Benya Krik
p. 314-318
Texte intégral
1Nel 1926 esce un altro film ambientato tra gli ebrei di Odessa, sempre sceneggiato da Babel’, questa volta ispirato direttamente ai suoi Racconti di Odessa. La regia è di Vladimir Vilner, attore e regista teatrale, in verità non molto esperto come uomo di cinema; ma l’attenzione stavolta è focalizzata sugli ambienti del quartiere-ghetto Moldavanka, covo della malavita ebraica, in cui famosi e temuti banditi spadroneggiavano sulla città, imponendo un taglieggiamento su tutte le attività commerciali. Era un ambiente che Babel’ conosceva bene, dal quale aveva tratto ispirazione per i suoi personaggi di fuorilegge e simpatici avventurieri, il ricordo delle cui gesta ormai era visto con sospetto dal nuovo potere sovietico.
2Il potere criminale della banda di Mendel Krik, detto il Re, e di suo figlio Benya, erede del titolo, si reggeva anche sulla complicità della corrotta e corruttibile polizia dell’epoca. Infatti il film comincia con una festicciola in casa del commissario Sokovič (aiutante del capo della Polizia stessa), impegnato a cantare e a suonare il piano per i propri ospiti. Giunge un certo Marants, spia e confidente, annunciando al commissario che quel giorno il Re sarà presente al matrimonio della sorella: saranno tutti ubriachi, e può essere l’occasione per assestare alla banda un colpo mortale.
3Vediamo Mendel, il Re, alla guida della sua carrozza. Si reca alla base della banda (è anche una fattoria piena di animali), a trovare il figlio, che se ne sta disteso sul letto a suonare la balalaika, circondato da donne e da tutti gli altri accoliti. Lo avverte che Marants è andato di nuovo alla polizia e bisogna dargli una lezione. Detto fatto, Benya e il suo luogotenente (che guida il calesse, con tanto di barba finta) si recano a casa del confidente, lo prelevano con la scusa di proporgli un affare e lo portano su una scogliera isolata. Qui uccidono la spia e ne riportano indietro il cadavere con la stessa carrozza, scaricandolo davanti a casa sua, sotto gli occhi della moglie e dei bambini, mentre si vede il cappello di Marants che galleggia in mare.
4Al commissariato, una folla di postulanti. Mazzette passano di mano, in un regime di corruzione diffusa. Il commissario è incerto se andare o non andare alla festa di Mendel Krik, ma come invitato!
5Alla festa di matrimonio, si mangia, si beve, si balla, tra gangster e prostitute, al suono di un’orchestra indiavolata (il montaggio è talmente frenetico che sembra veramente di sentire la musica, benché il film sia muto). Gli sposi sono orridi: lei (la sorella di Mendel) è una grassona prepotente, dall’aria volgare, lui è magrolino, smunto e spaurito. Al culmine della festa, comunque, arriva anche il commissario, accolto con tutti gli onori ( «Abbiamo anche la polizia!»). Lo baciano. Lo fanno ubriacare. Nel frattempo, altri membri della banda, dopo essersi fatti arrestare, danno fuoco alla sede della polizia. Seguono sequenze frenetiche di montaggio alternato festa/incendio, mentre gli sposi si ritirano in camera, dove il povero marito resta alla mercé della moglievirago. Tra la folla che si gode lo spettacolo dell’incendio, davanti al carcere, c’è anche Benya Krik, che prende in giro il capo della polizia con ipocrite recriminazioni sulla «disgrazia».
6Entra in scena il personaggio del ricco ebreo Tartakovsky, proprietario di immobili fatiscenti, privi di servizi igienici, dove ogni tanto scoppiano epidemie di colera. Ha anche un forno, con numerosi lavoranti, dove si confezionano pane e torte su ordinazione. I lavoranti, il cui capo è il comunista Sobkov (amico di Benya Krik) sono molto politicizzati, e Tatarkovskij ci tiene a mostrarsi progressista con loro, così come a mantenere buoni rapporti con i funzionari del governo provvisorio di Kerenskij, allora in carica.
7In un ristorante alla moda, si svolge un’asta tragicomica in favore dei mutilati di guerra. Tra gli avventori, c’è Benya Krik, circondato di donne, c’è Sobkov, con i suoi amici, e c’è Tartakovsky, che tratta affari e maneggia fasci di banconote. La vera rivoluzione sarebbe portarglielo via, commentano Benya Krik e Sobkov, ma l’uno intende tramite una rivoluzione politica, mentre l’altro, che pure simpatizza con i “rossi”, pensa a un’estorsione o una rapina. Detto fatto, Benya indirizza un biglietto al tavolo del ricco mercante, in cui gli ingiunge di farsi trovare con cinquantamila rubli a una certa ora sotto un certo ponte della città: in caso contrario, gli succederà qualcosa di cui parlerà tutta Odessa. L’altro, per tutta risposta, gli fa pervenire uno sprezzante biglietto di rifiuto.
8Si mettono allora in azione i meccanismi della malavita, in larga misura romanzati dalla fantasia di Babel’. La banda viene convocata in base a una sofisticata serie di contatti: Benya avvisa una fioraia, che avvisa un tizio al porto, che avvisa un altro ancora, che avvisa un certo Abdullah (un arabo: s’era visto all’inizio di guardia davanti alla casa di Marants), che avvisa il resto dei componenti la banda. Tutti insieme fanno irruzione negli uffici di Tartakovsky, armi alla mano, e costringono gli impiegati terrorizzati ad aprire la cassaforte. Vengono prelevati pacchi di banconote, non senza episodi buffi: per esempio, nella cassaforte si trova anche una spilla preziosa a forma di farfalla e Benya, sempre galante, ne fa dono alla spaventatissima cassiera. Andrebbe tutto liscio, se uno della banda, mezzo ubriaco, non cominciasse a sparare a casaccio, uccidendo per errore uno degli impiegati.
9La rapina provoca un allarme generale, ma dalla reazione di autorità incapaci c’è poco da sperare (il capo della polizia, per prudenza, gira rinchiuso dentro una specie di ridicolo carro armato, dal quale si azzarda appena a mettere fuori la testa). La banda di Benya Krik, comunque, ha deciso di onorare a modo suo la memoria dell’impiegato ucciso per errore: all’interno del cimitero ebraico, viene assalito il corteo funebre d’un notabile locale, con tanto di bara lussuosa, pianto di orfani e salmodie di rabbini, costringendo questi ultimi a compiere il loro officio in onore del morto sostituito!
10Gli eventi storici precipitano. LArmata Rossa combatte i contro-rivoluzionari. Dalla sua banda, Benya forma un vero e proprio reggimento, che combatte a fianco dei rossi, ma questi guardano con sospetto gli alleati individualisti e anarchici, incapaci di disciplina. Malgrado le promesse, il reggimento degli ex-banditi non intende smettere le sue attività illegali, si decide quindi di eliminarli. Fatti partire da Odessa e caricati su un treno pieno di derrate alimentari, con la complicità dell’ex-amico Sobkov (ormai rappresentante dell’ortodossia rivoluzionaria) gli uomini di Benya Krik sono arrestati e lui viene assassinato con un colpo alla nuca. L’ultima battuta è di Sobkov, che riceve al telefono la notizia dell’avvenuta esecuzione e senza nemmeno alzare gli occhi da ciò che sta facendo sibila: «Avanti così, compagni…».
***
Come s’è detto, Vladimir Vilner, attore e regista teatrale, aveva scarsa esperienza come regista cinematografico, e si trovò a dirigere Benya Krik quasi per caso, dopo la rinuncia di Ejzenštejn, il quale forse, pur ammirando Babel’, aveva subodorato la pericolosità ideologica del film. L’inesperienza spiegherebbe la totale assenza di movimenti di macchina significativi, ma non impedì un abile utilizzo delle tecniche di montaggio. È un montaggio dal ritmo spesso frenetico, specialmente evidente nelle sequenze relative alla festa per il matrimonio della sorella di Benya Krik, festa trasformata in una specie di baccanale, in alternanza con le sequenze dell’incendio appiccato al carcere.
11Vilner, dal canto suo, risulta anche un sostenitore del realismo e forse non era del tutto a proprio agio con i personaggi grotteschi, esagerati e sbruffoni, inventati, o meglio trasfigurati, dalla fantasia di Babel’. Malgrado ciò, non li appiattisce, anzi, esalta anche cinematograficamente certe loro caratteristiche fisiche. Per esempio: le movenze, la corporatura (e la divisa) del commissario colluso con i banditi, ci ricordano quelle del portiere d’albergo (Emil Jannings) del coevo film di Murnau, Lultimo uomo, anche se non sappiamo se Vilner o Babel’ l’avessero visto; oppure, lo sposo della sorella di Benya somiglia straordinariamente a Larry Semon, ossia a Ridolini, sia pure a un Ridolini spaventato. Né mancano soluzioni iconiche interessanti, quasi surreali, come il cappello della spia, inquadrato mentre galleggia sull’acqua dopo l’uccisione della spia stessa sulla scogliera del Mar Nero, o le mani alzate degli impiegati che tremano, inquadrate in dettaglio, durante la rapina.
12Il film, dunque, sembra nascere fin dall’inizio sotto il segno di istanze contrastanti, anche ideologicamente. Doveva mostrare come il potere sovietico fosse stato il solo in grado di contrastare la piaga del banditismo a Odessa, ma finisce per attirare una certa simpatia su questi gangster romantici, spietati, ma anche capaci, all’occorrenza, di gesti generosi. Non meraviglia dunque che il film, poco tempo dopo la sua uscita, fosse ritirato dalla circolazione, in quanto ritenuto potenziale portatore di pericolose nostalgie, né meraviglia, ovviamente, la fine di Babel’, fatto fuori da Stalin con la solita delirante accusa di spionaggio. Del resto, nulla poteva essere più lontano dal realismo socialista e dalle sue piatte convenzioni della scrittura immaginosa e sperimentale dello scrittore odessita, le cui scelte non potevano non riflettersi anche sulle sceneggiature. Benya Krik non gli piacque molto, sappiamo che trovò un po’ piatta la regia di Vilner, ma noi dobbiamo ammettere che la dimensione eroicomica dei suoi personaggi viene ugualmente fuori, e soprattutto essi non perdono mai, nella dismisura romanzesca, la loro aura autentica d’appartenenza etnica. Non è escluso che proprio questo fosse l’aspetto che dava più fastidio al regime.
13In fondo, si potrebbe caratterizzare Benya Krik come un film sull’amicizia tradita. Divenuto ligio custode dell’ortodossia legalitaria, il rivoluzionario Sobkov, pur nella sua onestà, tradisce l’amico, senza accorgersi di essersi tramutato nella rotella d’un meccanismo rigido, cupo e impersonale. Viene da pensare che lui stesso, in un breve volgere di anni, sarebbe diventato l’ennesima vittima del regime sovietico, come accadde a Babel’, d’un potere degenerato rispetto alle sue premesse di riscatto ed emancipazione. Alla fine, Benya ci appare come un eroe romantico travolto dai meccanismi inesorabili della Storia.
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