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Primo atto (1899-1920)

p. 8-22


Texte intégral

Nëmka

1Il 28 aprile 1899, nella città di Ponevež, in Lituania, nella famiglia del sarto Leybe Zuskin e di sua moglie Chaya nacque un bambino, Binyomin o Nëmka in yiddish, Beniamino in italiano, Veniamin nella traslitterazione dal russo, mio padre.

2Era il terzo dei fratelli, dopo Abraham, di sei anni, e Yitshak, di tre. In seguito sarebbero nate tre femmine, Sarah (Sonia), Menukha e Frieda. I mezzi di sostentamento erano scarsi ma ciò non impedì ai membri della famiglia di essere solidali tra loro, generosi ed eccezionalmente ospitali. Nëmka fu allevato in un’atmosfera di calore, compassione e amore.

3Mio padre avrebbe potuto presentarsi come faceva Antoine de Saint-Exupéry: «Da dove vengo? Dalla mia infanzia» (cito a memoria). Per lui l’infanzia non era soltanto l’inizio della vita o una collezione di ricordi commoventi, l’infanzia di Zuskin costituiva il suo io più profondo ed è intrecciata alla sua vita e alla storia che le pagine del mio libro raccontano.

4Mi sembra di conoscere l’infanzia di mio padre come l’avessi vissuta io stessa. Quando eravamo insieme mio padre mi chiedeva spesso: «Che storia vuoi che ti racconti?» e io rispondevo: «Raccontane una di ME! (MEmorie dell’infanzia di mio padre), un gioco di parole che conoscevamo soltanto lui ed io.

5Soltanto ora mi rendo conto che quelle storie di ME erano capolavori. Tutto ciò che mio padre aveva assorbito nel corso della propria infanzia era vivo in lui, era la materia prima delle storie di ME e non soltanto, era la materia prima delle sue creazioni artistiche. Non ho avuto la fortuna di vedere mio padre interpretare molti ruoli, ma il destino mi ha ricompensata con queste storie. Non ho avuto la possibilità di conoscere le persone che circondavano mio padre da ragazzo ma ancora oggi prendono forma ai miei occhi, mi appaiono come in carne e ossa emergendo dalla nebbia dei ricordi. Li vedo e li sento, parlano, si muovono, mangiano e bevono, cantano, piangono e ridono.

6Tra loro vedo una figura che fa alcuni balzi, è scura come quelle dei film in bianco e nero, un ragazzo esile e sensibile che vorrebbe essere ovunque, vedere, conoscere e assorbire tutto e tutti. Cresce sotto i miei occhi, entra in scena e acquista i colori, i suoi movimenti si fanno rapidi. Poi la visione pian piano si offusca, la figura cessa di muoversi, torna un ragazzo giovane. La sostituisce quella di un uomo che mi volta le spalle curve. Un raggio di luce mi acceca, sento suonare un campanello di allarme. Il fuoco divora tutto; ne viene fuori il ragazzo giovane, sparpaglia la cenere con i piedi e corre verso di me.

7Che gioia, papà non è impegnato, è sul suo divano verde scuro, i piedi sul bracciolo. Posso chiedergli: «Papà, raccontami qualcosa di ME!».

8E lui inizia a raccontare.

9Leybe, il padre di mio padre, era un uomo speciale. In gioventù aveva sognato di diventare medico. La sua vita però aveva preso un’altra direzione. Il padre lo aveva costretto a lasciare la scuola e diventare sarto per portare avanti una dinastia di sarti che rischiava di estinguersi.

10Quando Nëmka era giovane, i suoi nonni vivevano nella casa del padre e il nonno lavorava in una sorta di sartoria. Il rapporto con il vecchio sarto avrebbe segnato la prima stazione sulla strada che avrebbe condotto all’attore Zuskin.

11Il bambino si rendeva conto che gli adulti erano diffidenti con il nonno, pur rispettandolo. Anche se anziano e fragile, era ancora in grado di fare fuoco e fiamme con chiunque si comportasse a suo avviso in modo inappropriato.

12Nyome aveva notato qualcos’altro. Le parole terribili del nonno erano scherzi! A volte le pronunciava persino in rima, come un comico navigato. In quei momenti amava far risuonare un’ampia scala di note, dal basso più profondo al tenore più alto e acuto. Sapeva come fare. La sua voce poteva essere calda e gioviale, specialmente quando era occupato con il suo amato cucito e cantava. Nëmka ne avrebbe ricordata una per tutta la vita, me la cantava, la ricordo ancora: «Dimmi, occhio mio: che cosa c’è di più bello / dello scintillio della gioia e delle lacrime di dolore?». La canzone era accompagnata dal ritornello « Tridle-lidle-le-lili» e dai movimenti del vecchio e di Nëmka che ricordano una danza popolare russa. La madre di Nëmka, Chaya, impegnata accanto alla stufa, notò che il bambino ripeteva tutti gli scherzi del nonno e se ne lamentava con il marito: «Guarda Leybe, tuo padre sta contagiando il bambino con le sue pagliacciate».

13Pagliacciate? No, una tradizione unica: orecchio musicale, una mimica facciale in grado di parlare, imitazioni, un talento per l’espressività dei gesti e la consapevolezza che nella tristezza c’è la gioia e nella gioia la tristezza.

14Leybe non guarì dalla propria attrazione per la medicina. Ormai avanti negli anni, con l’onere di mantenere una famiglia numerosa, quasi ogni sera, dopo una giornata di faticoso lavoro, sedeva a leggere testi di medicina. Per comprendere i termini medici aveva imparato il latino da autodidatta. Nella farmacia locale seguivano le sue prescrizioni, lo conoscevano e si fidavano delle sue conoscenze.

15Come in ogni piccolo centro, a Ponevež si conoscevano tutti. Agli occhi degli ebrei, dei russi e dei lituani, Leybe era un uomo rispettabile sempre pronto a dare una mano e consigli. Per ricevere consigli da lui arrivavano anche dai paesi e dalle città vicini, parenti e sconosciuti.

16Quando a Ponevež decisero di fondare un’associazione caritatevole per gli ebrei malati e bisognosi, Leybe fu tra i fondatori.

17Nëmka ammirava profondamente il padre. Ne assimilò la disponibilità a partecipare al dolore altrui e un sincero interesse nei confronti di ogni essere umano. Queste caratteristiche avrebbero accompagnato Nëmka bambino, Veniamin ragazzino e più avanti Zuskin l’attore. Anni dopo Michoels si sarebbe riferito a Zuskin con queste parole: «Per lui ogni essere umano era come il fiore per l’ape; ha in sé una goccia di miele unica. L’artista risucchia questa goccia, che una volta assimilata resta nell’alveare di Zuskin».1

18Intanto Nëmka si lanciava tra le gambe degli adulti raccogliendo da chiunque si trovasse intorno alla casa dei genitori “pollini pieni di miele” variegati e coloratissimi.

19A cinque anni iniziò a frequentare il cheder. Aveva conosciuto il maestro Reb Genokh in casa propria, dove era un ospite desiderato e onorato. Secondo le storie di ME, Genokh aveva un dono per la recitazione. Quando il maestro scoprì che anche Nëmka aveva una forte inclinazione teatrale, il bambino di cinque anni e l’anziano maestro sulla settantina iniziarono a intrattenere un pubblico di adulti. Quest’uomo anziano ebbe un ruolo capitale nella vita di Nëmka e contribuì in larga misura a far diventare Veniamin Zuskin un attore. Quando diede al bambino il soprannome di Nëmka il Buffone, non poteva certo sapere che i ruoli da buffone avrebbero costellato la carriera teatrale dell’alunno, compreso il ruolo del Fool in un’opera di Shakespeare.

20Non ho mai incontrato Reb Genokh ma mio padre sapeva come incantarmi entrando in quel personaggio. Potevo immaginare, per esempio, l’anziano maestro mentre si toglieva il logoro cappotto dopo avere bevuto qualcosa, balzando al centro della stanza e improvvisando una danza vivace come quella di un giovane scattante. Com’era emozionante quando mio padre ricreava il maestro danzante, richiamandone soltanto i gesti mentre restava sdraiato sul divano.

21Vedo Nëmka, sul volto un sorriso furbo, torna a casa dal cheder con un gruppo di bambini e li impressiona con il proprio repertorio – posso immaginare che fosse già desideroso di mostrarsi e dare spettacolo di fronte a un pubblico – camminando a testa in giù, facendo capriole come un clown o pericolosi salti da una altezza considerevole.

22Il salto una volta andò a finire male.

23Lo trovarono con la lingua sanguinante e incapace di articolare parola alcuna. A casa erano terrorizzati al pensiero che il bambino potesse restare muto. Diverse ore più tardi era già riuscito a dire alcune parole, ancora alternate a lunghi silenzi. Periodi in cui insorgeva la balbuzie continuarono ad affliggerlo per tutta la vita.

24Nëmka non aveva imparato la lezione, continuò come prima. Ovunque ci fosse gente, urla, risate, zuffe, chiacchiere, Nëmka c’era. Correva, si arrampicava, assimilava l’atmosfera, portava via una succosa immagine dei venditori ambulanti del mercato, memorizzava le melodie dei fedeli per poi imitarli, tutti insieme o uno per volta.

25Non trascurava soprattutto di stare al passo con i tempi: nel 1905, quando aveva sei anni, ci fu una grande dimostrazione che la polizia cercò di disperdere. In quel periodo suo zio Abraham viveva con la famiglia, condividevano la stanza. Il bambino scoprì la pistola nascosta sotto il cuscino dello zio e da allora – anche se lo zio gliela tolse subito di mano – ai suoi occhi Abraham divenne un rivoluzionario. Cercò nella sue tasche, trovò alcune monete e in un negozio di giocattoli si comprò una pistola.

26Il giorno seguente la manifestazione fu sedata, le forze di polizia circondarono le case, anche quella del maestro, in cui aveva sede il cheder, le ricerche continuavano. «Maestro», sussurrò Nëmka all’orecchio di Reb Genokh, «ho un’arma». Il bambino era seriamente spaventato. L’ufficiale di polizia lo sentì e perquisì il bambino, trovando la pistola giocattolo si mise a ridere. In seguito maestro e allievo misero in scena una performance sull’incidente.

27Mio padre mi ha raccontato «la storia della pistola» molte volte; era uno dei fiori all’occhiello delle storie di ME. La prima volta che l’ho sentita fu quando ero malata e poiché la luce del giorno mi dava fastidio, restavo a letto al buio: immaginavo che non fosse stato Nëmka a nascondere la pistola sotto il cuscino ma che fossi stata io e in ogni momento un minaccioso poliziotto avrebbe potuto aprire la porta.

28Molti anni dopo, in casa nostra, in seguito all’arresto di mio padre, una perquisizione ci sarebbe stata. Coloro che cercavano erano molto più inquietanti del poliziotto della storia di mio padre. Come allora, ero sdraiata nell’oscurità e la paura che provai mi ricordò la storia della pistola.

29Chissà quanto era profondo in mio padre il segno lasciato dalla storia della pistola. La paura che aveva portato un bambino sensibile e vulnerabile sull’abisso della disperazione deve essersi risvegliata in Zuskin nella condizione di detenuto e nel corso del processo. È possibile che l’abbia menzionata quando gli fu concesso di parlare?

«Devo parlare dei giorni o delle notti? Delle persone o solo delle cose? »2

“Le cose”, gli oggetti inanimati servivano spesso a mio padre come pietre miliari, era come se per lui fosse possibile stare nel mondo regolato dalle leggi universali soltanto per mezzo delle piccole cose concrete.3 In ogni modo, l’inafferrabile non può essere afferrato.

30Nëmka continuava a comportarsi da monello, era di quei bambini che ficcano il naso dappertutto.

31Anche a casa sua accadevano cose interessanti: Reb Genokh danzava, arrivavano molti ospiti, dal laboratorio di sartoria giungevano il suono delle macchine e le chiacchiere degli apprendisti.

32A volte in casa la sera, quando suo padre Leybe aveva finalmente terminato il lavoro e la lettura dei testi di medicina, leggeva ad alta voce le opere di Sholem Aleichem. In quelle serate, tutti, anche la mamma, abbandonavano le proprie attività. Gli apprendisti non correvano a casa, arrivavano anche il maestro e i vicini. Leybe guardava le persone che aveva intorno, eccitato per il piacere che ne avrebbe tratto: «Ascoltate, bambini miei, vi racconterò la storia di un coltello da tasca, una storia che non è finzione ma verità, l’ho vissuta in prima persona».4

33Il silenzio assoluto che calava durante le letture era interrotto solamente ogni tanto da risate o singhiozzi.

34Quando Nëmka imparò a leggere, iniziò a recitare le storie di Sholem Aleichem nel cortile. Amava molto leggere ad alta voce e osservare le espressioni sul volto degli ascoltatori. «Entravo in scena e sentivo il respiro del pubblico»,5 avrebbe confessato molti anni dopo.

35La madre di mio padre aveva una sorella molto giovane, di pochi anni più grande di Nëmka, compagna d’infanzia e poi “star” delle storie di ME. Soltanto quando ho letto le sue memorie ho capito che raccontandomi le storie di Sholem Aleichem, mio padre si riferiva alla propria infanzia. «I momenti felici dell’infanzia erano i Sabati e le vacanze. Quando finivano le vacanze aspettavamo quelle che sarebbero arrivate dopo. Bisogna leggere Sholem Aleichem per capirlo», scrive Minna [in una lettera dattiloscritta alla nipote Nakama].

36Nëmka si dedicava a leggere ad alta voce ai vicini analfabeti, ma aspirava a compiere azioni più incisive. Suo padre Leybe lo capiva. Il bambino era piccolo, certo, non aveva neanche otto anni, ma era già abbastanza bravo a leggere, scrivere e fare di conto, lo si poteva mettere alla prova. Affidò a Nëmka la gestione dei libri contabili dell’associazione di carità. Il bambino era entusiasta. Non soltanto aiutava il padre, cosa che lo riempiva di orgoglio, ma si immergeva nella vita, imparava qualcosa sulle persone che fino a quel momento aveva conosciuto soltanto superficialmente. Passavano davanti ai suoi occhi le tragedie, il dolore, la povertà, i matrimoni, le circoncisioni, insieme disperazione e grande allegria. Quanti personaggi! Che “polline”! Erano destinati a diventare capolavori.

37Indubbiamente l’infanzia e l’adolescenza di Zuskin hanno avuto come fulcro la vita ebraica. In questo modo si affinò e fu messo alla prova un altro aspetto importante per il futuro di Zuskin.

38Il teatro.

39A Ponevež non vi era alcun teatro. Eppure c’erano attori come il nonno e Reb Genokh; c’erano le feste e i matrimoni, i cui costumi erano molto teatrali ed erano occasioni vissute come teatro. Inoltre, almeno una volta all’anno, per Purim, una compagnia circense o teatrale di giro metteva in scena uno spettacolo. Tutto ciò deve avere infiammato l’immaginazione di mio padre da bambino; forse ciò che ebbe la possibilità di vedere e assorbire accese la scintilla di un sogno che in quelle occasioni era alimentato da un soffio di vita. Anche questa è soltanto un’ipotesi che riguarda qualcosa che è impossibile afferrare.

40Di tanto in tanto Nëmka riusciva a sottrarre una pagnotta o una prelibatezza dalla cucina per portarla agli attori affamati, gli interpreti dei ruoli secondari. Amava osservare gli attori mentre si truccavano e si vestivano, quando poteva si metteva una parrucca o si attaccava la barba sul viso.

41L’attrazione di Nëmka per il teatro faceva piacere agli attori e alle attrici, il suo entusiasmo per i loro spettacoli li gratificava e il suo dono per la mimica scatenava il loro entusiasmo. Ridevano e dicevano con convinzione: «Questo bambino diventerà un attore!»

42Nëmka metteva in scena piccoli spettacoli domestici. Un giorno ricevette anche l’invito a recitare la parte di un bambino. Imparò la parte a memoria ma all’ultimo momento fu vinto dalla paura del palcoscenico e fuggì. Sarebbe cresciuto. Il talento del ragazzino sarebbe diventato l’arte di un adulto. Ma poi, ancora, sarebbe stato terrorizzato ogni volta che entrava in scena: non si sarebbe mai liberato del senso di responsabilità e dell’insicurezza.

43È ora che Nëmka diventi Veniamin e che la famiglia pianifichi il prossimo stadio dei suoi studi. Dalle storie di ME so che a causa delle difficoltà economiche mio padre è stato l’unico dei sei figli di Leybe a ricevere un’istruzione. Leybe Zuskin non era osservante e sperava che il figlio potesse studiare in una scuola non religiosa al fine di trovare una occupazione che gli desse prestigio: sarebbe dovuto diventare un medico.

44Nëmka cercò di essere accettato alla scuola secondaria di scienze esatte e naturali. La sua domanda fu rifiutata diverse volte a causa del numero chiuso: ogni dieci studenti non ebrei era ammesso un solo ebreo, meglio se benestante. Iniziò a dare lezioni private. Un giorno Leybe tornò a casa e gli disse «Mazel tov, figlio mio, sei stato accettato alla scuola superiore».

45Al cheder Nëmka non si era distinto per i propri studi, adesso invece voleva provare di essere capace e con il pensiero: «Non mi volevate? Adesso guardate qua!» diventò uno dei migliori allievi della scuola. Disse al padre, sorpreso dalla disciplina che il figlio amante del divertimento aveva saputo imporsi: «Farò vedere che cosa significa discriminare gli ebrei!». Tra gli insegnati c’erano diversi antisemiti, Nëmka riuscì comunque a diventare il migliore della classe e ottenere un premio di eccellenza.

46Tra gli insegnanti non antisemiti c’era quello di lingua e letteratura russa, Veniamin Zuskin era il suo preferito. Amante della poesia classica russa, l’insegnante si meravigliava sentendo il ragazzino ebreo recitare i versi della poesia russa con comprensione profonda e sentimento. Oltre a studiare, Veniamin faceva parte di una compagnia teatrale amatoriale.

47Il giovane Zuskin viveva in una città abitata prevalentemente da ebrei (su ventisettemila abitanti, a Ponevež ventitremila erano ebrei) e sapeva delle ondate di antisemitismo, ma le considerava, penso di poter affermare, come uno degli aspetti della vita. Iniziò a confrontarsi con l’antisemitismo nel 1913 durante il processo a Beilis.6 Era a conoscenza nel dettaglio di tutto ciò che era accaduto, ogni giorno leggeva agli apprendisti del padre i resoconti del processo sui giornali. Il caso lo toccò molto e fu molto contento quando Beilis fu riconosciuto innocente.

48Nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale e nel giugno del 1915 il Comandante in capo dell’Esercito Russo ordinò che la popolazione ebraica fosse deportata dalle aree vicine al confine con la Germania. Tra le città coinvolte c’era anche Ponevež.

49Arrivando alla stazione, la famiglia Zuskin trovò una grande folla di abitanti di Ponevež e delle città limitrofe ma non vi era alcun treno. La gente sedeva per terra all’aria aperta. Arrivarono la notte e la pioggia. Il giorno seguente fu lo stesso.

50Improvvisamente, in mezzo ai pianti delle donne, alle urla delle partorienti, ai lamenti dei bambini e ai gemiti dei moribondi, si sentì ridere. Mentre si avvicinava al capannello di persone da cui provenivano le risate, lo sguardo di Veniamin cadde su un libretto lacero, erano i racconti di Sholem Aleichem. Qualcuno li stava leggendo a voce alta.

51Così fece esperienza degli orrori delle sofferenze a cui erano sottoposti gli ebrei soltanto perché erano ebrei. Imparò a capire lo spirito della nazione ebraica, in cui dolore e gioia si uniscono e si confondono, e anche il potere immenso della creatività.

52Fu la Prima guerra mondiale a mettere fine all’infanzia di Veniamin Zuskin.

Veniamin

53Un giovane mi si avvicina di buon passo. Lo guardo. È Veniamin: ha detto addio a Nëmka per sempre.

54L’infanzia a Ponevež fu rimpiazzata da una vita errante.

55La famiglia Zuskin giunse nella città di Vitebsk. Poco tempo dopo fu raggiunta dai genitori della madre Chaya e dalla sorella Minna. Anche in queste condizioni, i giovani trovavano il modo per ridere e divertirsi, non era lo stesso per gli adulti, non avevano più niente per cui vivere, nessun futuro. Tra le conoscenze di Leybe, qualcuno scrisse una lettera di raccomandazione da mandare a un parente che possedeva una negozio di abbigliamento a Penza. La famiglia Zuskin fece nuovamente i bagagli in direzione di Penza.

56Considerata una grande città, Penza si trovava nella parte occidentale della Russia, a circa millecinquecento chilometri da Ponevež. Sono in pochi a sapere che Penza era una città teatrale.

57Nel diciottesimo e diciannovesimo secolo all’interno delle tenute della nobiltà russa era comune avere teatri. Se contiamo i teatri di questo tipo, dopo Mosca e San Pietroburgo, Penza era la terza città con la più alta concentrazione di teatri. La città ha un legame forte con il teatro del Ventesimo secolo, con la sua fioritura e con il suo declino. Ha dato i natali e vi si è assistito alla prima apparizione in scena di uno dei più grandi riformatori dell’arte teatrale del paese, Vsevolod Mejerchol’d. Vi si trovò anche a calcare le scene, ancora circondato da dilettanti, un giovane che un giorno sarebbe diventato un attore ebreo unico, Veniamin Zuskin. Li attendeva la stessa fine: Mejerchol’d sarebbe stato ucciso nel 1941, Zuskin nel 1952.

58Quando la famiglia arrivò a Penza, al padre di Veniamin, Leybe, non fu offerto un lavoro decente. La fortuna sorrise invece al fratello di Veniamin, Yitshak: anche lui sarto, riuscì a procurarsi una macchina da cucire e con il padre si misero a lavorare in casa.

59La famiglia aveva appena iniziato a riprendersi dalle sventure quando giunse un ordine di reclutamento per Yitshak, che insieme al padre era ormai responsabile del sostentamento della famiglia. Così Veniamin dovette iniziare a lavorare: oltre a studiare, dava lezioni private.

60Fu ammesso alla scuola superiore e accettato al nono anno. Studiava tre lingue: russo, francese e tedesco; matematica, algebra e geometria; scienze naturali e fisica; economia politica, disegno e pittura, anche l’arte della rilegatura.

61Amava foderare le copertine dei miei libri di scuola, i risultati erano opere d’arte. È incredibile come tutte le esperienze cha ha fatto e assimilato nel corso della propria infanzia e adolescenza si siano radicate in lui in modo così profondo. Tra l’altro, erede di una famiglia di sarti, si è sempre cucito i bottoni da solo. Sempre.

62Fu raccomandato come insegnate presso la casa di un ricco mercante. Aveva finalmente un po’ di soldi e per la prima volta in vita sua poteva permettersi di andare a teatro. Scelse un buon teatro russo, i cui attori gli fecero una grande impressione. D’ora in avanti sarebbe andato a teatro regolarmente, due volte a settimana, sedeva in balconata. Fu soltanto a questo punto che iniziò a conoscere il teatro professionale e a comprendere la natura della professione scenica.

63Non era però nella sua natura restare uno spettatore passivo, neanche in un teatro professionale. A Penza, città di rifugiati, fu creato un comitato per i rifugiati al cui fianco operavano gruppi teatrali, tra questi anche collettivi formati da ebrei. Dal settembre del 1916 in avanti Veniamin iniziò a partecipare agli spettacoli in lingua yiddish.

64Tra la fine del 1915 e l’inizio del 1916 incontrò una ragazza adorabile e riservata, il suo nome era Rachel Holand. Anche lei era lituana, veniva da Vilkomir. Frequentava la scuola superiore e voleva diventare medico. Tra i due scoccò una scintilla, un amore giovanile.

65Dopo la Rivoluzione del febbraio 1917 Veniamin fu travolto dall’entusiasmo per gli eventi che lo circondavano. La gioventù era molto attiva. A Penza organizzarono una associazione culturale per giovani con una biblioteca e una casa editrice in lingua yiddish, che a Veniamin servivano come fonte di informazione, era assetato di conoscenza. Era tra i membri più attivi e in quanto tale organizzò un club per appassionati di teatro yiddish, all’interno del quale, ovviamente, aveva la possibilità di recitare.

66Un regista russo lo invitò a lavorare come attore del suo teatro. Veniamin rifiutò. Come chi insegue la perfezione, era preoccupato che le proprie performance in russo potessero risultare poco naturali. Anni dopo sarebbe stato chiaro che l’ormai rinomato attore Zuskin non era interessato a interpretare ruoli di personaggi non ebrei, neanche all’interno di spettacoli in lingua yiddish.

67Come dilettante continuò ad andare in scena ogni volta che ne aveva l’opportunità. Fu invitato a comparire in scena con una compagnia importante, quasi un teatro! Vi si organizzava una serata dal titolo Una serata con Sholem Aleichem.

68La prima performance di Zuskin sulla scena del Teatro Ebraico di Stato di Mosca sarebbe stata anch’essa in Una serata con Sholem Aleichem. È sorprendente come gli eventi della sua vita siano intrecciati.

69Di quella sua performance esiste una recensione che si è miracolosamente salvata. Che cosa diceva? Se Zuskin se ne è preoccupato per trent’anni, facendo in modo che non andasse perduta e ne ha anche scritto nel proprio Curriculum vitae, doveva probabilmente contenere qualcosa di importante. Che cosa? Vi si leggeva che in lui si intravedeva una futura carriera brillante come attore e come regista, a patto che non restasse intrappolato nella mimica esuberante e in trovate inverosimili.

70Il giornale su cui era uscita andò in stampa la sera in cui iniziava la Rivoluzione d’Ottobre a Pietrogrado. I due eventi più importanti della vita di Veniamin Zuskin accaddero la stessa notte: la recensione sulla sua interpretazione, che conteneva una profezia sul suo futuro da attore famoso, e la rivoluzione che avrebbe creato le condizioni per il compiersi della profezia stessa.

71Anche per quanto riguarda la sua morte la profezia si sarebbe avverata. La relazione tra questi eventi è inequivocabile, la trappola non fu di certo la mimica esuberante.

72Veniamin trovò un impiego presso il servizio penitenziario, che non interferiva con i suoi studi perché le lezioni si tenevano di pomeriggio. La pressione al lavoro non era molta e il direttore del servizio penitenziario aveva una biblioteca eccezionale che comprendeva molti volumi di argomento teatrale. Veniamin vi trascorreva molte ore, divorava quei libri.

73Nel 1918 completò i sei anni di istruzione di base presso la scuola superiore ma per completare l’istruzione secondaria doveva accedere alle classi più avanzate. Per liberarsi al più presto della condizione di allievo, completò i due anni del programma di studio in un solo anno e nel 1919 ricevette il diploma.

74Nel 1918 il regime sovietico fu instaurato in Lituania, patria d’origine della famiglia Zuskin. Molti ex residenti, tra i quali Leybe Zuskin, fecero domanda per potervi tornare. La domanda fu accettata e all’inizio di gennaio del 1919 Leybe rientrò nel paese. Una settimana dopo Veniamin accompagnò la madre e due delle sorelle dal padre e tornò a Penza. Due fratelli e la più vecchia delle sorelle vivevano per conto proprio. Veniamin non aveva alcuna intenzione di lasciare la Russia Sovietica, ricordava chiaramente di essersi sentito soffocato e umiliato in Lituania. Era pieno di giovane speranza.

75Durante la guerra civile, scoppiata dopo la Rivoluzione d’Ottobre, l’Armata Rossa del distretto dei Monti Urali aveva stabilito il proprio quartier generale a Penza. Dopo il diploma, Veniamin iniziò a unire il proprio lavoro al servizio penitenziario con un lavoro al quartier generale, prima all’ufficio reclutamento e poi nella divisione politica come istruttore presso il dipartimento teatrale. Il dipartimento era considerato molto importante, era ufficialmente considerato parte del “fronte ideologico”. In seguito al trasferimento del quartier generale, si trovò nella città di Ekaterinburg con la divisione politica.

76Nella nuova città fu accettato all’Istituto di Ingegneria Mineraria, le condizioni di vita erano difficili per tutti e gli studi erano organizzati in modo da permettere agli studenti di guadagnarsi da vivere. Tra le sei e le nove del mattino frequentavano le lezioni, poi andavano a lavorare, tra le sei e le undici di sera erano di nuovo all’università, dove frequentavano i laboratori e facevano esperimenti.

77La figlia di Michoels, Natalja, era certa che Zuskin fosse andato a studiare ingegneria a causa di un malinteso. Tala conosceva mio padre come un attore che è tale in ogni fibra del proprio essere ed era abituata a vederlo esclusivamente da questo punto di vista. Le sue attività in un altro campo le sembravano una cosa strana. Ma non vi era stato alcun malinteso. Quando partirono per la Lituania, i genitori di Veniamin gli fecero giurare che si sarebbe trovato una «professione vera». Amanti del teatro, i suoi genitori capivano l’attrazione del figlio per quella professione ma non accettavano l’idea che la recitazione potesse essere la sua occupazione principale. E Veniamin cercò di mantenere la parola data.

78Ma perché tra le varie «professioni vere» scelse di darsi all’ingegneria mineraria? Presumo che il giovane che veniva dalla Lituania, terra di pianure, dotato di senso estetico e di un talento naturale per il disegno, fosse entusiasta della ricchezza di colori delle gemme che si trovavano in abbondanza nella regione montana degli Urali e delle forme fantastiche create dalla loro superficie. È possibile. L’occupazione come ingegnere minerario fu in ogni caso una tappa fondamentale nella sua vita e vi troviamo nuovamente oggetti inanimati, in questo caso si tratta di pietre.

79Ogni tanto Veniamin andava a fare visita ai famigliari e agli amici a Penza. Adorava stare con Minna. Dopo che il suo fidanzato era stato chiamato alle armi, Minna era andata a Pietrogrado, dove studiava e lavorava. Aveva raggiunto i genitori a Penza per accompagnarli nel loro rientro in Lituania, dove si erano riuniti con la famiglia Zuskin. Diverse ragioni gli fecero rimandare il viaggio, nel frattempo Minna lavorava in un ufficio governativo sovietico che la premiò con una stanza tutta per sé. Veniamin la stimava, approvava la sua indipendenza.

80Una sera decise di sapere che cosa avrebbe detto Minna se lui avesse abbandonato l’università per recarsi a Mosca e diventare attore. Voleva conoscere la sua opinione. Senza alcuna esitazione Minna gli rispose in una lettera: «È un’idea meravigliosa. Vai. Chiunque può studiare ingegneria, non tutti invece possono essere attori».

81Quando fu chiaro che l’incoraggiamento di Minna era stato una spinta catalizzatrice nella scelta da parte di Veniamin di realizzare i propri desideri, Leybe Zuskin, irritato, in una lettera le scrisse: «Ti auguro che i figli che avrai in futuro ti causino le preoccupazioni che io ho per Veniamin. Sei stata tu a spingerlo fuori strada con il teatro».

82Poco tempo dopo il trasferimento di Veniamin a Ekaterinburg, lo raggiunse l’amata Rachel. Era stata accettata alla facoltà di medicina. Erano ormai sposati.

83Nel 1920 Veniamin ricevette una lettera da Mosca da parte di Abraham Baslavskij, un amico dei tempi in cui erano entrambi attori amatoriali a Penza. Abraham tentò di convincere Veniamin a trasferirsi a Mosca facendogli notare che c’era una Accademia di Ingegneria Mineraria in cui avrebbe potuto continuare a studiare senza problemi. Se la fortuna gli avesse sorriso sarebbe diventato un attore, altrimenti avrebbe potuto continuare a studiare ingegneria.

84La lettera aiutò Veniamin a prendere la decisione finale. La riorganizzazione dell’università di Ekaterinburg lo convinse ulteriormente; se doveva trasferirsi presso un’altra istituzione per la propria istruzione, Mosca era quella preferibile, soprattutto alla luce del fatto che a Mosca c’era anche una facoltà di medicina.

85Alla fine dell’estate del 1920 Veniamin e Rachel si trasferirono a Mosca. Aspettavano un figlio. Veniamin continuava a studiare all’Accademia di Ingegneria Mineraria e faceva lavoretti di vario tipo. Intanto raccoglieva informazioni sui teatri. Giunse alla conclusione che avrebbe tentato di essere accettato da Vachtangov, che a quel tempo dirigeva due studi, uno russo e uno ebraico, entrambi affiliati al Teatro d’Arte di Mosca, il più importante del paese.

86Riteneva che il sogno di diventare un attore yiddish sarebbe probabilmente rimasto tale perché il teatro yiddish era troppo arretrato. Veniamin era cresciuto rispetto ai tempi di Ponevež, quando era disposto ad accettare tutto ciò che gli era offerto, e non aveva ancora avuto modo di assaggiare il vero teatro. Era riluttante a sacrificare i propri studi all’Accademia per recitare in un teatro amatoriale, tanto più adesso che aveva una famiglia a cui doveva assicurare un futuro.

87Il tempo passava e Veniamin era combattuto tra gli studi, la necessità di guadagnarsi da vivere e la famiglia. A casa non c’erano soldi, soltanto difficoltà quotidiane da affrontare. Era comunque pieno di speranza e credeva che le cose sarebbero cambiate.

88Un giorno di novembre del 1920 andò a trovare Abraham. In quanto suo amico, aprì la porta senza bussare. Abraham non c’era. Nella stanza, Veniamin trovò uno sconosciuto.

89L’incontro sarebbe stato fatale per entrambi.

Notes de bas de page

1 S. Michoels, Il mio lavoro sul Re Lear di Shakespeare [Moia robota nad Korolem Lire Šekspira], in Claudia D’Angelo, Re Lear. Storia di uno spettacolo yiddish sovietico, Accademia University Press, Torino 2017, pp. 245-288, in russo in Aa. Vv., Michoels. Stat’i. Besedy. Reči, Vospominanjia o Michoelse [Michoels. Articoli, interviste, discorsi. Ricordi su Michoels], a cura di Konstantin Rudnizkij, Iskusstvo, Mosca 1964, p. 94.; ed. yiddish: Artiklen, Shmuesen, Redes, Buenos Aires 1961, anastatica della Steven Spielberg Yiddish Digital Library, Amhesrt, Massachusetts, n. 09497. L’articolo risale al 1936, fu scritto con il critico teatrale Minz. Tratto dal manoscritto che faceva parte dell’archivio personale di Michoels, fu pubblicato per la prima volta nel 1960.

2 Josif A. Brodskij, Natura morta in Id. Poesie (1972-1985), a cura di Giovanni Buttafava, Adelphi, Milano 1986.

3 S. Michoels, Il mio lavoro sul Re Lear di Shakespeare, cit.

4 Sholem Aleichem, Dos messerl (Il coltellino), in Oysgeveylte verk, Emes, Mosca 1948, p. 44.

5 V. Zuskin, Čemu naučilo menja kino (Che cosa mi ha insegnato il cinema), testo in Appendice a questo volume.

6 Il cosiddetto “affare Beilis” concerne il processo degli anni Dieci a Kiev che vedeva il pio ebreo Mendel Beilis accusato, in base a una falsa testimonianza, di aver assassinato un bambino cristiano.

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