II. Primi passi sulla scena
p. 30-52
Texte intégral
1Jacob Adler, dopo avere saputo dell’esistenza, della fortuna e dell’attuale declino di un teatro yiddish in Romania, e soprattutto dei successi di Goldfaden, era ossessionato dall’idea di fare qualcosa di simile a Odessa e, senza lasciare il proprio posto di lavoro ben retribuito, si mise in contatto con gli amici Rosenberg e Spivakofsky, che si diceva avessero formato una propria compagnia. I due transfughi arrivarono nella città senza i necessari permessi di rappresentazione, ma i rapporti intrattenuti da Adler con la corrotta polizia quando era stato ispettore del mercato gli consentirono di risolvere facilmente tali prime questioni burocratiche.
2A Odessa era stato impensabile fino a quel momento che le donne potessero andare in scena, a causa soprattutto dei pregiudizi tradizionali ancora molto forti nella comunità ebraica. Lo stesso Goldfaden ci aveva messo alcuni anni e soltanto dopo diversi fallimenti era riuscito a reclutare attrici e cantanti, o per meglio dire alcune giovani donne da formare all’arte scenica. Adesso il reclutamento delle attrici era una questione seria anche per gli odessiti.
3Alla stazione, Rosenberg e Spivakofsky furono accolti da una piccola folla dei rispettivi familiari e amici. La prima cosa che stupì Adler fu che i due fossero perfettamente sbarbati, primo segno della loro nuova condizione di attori. Lo sfrontato Rosenberg raccontava che erano reduci da trionfi di ogni tipo, ma non lasciò passare molto tempo per appartarsi con Adler e chiedergli del denaro, confessandogli di patire da tempo la fame. Comunque i due possedevano un notevole patrimonio consistente in alcuni copioni di Goldfaden e di qualcun altro, più memorizzati che scritti, anche se non ne avevano acquistati i diritti. Gradner, all’inizio della propria diaspora, aveva risolto il problema inaugurando una nuova strategia che consisteva nello scoprire e “formare” nuovi drammaturghi. Nel suo caso lo scrittore convertito alla scena era stato Joseph Lateiner, il quale con I due Schmil Schmelke aveva inaugurato una lunga e fortunata serie di copioni. Con queste premesse cominciarono i preparativi per la nuova impresa nella quale Jacob Adler sarebbe diventato attore a tempo pieno, sebbene non ancora interpretando i gradi ruoli che sognava. Si doveva ora trovare qualche attrice. Uno dei finanziatori, di professione avvocato, propose come primadonna la propria sorella, Sonya Oberlander, che dimostrò subito di essere un’eccellente attrice-cantante e sarebbe divenuta la prima moglie di Adler. Rosenberg, che aveva il temperamento giusto, fungeva da capo e “regista” della compagnia. Impose agli attori di tagliarsi barba e baffi, di vestirsi come damerini dell’alta società rumena e insegnò loro le parole e le melodie delle canzoni, le parti da recitare e i comportamenti di scena. «Faremo un teatro per gli ebrei di Russia, proprio qui, a Odessa!» proclamava ad alta voce nelle vie del passeggio cittadino per promuovere l’impresa.
4Nella calda sera del 23 giugno 1879, al ristorante del signor Akiva, era prevista la prima rappresentazione. Dal mattino si potevano acquistare i biglietti. Il clima era festoso, agli spettatori accalcati persino dietro le vetrine che chiedevano canzoni e danze Rosenberg replicava: «Noi siamo attori, artisti, non cantanti e pagliacci. Per vederci bisogna pagare!». E per vendere i biglietti magnificava uno a uno i membri della compagnia, che dovevano esibirsi in monologhi e canzoni, mentre qualche ricco amante del teatro offriva da bere. Rosenberg, allora l’attore più disinibito e brillante della compagine, era capace di fare piangere o ridere gli spettatori in un batter d’occhio; nei suoi primi anni di carriera non era mai caduto nella volgarità e aveva conquistato anche i critici più esigenti, ma in questa nuova avventura divenne, come stiamo per vedere, la prima vittima del proprio talento non coltivato.
5Tutto andava per il meglio finché non irruppe nel ristorante-teatro un brutale poliziotto a chiedere cosa stesse succedendo. Silenzio e ritirata pusillanime di Rosenberg. Adler fu incaricato di spiegare, il poliziotto verbalizzava con severità e minacciava gravi problemi, fino a quando il proprietario del ristorante non gli allungò una bustarella. Alla fine del festino di prenotazione Rosenberg divise l’incasso tra i debuttanti dicendo: «Vedete? Ci pagano prima di vedere lo spettacolo. Questo è il teatro!».
6La sera finalmente si aprì il sipario e si accesero le luci sul piccolo palcoscenico costruito per l’occasione. Molti familiari occupavano le prime file. Lo smaliziato Rosenberg, tra le quinte, non riusciva a trattenere le lacrime. Nessuno lo aveva mai visto così. Spivakofsky aveva addirittura smesso di fumare, impresa titanica per lui, e si era immerso nello studio della parte per affrontare adeguatamente la professione. Tutti tremavano di piacere e di paura. Dal buco del sipario si intravedevano i più importanti intellettuali ebrei della città. «Io ero posseduto dal desiderio di recitare, di stare in scena», scrive Adler, costretto però in quest’occasione a fare da spettatore. Dopo un’ouverture musicale iniziò lo spettacolo tanto atteso. Il programma prevedeva due brevi vaudeville e l’operetta in due atti Le reclute di Goldfaden, con parti “serie” nelle quali russi ed ebrei dialogavano fraternamente e scene nelle quali Rosenberg, il più disinibito nelle parti comiche, interpretava una recluta imbranata. Tra un atto e l’altro si esibirono i cantanti. Tutto il pubblico, invitati e spettatori paganti, apprezzò senza riserve la novità e non mancò chi, recandosi a trovare gli attori tra le quinte alla fine dello spettacolo, affermò di avere assistito a qualcosa che «sembrava proprio teatro». Alla rappresentazione seguirono discorsi e libagioni. Tra gli spettatori sedevano anche le due nuove attrici della compagnia, Sonya Oberlander e Maša Moskovič, che avrebbero recitato, come convenuto, soltanto sulla scena di un vero teatro. Quella sera cominciò anche la storia d’amore tra Jacob e Sonya.
7Presto si concretizzò la possibilità di recitare in una sala teatrale da cinquecento posti del circolo tedesco Remesleni, dove c’erano persino i camerini. Anche in questa occasione Adler si vide escluso dalla distribuzione di un’altra commedia di Goldfaden, La nonna e la nipotina, nonostante fosse ansioso di farsi vedere, soprattutto dai familiari, per sapere se approvavano o meno la sua scelta di diventare un attore. Rosenberg, per parte sua, insisteva nelle parti comiche, incontrando i gusti del pubblico e sentendosi sempre più autorizzato a calcare la mano come attore, cosa che accentuava però lo scontento degli intenditori per una recitazione che trovavano sempre più corriva e guittesca, nonché bollata da Adler come una dilettantesca «copia, imitazione». La Nonna era interpretata dall’attore-cantante S. Weinstein, che secondo Adler tutti scambiavano per una vera donna, una vecchia buba, ma a suo parere aveva uno stile troppo manierato. Altro elemento di rilievo, questa volta positivo, fu il debutto di Maša Moskovič1 nel ruolo della nipotina, prima interprete femminile del teatro yiddish russo. Il responso unanime di pubblico e critica decretò che un teatro yiddish russo ormai esisteva e Adler compensò la propria temporanea frustrazione professionale con la gioia di sedere accanto a Sonya, che ormai amava ricambiato.
8La prima commedia a tutto tondo fu Shmendrik, o il matrimonio comico, secondo il titolo completo del copione (1877) di Avrom Goldfaden ispirato da Mogulesko. Il protagonista eponimo era stato concepito inizialmente da Goldfaden proprio per Mogulesko, sulla base dell’improvvisazione che l’attore aveva presentato nel provino per essere ammesso in compagnia. Shmendrik sarebbe diventato il cavallo di battaglia di diversi interpreti e soprattutto dell’attrice Molly Picon, esponente di punta della “terza generazione” degli attori yiddish in America. Il copione prendeva spunto in prima istanza da una commedia in rumeno, Il cocco di mamma, trasferendone l’ambientazione in una famiglia chassidica, e secondariamente da Le nozze alchemiche di Christian Rosenkreutz anno 1459, tra le principali opere teatrali del teologo tedesco Johannes Valentinus Andreae,2 uno dei fondatori del movimento Rosacrociano. Da allora il termine shmendrik si è affermato nel gergo yiddish per indicare una persona stupida, sia in senso affettuoso che derisorio (si pensi, per averne un’immagine, al “Picchiatello” di Jerry Lewis), ma il termine serviva anche a indicare i soldi, la polizia o uno starnuto. Per il protagonista fu scelto un promettente diciassettenne, Yankele, poi Jacob, Katzman. Per Adler ancora nessun ruolo, gli fu preferito Spivakofsky anche perché raccomandato dalla propria amante Maša Moskovič. In questa occasione erano presenti tutti i familiari di Adler, le cui reazioni erano osservate dal giovane con più attenzione di quanto accadeva in scena. Rimasero impassibili tutto il tempo. E la sentenza dello zio Arke arrivò implacabile alla fine del primo atto: «Questo sarebbe teatro? No, no, bambino mio, questa è una buffonata!». Anche Adler cominciò a dubitare che quello fosse il vero teatro, almeno per lui.
9Sonya Oberlander militava in un gruppo rivoluzionario nichilista e svolgeva un pericoloso lavoro politico clandestino. Adler prese parte a qualche riunione di quei giovani idealisti che rischiavano la vita e si accorse che i suoi strumenti per capire e dialogare con loro si trovavano in Shakespeare, in Ostrovskij e negli altri grandi autori che aveva conosciuto da spettatore. Tutto ciò confermava in Jacob un opprimente senso di inadeguatezza, tale da spingerlo ad annunciare alla fidanzata che avrebbe lasciato il teatro; ma Sonya reagì dicendogli che sbagliava e che oltretutto lei aveva accettato di entrare in compagnia soltanto perché c’era lui, e con ciò il tormento si tramutò in estasi, estasi d’amore ma anche esaltazione intellettuale: se non si riconosceva in quel teatro, pensò il giovane, il suo dovere era quello di realizzarne un altro. Nel corso di lunghe passeggiate e conversazioni, i due misero a punto una linea di condotta, o almeno qualche proposito. Sonya gli parlava con passione e competenza degli antichi greci e di Shakespeare, di Molière e dei romantici francesi, di attrici come l’anticonformista Rachel e del «gigante Salvini»… E la loro conclusione fu: «Perché il teatro yiddish non potrebbe raggiungere quei livelli?». Ecco, il teatro yiddish doveva essere una conquista, sarebbe stato realizzato a prezzo di una lotta contro i nemici e i falsi amici. Implicita, nel nuovo orientamento di Jacob, era la decisione di perfezionarsi come attore stando accanto a Sonya, che sarebbe stata la protagonista dello spettacolo seguente, Breindele Cossack (1887), l’operetta nera e comica di Goldfaden. La protagonista Breindele (probabilmente ispirata a Rosa Friedman, già maliarda primattrice) è una donna che ha tormentato ben cinque mariti portandoli fino al suicidio e ora è alle prese con il sesto, Guberman, il quale dapprima crede di conquistarla e di essere riuscito a cambiarne il carattere e poi ne sarà vittima a sua volta.
10Rosenberg fu molto accurato nell’allestimento, provvedendo a scenari e costumi nuovi. Tutta l’attenzione, data la novità, era rivolta al debutto della primadonna nel ruolo di quella sorta di Lady Macbeth (o meglio Barbablù al femminile). A dispetto del personaggio sgradevole, Sonya ottenne un grande, unanime successo e sulla base del potere acquisito chiese e ottenne da Rosenberg di sostituire Spivakofsky con Adler.
11Prima del debutto, tuttavia, si verificò una piccola catastrofe. Giunse la notizia che Goldfaden stava per arrivare in pompa magna a Odessa con la propria compagnia principale. Molte le possibili conseguenze per la neonata formazione, dalla questione dei diritti d’autore nemmeno richiesti al confronto artistico e professionale. Indubbiamente Goldfaden si sarebbe impegnato a ristabilire la propria sovranità. Intanto aveva prenotato la sala del circolo Remesleni, cacciando di fatto i nostri. Il furbo Rosenberg, a questo punto, decise una ritirata strategica: sarebbero andati a recitare in provincia proponendo il repertorio di quel Goldfaden che era sulla bocca di tutti! Il fratello di Sonya partì alla ricerca di teatri in cui recitare, vennero scritturati un vero suggeritore che aveva appena lasciato Goldfaden (peccato che gli mancassero i due denti davanti e, più che suggerire, fischiasse)3 e un direttore d’orchestra che si portò appresso la figlia sedicenne Bettye, arruolata come terza attrice della compagnia. Partenza, dunque, in occasione della quale Adler chiese un permesso per assentarsi dal ben retribuito lavoro d’ufficio che aveva giudiziosamente conservato, e felice di andare a debuttare a Kherson,4 dove madre, padre e zio non avrebbero potuto vederlo. Arrivati a destinazione, i nostri scoprirono che non li aspettava un teatro ma un granaio, offerto e arredato da un volonteroso e benestante amante del teatro. Adler si consolò guardando i manifesti in russo che annunciavano La strega di Goldfaden con Rosenberg, come d’uso, nel ruolo del titolo e lui in quello del suo amato Marcus. Il debuttante sapeva di essere giunto a un appuntamento decisivo e che tutto sarebbe dipeso dalla sua prima apparizione in scena. Andò bene, fu accolto da un applauso e «sparò» le sue battute (l’espressione è sua); da lì alla fine fu un crescendo di approvazione. Nelle proprie memorie, tuttavia, Adler sottolinea che non era la sua bravura a essere apprezzata quanto la sua giovinezza e la sua determinazione. Anche il giudizio dei colleghi fu positivo e unanime, persino nello spettacolo seguente, nel ruolo di Guberman, il sesto marito. «Ero un attore» annota Adler «… senza la possibilità di tornare indietro» .
12Dopo questo esito la compagnia si impegnò a godersi la vita come si fa quando si compie una tournée trionfale, tra feste e riposo, in un turbine di progetti artistici e sentimentali. Ma presto arrivarono le notizie da Odessa, dove gli spettacoli di Goldfaden erano celebrati come l’ “autentico” teatro yiddish. I nostri si sentivano a disagio e in colpa, umiliati dall’accoglienza trionfale che i colleghi più famosi avevano ricevuto nel “loro” teatro. Da qui originò l’impulso dei più a incontrare Goldfaden per chiarirsi con lui e ottenere la sua approvazione, magari per entrare nella sua compagnia. A questa presa di posizione Rosenberg reagì orgogliosamente dicendo: «Andate pure da lui, poi tornerete da me!». Di ritorno a Odessa, Jacob comunicò alla madre di aver intrapreso definitivamente la carriera d’attore e lei gli rispose più o meno così: «Avevi una posizione, ti sei ucciso con le tue mani per fare il buffone!», ma poi si calmò e finì con il benedirlo.
13In città tutti parlavano di Goldfaden e i nostri si chiedevano che fare. Rosenberg giurò che lui non lo avrebbe incontrato e raccontò nuovamente della loro rottura a Bucarest, allorché Goldfaden lo aveva trattato da ladro (dei suoi testi) e schiaffeggiato. Il giorno dopo tutti andarono a teatro, dove Goldfaden non c’era, ma si incontrarono, studiandosi, le due compagnie. I rumeni, vestiti vistosamente, snobbavano i russi; il loro capo, l’attore Moishe (poi Morris) Finkel,5 li trattava con superbia, mentre un altro attore, Laiser Zuckerman, perennemente ubriaco, si dimostrava gentile e si produceva in scenette divertenti. Tra le attrici rumene primeggiavano le due sorelle Schwartz, Margaretta e Annetta,6 vestite secondo l’esclusiva moda di Parigi che mandava in visibilio le signore e gli uomini dell’intera città. Tutti i compagni di Adler volevano incontrare Goldfaden, sperando di ottenere la sua attenzione e di restare a Odessa come ramo della sua compagnia o almeno con il suo patrocinio. Un premuroso intermediario promise un’udienza anche a Sonya e Jacob, così che i due infine incontrarono Goldfaden, non il Goldfaden fallito, malato e depresso che Adler avrebbe rivisto in America alcuni anni dopo, ma un vero e proprio re, da operetta, naturalmente. Nel lussuoso albergo in cui alloggiava la sua anticamera era affollata di cortigiani in trepida attesa e i nostri non ebbero difficoltà a riconoscerlo perché quando entrò, indossando una specie di buffa uniforme decorata e con gli occhi scintillanti di autocompiacimento e di potere, tutti scattarono in piedi, gli uomini togliendosi i cappelli, in un silenzio compunto e cercando di entrare nel suo sguardo. In questa atmosfera di estrema serietà, del tutto incongrua con l’apparato visivo, Adler provò un profondo senso di delusione nel constatare che il «padre del teatro yiddish» non era un «Grande Ebreo, ma un viveur»,7 delusione accresciuta dallo stupore e dalla rabbia di vedere trotterellare dietro di lui Rosenberg! Goldfaden fece un giro di presentazioni puntando soprattutto le donne e distribuendo battute a volte anche grevi, per esempio sull’attore tragico della compagnia che era praticamente sordo, e concluse l’udienza invitandoli tutti quanti a teatro la sera, con l’aria di colui che avrebbe mostrato a quella massa di provinciali cosa fosse l’eccellenza. Anche di fronte allo spettacolo Adler restò contrariato e stigmatizzò come «una vergogna» il fatto che questo, a dispetto di un testo potenzialmente interessante sul contrasto tra ebrei fondamentalisti e progressisti, fosse farcito di musiche e canzoni prelevate senza criterio dal folklore e in definitiva proponesse un teatro di livello ancora più basso del loro. Tra gli attori le cose andavano meglio: gli piacquero Spivakovsky, già arruolato da Goldfaden, nella parte di un maskil, e Finkel in quella di un vecchio maggid, un santo, ma continuò a chiedersi perché non si potesse concepire un teatro yiddish che in attesa di tempi migliori per la propria drammaturgia traducesse le opere di Gogolź o altri testi degni.
14Alla fine della stagione teatrale i rumeni si trasferirono in una villa fuori città per le vacanze estive. Jacob e Sonya affrontarono notevoli sacrifici economici per raggiungerli ogni giorno, dopo un breve viaggio in treno, e partecipare ai giochi di spiaggia, ai bagni, alle cene e soprattutto ai progetti per la stagione seguente. Ormai Rosenberg era stato ammesso nella cerchia del capocomico rumeno e si sapeva che Spivakovsky sarebbe stato confermato nella compagnia principale, ma tutti gli altri venivano tenuti in sospeso. Verso la fine di quella strana parentesi che aveva fatto assaggiare alla giovane coppia le delizie e le meschinità della vita comunitaria degli attori, Goldfaden annunciò la decisione di creare una compagnia secondaria affidandola alla guida del fratello Tulye, così da far battere la provincia ai rivali trasformati in propri dipendenti. Rosenberg si mostrò assai contento della decisione e si comportava come se fosse ancora lui a comandare.
15Con un repertorio essenzialmente goldfadeniano, la squadra teatrale di seconda serie partì per Kišinëv, allora in Bessarabia, ora in Romania (Chiş inău).8 Rosenberg venne molto apprezzato dal pubblico come attore comico e gli altri membri della compagnia, anche se dubbiosi del livello qualitativo complessivo, cercavano di progredire individualmente e di godersi tutti gli aspetti della nuova vita. Adler passava molto tempo nelle taverne, tra sbornie e dimenticabili avventure femminili che gli servivano anche per compensare l’insonnia, uno dei prezzi pagati per la perdurante frustrazione professionale. Anche le gratificazioni non mancavano, per esempio quando centinaia di persone facevano la fila dal giorno prima per acquistare i biglietti. A Kišinëv la sala teatrale era nell’albergo e si recitava in alternanza con una compagnia russa diversa da quella incontrata precedentemente, che condivideva volentieri alcune riflessioni sulla professione con gli evraiski aktëri. Un punto dolente era il trattamento economico: l’amministratore non dava mai la paga promessa, accampando astruse questioni amministrative, e aveva un comportamento duro e discriminatorio nei confronti degli attori meno importanti, come Adler in quel momento. Tutto ciò alimentava, soprattutto in alcuni, la costante tentazione di andarsene.
Dalla piazza alla scena
Adler nelle proprie memorie tralascia un importante episodio accaduto a Kišinëv, che invece vale la pena di riferire. Gli avevano chiesto di incontrare un ragazzo con ambizioni di attore. Si trattava di David Kessler,9 cacciato dalla famiglia in strada affinché si procurasse da vivere, noto in tutta la città perché per vendere la propria merce cantava accompagnandosi con una specie di chitarra. Tra l’altro il sedicenne Kessler aveva assistito a uno spettacolo della compagnia capitanata dal Professor Moyshe Isaac Halevy-Hurwitz, nel quale recitava da protagonista Abba Schoengold, cantante che aveva rivelato un temperamento di attore tragico. Impressionato da ciò che aveva visto Kessler radunò alcuni amici e, basandosi sulla sua limitata esperienza, cominciò a fare teatro. Il padre lo aveva definitivamente cacciato e un conoscente gli aveva regalato un vero copione teatrale. Allestita la commedia, fu vista da pochissime persone, ma lui cominciò a ricevere inviti e a proporsi qui e là. All’appuntamento-provino in teatro, Kessler mostrò ad Adler alcune scene che aveva osservato tra la gente, comiche o brutali, di paradossale vita quotidiana. Durante una sua scena “tragica” uno degli attori che rideva smodatamente fu preso per il collo e sollevato dal giovane attore che poi riprese a recitare. Il parere unanime su Kessler fu positivo. Rosenberg avrebbe voluto reclutarlo come “riserva”, ma la famiglia gli impedì di partire. Kessler riuscì a liberarsi tre anni dopo, raggiungendo un’altra compagnia e portandosi dietro l’amico Leon Nadolsky. Dopo un periodo di sacrifici e duro lavoro si affermò come uno dei migliori protagonisti della scena yiddish della sua generazione, realizzando una brillante carriera dapprima in Europa e poi negli Stati Uniti, come vedremo.
Di ritorno nella propria città, Jacob Adler era ormai riconosciuto da tutti come attore, sebbene di una compagnia secondaria. La formazione guidata da Goldfaden in persona recitò per tutta la stagione nientemeno che al teatro Mariinskij. I nostri, nel dicembre del 1879, furono invece spediti a esibirsi a Yelizavetgrad (ora Kirovohrad), nell’Ucraina centrale, e comunque ad Adler toccavano sempre piccole parti o l’inattività forzata. Lui ne soffriva, nelle memorie confessa di essere stato invidioso dei colleghi che avevano l’affetto e la stima del pubblico. In ogni caso, per la sua cura nel vestire e per la bella capigliatura, lui era in ognuna delle città visitate oggetto di ammirazione dei più giovani (e delle ragazze, che lo corteggiavano in mille modi), anche se non dei critici, mentre Sonya taceva tollerante. Finalmente gli capitò di dover recitare il suo Guberman in Breindele Cossack e dopo la prima, accolta molto favorevolmente dal pubblico, Adler aspettò il giornale del mattino per vedere il proprio trionfo documentato dal critico locale. Ma questi, Osip M. Lerner,10 non scrisse neanche una riga e quando fu avvicinato da Adler e Rosenberg impartì loro una severissima ramanzina che non salvava alcun aspetto dello spettacolo, neanche il testo, considerato «indegno» come l’interpretazione, concludendo con la stessa espressione che avevano utilizzato la madre e lo zio Arke: «Siete buffoni, non attori» . Rosenberg reagì con indifferenza, ben piantato nell’ammirazione del suo pubblico, mentre Adler, che aveva trovato un riscontro alla propria crisi, cercò ancora il critico ed ebbe con lui un lungo dialogo, poi una frequentazione intensa.
16Un bel giorno tornò in compagnia Spivakovsky, il giovanissimo rivale di Adler nei medesimi ruoli, e infatti a lui venne riassegnato il ruolo di Guberman. Adler allora chiese a Sonya di rifiutarsi di recitare con l’attore più giovane e, ricevuto un no, si mise a letto con la febbre alta, che gli passò soltanto quando, dopo lo spettacolo, lo andarono a trovare per dirgli che era stato un fiasco. Un argomentato articolo di Lerner confermò l’esito negativo e anzi, nel paragone con gli spettacoli precedenti, salvò, tra i pochi, Adler. Un altro ritorno fu quello di Israel Gradner, il quale prima aveva rotto con Goldfaden e poi era fallito con una propria compagnia. Gradner, pentito e umiliato, fu riassunto dal “Re” assieme alla moglie Annetta, grande «voce con le lacrime».
17Dopo il soggiorno a Yelizavetgrad Adler organizzò a Kremenchuk, sempre in Ucraina, uno sciopero (cosa mai accaduta in teatro) per opporsi alla riduzione e al ritardo delle paghe. Quasi tutti furono d’accordo e solidali con lui, ma soltanto fino a quando il direttore comunicò che avrebbe fatto a meno di loro. Rosenberg fu il primo crumiro, poi seguito da quasi tutti gli altri. A quel punto Sonya decise di andare a parlamentare con Tulye Goldfaden e non tornò dall’incontro, lasciando soli i tre poveri scioperanti rimasti: Adler, l’attore Katzman e Bettye, che restava accanto a Jacob perché era perdutamente innamorata di lui. Adler ci rimase malissimo, anche perché stava progettando il matrimonio con Sonya, e dopo una terribile notte vide, il mattino dopo, la compagnia che si accingeva a partire. Anche Katzman aveva ceduto. All’ultimo momento però lo richiamarono e partì con loro, straziato dalla delusione e dalla gelosia fino alla tappa seguente, dove, dopo una drammatica sequenza di lite e riconciliazione con Sonya, che in realtà aveva mediato per lui, fu riammesso in scena. L’esito eccellente dello spettacolo risollevò il morale e le finanze, così che i due amanti finalmente si sposarono nella città di Poltava e trascorsero una settimana in luna di miele.
18A Smila li raggiunse un ordine di Goldfaden: dovevano tornare a Odessa per recitare al Mariinskij, un’occasione unica. Questa volta, però, a fronte delle ambiguità del capocomico, che li voleva impegnare senza contratto e senza anticipi, la coppia e alcuni altri attori disobbedirono e decisero finalmente di continuare in autonomia. Erano in pochi e senza soldi. Per rimediare, Rosenberg batteva le strade della città per cercare uomini e soprattutto donne dotate da reclutare. A un certo punto sentì cantare una bella ragazza che stendeva i panni e la convinse a lasciare la propria casa per diventare attrice: era Keni Liptzin,11 che nel giro di poco tempo sarebbe diventata una delle più importanti figure femminili del primo teatro yiddish. La compagnia intraprese quindi il proprio cammino, adattandosi a recitare in piccole città e locali di fortuna, per un pubblico povero di non soli ebrei, suscitando sempre un grande entusiasmo. Quasi nessuno di loro parlava il russo, ma questo fatto non costituiva un problema a fronte della vitalità e della novità di cui erano portatori. A Novomirgorod, tra i loro spettatori, vi era Jacob Gordin. In quella occasione il futuro drammaturgo prediletto di Adler, tra lacrime e risate, scoprì il potere del teatro e decise di dedicarsi alla drammaturgia anziché alla letteratura. Nel prosieguo della tournée la compagnia perse Alexander, il fratello di Sonya, “stabilizzato” da un innamoramento con conseguente matrimonio, e nuovo amministratore divenne Cheikel Bain, un imprenditore di Odessa passato al teatro, capace e onesto, che sarebbe stato fedele alla compagnia sino alla morte.
19Goldfaden, risentito, inviò loro una ingiunzione legale per i mille rubli a pagare diritti d’autore, una somma rilevante. In preda alla paura Jacob e Sonya andarono a trovarlo a Kiev per proporgli un accordo più realistico; giunti alla corte di Goldfaden furono aggrediti e umiliati davanti a tutti, ma si trattava della solita tattica. Alla fine il capocomico dichiarò che li avrebbe raggiunti e risolto la questione con il loro amministratore.
20A černigov, la tappa successiva, la compagnia condivise il teatro con una compagnia russa guidata da un attore-capocomico di nome čerkassov il quale rimase affascinato dagli attori yiddish sino al punto di convincere Adler e signora a recitare in russo, con i propri attori, nel Boris Godunov di Puškin. L’ottimo esito dell’episodio di fratellanza artistica non fu sufficiente, però, per indurre i due a lasciare il loro teatro e li rafforzò soltanto nell’idea di dover arricchire il repertorio. A questo punto ecco arrivare Avrom Goldfaden per la resa dei conti. Dopo la solita e ormai prevedibile sfuriata sulla questione dei diritti, fece la sua proposta costruttiva: la sua compagnia era stata invitata a recitare a Pietroburgo, realizzando così il sogno di un riconoscimento al più alto livello, e lui avrebbe voluto portare con sé qualcuno di loro. Ciò comportava però la fine della nuova compagnia. Per realizzare il proprio obiettivo Goldfaden mise in atto un trucco spregevole e geniale insieme, cominciando con il dire che in definitiva avrebbe voluto con sé il solo Rosenberg e questi, al colmo dell’entusiasmo, acconsentì. Tutti gli altri si mostrarono disgustati da questa manovra, Jacob e Sonya replicarono duramente a Goldfaden e abbandonarono la riunione, ma più tardi, in piena notte, quando stavano confabulando sul che fare, ecco irrompere nella loro camera il drammaturgocapocomico con l’impegno firmato da tutti gli altri membri della compagnia, salvo uno, a seguirlo. Ai due, esterrefatti, il Re – che in questa occasione si era comportato piuttosto come un perfido cardinale Richelieu – rivelò che a lui tutti gli altri non interessavano, che voleva soltanto loro due e che aveva proceduto in quel modo per ottenere il loro consenso. A quel punto fu Sonya a prendere la decisione di accettare, sentendosi svincolata dal tradimento dei colleghi, e il mattino dopo la coppia partì senza sensi di colpa, se non nei confronti del probo Cheikel Bain, per la nuova destinazione.
21Sonya e Jacob debuttarono in due spettacoli diretti da Goldfaden a Tannenberg (o Tymbark, in Galizia), con La figlia capricciosa, un melodramma tratto da fonte tedesca, e Shulamit dello stesso Goldfaden. Nell’imminenza della partenza per la capitale russa, a fine febbraio del 1881, si verificò un evento tragico destinato a cambiare il corso della storia per l’intera comunità ebraica dell’impero: l’assassinio dello zar Alessandro ii per opera di un gruppo nichilista i cui membri furono quasi subito arrestati e impiccati. Il violento antisemitismo scatenato dal nuovo zar Alessandro iii prese a pretesto la partecipazione di una studentessa ebrea al complotto che aveva portato alla eliminazione del padre, ma questo fu solo un aspetto della sua politica di restaurazione reazionaria, appoggiata dalla maggioranza dell’aristocrazia russa e da tutto l’apparato statale e poliziesco. Nell’immediato, per la compagnia, ciò significò la cancellazione del grande progetto e l’impossibilità momentanea di recitare a causa del lutto nazionale, da cui una sopravvenuta indigenza, una fame senza prospettive, poiché oltretutto Goldfaden non aveva retribuito la coppia neppure per il periodo di lavoro già svolto.
22La compagnia, inseguita dai creditori, partì per Minsk12 dove fu soccorsa da un pietoso padrone di ristorante prima che Goldfaden cominciasse a pagarli, seppure non con vero denaro ma con alcuni “buoni”, sorta di quote dei futuri guadagni della compagnia. Ricominciarono a recitare e in aiuto della compagnia fu convocata la sorella di Goldfaden, Zhenya, considerata una delle più belle donne di tutta la Russia, la quale però come attrice deluse il pubblico. Da Minsk passarono a Vitebsk (Bielorussia),13 dove ognuno dovette trovare da sé l’alloggio e arrangiarsi per mangiare; qui ebbero un buon esito di pubblico, sempre senza ricevere un soldo di paga, ufficialmente a causa dei debiti ( «Sulla scena un re, a casa una pancia gonfia di fame» ricorda Adler). Sonya, oltre che affamata, era incinta e uno Jacob molto arrabbiato promosse una ribellione degli attori, i quali ancora una volta furono uno a uno rabboniti da Goldfaden con vari mezzi, per esempio con il dono di un paio di pantaloni usati. Di fronte ai rifiuti del capo, per esigere il rispetto del contratto alla coppia non restò altro che rivolgersi a un giudice. L’udienza fu uno spettacolo di prima classe: lo scontro tra Goldfaden, il suo avvocato e i suoi molti testimoni, da una parte, e dei due dall’altra ebbe diverse fasi e si risolse quando il giudice, avendo constatato che non esisteva alcun documento comprovante i pagamenti, condannò Goldfaden a saldare il debito prima di lasciare la città. Adler aveva nel frattempo ricevuto da Rosenberg una lettera in cui gli chiedeva di raggiungerlo a Nižyn, in Ucraina, e accettò il compromesso, anzi fu una sua proposta che il debito di Goldfaden fosse liquidato con due serate benefiche per lui e per Sonya. Il pubblico di Vitebsk acquistò con gioia tutti i biglietti disponibili e festeggiò la riconciliazione degli attori.
23A Nižyn li aspettava un’altra situazione difficile. Niente feste di benvenuto e la scoperta che si recitava in una povera tenda illuminata da candele e lanterne. Il pubblico scarseggiava e non aumentò significativamente, come aveva sperato Rosenberg, con l’arrivo della coppia di attori, presentati come due divi. La sussistenza fu assicurata dal consumo molto oculato del denaro ottenuto nella vertenza contro Goldfaden e l’unica speranza di cavarsela consisteva nel cercare altri luoghi e altre comunità ebraiche per le quali recitare. Spivakovsky, inviato alla ricerca, finalmente si fece vivo con una buona notizia: aveva trovato uno sponsor e un’occasione per recitare a Łódź (yid. Lodzh),14 in Polonia.
24Prima di partire, tuttavia, la compagnia dovette scampare a un raccapricciante pogrom. Bande di energumeni urlanti percorrevano la città al grido di «Morte agli ebrei!». I nostri furono soltanto testimoni dell’evento perché a causa del loro aspetto diverso, rasati gli uomini e tutti ben vestiti, non erano facilmente identificabili come ebrei. Ma vissero momenti di autentico terrore. Una coppia di attori, i coniugi Kaplan, nascosero le loro cose in una fabbrica dove si produceva il ghiaccio e si seppellirono sotto un mucchio di paglia. Fecero bene, perché nessuno era risparmiato, né donne né bambini, soprattutto gli ebrei più poveri e dunque riconoscibili erano inseguiti e massacrati dalle bande, mentre la polizia e l’esercito assistevano impassibili, quando non li ricacciavano in mano agli assassini. I membri della compagnia, che stavano percorrendo la città tutti assieme, a un certo punto si accorsero di essere circondati da una piccola folla di ceffi minacciosi i quali, oltre a ripetere «Morte agli ebrei!» si chiedevano «Ma questi brutti musi sono ebrei?». Fu Rosenberg a trovare il modo di reagire: nascondendo il proprio terrore, si mise a ridere sonoramente ripetendo Oui, oui! e sussurrando ai propri compagni di parlare in francese. Tutti quanti diedero fondo al proprio vocabolario e sollevarono un muro di Merci! Bonjour! Au revoir! Bonsoir! Je vous pris! Il capo della banda era perplesso di fronte a quella cacofonia di guitti e per fortuna Rosenberg riuscì a dirottare la sua attenzione su Sonya, l’unica che parlasse davvero francese e che si produsse in un brillante monologo di circostanza. Appena scampati da questo incidente decisero di correre alla stazione e passarono dai rispettivi alloggi a ritirare gli effetti personali, tra cui i rubli degli Adler, il solo denaro disponibile per acquistare i biglietti ferroviari di tutti. Nel percorso in calesse fino alla stazione assistettero a scene atroci, destinate – confessa amaramente Adler – a segnarli per tutta la vita. Il capostazione, per fortuna, difendeva il proprio territorio, dimostrandosi pronto a ricorrere all’acqua bollente di una locomotiva per fermare gli esaltati massacratori. Lasciò entrare gli attori, come fece anche per la famiglia del rabbino locale, e finalmente arrivò un treno che ripartì subito, carico all’inverosimile di gente terrorizzata e disperata. Dal finestrino, dopo un’ora circa di viaggio in un silenzio allucinato, i passeggeri videro un battaglione di cavalleria che si dirigeva verso Nižyn per ristabilire l’ordine. A Berdyčiv,15 dove li aspettavano Spivakovsky e colui che si era offerto di finanziare, guadagnandoci, la tournée a Łódź e forse nel resto della Polonia, si fermarono una settimana.
25Si era all’inizio dell’autunno 1882. Łódź era una città industriale, moderna, dove la lingua ufficiale e persino la moda erano tedesche. Al suono delle sirene che segnavano la fine del lavoro, migliaia di persone si riversavano nel centro della città per trascorrervi il proprio tempo libero, teatro compreso. Finalmente al sicuro, i nostri pensavano a cosa fare. Il salto qualitativo avvenne con la decisione di procedere all’allestimento dell’Uriel Acosta di Karl Gutzkow, preludio all’interpretazione di autori come Schiller e Shakespeare, sempre da adattare spregiudicatamente, considerati vicini all’orientamento socialisteggiante che pervadeva gran parte della società del tempo.
Un mazziniano tedesco
Karl Ferdinand Gutzkow16 era uno scrittore e militante del movimento Junges Deutschland, simile alla Giovine Italia mazziniana. Studente di Hegel e Schleiermacher, iniziò l’attività pubblicistica nel 1831. Appassionato propagandista dell’agnosticismo e contrario all’istituzione matrimoniale, influenzato dalle teorie di Henri de Saint-Simon, sosteneva che l’emancipazione umana riguardasse il corpo, non l’anima. Mai su posizioni rivoluzionarie e radicali e anzi abbracciando in vecchiaia un orientamento conservatore, Gutzkow fu sempre un sostenitore della giustizia sociale e della liberazione dei più deboli. Lungo tutta la vita la sua militanza venne duramente sanzionata e durante un periodo di prigionia scrisse il trattato Zur Philosophie der Geschichte (1836). Dopo di ciò decise di darsi all’attività più propriamente drammaturgica e letteraria, licenziando molte opere tra cui Uriel Acosta, nel 1847, dramma che invoca una emancipazione moderna degli ebrei. Nello stesso anno succedette a Ludwig Tieck come consigliere letterario del teatro di corte di Dresda. Diverse le sue opere notevoli, oggi per lo più dimenticate, fino al Die Söhne Pestalozzis, del 1870, che riprende la storia di Kaspar Hauser. Uriel Acosta, dramma di un autore non ebreo, è diventato da allora uno dei testi più rappresentati del teatro yiddish.
Anche in questo caso lo stimolo iniziale si era verificato a Odessa, dove erano state presentate con buon esito due versioni del testo in concorrenza tra loro, la prima delle quali era stata allestita dall’avvocato Lerner per dimostrare che esisteva un’alternativa a Goldfaden e la seconda da Goldfaden stesso, che voleva primeggiare a tutti i costi. Rosenberg decise che sarebbero stati loro a vincere la sfida e si buttò a capofitto nella traduzione del testo; al momento di distribuire le parti assegnò quella del marrano protagonista a Spivakovsky, mentre Adler – come sappiamo – da tempo sognava quel ruolo. Ci volle la defezione di Spivakovsky a tre giorni dal debutto (non sopportava più la vita vagabonda, scrisse nella lettera di addio, ma forse era anche a disagio per la propria non convincente prestazione) affinché Adler interpretasse il primo dei suoi «Grandi Ebrei». Liptzin era la Madre e Sonya era Judith.
26La preparazione per il personaggio di Uriel fu molto intensa ed emozionante, una svolta che toccò tutti gli aspetti della vita professionale e intima di Adler, il quale ripassava la parte giorno e notte, visto che persino dormendo ripeteva le parole del marrano: «Quando sarai lontano da questa buona terra conoscerai il dolore, la sete, la fame, il freddo. Pensi che resterò sotto i rami profumati di questi alberi in fiore di Spagna? No! Io sono un ebreo e resterò sempre un ebreo». Conosceva la sua parte come non mai e chiese – cosa del tutto inusuale al tempo – al suggeritore di non intervenire. Provava in preda all’emozione ma anche con la paura di non essere all’altezza del compito, al tempo stesso avvertendone tutta la potenza. Il tempo diurno delle prove si trasformò per lui in un’altra dimensione, fitta di un mistero, tutta da esplorare. Per Adler era la rivoluzione spirituale e artistica a lungo desiderata, che si realizzava nella forma e nel contesto di un nuovo teatro, anche dal punto di vista strettamente tecnico. I suoi colleghi lo assecondavano e partecipavano a quell’avventura, ognuno con la propria cultura e la propria tecnica attoriale.
27Durante le prove, nella scena in cui i due fratelli di Uriel si presentano a lui, ridotti in povertà e assieme alla loro vecchia madre cieca, per rimproverarlo della sua eresia, Keni Liptzin,17 la Madre, per fargli una gradita sorpresa si era vestita e truccata come il personaggio richiedeva. Quando apparve, Adler credette di vedere la propria madre e fu sopraffatto da un incontenibile ascesso di pianto alla fine del quale trovò il tono giusto per tutta la sequenza del dialogo. La sera della prima, la gente di teatro e gli esponenti della comunità ebraica erano presenti in massa nella sala del Teatro Victoria. Il fruscio dei vestiti più eleganti si avvertiva persino tra le quinte. Adler fu raggiunto in camerino da Rosenberg in costume che portava una vistosa spada al fianco e un’altra in mano che offrì al protagonista dicendo: «Yankele, ti aiuterà contro i tuoi oppressori!» ed esibendosi in una serie di pose guerresche e duellanti. Preso da un forte tremore, Adler rifiutò, e per tutta la vita continuò a domandarsi se Rosenberg con quella sorpresa avesse voluto davvero aiutarlo o renderlo ridicolo.
28Il primo atto andò abbastanza bene ma finì male. Il sipario si chiuse sul maestro di Spinoza che sussurrava appena la battuta chiave: «La verità uscirà da sotto la terra e la giustizia cadrà dal cielo». Il pubblico rimase in silenzio e Rosenberg imprecava tra le quinte contro l’attore che non aveva suscitato l’applauso pronunciandola in modo enfatico, come d’uso. Il secondo atto era nelle mani di Sonya, che fu accolta da un applauso di sortita e interpretò la sua parte dando il ritmo giusto ai suoi colleghi e a tutto lo spettacolo, nonché chiudendo l’atto con un monologo in cui il personaggio rivelava il proprio giudaismo e si gettava tra le braccia di Uriel, tutto ciò in un crescendo logico che portò tutti gli spettatori dalla loro parte. Adesso si trattava di assicurarsi la vittoria definitiva con il terzo atto, che era nelle mani di Adler. L’attore era sicuro di recitare correttamente il proprio personaggio e avvertiva una consonanza perfetta con gli spettatori. Qui, recatosi in sinagoga, Uriel chiede di ritornare al giudaismo e di essere punito per la propria eresia, lanciandosi infine dall’altare sul pavimento per prostrarsi dinanzi alla congregazione riunita. La scena era stata provata e funzionava, ma questa volta il movimento fu sconsiderato e dopo un lungo volo Adler cadde a faccia in giù, rompendosi il naso e creando una pozza di sangue: fece appena in tempo a sentire il ruggito del pubblico prima di svenire. Si risvegliò circondato dai colleghi, da spettatrici e spettatori e udì Sonya chiedere al dottore: «Potrà recitare ancora?». «Anche stasera – fu la risposta –, dopo un bicchiere di cognac». Il melodramma e la vita si mescolavano in una commedia. Lo spettacolo riprese dopo che l’attore si fu ripulito del sangue e cambiata la barba, e a ogni battuta seguì un boato del pubblico fino alla discesa del sipario. Uriel Acosta fu replicato per molte settimane di seguito, cosa mai accaduta in quella città. Il trionfo senza precedenti dimostrava che il teatro yiddish poteva essere qualcosa di diverso dalle operette goldfadeniane e confermò tanto la statura d’attore di Jacob Adler quanto la sua vocazione moderna e tendenzialmente realista, cui d’ora in poi sarebbe sempre rimasto fedele.
29Alla fine del ciclo di repliche, però, cessarono anche le entrate, mentre la possibilità di recitare a Varsavia non si concretizzava. A quel punto ecco riapparire Spivakovsky con un nuovo finanziatore, tale Hartenstein, intenzionato a portarsi via quasi tutta la compagnia salvo Rosenberg, Adler, Oberlander e Liptzin, gli attori più importanti, per formarne una propria. Dopo spiacevoli discussioni e alcune peripezie tipiche delle “stelle vagabonde”, Rosenberg sorprese tutti decidendo di tornare in famiglia a Odessa, gli altri tre furono ripresi in compagnia e tutti insieme si misero in viaggio per Zhytomyr18 – o Žytomyr, sempre in Ucraina –, la città nella quale anni prima Keni Liptzin aveva lasciato la famiglia.
30A Zhytomyr accadde che il teatro si riempiva di pubblico soltanto a metà, mentre fuori stazionava una grande folla. Il motivo di tale stranezza fu presto scoperto. Quasi tutti i giovani della città erano mediatori finanziari, con uno spiccato senso degli affari che però conosceva strane declinazioni: con un solo biglietto un’intera famiglia assisteva allo spettacolo perché entravano uno alla volta, dopo un tempo stabilito uscivano aggiornando quelli in attesa sullo sviluppo della trama e ne entravano altri, e così sino alla fine. Ciò determinò una difficile situazione finanziaria e l’improvvisa quanto prevedibile sparizione del vacuo Hartenstein. Con l’appoggio di alcuni esponenti della comunità ebraica locale si decise di rimediare con tre serate benefiche per gli artisti, alle cui recite presero parte per solidarietà due artisti russi, un attore di nome Borisov e un’attrice di nome Kislova. Quest’ultima aprì la serata con un discorso talmente appassionato in favore dei colleghi yiddish e al tempo stesso così critico nei confronti del pubblico cittadino da suscitare una rivolta e costringere il capo della polizia a ordinare di abbassare il sipario per evitare il peggio. Una riunione con il governatore, il giorno dopo, sbloccò la situazione e finalmente si poterono tenere le recite che ridettero a tutti la libertà.
31Partiti gli altri, Adler restò a Zhytomyr con la fedele Keni Liptzin, mentre Sonya tornò a Odessa dai suoi per partorire, e nelle sei settimane seguenti avvenne qualcosa che Adler stesso riconobbe, più avanti negli anni, avere avuto un valore decisivo nella sua formazione professionale. Il citato Borisov e il suo collega Filipovskij, attori molto famosi in tutta la Russia e originari di quella città, dedicarono tutto il loro tempo ad Adler. In una serie di masterclass (così si direbbe oggi) si «offrirono di condividere con me – scrive il nostro – i loro segreti del mestiere» . Giorno dopo giorno gli spiegarono «come mescolare i colori [del trucco] per ottenere differenti effetti. Come si fa a far apparire un volto pieno oppure consunto e magro. Come alterare il corpo del personaggio per mezzo del costume. I magici effetti della luce e dell’ombra», insomma tutti i «segreti della loro grande arte, cosa significa mettere in scena un testo». Adler si rendeva conto della dimensione ancora dilettantesca in cui si trovava la scena yiddish e ciò che imparò non riguardava soltanto trucco e costumi, ma il loro intreccio con il lavoro fisico, secondo la grande neo-tradizione russa che successivamente avrebbe conosciuto una codificazione e il proprio apogeo con Stanislavskij, Vachtangov, Mejercholźd e Michail čechov. Continua infatti Adler: «Gli attori russi erano capaci di diventare più alti, più piccoli, più grassi, più magri. Potevano modificare i loro nasi, gli occhi, i menti, tutta la faccia! Anche le loro voci e il loro modo di parlare poteva cambiare […] i loro camerini erano come gli atelier dei pittori» ed erano capaci di «ricostruirsi interamente come una scultura!». La medesima attenzione era accordata all’apparato scenico, curato in ogni minimo dettaglio da grandi artisti o artigiani anche stranieri, soprattutto francesi: «ogni accessorio, ogni dettaglio, in modo che tutta la scena fosse viva…».
32Dopo questa svolta la sua esitazione tra il continuare con il teatro e tornare a una vita normale diventò un tormento. L’unica certezza era che non avrebbe più fatto teatro come prima. Tornò a Odessa, dove Sonya aveva dato alla luce Rivka (Rebecca), e cominciò a riflettere su quale altra professione avrebbe potuto intraprendere, ma si rese conto che anche tutti i suoi conoscenti ormai non lo vedevano diversamente da un attore, né Sonya poteva aiutarlo, perché era attraversata a sua volta da due desideri opposti. Così, in quell’inverno del 1882-1883, riprese «a gironzolare attorno al teatro». A Odessa in quel momento recitavano Mogulesko al Mariinskij nella compagnia di Lerner e Schoengold in quella di Goldfaden. Adler li descrive entrambi con grande ammirazione (e d’altronde la loro carriera successiva ne confermò il valore), ma si sofferma soprattutto sull’aspetto fisico di Schoengold, da lui definito «l’uomo più bello del mondo».
33Inevitabile a questo punto la decisione di formare una propria compagnia. Con Sonya, Liptzin e pochi altri ripartirono. A loro si aggiunse dopo poco – poteva essere diversamente? – Rosenberg, ed eccoli di nuovo in viaggio, a Rostov, poi a Taganrog, in Lituania e in Lettonia, sempre coltivando la speranza in un miglioramento del clima politico che consentisse di recitare a Pietroburgo. Invano.
34La compagnia si trovava a Riga,19 nell’agosto 1883, quando fu emanato il bando totale per il teatro yiddish in tutto l’impero russo. L’editto emanato dallo zar Alessandro III dopo la morte dell’odiato padre, metteva fine a un periodo di relativa libertà: Alessandro II infatti, regnante dal 1855 al 1881, aveva accordato nel 1860 nuovi diritti agli ebrei di Russia e ciò aveva favorito, tra l’altro, il grande sviluppo del teatro yiddish. Anche a causa di questo trauma, l’amministratore Chaikel Bain, che si era nuovamente unito a loro, si ammalò e morì dopo poco. A quel punto Adler si decise per l’emigrazione definitiva e assunse il ruolo di capocomico. Dove andare? Non in Romania, perché era la patria e la meta di Goldfaden, non in America, per mancanza di conoscenze e di denaro per il viaggio: a Londra dunque, raggiungibile da Riga via nave. I nostri ottennero un passaggio in nave per Amburgo a condizione che si portassero il cibo e in cambio dell’intrattenimento teatrale offerto all’equipaggio. Nell’imminenza della partenza riapparvero i coniugi Gradner e Adler li accettò di buon grado. Non così Rosenberg, che ricopriva gli stessi ruoli del brodersanger e chiese ad Adler di scegliere l’uno o l’altro. Adler li voleva entrambi, ma a questo punto Rosenberg decise di tornare a Odessa, mettendo così fine alla propria carriera teatrale.
35Con questa partenza terminava la fase infantile del teatro yiddish e iniziava quella della “scuola”. «Addio, Russia. Addio, mia giovinezza» sono le parole di Adler che concludono l’ultima puntata delle sue memorie pubblicata sul quotidiano yiddish socialista newyorchese «Di varhayt».
Notes de bas de page
1 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://epo.wikitrans.net/Israel_Rosenberg>.
2 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Johannes_Valenti nus_Andreae>.
3 Si veda in proposito il gustoso articolo dello storico del teatro Bernard Gorin, The Prompter on the Yiddish Stage, apparso su «The Indipendent» e ora in rete sul sito del Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/moyt/prompter-gorin.htm>.
4 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <https://en.wikipedia.org/wiki/Kherson>.
5 Finkel tornerà di nuovo in primo piano nel nostro racconto nei prossimi capitoli.
6 Al momento la fonte di informazioni più generosa sulle due è il libro di Lulla Rosenfeld, The Yiddish Theatre cit. Annetta è citata più spesso come Annetta Finkel, dato che aveva sposato il famoso e controverso attore.
7 «Grandi Ebrei» erano per Adler i personaggi che interpretavano al meglio l’utopia progressista ebraica, campioni di coraggio e invenzione, strenui oppositori di ogni forma di oscurantismo, esterno e interno, personaggi come lo Uriel Acosta protagonista del dramma eponimo di Karl Gutzkov, che lui già allora sognava di interpretare.
8 Wolf Moskovich, Kishinev, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 18 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Kishinev>.
9 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/dkessler.htm>; Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/David_Kessler_ (actor), e il primo volume di questa serie.
10 Anche nel caso di Lerner per le notizie più accurate che lo riguardano cfr. Lulla Rosenfeld, The Yiddish Theatre cit.
11 Cfr. Jewish Women Archive: <http://jwa.org/encyclopedia/article/yiddishtheater-in-united-states>; J. Berkowitz, B. Henry, a cura di, Inventing the Modern Yiddish Stage: Essays in Drama, Performance, and Show Business, Wayne State University Press, Detroit 2012, p. 254 segg.; Wikipedia, ad vocem: <https://en.wikipedia.org/ wiki/Keni_Liptzin>.
12 Elissa Bemporad, Minsk, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 2 settembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Minsk>.
13 Cfr. Arkadi Zeltser, Vitsyebsk, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 2 novembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Vitsyebsk>.
14 Robert Moses Shapiro, Łódź, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 26 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Łodz>.
15 Benyamin Lukin, Berdychiv, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 15 luglio 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Berdychiv>.
16 Oltre agli altri volumi di questa, nei quali Gutzkow è sempre citato, cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_Ferdinand_Gutzkow>.
17 Al tempo della stesura delle memorie da parte di Adler, tra gli anni Dieci e Venti, Liptzin era malata e ridotta in miseria passava le sue giornate su una panchina del Central Park, ma quando aveva interpretato quel ruolo era una bella donna e una valente attrice devota al suo lavoro, capace di trasformarsi a piacere nei più diversi personaggi.
18 Benyamin Lukin, Zhytomyr, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 12 novembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Zhytomyr>.
19 Mordechai Zalkin, Riga, yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe 18 novembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Riga>.
Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Da Odessa a New York
Una Grande Aquila, un re dello shund e altre stelle vagabonde
Antonio Attisani
2016
Cercatori di felicità
Luci, ombre e voci dello schermo yiddish
Antonio Attisani et Alessandro Cappabianca (dir.)
2018