organizzato un pranzo di gala. Vi parteciparono i rappresentanti di tutte le organizzazioni ebraiche della città, dagli ebrei ortodossi alle organizzazioni dei lavoratori e dei comunisti. Non fu pronunciata neanche una parola di critica al regime sovietico. Accadde anzi l’opposto».59 Zuskin scrisse queste parole più tardi, da Vienna, a Litvakov a Mosca, con l’obiettivo di rispondere alle accuse rivolte al Goset, tacciato di infedeltà alla madrepatria sovietica.
189La prima tournée in Germania volgeva al termine, li attendeva Parigi. Il Goset era un teatro ebraico che però risiedeva e operava in Russia, dove ogni persona istruita aveva sempre sentito un legame forte con la Francia, ai loro occhi Parigi appariva avvolta dal mistero e ricca di fascino.
190Nella capitale francese andarono in scena al teatro Porte Saint-Martin, nel Marais, quartiere con un’alta percentuale di popolazione ebraica, anche se a teatro si recavano non soltanto ebrei. Il successo del Goset fu tale che in una occasione fu chiamata la polizia parigina affinché mandasse rinforzi a dirigere il traffico congestionato intorno al teatro.
191A Parigi la compagnia incontrò personalità del teatro, scrittori, poeti e pittori. Marc Chagall assistette agli spettacoli e ne fu entusiasta. Gli incontri dei membri del Goset con lui e con altri “traditori”, ovvero con persone che avevano lasciato l’Unione Sovietica e non vi erano più rientrati, la libertà che sentivano senza esserne del tutto consapevoli, la traduzione dell’acronimo Goset come “teatro di Granovskij” invece che come teatro di Stato, tutto ciò suscitò l’ira delle autorità sovietiche.
192In una lettera spedita a Mosca, Zuskin rifiutò le accuse secondo le quali avrebbero avuto contatti con esponenti della destra: «Mi creda, mio caro Moišei Il’ič [Litvakov]… Qualcuno le ha dato informazioni false».60 Certamente “qualcuno “ lo aveva fatto: uno o più informatori, incaricati o infiltrati per riferire alla polizia segreta. È vero, il conflitto tra artisti e regimi è sempre esistito, ma nelle condizioni imposte dall’Unione Sovietica assunse la sua forma più terribile.
193A metà luglio il Goset interruppe per un mese le rappresentazioni, gli attori andarono in vacanza. Insieme ad alcuni amici, Zusa e Eda scelsero un villaggio di pescatori e luogo di villeggiatura, Les Sables-d’Olonne, sulla costa atlantica.
194Il gruppo di vacanzieri lasciò Parigi il 12 luglio, Zuskin fu costretto a posticipare la partenza a causa di un incontro importante e decise di restare a Parigi fino a dopo il 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, festa nazionale. Il 16 raggiunse Eda. Il giorno seguente ricevette un telegramma dal padre Leybe, che gli annunciava il proprio arrivo a Parigi insieme alla sorella Sonia. La data del loro arrivo era vicina a quella in cui gli spettacoli del teatro avrebbero dovuto riprendere.
195Quando si incontrarono, Leybe aveva ormai sessant’anni e spiegò che con il regime borghese in Lituania era stato aggredito perché suo figlio lavorava per un teatro sovietico. Il fratello sarto Yotshak con la sua famiglia si era trasferito in Canada e aveva invitato il padre, la madre e le sorelle a raggiungerlo. Poiché Leybe non aveva trovato lavoro nel paese era andato a cercare fortuna in Sud Africa. Sulla via tra il Canada e il Sud Africa aveva avuto la possibilità di incontrare il figlio a Parigi.
196Voci sulla visita del padre e la sorella di Zusa si erano diffuse rapidamente tra i membri del Goset appena rientrati a Parigi provocando una grande eccitazione. Leybe era entusiasta. Era pieno di orgoglio nel vedere che tutta Parigi acclamava suo figlio. Emozionato per il talento del figlio, scrisse alla cognata Minna: «Che i figli che avrai in futuro possano darti tanta nakhes (soddisfazione, gioia), quanta me ne ha data mio figlio Veniamin. Dopotutto, sei stata tu a incoraggiarlo affinché diventasse attore».61 Quanto era cambiato ciò che scriveva adesso rispetto a ciò che le aveva scritto in passato.
197Dopo la pausa, il teatro andò in scena a Parigi per altre due settimane. Ogni sera, alla fine dello spettacolo, il pubblico sembrava non avere alcuna fretta di lasciare il teatro, gli ammiratori andavano dietro le quinte e tra questi un giorno ci fu anche Chaim Weizmann, presidente del Congresso Mondiale Ebraico e futuro presidente dello Stato di Israele. «Alla fine dello spettacolo, Chaim Weizmann è venuto a incontrarci. Ci ha ringraziati per lo spettacolo e si è mostrato entusiasta… Che cosa avremmo dovuto fare? Voltargli le spalle e andarcene?»,62 si giustificò Zuskin nella lettera già menzionata. Se Weizmann avesse proposto loro di andare in Palestina o se avesse soltanto chiesto di portare i propri saluti alla sorella e al fratello a Mosca, o entrambe le cose, è impossibile saperlo.
198Dopo Parigi andarono in Belgio, a Bruxelles e Anversa, poi in Olanda, ad Amsterdam e a Rotterdam. Si spostavano di paese in paese e di città in città. Lo scenario cambiava ma ovunque andassero, il Goset e i suoi attori conquistavano l’ammirazione e gli applausi delle folle. Dopo il Belgio, l’Olanda, poi nuovamente Parigi, infine Vienna.
199Sul treno che li portava a Vienna, Zuskin scherzava come sempre, nessuno si accorse che in cuor suo era preoccupato. Era sempre entusiasta di incontrare un nuovo pubblico, ma Vienna, stando a quanto si diceva, era la più città più critica e altezzosa di tutte. Sarebbero stati ben accolti anche lì?
200L’ansia di Zuskin aveva a che fare con una lettera ricevuta da Litvakov, che a Vienna avrebbe raggiunto la compagnia. L’ammonimento diretto al teatro durante la sua tournée europea questa volta era più minaccioso. Nella risposta a Litvakov che ho citato, Zuskin concludeva così: «E adesso, per quanto riguarda il comportamento dei nostri attori in Europa. Giuro sul mio onore che abbiamo tutti avuto un comportamento appropriato. Stiamo lavorando al di sopra delle nostre forze […] Che cosa le hanno riferito? Trovo assai scorretto che pur riconoscendoci un successo straordinario, invece di esserne fieri e di augurarcene altrettanto in futuro, muoviate accuse totalmente infondate».63 Zuskin non riusciva a calmarsi. L’incontro con il padre lasciò una ferita aperta. Nel profondo della sua coscienza si agitavano pensieri legati all’offerta ricevuta da Reinhardt e da Chaim Weizmann. Ma che futuro lo avrebbe atteso in Occidente? Pensava a ciò che era accaduto al più grande attore russo nonché il più ammirato da Zuskin, Michail Čechov: una volta emigrato, la sua arte non aveva più incontrato il successo che aveva conosciuto in patria. No, Zuskin si sentiva inscindibilmente legato all’arte di Granovskij e all’ensemble del teatro. Secondo alcune voci, però, Granovskij non sarebbe tornato in Russia. Che cosa sarebbe accaduto? Sciocchezze! Dovevano essere voci infondate. Zuskin non trovava pace, sentiva che il regime sovietico, che in precedenza aveva dato grande ossigeno alla vita del teatro, non si fidava più della compagnia.
201Chissà che cosa gli sarebbe accaduto cinque anni dopo, quando Hitler sarebbe salito al potere, se nel 1928 fosse rimasto in Germania! La roulette del Ventesimo secolo non aveva alcun numero vincente.
202I critici dell’ovest – e va specificato, per essere precisi, quelli di sinistra – davano per scontato che il regime sovietico avesse modellato il teatro a propria immagine e somiglianza. Che cosa pensavano invece i critici non di sinistra? «Ciò che questo teatro è in grado di fare ha lasciato senza parole i critici tedeschi» scriveva uno di loro: «Come vi ha contribuito la longa manus di Lenin e Stalin? In alcun modo. Il teatro ci sembra ben costituito grazie al talento del suo direttore, capace di un atteggiamento audace nei confronti della tradizione e delle convenzioni; è un teatro in cui sotto costumi etnici batte un cuore umano. La compagnia tutta ha un senso del ritmo unico e totalmente alieno all’atmosfera bolscevica».64
203Perché tra tutti fu proprio Zuskin a dover scrivere a Mosca? Da un lato, perché continuò a svolgere il lavoro di segreteria anche durante la tournée in Europa, dall’altro, e questa è la ragione principale, poiché nessuna calunnia poteva essere rivolta alle sue intenzioni genuine. Zuskin apriva infatti la lettera a Litvakov con queste parole: «Ho le mie buone ragioni per pensare che mi crediate come mi avere creduto finora, quindi vi chiedo di credermi ancora. Sto scrivendo la verità».65
204In genere le parole di Zuskin riflettevano la sua devozione come cittadino sovietico, non si accorgeva però che il ritmo dentro di lui era fedele soltanto al proprio mondo ed era invece «totalmente alieno…» rispetto a quest’altro; forse non se ne rendeva conto? È possibile che questi dubbi e paure si stessero già impossessando di lui?
205La tensione e la fatica avevano alcune conseguenze. Zuskin andava in scena, conquistava il pubblico. Poi crollava. Per diversi spettacoli si trovò un sostituto. Tra le nuove frequentazioni di Granovskij c’era Sigmund Freud, il quale visitò Zuskin senza riscontrare alcuna anomalia se non che si trattava di un animo sensibile con un esagerato senso di responsabilità. Dopo alcuni giorni di riposo, le energie di Zuskin erano rinnovate.
206Alla fine di settembre, gli spettacoli di Vienna volsero al termine. In ottobre andarono in scena a Berlino e in alcune piccole città dei dintorni: Magdeburg e Cottbus, a novembre erano ad Amburgo, nel nord della Germania, poi nuovamente a Berlino e infine a Leipzig e Dresda.
207Per tutto questo tempo, mentre il viaggio proseguiva, Granovskij negoziava con gli impresari americani affinché invitassero il teatro negli Stati Uniti. Gli furono offerte condizioni ottimali, i funzionari sovietici erano però prevenuti e sospettosi. Alla fine alla compagnia non fu permesso né di andare negli Stati Uniti né di continuare la tournée in Europa. All’inizio di dicembre fu costretta a tornare a Berlino, dove avrebbe dovuto mettere in scena gli spettacoli di chiusura della tournée e ripartire per il viaggio di rientro a Mosca.
208Nonostante la tournée fosse terminata in modo inaspettato, Zuskin riuscì a organizzare un viaggio per andare a trovare la figlia Tamara, che all’epoca aveva già sette anni.
209All’inizio Tamara non gli si voleva avvicinare ma fu rapidamente conquistata dal fascino della personalità del padre, tratteneva il fiato ascoltando le sue storie divertenti sul teatro e gli spettacoli, mentre lui era ancora preda dell’eccitazione e della soddisfazione per il successo della tournée europea, per gli applausi del pubblico di Berlino, Parigi e Vienna. Quando si separò da Tamara, Zuskin le promise di scriverle e le chiese di fare lo stesso.
210Vorrei esaminare retrospettivamente la tournée trionfale del Goset in Europa, che segnò la fine della prima fase grandiosa della vita di questo teatro, costellata di traguardi.
211Insieme a Duecentomila e I viaggi di Beniamino Terzo, in Europa il Goset portò in scena Una notte al Mercato Vecchio, Trouhadec, La strega, Luftmentsch e Decimo comandamento. Nelle città dove al Goset fu dato più spazio del previsto come a Berlino, presentò anche i brevi atti unici Una notte dal rebbe chassidico, tratto da Tre uve ebraiche, Mazel tov e Documenti di un divorzio, tratti da Una serata con Sholem Aleichem.
212La stampa europea, con rarissime eccezioni, pubblicò recensioni entusiastiche che riferivano della potente impressione prodotta dal «teatro di Granovskij».
213Berlino: «Questo è un teatro che ha davvero una levatura internazionale. Abbiamo davanti agli occhi il teatro, l’intrattenimento, il circo e l’animo umano. Impressionante! »66
214Parigi: «Questa compagnia è ciò di più efficace io abbia avuto la fortuna di vedere finora. Nell’ensemble l’anima è collettiva, lo spirito invece è individuale».67
215Rotterdam: «Anche il pubblico più enigmatico e difficile da conquistare mostra una euforia incontenibile».68
216Bruxelles: «Grande arte, un’arte eccezionale, un esempio per tutti! »69
217Londra: «Che fortuna avere avuto la possibilità di vedere tutto ciò prima di tornare a Londra».70
218Le recensioni non si accontentavano di elogi generalizzati rivolti alla compagnia ma tessevano le lodi di ogni spettacolo.
219«La strega è un’opera che provoca giubilo e una tempesta di applausi».71
220«Notte al Mercato Vecchio è un miracolo insuperato. Tutto si muove, ruota, fluttua, si arrampica, gira, ondeggia così velocemente, ride e piange, cade e si rialza. Meraviglioso. Non è uno spettacolo, è un incantesimo».72
221I viaggi di Beniamino Terzo: «Non vi troverete alcuno dei principi convenzionali della regia né stereotipi dell’ebraismo come la preghiera, i dibbuk, lo stufato dello Shabbat o riferimenti al giorno di digiuno di Tiša B’av. Eppure è una performance teatrale per eccellenza ed è ebraica quanto nessun mortale potrà mai essere».73
222Che cosa avevano scritto i critici sul protagonista di questo libro, Veniamin Zuskin?
223«Zuskin è stato una vera e propria scoperta per noi. Una precisione elegante, un’intelligenza, un’innocenza e una intuizione… Spicca all’interno dell’ensemble. I suoi personaggi sono un misto tra esseri mortali e marionette. La recitazione di Zuskin ha momenti indimenticabili […] compie salti agili e ne gioisce come un bambino. Sia benedetto il teatro che ha questi bambini!».74
224Incantata, l’Europa diede l’ultimo saluto al Goset con grande dispiacere: «Tutto scorre così veloce e ci supera, saremo in grado di valutarlo soltanto nei nostri ricordi migliori».75 Anche Granovskij salutò il teatro con profonda tristezza. Aveva ottenuto un contratto in Germania e ufficialmente si sarebbe trattenuto in Europa fino allo scadere di quel contratto. In realtà, temeva di rientrare a Mosca in un’atmosfera di sospetto e imposizioni. Sarebbe rimasto là, per sfuggire al destino tragico delle sue due star. Anche a lui però fu riservato un destino nefasto. L’ovest avrebbe presto dimenticato l’eccellente tournée europea del suo teatro. Granovskij si trovò a vivere in povertà e morì di malattia nel marzo del 1937 all’età di quarantasette anni. Non vi è alcuna relazione tra genio e Ventesimo secolo. Tra l’altro, per Granovskij la creatività non era conciliabile con alcun tipo di pressione, fosse di carattere ideologico o economico. «Così come era apparso in modo improvviso sulla scena del teatro ebraico, altrettanto improvvisamente scomparve. Non soltanto aveva diretto sedici capolavori, aveva anche fondato, per la prima volta nella storia, un studio teatrale ebraico e una scuola di recitazione che ebbe un impatto sull’intera scena ebraica e sulla sua anima».76
225Nel gennaio del 1929 l’ensemble del Goset rientrò a Mosca senza Granovskij.
Notes de bas de page
1 Processi moscoviti che vedevano gruppi di ingegneri accusati di creare danni all’industria sovietica e di complotti antisovietici. Tutti gli accusati furono condannati, sulla base di false prove, a morte o a lunghe pena detentive.
2 Eduard Bagritskij, Proischoždenie [Origini], in Stichi i poemi, Chudožestvennaja literatura, Mosca 1956, p. 119.
3 V. Zuskin, Dvadtsat’ let Moskovskogo Evrejskogo teatra [Ventesimo anniversario del Teatro Yiddish di Mosca], «Kul’tura i žizn’», 12, dicembre 1939, p. 3.
4 Kratkaja evrejskaja entsiklopedja na russkom jazyke [Breve Enciclopedia Giudaica in Lingua Russa], Keter, Gerusalemme 1982, 2, p. 466.
5 Aleksej Granovskij, Mataroteynu vatafkideynu [I nostri desideri e i nostri doveri], in Chagall: Dreams and Drama: Early Russian Works and Murals for the Jewish Theatre, ediz. ebraica e inglese, Ruth After-Gabriel ed, The Israel Museum, Gerusalemme 1991, p. 37 (della sezione in ebraico).
6 Osip Mandel’štam, “Michoels” in Id., Sobranie sočinenii – Collected Works, vol. III, Inter-Language Literary Associates, New-York 1969, p. 107.
7 Alexander Deutsch, Maski evrejskogo teatra [Maschere del teatro ebraico], Iskusstvo, Mosca 1927, p. 12.
8 Aleksandra Azarch-Granovskaja, Vospominanja. Besedy s Duvakinym [Memorie raccolte da Duvakin], Gesharim, Mosca-Gerusalemme 2001, p. 101.
9 Ivi, p. 136.
10 A. Deutsch, Maski yevreyskogo teatra, p. 15.
11 Ivi, p. 16.
12 Kratkaya yevreyskaya encyclopedia cit., 2, p. 210.
13 A. Azarch-Granovskaja, Vospominania cit., p. 114.
14 Pavel Markov, Teatral’nyie portrety [Ritratti teatrali], Iskusstvo, Mosca 1974, p. 455.
15 V. Zuskin, Dvadtsat’ let cit.
16 Ziva Amishai-Maisels, Chagall’s Murals for the State Jewish Chamber Theater, in Chagall: Dreams and Drama cit., p. 28.
17 Boris Zingerman, Parižskaja škola La Scuola di Parigi (Picasso, Modigliani, Chagall, Soutine), Soyuzteater, Mosca 1982, p. 240.
18 Z. Amishai-Maisels, Chagall’s Murals in Chagall: Dreams and Drama cit., p. 28.
19 O. Mandel’štam, “Michoels” cit, p. 107.
20 S. Michoels, Il mio lavoro sul Re Lear di Shakespeare cit.
21 Yekhezkel Dobrušin, Zuskin, Der Emes, Mosca 1939, p. 5.
22 Ivi, p. 9.
23 A. Azarch-Granovskaja, Vospominania cit., p. 133.
24 Avram Efros, Načalo [Inizio] in Aa. Vv., Michoels. Stat’i. Besedy. Reči, Vospominanjia o Michoelse cit., p. 393.
25 Ivi, p. 391.
26 Jošua Ljubomirskji, Af di lebensvegn [Sulle strade della vita], Sovetskij pisatel’, Mosca 1976, p. 197.
27 Moishe Goldblatt, A vort vegn Zuskinen [Qualche parola su Zuskin], «Sovetish heimland», 1 (gennaio 1970), p. 122.
28 A. Deutsch, Maski evrejskogo teatra cit., p. 15.
29 P. Markov, Teatral’nyie portreti cit., p. 459.
30 Scena della seduzione di Mirele, Traccia #1, Io sono Buba Yakhna, e #2, Vieni con me!, CD, Cubo-Futurist Klezmer (1922-1938) [in yiddish]. Courtesy Mel Gordon, Berkeley University.
31 J. Ljubomirskij, Af di lebensvegn cit., p. 201.
32 A. Efros, Nachalo in Aa. Vv., Michoels. Stat’i. Besedy. Reči, Vospominanjia o Michoelse p. 392.
33 Ibid.
34 A. Azarch-Granovskaja, Vospominanja cit., p. 133.
35 Alexander Gurshteyn, Iskusstvo Zuskina [L’arte di Zuskin], «Teatr i dramaturgia», 4 (aprile 1935), p. 33.
36 A. Azarch-Granovskaja, Vospominanja cit., p. 134.
37 Tre uve (chicchi d’uva) è la traduzione di “drai pintelech” in yiddish. Un “pintele” è anche un punto, nel senso di fare o centrare il punto, oppure, in quanto piccolo chicco, allude all’ardore, alla scintilla vitale. In questo caso valgono i due significati. Inoltre l’espressione “uva ebraica” allude a qualcosa di speciale, poiché i vini di Pesach (la Pasqua ebraica) sono fatti con le migliori uve.
38 A. Deutsch, Maski evrejskogo teatra cit., p. 33.
39 Simha Raz, A Very Narrow Bridge: Sayings of Rabbi Nakhmen of Breslov, Keter, Gerusalemme 1999, p. 255.
40 Khone Shmeruk, “By Night at the Old Marketplace by I.L. Peretz at the Moscow Jewish Theater”, in Aa. Vv., The Jewish Theater in the Soviet Union: Studies Essays Documents, Mordechai Altshuler, ed, Hebrew University, Gerusalemme 1996, p. 240.
41 Alfred Kerr, Das Moskauer Jüdische Akademische Theater, «Berliner Tageblatt», 10 ottobre 1928.
42 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
43 Mendele Moykher Sforim ha scritto due versioni dei Viaggi di Beniamino Terzo, in ebraico e in yiddish.
44 “Tuneyadevke” significa “Città dei Parassiti”.
45 J. Ljubomirskij, Af di lebensvegn cit., p. 217.
46 Y. Dobrušin, Zuskin cit., p. 24.
47 Scena della locanda. Traccia #8, Sogno del banchetto. CD, Cubo-Futurist Klezmer cit.
48 Zalmen Lev, Fun Yarden biz Volga, «Yiddish», 8/9 (agosto-settembre 1928), p. 5.
49 Scena della locanda, seguito. Traccia #8, Sogno del banchetto. CD, Cubo-Futurist Klezmer cit.
50 A. Efros, Nachalo in Aa. Vv., Michoels. Stat’i. Besedy. Reči, Vospominanjia o Michoelse cit. p. 404.
51 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
52 Discorso di Solomon Michoels [in russo], 1947. Memoria dell’autore.
53 V. Zuskin, Curriculum vitae cit.
54 Y. Dobrušin, Zuskin cit., p. 28.
55 Joseph Roth, Mit dem rechter Fuss [Sul piede destro], «Leipziger Volkszeitung», 23 novembre 1928.
56 Franz Servaes, Das Moskau Jüdische Akademische Theater, «Berliner Localanzeiger», 10 maggio 1928.
57 Hans Taschemka, Was haben Michoels und Zuskin derzehlen, [Cos’hanno detto Michoels e Zuskin], «Welt-am-Abend», 20 novembre 1928.
58 Ibid.
59 Vladislav Ivanov, Goset: politika i iskusstvo 1919-1928 [Goset: politica e arte], Gitis, Mosca 2007, p. 376.
60 Ivi, p. 377.
61 Magid, Lettera. Vd. anche l’Atto primo di questo libro.
62 V. Ivanov, Goset cit., p. 378.
63 Ibid.
64 Nathan Volkoviskij, Pis’mo iz Berlina [Lettera da Berlino], «Poslednie novosti», 11 agosto 1928.
65 V. Ivanov, Goset cit., p. 250.
66 Alfred Kerr, Das Moskauer Juedische Theater, «Berliner Tageblatt», 12 ottobre 1928.
67 La Parisiénne, Théâtre Juif de Moscou, «L’Humanité», 9 luglio 1928.
68 Saul Koster, Théâtre Académique Juif de Moscou, «Le Journal de Rotterdam», 15 ottobre 1928.
69 Marcel Cohen, Théâtre Académique Juif de Moscou, «De Tribune», 2 novembre 1928.
70 Bernard Dean, The Moscow Jewish Academic Theater, «The Times», 28 agosto 1928.
71 Nathan Falk, Das Moskau Juedische Akademische Theater, «B. Z. am Mittag», 19 ottobre 1928.
72 Alfred Kerr, Das Moskauer Judische Theater, «Berliner Tageblatt», 14 ottobre 1928.
73 E. Lev, Ot Iordana do Volgi, agosto-settempre 1928, n. 4-8.
74 Ibid.
75 Fabian Engel, Theater fun Moscow, «Berliner Tageblatt», 11 novembre 1928.
76 Nakhmen Mayzel, Alexei Granovsky, «Literarische Bleter», 19, 1937.
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