Prefazione
p. VII-XIII
Texte intégral
1Tutti i volumi di questa serie dedicata al teatro yiddish orientano l’attenzione soprattutto verso gli artisti, nella convinzione che la loro vita ne contenga le opere e che procedendo in questo modo è forse possibile comprendere il contrario, vale a dire come le opere contengano non soltanto le loro singole vite ma la vita stessa, seppure declinata in minute o grandiose vicende storiche.
2Qui si racconta una storia accaduta una volta e soltanto una volta ( «Amol iz geven…»). Il protagonista Solomon Michoels è un attore che prima di calcare la scena era stato allevato in una famiglia chassidica che volentieri tollerava la sua esuberanza creativa in occasione del Purim, quando il piccolo Shloyme si improvvisava drammaturgo e regista, domatore di circo o animale tanto feroce quanto burlone, ma che mai avrebbe voluto che intraprendesse la carriera di attore, tanto inutile per la società quanto rischiosa per la morale. Shloyme era creativo persino nel misticismo con il quale impreziosiva la propria vita quotidiana:
Quando ero bambino e frequentavo il cheder, i fulmini nel cielo mi interessavano sempre moltissimo. Mi sembrava che il fulmine fosse una fessura attraverso la quale potevo forse vederlo, Lui, Dio, seduto là in fondo mentre si lasciava scoprire per un istante. Ecco perché cercavo di non perdere mai l’istante del fulmine per gettare uno sguardo. L’immaginazione per me è come il fulmine che scopre per un momento l’universo interiore dell’uomo.
Quando il fallimento economico dell’attività paterna impose alla famiglia di trasferirsi a Riga, l’adolescente Solomon si dovette arrendere alla propria vocazione teatrale:
… sognavo di diventare attore. Ma nascondevo questo sogno nel profondo. Pensavo di non essere abbastanza dotato per dedicarmi all’attività attoriale. Inoltre i miei genitori l’avrebbero presa male: la mia famiglia apparteneva a un ambiente in cui la professione dell’attore era ritenuta qualcosa di cui vergognarsi. Se nella capitale una piccola parte degli attori entrava a far parte dell’alta società, in provincia e soprattutto negli ambienti ebraici, incontravano un atteggiamento negativo e non erano mai accettati. Questo mi costrinse a nascondere i miei sogni, soprattutto perché ero convinto che nella realtà non si sarebbe realizzato nulla.
L’ostilità della famiglia non potè impedire il fatale incontro con Shakespeare. Nell’unico scritto esplicitamente autobiografico rimastoci, Il mio lavoro sul “Re Lear” di Shakespeare (1936) – qui riproposto integralmente e commentato con grande perizia – l’attore racconta come il professore di lettere, in lacrime, avesse predetto al giovane un grande avvenire come attore quando aveva recitato in classe l’ultimo monologo di Re Lear. L’attrazione per il teatro era da lui coltivata segretamente anche rispetto a se stesso, se così si può dire, non solo perché Shloyme dubitava delle proprie capacità, ma perché continuamente qualcuno gli ricordava che il suo aspetto fisico e la sua voce erano del tutto incompatibili con ciò che si chiedeva a un attore. Ecco allora l’astuto autoinganno:
Cominciai a prepararmi seriamente a una professione completamente diversa. Allora mi interessava molto l’avvocatura politica. Mi immaginavo come un legale che con sforzi eroici difendeva qualcuno, naturalmente un rivoluzionario, per il quale avrei ottenuto la liberazione. E mentre mi preparavo alla carriera di avvocato decisi di dedicarmi alla dizione, perché all’epoca parlavo male il russo. Nella mia ingenuità mi dicevo che essere un avvocato significava prima di tutto essere un ottimo oratore.
La fantasia sulla professione avvocatizia fu distrutta verso la fine nel 1918, quando già circolavano notizie raggelanti sui tribunali rivoluzionari e sulle violazioni del diritto che lì si consumavano. Michoels, che nel frattempo si era sposato e lavorava, passò a una disciplina meno compromessa come le scienze matematiche, a Pietroburgo. Nella capitale russa il promettente e già apprezzato regista Aleksej Granovskij, dopo avere rinunciato all’anacronistica idea di realizzare un teatro in lingua tedesca, cercava attori non professionisti da formare per un nuovo teatro ebraico. Michoels decise di presentarsi, a detta sua soltanto per curiosità, e venne immediatamente reclutato. Oltre che per le sue evidenti doti d’attore, Granovskij lo volle accanto a sé anche per la sua cultura generale e le sue capacità pratiche, così che Michoels, pur essendo teoricamente un allievo, divenne subito il braccio destro del regista, anzi il suo mentore per la cultura e la lingua yiddish, che Granovskij, altoborghese assimilato, non conosceva. Michoels avrebbe sempre dato del voi al suo coetaneo, che lo ricambiava disinvoltamente con il tu.
3Il teatro fondato da Aleksej Michailovič Granovskij, all’inizio uno «studio teatrale», com’era d’uso nel teatro russo, fu presto promosso a Teatro Ebraico (Yiddish) di Stato e trasferito nella nuova capitale sovietica Mosca. Fino alla sua chiusura nel 1948 questo teatro avrebbe a pieno titolo fatto parte del panorama culturale sovietico della prima metà del Novecento, contribuendo a rendere Mosca un luogo di riferimento per l’arte scenica mondiale. Le radici artistiche del teatro nella cultura ebraica e yiddish e i suoi spettacoli concepiti nello spirito che caratterizzava l’innovazione scenica del tempo ne fecero qualcosa di unico, un fenomeno che la storiografia non ha ancora saputo sottrarre all’ombra proiettata dagli altri grandi artisti del tempo, registi soprattutto, ma anche scenografi e costumisti, musicisti, coreografi e attori.
4Al complesso della vicenda relativa al Goset e al teatro yiddish sovietico è dedicato il quinto volume di questa serie, dove si evidenzia come anche l’epilogo tragico imposto dal regime staliniano fosse caratterizzato da una parte dalla partecipazione al destino comune delle avanguardie e dall’altra dalla particolare e assurda efferatezza nei confronti degli ebrei.
5In questo volume ci si concentra e si propone all’attenzione dei lettori l’episodio relativo a un capolavoro della scena ingiustamente sottovalutato, il Re Lear di William Shakespeare, andato in scena nel 1935 con la regia di Sergej Radlov e Solomon Michoels, la cui interpretazione è da considerare una pietra miliare nella storia del teatro yiddish e mondiale. Insieme ad alcune produzioni precedenti come Notte al Mercato Vecchio, I viaggi di Beniamino Terzo e alle successive Tevye il lattaio e Freylekhs, il Re Lear yiddish ha rappresentato una delle vette dell’arte scenica e attorica di un teatro che deve ritrovare il posto che gli spetta nella storia dell’arte teatrale, anche per sottolineare la peculiarità di una scena sulla quale alcuni «attori poeti» hanno svolto un ruolo creativo non inferiore a quello dei registi e degli altri autori. Il lettore vedrà, infatti, come la stessa definizione di «attore poeta», che pure si trova in qualche piega degli scritti di Mejerchol´d, proprio con Michoels trovi una formulazione resa credibile, anzi incandescente, sulla scena, per esempio in questo Re Lear.1
6Oltre alla minuziosa ricostruzione dell’evento, lo studio di Claudia D’Angelo ha il merito di dimostrare senza tema di smentite che il Re Lear yiddish è stato un episodio fondamentale nella cultura del Novecento, non soltanto per la funzione rivelatrice che ha avuto nel contesto sovietico e per la incredibile caratura artistica dello spettacolo, ma anche perché i suoi attori-autori, Michoels e Zuskin in primis, erano portatori di una poetica che concretava le idee di Mejerchol´d e dell’ultimo Stanislavskij, idee che persino il teatro di oggi è lungi dall’aver compreso e superato.
7Si è accennato alla relativa scarsità della bibliografia dedicata. Di essa si renderà qui conto a tutt’orizzonte. La maggior parte dei testi e dei documenti a cui rivolgersi per studiare l’arte di quegli attori straordinari sono in lingua russa. E se gli studiosi che finora si sono dedicati al Goset sono un numero esiguo, quelli che hanno concentrato la propria attenzione sul Re Lear del 1935 sono ancora meno. Coloro che hanno scritto del Goset e di Michoels dedicano allo spettacolo alcuni passaggi che lo segnalano come un momento topico del teatro yiddish e come il vertice della vicenda artistica dei suoi protagonisti. Il Re Lear è comunque presentato di norma assai brevemente e gli autori riprendono quasi sempre gli stessi argomenti, rifacendosi alle tematiche evidenziate da Michoels nell’articolo Il mio lavoro sul “Re Lear” di Shakespeare e a quanto affermato da Gordon Craig nell’intervista pubblicata su «Sovetskoe iskusstvo» nel 1935. Sono documenti che qui finalmente acquistano il dovuto rilievo, sfuggito alla bibliografia dedicata di tutto il mondo.
8Oltre alle fonti russe Claudia D’Angelo dà conto di una notevole mole di altri documenti rinvenuti negli archivi di Gerusalemme e Tel Aviv o messi a disposizione da Ala Zuskin Perelman, figlia dell’attore Veniamin Zuskin, la cui generosità e collaborazione sono state preziose per almeno tre volumi di questa serie: il presente, il quinto e il primo.
9Dello stato degli studi è presto detto. Fatta eccezione per il meritorio volume di Béatrice Picon-Vallin, del 1973, dedicato agli anni Venti del teatro yiddish sovietico,2 per i primi studi sulla vicenda storica e artistica del Goset bisogna attendere fino agli anni Duemila. Nel 2002 in Russia è uscito un testo rigoroso e ricco d’informazioni di Vladislav Ivanov,3 incentrato sul decennio che va dalla fondazione dello Studio yiddish di Pietrogrado all’abbandono del teatro da parte di Aleksej Granovskij (nel 1928 il regista rimase in Germania alla fine di una fortunata tournée che aveva confermato la fama internazionale del Goset). Del 2002 è anche il testo fondamentale dello statunitense Jeffrey Veidlinger,4 e del 2008 è la monografia di Benjamin Harshaw,5 occasionata da una mostra e quindi consistente in una prima attenta lettura dei documenti visivi e, tra l’altro, del grande dipinto di Marc Chagall intitolato Introduzione al nuovo teatro nazionale.6 Sempre nel 2002 è apparso l’interessante e atipico volume di Sonia Sarah Lipsyc che propone una pièce dedicata all’attore, seguita da due studi sul teatro dell’autrice e da una breve antologia degli scritti michoelsiani.7 In italiano, sul teatro yiddish sono usciti nei primi anni Novanta un volume curato da Paola Bertolone8 e vent’anni dopo la prima monografia italiana dedicata al Goset.9 Sui due attori più noti del Goset, Solomon Michoels e Veniamin Zuskin, è possibile leggere alcune biografie in russo redatte dai loro contemporanei10 e sempre in russo sono pubblicate le memorie delle rispettive figlie, poi tradotte in altre lingue: ai primi anni Ottanta risale il volume di memorie di Natalja Michoels,11 tradotto in francese. A Veniamin Zuskin, la figlia Ala ha dedicato I viaggi di Veniamin: pensieri sulla vita, l’arte, il tempo e il destino dell’attore ebreo Veniamin Zuskin, anch’esso uscito dapprima in russo negli anni Duemila, poi tradotto in ebraico e in inglese e in preparazione per la nostra serie.12 Si tratta di un testo che permette di conoscere un attore straordinario, finora rimasto all’ombra della fama artistica e personale di Michoels, e di comprendere meglio la ricca vicenda umana e artistica del Teatro Yiddish di Mosca, di cui Zuskin è stato una figura centrale. Molte informazioni di prima mano sul Goset sono contenute nel volume di memorie, purtroppo mai tradotto dal russo, della prima moglie di Aleksej Granovskij, Aleksandra Azarch-Granovskaja,13 altra figura rilevante di quel teatro. Granovskaja decise di restare al Goset dopo l’autoesilio del marito e fu per molti anni la responsabile della scuola interna.
10Tutte le storie cui si è fatto cenno – libri, documenti e figure – si fondono in queste pagine, trasformando quella che prima era una tesi dottorale in un racconto vivo, grazie anche a un prezioso e inedito corredo fotografico, un racconto che chiunque ami il teatro non potrà fare a meno di leggere.
Notes de bas de page
1 Solomon Michoels, La funzione e il posto del regista nel teatro sovietico, in Aa. Vv., Michoels. Stat´i, besedy, reči. Vospominanjia o Michoelse (Michoels. Articoli, interviste, discorsi. Ricordi su Michoels), a cura di Konstantin Rudnizkij, Iskusstvo, Moskva 1964, p. 209.
2 Béatrice Picon-Vallin, Le théâtre juif soviétique pendent les années vingt, L’Age d’Homme, Lausanne 1973.
3 Vladislav Ivanov, Goset. Politika i iskusstvo. 1918-928, Gitis, Moskva 2007.
4 Jeffrey Veidlinger, The Moscow State Yiddish Theater. Jewish Culture on the Soviet Stage, Indiana University Press, Bloomington 2000. Veidlinger dedica al Re Lear un paragrafo intitolato The King and the Fool all’interno del capitolo The Court Is in Session, pp. 139-146.
5 Benjamin Harshaw, The Moscow State Yiddish Theatre. Art on stage in the time of Revolution, Yale University Press, New Haven and London 2008. In ambito statunitense, sulla storia del teatro yiddish è imprescindibile il volume di Nahma Sandrow, uscito per la prima volta nel 1977, Vagabond Stars: A World History of Yiddish Theatre, Syracuse University Press, Syracuse 1996.
6 In proposito cfr. anche, del sottoscritto, Solomon Michoels e Veniamin Zuskin, Accademia University Press, Torino 2013, pp. 32-62.
7 Sonya Sarah Lipsyc, Solomon Michoëls ou le testament d’un acteur juif, Les editions du Cerf, Paris 2002. La seconda parte del volume presenta due studi dell’autrice: Pour une métaphysique du théâtre juif e Grammaire d’un acteur juif ou introduction aux causeries de Mikhoels sur le théâtre.
8 Paola Bertolone, L’esilio del teatro. Goldfaden e il moderno teatro yiddish, Bulzoni, Roma 1993.
9 Cfr. A. Attisani, Solomon Michoels e Veniamin Zuskin cit., dove al Re Lear è dedicato un capitolo, pp. 112-145.
10 In russo: M. Zagorskij, Michoels, Kinopečat, Mosca 1927; Osip I. Ljubomirskij, Michoels, Iskusstvo, Mosca 1938; Peretz Markiš, Michoels, Der Emes, Mosca 1939; Jakov Grinvald, Michoels. Kratkij kritiko-biografičeskij očerk, Der Emes, Mosca 1948; Matveij Geizer, Solomon Michoels, Prometer, Mosca 1990; in yiddish: Yekhezkel Dobrušin, Michoels der aktër, Der Emes, Mosca 1940, Aliah Folkovitsch, Michoels 1890-1948, Der Emes, Mosca 1948. Su Zuskin: I. M. Dobrušin, Zuskin, Der Emes, Moskva 1939; O. I. Ljubomirskij, Veniamin Zuskin. Na žiznennom puty, Sovetskij pisatel’, Moskva 1976. On line il riferimento principale è The Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe: <http://www.yivoencyclopedia.org>, poi All About Jewish Theatre, <http://www.jewish-theatre.com>. Un volume fondamentale per il presente studio è Aa. Vv., Michoels. Stat´i, besedy, reči. Vospominanjia o Michoelse cit.; in yiddish: Artiklen, Shmuesen, Redes, Buenos Aires 1961, anastatica della Steven Spielberg Yiddish Digital Library, Amhesrt, Massachusetts, n. 09497, s.d.
11 Natalja Vovsi-Michoels, Moi otez Solomon Mikhoels: vospominanija o žisni i smerti, Jakov Press, Tel Aviv 1984, tradotto in francese, Mon père Salomon Mikhoëls. Souvenirs sur sa vie et sur sa mort, Les Editions Noir sur Blanc, Montricher 1990.
12 Ala Zuskin Perelman, Putešest´ve Veniamina. Razmyšlenja o žisni, tvorčestve, vremeni i sud´be evreiskogo aktëra Veniamin Zuskina (I viaggi di Veniamin. pensieri sulla vita, l’arte, il tempo e il destino dell’attore ebreo Veniamin Zuskin), in russo, Gesharim, Jerusalem 2002; in ebraico Carmel, Jerusalem 2006; in inglese, trad. di Sharon Blass per Syracuse University Press, Syracuse 2015; in italiano in corso di traduzione a cura di Claudia D’Angelo.
13 Aleksandra Azarch-Granovskaja, Vospominanija, a cura di V. Duvakin, Gesharim, Ierusalim, Mosty Kultury, Moskva 2001.
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