VI. Non una, ma due Età dell’oro
p. 160-187
Texte intégral
1Quello yiddish era nel suo complesso un teatro autenticamente popolare, nel quale si affrontavano tutti i temi sociali e politici del momento in un’atmosfera di straordinaria partecipazione, paragonabile a quella del pubblico russo dopo l’Ottobre, come conferma Harold Clurman nella conversazione inedita qui riproposta.
2Il ciclo del teatro yiddish negli Stati Uniti è da considerare comunque all’insegna di una qualità oscillante, di una scena che si rivolgeva a un pubblico vasto e il più possibile indifferenziato, offrendo spettacoli emozionanti e divertenti, anche se a volte portatori di elevate istanze etiche, un teatro sempre attento al successo di botteghino dal quale dipendeva la sua sopravvivenza. Ciò soprattutto perché non vigeva alcuna forma di sostegno pubblico come quello che ha permesso il grande esperimento sovietico degli anni Venti-Trenta, ma la ragione principale è da ricercarsi nei nuovi assetti assunti da un paese che accoglieva milioni di migranti di diverse etnie e culture, nonché dalla nascente industria culturale alla quale gli operatori di ogni provenienza concorrevano, sia caratterizzando il proprio contributo in termini di originalità e differenza, sia “americanizzandosi”, ossia abbandonando la propria lingua, prendendo le distanze dai sogni dei rispettivi genitori e partecipando a quel processo di fusione che, ancorché non proprio riuscita, ha creato l’identità americana contemporanea. In questa sede, oltre al limite cronologico che ci si è dati, si ometterà di riferire del contributo decisivo degli operatori di origine ebraica che agivano in modo «americano» (secondo la definizione utilizzata proprio in ambito yiddish): produttori, sceneggiatori, musicisti, registi, attori, ecc. Quella è un’altra storia.
3La stagione più vitale del teatro yiddish statunitense va dagli anni Ottanta-Novanta dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale. In proposito gli storici distinguono due Età dell’Oro: la prima che andrebbe dal 1905 al 1908 e la seconda corrisponde agli anni Venti. Per delineare velocemente il quadro complessivo si possono distinguere tre aspetti principali. Al primo si è già fatto cenno, è l’ambiente, ovvero il Lower East Side e la Second Avenue, una vera e propria metropoli ebraica, yiddish soprattutto, dove già nel 1903 fu costruito un edificio prestigioso, il Grand Theater. Poi si può, anzi si deve, guardare agli attori, alle attrici e alle relative compagnie, veri artefici della grandezza del teatro yiddish e della sua miseria, a volte dovuta ai loro cedimenti al conservatorismo di alcuni ambienti, o alla ostilità del pubblico più conformista, oppure ancora al tentativo di ottenere un facile successo. Impossibile ricordare qui tutti i nomi che contano, tra essi si citeranno almeno: Boris e Bessie Thomashefsky,1 considerati gli esponenti di punta dello shund, Jacob Adler2 e la sua stirpe, Keni Liptzin,3 Dina Feinman,4 Sigmund Mogulesko5 e David Kessler, attori che influenzeranno la generazione successiva affermatasi negli anni Venti-Trenta, quella dei Jacob Ben-Ami, Maurice Schwartz,6 Molly Picon,7 Paul Muni,8 Aaron Lebedeff,9 Menasha Skulnick, Ludwig Satz,10 e interpreti come Bertha Kalich,11 che alternavano sistematicamente la scena yiddish e quella di Broadway.
4Bertha Kalich, originaria di Leopoli, è stata una delle grandi stelle del teatro yiddish e per un certo periodo anche una figura di spicco del teatro americano in lingua inglese. I critici la chiamavano «la Bernhardt yiddish» . Prima di arrivare negli Stati Uniti si era trasferita in Romania con la compagnia di Avrom Goldfaden dove aveva un tale successo che gli spettatori antisemiti che si recavano ai suoi spettacoli con l’intenzione di insultarla alla fine l’applaudivano e le lanciavano fiori. Arrivò negli Stati Uniti nel 1894, dove si distinse soprattutto nelle opere di Jacob Gordin, che creò per lei alcuni ruoli, come Etty nella Sonata a Kreutzer e la protagonista del suo Saffo. Le sue eccezionali doti di attrice attirarono l’attenzione dei produttori americani. Iniziò a lavorare nel teatro americano nel 1905, tornando però spesso sulle scene yiddish. Calcò le scene del teatro yiddish con David Kessler, quelle del National Theater di Boris Thomashevsky, dell’Irving Place Theatre e di altri teatri di New York, Philadelphia e Chicago. Fece la sua ultima comparsa nel 1939 a una serata di beneficenza del Jolson Theater.
5Non è certo di secondaria importanza il quadro delle compagnie e dei teatri nei quali il tutto si realizzava. Oltre alle compagnie maggiori come quelle di Adler, Thomashefsky e poi Schwartz, bisogna ricordare almeno quelle guidate da Jacob Ben-Ami, la Vilner Trupe, che arrivò a New York nel 1924; il Bronx Art Theatre di Rudolph Schildkraut, attivo dal 1925, la Yiddish Theatre Society fondata da Mendel Elkin nel 1925, il New Yiddish Art Theatre fondato da Jacob Ben-Ami e Jacob Mestel, attivo soltanto nella stagione 1926-27, lo Yiddish Ensemble Theatre di Egon Brecher,12 Leonid Snegoff e Jacob Mestel, attivo dal 1931, la New York Dramatic Troupe, impresa capitanata da Joseph Buloff nel 1934, la Yiddish Theatre Division che agì nell’ambito del Federal Theatre tra il 1935 e il 1939. Oltre a questi, si contano altri tentativi più effimeri come (in successione cronologica ma si tenga presente che vi era un continuo incrocio di molti protagonisti): Der Kunst Ringe e Der Teater Vinkel, The Royal Union Art Theatre, Unzer Teater, una parte di Habima; il David Vardi’s Yoalit Group; la cooperativa di attori New York Art Theatre, attiva nella stagione 1934-35 sotto la guida di Mestel, Buloff e Lazar Fried.13 Mestel si associò poi, nella stagione 1939-40, con Jacob Ben-Ami al National Theatre.14
La più puntuale testimonianza su come era recepito il teatro yiddish dagli ebrei della generazione successiva, poi protagonisti della scena americana tout court, è quella fornita da Harold Clurman, uomo di teatro a tutto campo e protagonista dei fervent years.15
6Negli anni Settanta un giovane studioso giapponese, Tetsuo Kogawa, intervistò Harold Clurman. L’uomo di teatro americano in quell’occasione scavò nella propria memoria e gli raccontò diverse cose sul teatro yiddish che non figurano negli scritti sparsi nei diversi volumi che conosciamo.16 Ecco un lungo stralcio di quell’intervista.
Tetsuo Kogawa: […] Tra gli spettacoli del teatro yiddish, invece, qual era secondo lei il migliore?
Harold Clurman: Non ne sono sicuro, è passato molto tempo. Quando ho visto quegli spettacoli ero molto giovane, più giovane di lei, molto più giovane. Ma di tutti gli spettacoli ricordo gli attori. Spettacoli che non erano grandi dal punto di vista scenico o che non erano ottimali nella regia, erano meravigliosamente efficaci nell’interpretazione degli attori. Era un teatro di attori, non un teatro di regia, di un coreografo o di qualcos’altro. Attori che sono stati molto importanti per me sono Jacob Adler, la cui figlia è poi diventata mia moglie, e David Kessler, che era tra i più famosi. Poi c’era un attore comico, uno un po’ come Chaplin, si chiamava Mogulesko, era rumeno, un gentleman ebreo rumeno, un grande comico, aveva molto fascino, ma era molto modesto. Kessler era una sorta di tragico realista, Adler una sorta di tragico romantico, anche se ha avuto un grande successo come realista. C’erano anche grandi attrici, la signora Adler (la moglie di Jacob Adler), Keni Liptzin, Bertha Kalich, che è diventata un’attrice americana. L’ultimo è Paul Muni, era un amico, anche lui è diventato un attore americano, penso sia stato il più giovane del teatro yiddish a fare film americani. Era un caratterista, ma era molto bravo anche nei ruoli tradizionali; credo comunque che il suo maggiore talento fosse come caratterista. Molti di questi attori, eccetto i più anziani, hanno avuto figli o altre persone che hanno iniziato nel teatro yiddish e poi sono diventati attori americani, come Stella Adler, Luther Adler,17 c’era anche un altro attore di grande talento, è ancora vivo, il suo nome è Jacob Ben-Ami. Era della seconda generazione, più giovane degli altri. È ancora vivo, ha più di ottant’anni, è ancora molto affascinante. E penso che lo spettacolo migliore, la migliore prova d’attore che io abbia mai visto in vita mia, nel teatro yiddish, sia stato uno spettacolo intitolato L’eterno errante dello scrittore russo, Osip Dymov.18 In quello spettacolo c’erano Ben-Ami, Thomashefsky, Lazar Fried e Celia Adler, che era un’altra figlia del maestro Jacob Adler. L’ho visto molti anni fa, forse cinquantacinque anni fa, più di cinquantacinque, sessant’anni fa, e ricordo ancora molto bene ciò che facevano e che aspetto avevano, nell’insieme era la migliore produzione di teatro yiddish che abbia mai visto.
TK: Che cosa pensa degli spettacoli dell’Artef che ha visto?
HC: Non ne ho mai visti.
TK: No?
HC: Ho visto alcuni spettacoli del regista dell’Artef, Benno Schneider. È ancora vivo?
TK: Sì, è ancora vivo.
HC: Ancora vivo? Che cosa fa? È in pensione? Che cosa fa? Insegna?.
TK: È malato.
HC: Malato… Non ho mai visto un suo spettacolo con l’Artef. Ho visto i due spettacoli che ha fatto in inglese. Non ricordo neanche i titoli. Immagino però che gli spettacoli che ha fatto all’Artef fossero migliori, aveva persone che capivano, un materiale migliore, testi più autentici, con un background a lui familiare. È stato un discepolo di Vachtangov, ha lavorato con il Teatro Habima, era un attore, per questo i suoi spettacoli somigliavano a quelli di Vachtangov. Erano sobri, imitava, o è meglio dire che era influenzato dagli spettacoli di Vachtangov, sempre un po’ grotteschi, un po’ stilizzati, con un trucco stilizzato. Era molto influenzato da Habima, soprattutto dal Dibbuk diretto da Vachtangov, di cui era stato uno degli attori. Questo è stato un bello spettacolo che ha fatto con l’Artef, non erano tutti spettacoli così belli. Ha continuato per molto tempo. Come Habima, per un po’ ha continuato a imitare se stesso, poi loro hanno smesso. Forse Schneider ha continuato a farlo, quando dirigeva spettacoli a New York o in America, perché non si possono fare tutti gli spettacoli in quel modo. Alcune persone mi hanno detto che alcuni spettacoli che ha fatto all’Artef erano eccellenti, mi dispiace averli persi. Mi chiedo perché me li sono persi, non avrei dovuto, ma l’ho fatto. Ne sentivo spesso parlare, ma per una qualche ragione non sono andato a vederli, non potevo. Forse perché lavoravo con il Group Theatre, il mio teatro, ed ero così occupato con il mio lavoro che in quel periodo non andavo a vedere altri spettacoli.19
[…]
TK: In proposito lei scrive: «La cosa più stimolante era il pubblico».
HC: Sì.
TK: Mi interessa molto il pubblico del teatro yiddish. È diverso da quello del teatro americano? Anche oggi? Potrebbe farmi immaginare il pubblico del teatro yiddish a quei tempi?.
HC: Sì, era un pubblico che praticamente viveva per andare a teatro. Tutti compravano i biglietti per uno o per l’altro spettacolo. Le persone colte andavano agli spettacoli migliori, i meno colti agli spettacoli meno belli, ma tutti avevano nelle tasche biglietti per andare a teatro. Stavano sempre per andare a teatro. Ci andavano tutti insieme, erano molto vitali, parlavano, erano più simili al pubblico giapponese che non a quello americano. Pieni di vita, chiacchieravano, interagivano, ridevano forte, erano facilmente portati a scoppiare a piangere. Ma il punto più importante è che venivano da classi sociali diverse, alcuni erano professionisti, mio padre era un medico e mi ci portava, mio nonno era un medico e mi ci portava, c’erano avvocati, dentisti, farmacisti, gente delle classi abbienti e c’erano spettatori della classe operaia, persone istruite della classe operaia. Tutti amavano il teatro. Alcuni erano religiosi, alcuni lo erano solo un poco, altri erano conservatori, altri erano socialisti. E l’unico posto in cui potevano incontrarsi e divertirsi senza essere divisi in classi o per i sentimenti e le idee era il teatro. Era meglio dei giardini pubblici, di un luogo di incontro o di qualsiasi altro luogo. Era l’unico luogo di ritrovo universale per le persone, la maggior parte delle quali era arrivata da pochi anni dalla Russia o dalla Polonia, dall’Albania, dall’Austria o dall’Ungheria. Applaudivano, ascoltavano, vibravano e capivano, sentivano, era come se parlassero agli attori e come se gli attori parlassero a loro. Ed erano entusiasti, estremamente entusiasti. Estremamente fedeli. Non avevano bisogno dei critici per decidere a che spettacolo andare, ci andavano, e se non piaceva, lo spettacolo non aveva successo. Andavano sempre tutti a vedere un nuovo spettacolo, per vedere i loro eroi, gli attori. Gli eroi erano Adler, Kessler, Thomashefsky, a volte la Liptzin, la Adler e così via. E persino gli spettacoli definiti economici, nulli dal punto di vista letterario, per il pubblico più ignorante, avevano due attori, Max Gable e Jenny Goldstein, che erano i loro eroi. Mettevano in scena spettacoli più popolari ed economici, che definivano shund. Anch’essi erano parte di tutto questo, le persone frequentavano quei teatri, inizialmente si trattava essenzialmente di tuguri, di luoghi per drogati, per i più poveri, per i “bassifondi” e gli emarginati della società. C’era Peasant Street, dove c’erano moltissimi teatri. Era un piacere sentire l’eccitazione in tutti quei teatri. I teatri giapponesi a volte sono così, il Kabuki a volte, il teatro popolare, ma l’unica cosa che io abbia visto che gli si avvicini era il teatro di Mosca negli anni Trenta. A Mosca c’era la stessa eccitazione e lo stesso entusiasmo, perché era un pubblico nuovo e di quel pubblico la maggioranza non era mai stata a teatro prima di allora. Erano troppo poveri e ora erano incoraggiati ad andarci, ora iniziavano a leggere, a essere istruiti e a sapere qualcosa di teatro. Dopo il 1917 anche loro avevano una sorta di eccitazione nell’essere a teatro. Erano elettrizzati, era un piacere andarci. Può capitare di vedere uno spettacolo, un bello spettacolo a New York, che risveglia questo stesso entusiasmo, tutti applaudono, ma quel vero entusiasmo, quell’essere davvero partecipi non l’ho mai visto se non al teatro yiddish. Nel teatro americano l’ho visto una sera, quando il Group Theatre ha fatto Waiting for Lefty. In quel caso c’è stato lo stesso tipo di entusiasmo. Immagino, come ho detto, che negli anni Trenta dell’Ottocento, quando hanno messo in scena Hernani di Victor Hugo in Francia ci sia stato lo stesso tipo di eccitazione. Allora stavano lottando, i classicisti erano contro i romantici. I romantici erano i moderni del tempo. Era la stessa cosa, le persone si sentivano davvero coinvolte, come fosse una festa nazionale o una riunione politica. Gli spettacoli non erano molto politici nel teatro yiddish, ma la gente era rumorosa, felice, persone che non si conoscevano affatto si sedevano e si salutavano, si dicevano “ciao”, portavano i bambini. Non era un ambiente raffinato, ma era vivo, vitale.
[…] Io potevo capire gli spettacoli solo in parte, non capivo molto bene la lingua, perché l’ho imparato solo più tardi, o buona parte di essa, ma all’epoca ero troppo giovane. Il primo spettacolo che ho visto è stato Il mercante di Venezia di Shakespeare, in cui Jacob Adler interpretava Shylock. Non avevano fatto il quinto atto, perché Shylock aveva finito a quel punto, non compariva, e a loro non interessava ciò che accadeva agli altri. Volevano solo vedere Shylock. Era uno spettacolo raffinato, con Shylock presentato come un artigiano ebreo invece che come un essere molto crudele e persino un po’ comico. Adler interpretava in modo romantico, molto emozionante. Non capivo la lingua, ma per me ha rappresentato un primo modello di teatro, perché erano persone molto vive, ricche di colore, potenti, emotive, erano attori eccitanti, e il pubblico intorno era eccitato. Comunicava tutta l’eccitazione che il teatro, il migliore, dovrebbe suscitare. […] Io poi ho sempre sentito la mancanza di questo tipo di sentimenti nei confronti del teatro. Le persone sono indifferenti, ogni tanto applaudono e urlano: “Bravo”, sembrano molto felici, ridono e applaudono molto spesso a scene molto belle, agli scherzi, ma si ha la sensazione che oggi il teatro sia qualcosa che è piacevole fare, che diverte fare, vengono a dare giudizi, a parlarne, ma non lo abbracciano davvero. Non hanno quel sentimento, i loro cuori non sono tutt’uno con quelli degli attori. È come un buon pasto, non è qualcosa di vitale, qualcosa di cui hanno bisogno, qualcosa che bramano, che rende la loro vita degna di essere vissuta. Non trovi più questo. Ne ho visto un po’ nel teatro russo e nel teatro giapponese, alcuni a volte gridano per alcune parti di ottima recitazione, ne ho visto anche un po’ qui, ma non è così completo. Quello era un pubblico unico, tutti venivano dall’Europa, tutti erano borghesi o poveri, pochissimi tra loro erano davvero ricchi. Erano lo stesso tipo di persone. Nel pubblico americano gli spettatori sono ebrei, protestanti, cattolici, di ogni tipo di religione, razza o classe sociale; nel pubblico americano ci sono repubblicani e democratici. Nell’altro gli spettatori si mescolavano, c’erano i più conservatori, alcuni erano più ortodossi di altri, ma c’era comunque il fatto di essere un certo tipo di persone. Questo non era altrettanto vero quando si parlava di politica. In effetti, a New York direi, e in ogni grande città, gli ebrei costituiscono la popolazione più numerosa tra i frequentatori dei teatri. E questo è valso per molte generazioni anche altrove, il numero di persone, di ebrei in tutto il paese, costituiscono, soprattutto a New York, la porzione di popolazione maggiore tra il pubblico. E un critico, credo fosse del «New York Times», ha detto che se gli ebrei smettessero di andare a teatro, dovremmo chiudere i teatri.
TK: Anche oggi?
HC: Anche oggi.
[…]
TK: Riferendosi al Group Theatre, all’Artef e ad altri teatri politici, potrebbe parlarmi della situazione di quel tempo, in cui sono nati molti teatri politici?
HC: La Theatre Union e altri gruppi di Broadway, il teatro del collettivo di Stella Adler, non sono durati quanto il Group. La situazione creativa, in generale, era data dal fatto che c’era la Depressione, una Depressione terribile. Gli americani non erano abituati alle depressioni, da molto tempo in America non c’era stata una grave depressione e gli anni Venti erano stati un periodo di grande prosperità. Quindi, quando è arrivata la Depressione è stato un trauma, perché nessuno pensava che l’America avrebbe mai dovuto conoscere la Depressione, forse solo alcuni economisti avevano capito che sarebbe stato possibile. L’uomo comune pensava che avrebbe continuato a arricchirsi, il presidente Hoover diceva che saremmo diventati più ricchi, più grandi, che sarebbe andata sempre meglio. Improvvisamente c’è stata la distruzione di quel mito: il terrore tra i ricchi e nella classe media, persone molto ricche che si suicidavano. A volte le loro fortune erano distrutte o notevolmente ridotte, di conseguenza molte persone hanno iniziato a dire, anche i capitalisti: «Forse il nostro sistema è sbagliato, forse c’è qualcosa che non va. Forse i socialisti non hanno torto». C’era la fila per il pane per le strade, per la distribuzione del caffè, del pane, dei dolci. E ha scosso tutti il fatto che laureati come architetti, avvocati, ingegneri, medici non potessero trovare lavoro, perché non c’era lavoro. Perdevano il lavoro, se come architetto prima lavoravi nei cantieri ora non potevi, perché non si costruiva. Tutto ciò li aveva sconvolti, li aveva convinti che qualcosa nel nostro sistema non va, li aveva fatti arrabbiare ed erano diventati di sinistra. Se non diventavano di sinistra si rivolgevano a Roosevelt, pensando che potesse essere il loro salvatore, e Roosevelt ha fatto alcune riforme molto utili, che sono ancora parte del sistema politico repubblicano. Ce n’erano di sinistra e c’era gente che stava con Roosevelt, persone che ritenevano fosse meglio essere con Roosevelt perché il sistema capitalista era più comprensivo nei confronti dei problemi dei poveri, sosteneva il Federal Theatre, e c’era un forte sentimento di speranza.
[…]
TK: Quando avete formato il Group Theatre, eravate a conoscenza dell’Artef?
HC: Ne ero a conoscenza in modo vago, penso che lui (Lee Strasberg) lo fosse più di me, potrebbe chiederglielo. Io ne avevo sentito parlare e avevo visto una piccola compagnia di attori ebrei che stava facendo un lavoro molto buono, ma io stavo creando la mia compagnia, forse ho pensato che fosse amatoriale, non so. Davvero non so, era nell’aria, le persone ne parlavano, ma per me non era così urgente andare a vederlo allora. Ero impegnato nel tentativo di fondare il mio gruppo. Inoltre all’inizio ero attore, direttore tecnico e consulente drammaturgico per il Theatre Guild, avevo diversi lavori ma non avevo molti soldi.
[…]
TK: Quando ha formato il Group Theatre, quale spettacolo nel mondo l’ha maggiormente influenzata?
HC: Nel mondo? Non credo si tratti di uno spettacolo in particolare, ma eravamo molto colpiti dal Teatro d’Arte di Mosca. Ci aveva molto impressionati il Dibbuk di Vachtangov, che aveva molto a che fare con il Teatro d’Arte di Mosca.
A questo punto Clurman accenna, in un inciso, al fatto che il teatro yiddish non abbia espresso né una drammaturgia né una regia di rilievo storico e come lo stato dell’istituzione registica negli anni Settanta fosse tutt’altro che soddisfacente ( «Mejerchol´d è stato il più grande regista tra loro e che io abbia mai visto. Nessuno vivo oggi, né Peter Brook, né Strehler, chiunque si possa nominare, è un genio quanto lo è stato Mejerchol´d»).
TK: Anche il teatro yiddish enfatizza l’aspetto fisico.
HC: Beh, gli ebrei sono persone fisiche. Sono come gli italiani, gesticolano molto, piangono di più, urlano di più. Per persone non anglosassoni è più facile essere fisicamente emotivi, come gli italiani, che gridano. Per queste persone tutto emerge come attività fisica.
TK: Commedia dell’Arte.
HC: La cultura anglosassone e americana è tendenzialmente repressiva. Mi dicono: «Usi troppo le mani quando parli o quando sei felice, urli più di quanto sia appropriato, dovresti essere più educato», ma io ho un background russo-ebraico.
TK: Vorrei paragonare il teatro yiddish e il teatro di Mejerchol´d.
HC: No, non si può fare. Sarebbe una falsità. Il teatro yiddish, se proprio vogliamo avvicinarlo a qualcosa, possiamo dire che era più vicino al teatro russo, al teatro russo antico. I modelli venivano dalla Russia. Non c’è confronto possibile, si può soltanto dire che amano danzare, cantare, amano i costumi, ma sarebbe un paragone fasullo.
Dopo questo approfondimento, così prodigo di informazioni e di umori nella sua informalità, possiamo passare al terzo aspetto della vicenda, quello rappresentato dai drammaturghi. Sia pure in modo frammentario molto si è già detto, ma è bene ricomporre sinteticamente il quadro che si configurava negli Stati Uniti all’inizio del xx secolo. Dopo aver sottolineato il triste epilogo americano di Goldfaden e Sholem Aleichem e avere richiamato i tratti dell’azione di alcuni altri autori, è il caso di ordinare alcune notizie su autori finora trascurati e tuttavia rilevanti e soprattutto soffermarci su quello che è indiscutibilmente il più importante di tutti, anche per la sua azione culturale in senso lato: Jacob Gordin. A lui nei cartelloni delle compagnie, oltre all’onnipresente Goldfaden e agli altri adattamenti dei grandi scrittori, yiddish e non, si affiancavano nomi come Sholem Asch, Moses Horowitz, Joseph Lateiner, Solomon Libin,20 Dovid Pinski e Leon Kobrin, Peretz Hirshbeyn (o Hirschbeyn).21
7Quest’ultimo era un drammaturgo, romanziere, giornalista e regista proveniente da una piccola città vicino a Grodno (ora in Bielorussia, al confine con la Polonia). Fu studente a Vilnius, dove cominciò a scrivere in yiddish racconti, poesie e drammi. Il primo di questi fu Miryam (1905), prima scritto in ebraico e poi tradotto in yiddish con il titolo In discesa per farlo arrivare a un vasto pubblico. In discesa racconta di un incontro con una prostituta e già mostra nelle caratterizzazioni e i dialoghi lo stile che avrebbe distinto l’autore. Hirshbeyn era stato a Varsavia nel 1904 e come molti giovani della sua generazione aveva avuto un incontro decisivo con Y. L. Peretz, il quale tra l’altro lo aveva presentato al poeta Chaim Nahman Bialik, il traduttore del Dibbuk. Continuò a comporre drammi naturalistici – tra cui Carcassa, che sarebbe diventato uno dei suoi maggiori successi – ma ebbe un momento di interesse per il simbolismo, coincidente con i suoi ultimi testi in ebraico (Mondi solitari; Fiori sulla tomba; La terra; Nel buio; e Il patto). Nel 1908 si trasferì a Odessa, dove si attivò per rappresentare i propri copioni e scrisse il dramma Gioele, mentre David Herman metteva in scena Il patto a Łódź. Il suo Sull’altra sponda del fiume, dramma in yiddish, fu rappresentato in russo, sempre a Odessa. Nell’autunno dello stesso anno, incoraggiato da diversi amici e dagli studenti del conservatorio teatrale della città, costituì una propria compagnia, la prima di ambito yiddish votata esclusivamente a un teatro d’arte. In due anni mise in scena testi suoi e di Sholem Asch, Dovid Pinski, Sholem Aleichem e Jakob Gordin, oltre a traduzioni di Semen Iushkevich e Herman Heijermans. Il successo pieno arrivò tuttavia dopo il 1910 con quattro copioni considerati dalla critica come tra i migliori dell’intero repertorio yiddish: Il luogo abbandonato (1912), La locanda vuota (1913, scritto in America), Le figlie del fabbro (1918) e soprattutto Campi verdi (1918). Qui non vi è più traccia di simbolismo e si assiste a un ritorno dei temi rurali, nel quadro dei quali si svolgono le vite e gli amori dei suoi protagonisti. Il suo stile apparentemente dimesso o leggero, eppure denso di sottigliezze psicologiche (che nelle sue scene migliori ricorda le più vivaci commedie di Carlo Goldoni, come si può constatare nel film del 1937 tratto da Campi verdi) suscitò l’interesse, tra gli altri, di Maurice Schwartz e Jacob Ben-Ami e finì con l’imporsi nei cartelloni di diversi teatri per lungo tempo.
8Hirshbeyn abbandonò formula drammaturgica messa a punto e a partire dal 1912, data del suo trasferimento a New York, si impegnò nei decenni successivi nella stesura di racconti e testi ispirati dai lunghi viaggi intrapresi con la moglie. Il primo volume delle sue memorie, I miei anni giovanili (1932) motiva l’interesse per la vita rurale come possibilità e “forma” di mantenimento e insieme di delicato rinnovamento dei costumi tradizionali nel nuovo mondo. Hirshbeyn insomma riuscì a mettere a punto una strategia di scrittura “alta”, differenziandosi dal marketing che caratterizzava molti altri autori, ma non a imporla come modello. Per questo i suoi testi furono molto tradotti e rappresentati in varie lingue.22
Le oltre settantamila persone che a New York nel 1908 parteciparono ai funerali di Goldfaden, non tutti suoi ferventi estimatori, furono la testimonianza della situazione complessa in cui si trovava il popolo yiddish alla vigilia di una scelta che la storia dimostrerà non essere mai unanime e definitiva tra assimilazione e differenza. Il «New York Times» scrisse:
La densa popolazione ebraica del Lower East Side di Manhattan ha mostrato tutta la propria ammirazione per questo umile poeta e il suo teatro, molto simile nello spirito a quello elisabettiano, capace di affascinare un pubblico vasto e rozzo.
Il suo “successore” e rivale Jacob Gordin morì nel 1909, all’età di cinquantasei anni, dopo avere svolto un lavoro di immane portata. Dapprima traduttore e adattatore di classici (Ibsen, Tolstoj, Goethe, Schiller), per reagire al degrado culturale di cui gli sembrava fosse responsabile soprattutto Goldfaden, lo scrittore, dopo avere studiato la lingua yiddish che non conosceva, si impegnò in prima persona con la produzione di testi drammaturgici sempre concepiti “su misura” per le compagnie e gli interpreti che li portavano in scena. Gordin, sostenitore del realismo e militante culturale di sinistra, nel 1897 aveva fondato l’associazione Freye Yidishe Folksbiene al fine di promuovere con ogni mezzo e all’occasione produrre un teatro di qualità. Avendo sperimentato la riluttanza dei professionisti a intraprendere nuove strade, Gordin aveva dapprima formato nel quadro della Folksbiene una compagnia di dilettanti che si sarebbe potuta permettere, secondo lui, gli esperimenti più audaci. Il suo teatro d’arte, sempre molto apprezzato da una parte almeno dei capocomici, non conobbe mai un successo unanime di pubblico, neppure in presenza del plauso convinto ottenuto dagli ambienti progressisti, con qualche eccezione per le sue traduzioni dei classici. La stampa conservatrice lo trattò sempre come un oggetto di derisione.
9Il primo suo copione si intitolava Siberia, dramma di vita vera in quattro atti e un prologo e gli era stato commissionato da Jacob Adler nella speranza di dare vita a un repertorio di qualità per il teatro yiddish, all’altezza della recente e coeva produzione russa. Speranza delusa: fin dalle prove Adler dovette gestire una situazione non ideale che vedeva la contrapposizione tra l’intransigenza dell’autore e il rifiuto sordo degli attori. Alla prima il pubblico reagì in modo distratto e rumoroso, costringendo il protagonista a uscire dal sipario in lacrime dopo il secondo atto e dichiararsi «umiliato e pieno di vergogna» perché un capolavoro come quello di Gordin non veniva apprezzato, e aggiunse: «Amici, amici, se solo comprendeste quale grande opera stiamo recitando per voi oggi…», ottenendo con ciò almeno una rispettosa attenzione per il tempo restante.23
10Soltanto una parte dei settanta-ottanta copioni scritti da Jacob Gordin sono stati pubblicati. Evidentemente ciò accade perché l’autore, nonostante sia definito enfaticamente dalla sua bisnipote Beth Kaplan «lo Shakespeare ebreo», è da ricordare più per avere sostenuto la causa del naturalismo e del realismo nel teatro yiddish che per il valore intrinseco del suo contributo drammaturgico. Barbara Henry è sostanzialmente di questa opinione, ma precisa che alcuni dei copioni gordiniani erano profondamente innovativi in quel contesto teatrale.24 Ci soffermiamo qui di seguito i titoli più ricorrenti nel nostro excursus.25
11Siberia, già pubblicato in forma di racconto nel 1891, è basato sulla storia vera di un deportato che fugge fortunosamente e riesce a rifarsi una vita normale finché, dopo molti anni, non è scoperto e nuovamente esiliato. Come il successivo Due mondi, ovvero il grande socialista, da un racconto del 1892, Siberia fu apprezzato dapprima dalla critica e come s’è visto assai poco dal pubblico.
12Seguì, sempre nel 1892, Il Re Lear yiddish, libero adattamento da Shakespeare e dal Re Lear della steppa di Ivan Turgenev. Il successo dello spettacolo almeno sbloccò la situazione e consentì a Gordin di continuare nell’attività drammaturgica, segnando per la scena yiddish l’approdo a una dimensione autenticamente drammatica. Il suo Re Lear inizia durante una festa di Purim data da David Moyshele, un ricco mercante di Vilnius del xix secolo, personificazione, secondo Adler, del «Grande Ebreo» circondato da familiari, amici e servitori, in effetti un monarca con la sua corte. Quando spartisce i suoi averi per ritirarsi in Terra d’Israele, la figlia più virtuosa gli racconta la storia del re Lear e contestando la sua autorità, proprio come Cordelia, si ritira a studiare a San Pietroburgo. Al protagonista tocca il medesimo destino di rovina e follia del re shakespeariano, con la differenza di un lieto fine – come già a Shakespeare era capitato sulla scena inglese dell’Ottocento – in cui si riconcilia con la propria figliolanza. I mariti delle figlie ai quali Moyshele ha donato il proprio “regno” sono un chassid, un commerciante ortodosso e un apikoyres (un ebreo laico, definito con un termine che deriva da Epicuro).
13Il testo divenne in breve un caposaldo del repertorio adleriano, al punto che dopo molti anni l’attore ne recitava il primo atto immobilizzato su una sedia a causa della malattia che lo aveva reso invalido, semiparalitico. Fino a tempi relativamente recenti il Re Lear yiddish è stato spesso tradotto, adattato e messo in scena in diversi paesi. Scritto alcuni decenni prima della Grande Depressione, il testo di Gordin finì con l’assumere un nuovo significato. Sia il “re” Dovid Moyshele che il rifiuto di Taybele-Cordelia suonavano come una condanna per ogni esibizione esteriore di benessere e di stravaganza nel momento in cui lunghe file di disoccupati facevano la coda per ottenere un poco di pane. E il fidanzato di Taybele, Yaffe, solidale con la ragazza, il personaggio più moderno del dramma, costituì una novità per la scena yiddish. I due giovani infatti rompono con la tradizione patriarcale ebraica e preferiscono studiare medicina per aiutare chi ne ha bisogno. Nel riallestire il testo negli anni Trenta, Boris e Harry Thomashefsky – padre e figlio – scelsero, in coerenza, attori disoccupati e praticarono una politica di prezzi bassissimi, così che l’insieme suonasse come una dichiarazione in favore della cultura intesa come servizio pubblico. La stessa categoria di interpreti è presente nel film che ne è stato tratto da Joseph Seiden nel 1935, con Maurice Krohner nel ruolo principale. Si tratta degli stessi attori che interpretarono anche, in yiddish, Svegliati e canta di Clifford Odets, Qui non può accadere di Sinclair Lewis, la rivista (kleynkunst) di successo Noi viviamo e ridiamo di Jacob Bergren26 e Il sarto diventa negoziante di Dovid Pinski, tutti esempi di teatro militante radicale e di alta qualità. E che lo fecero con compagnie che percorrevano in lungo e in largo tutto il paese, recitando ovunque fosse possibile, senza apparati scenografici e altri orpelli. Naturalmente la maggior parte di questi spettacoli erano recitati in inglese, ma lo yiddish era una delle lingue utilizzate in quel grande progetto di nuovo teatro nazionale che, con il contributo del Federal Theatre Project, ebbe luogo dal 1935 al 1939 coinvolgendo ben tredicimila professionisti dello spettacolo. Il governo degli Stati Uniti finanziò alcune delle più innovative produzioni del teatro yiddish degli anni Trenta assicurando il salario degli attori, autori e registi nel quadro del Works Progress Administration. Tra questi vi è anche il film del 1935 tratto dal Lear di Gordin. Gli artisti di questi spettacoli ricevevano compensi modesti, circa cento dollari al mese, sufficienti però a vivere decentemente durante gli anni della Grande Depressione. Anche Boris Thomashefsky, una volta ricco e famoso, era fallito, il pubblico non lo seguiva più, e approfittò di questa occasione: anche lui, come Lear, aveva perso il proprio regno, ma con queste produzioni lo riconquistò in parte, facendosi conoscere anche da spettatori che non comprendevano lo yiddish. Il regista Joseph Seiden diresse il film, ma gli interpreti furono guidati da Harry Thomashefsky, figlio di Boris. Il film permette di vedere gli attori che facevano parte della unità yiddish del Federal Theatre Project. Il ftp era un’articolazione del wpa e sponsorizzò sia una tournée dello spettacolo diretto da Boris Thomashefsky, sia la versione inglese diretta da Harry Thomashefsky con il titolo Un altro Re Lear. La radicalità di questo programma esemplare si deve alla lungimiranza della direttrice del ftp Hallie Flanagan27 e del direttore del wpa Harry Hopkins. In questo contesto furono messi in scena diversi spettacoli yiddish con testi di Sholem Aleichem e Gordin, recitati assieme a quelli di O’Neill, Shaw e Shakespeare. Nel citato Shakespeare on the American Yiddish Stage, Joel Berkowitz nota che gli storici del cinema, mentre considerano la regia di Harry Thomashefsky statica e inefficace, valutano molto positivamente la prova del protagonista Maurice Krohner e rilevano che il suo naturalismo diede l’avvio a un modo di recitare che avrebbe connotato il cinema americano del decennio.28
14Tra i maggiori successi di Gordin si devono ricordare inoltre: L’uomo selvaggio; I fratelli Lurie della Lituania; Zelig Itzik, il violinista, libero adattamento da Cabala e amore di Schiller; Un nemico del popolo, da Ibsen; Medea: una tragedia storica, da Franz Grillparzer; Mirele Efros ovvero la Regina Lear ebraica; Il macellaio (titolo che si riferisce alla macellazione rituale kosher). Tutti tratti da racconti e romanzi già pubblicati dall’autore negli anni Novanta.
15L’uomo selvaggio è un copione pensato per un Adler à la Salvini, con il quale la Grande Aquila ottenne uno dei suoi maggiori trionfi personali.29 Vi si racconta di Lemach, un giovane epilettico e mentalmente disturbato. Alla morte della madre, il padre si è risposato con una donna sessualmente irrefrenabile. Durante la sua breve vita erratica Lemach è stato brutalizzato, ma subisce passivamente fino alla svolta fatale: la sorella è costretta a prostituirsi e lui si accorge di amare perdutamente la matrigna. A questo punto sembra impazzire di dolore e uccide l’oggetto del suo desiderio impossibile. Forse, suggerisce Kaplan, con questo dramma “estremo” Gordin esprimeva un’autocondanna per i rapporti ambigui con una giovane moglie irresponsabile e il suo non-amore nei confronti di una figlia handicappata che aveva lasciato in Russia.30 L’uomo selvaggio è anche il testo che incuriosì Kafka quando lo vide rappresentato, sia pure in versione edulcorata, a Praga dagli attori di Leopoli. Anche per Solomon Michoels L’uomo selvaggio segnerà uno dei suoi maggiori successi d’attore.
16Mirele Efros è il nome della protagonista che viene praticamente ripudiata dalla propria famiglia. Le sue caratteristiche appartengono a una tradizione drammaturgica che va dalla Serkele. o il compleanno del fratello morto (1825) di Solomon Ettinger fino a Svegliati e canta (1935) di Clifford Odets.31 Il personaggio è stato un cavallo di battaglia di tutte le grandi attrici yiddish: la prima fu Keni Liptzin, agli albori del teatro yiddish in America, ma si arriva sino a Esther-Rokhl Kaminska (a New York nel 1912), poi a sua figlia Ida e a Tatiana Pavlova in Italia. Mirele è all’inizio dell’opera una vedova di cinquant’anni che ha risollevato la sorte della famiglia dopo il fallimento del marito. Onesta e astuta lavoratrice, è anche autoritaria e arrogante quando viene scalzata dalla nuora Shaindl che rivendica l’eredità per il marito. Mirele è in seguito emarginata dalla propria famiglia e trova rifugio presso il suo fedele impiegato Kalman, con il quale si comporta come prima. Dopo dieci anni tutto va male a Shaindl, affari e matrimonio, e lei cerca di porre un riparo alle cose in tempo per il bar mitzvah (la cerimonia per la raggiunta maturità) del figlio. Dapprima Mirele rifiuta il riavvicinamento, ma poi ripiomba nella tristezza. Infine il nipote le parla nel giorno solenne che lo aspetta e la convince a tornare. Nonostante la sua tonalità tragica, shakespeariana, il copione ha un insolito (per Gordin) lieto fine, con canti e danze.
17Tra i drammi scritti da Gordin all’inizio del nuovo secolo si segnalano: Dio, uomo e diavolo e Saffo; Il bastardo (tratto da Lucrezia Borgia di Victor Hugo); La potenza delle tenebre e Sonata a Kreutzer (traduzioni-adattamenti da Lev Tolstoj); L’orfana Khasye; La verità; Purezza della famiglia; Il vero potere; Resurrezione, da Tolstoj; e Salomone il saggio. Tra questi il più noto è senz’altro Dio, uomo e diavolo, che prende spunto dal Faust di Goethe e dal libro di Giobbe biblico e del quale esiste una versione filmica.32 Nel testo, Dio e Satana discutono della corruttibilità dell’uomo. Dio propone l’esempio positivo dello scriba Hershele Dubrovner, mentre Satana, che si esprime come un esaltato sostenitore del capitalismo, si dichiara pronto a corromperlo e ci riesce con un’astuzia, vendendogli un biglietto vincente della lotteria che produce un effetto devastante, persino sulla giovane Fredenyu che lo scriba ormai moralmente corrotto ha sposato ripudiando la moglie. La sorella di Fredenyu si unisce invece per amore a un giovane povero, che muore in un incidente sul lavoro nella fabbrica di Dubrovner. Il Faust yiddish comprende allora di aver perso l’anima, torna a suonare il violino e infine si impicca. La sua estrema redenzione segna la sconfitta di Satana.33
18Meno importante ma curioso e in quegli anni piuttosto apprezzato è Salomone il saggio, ispirato a un fatto storico avvenuto alla corte di Luigi xiii e del Cardinale Richelieu. Solomon Kaus, il protagonista, è un ebreo parigino che vorrebbe costruire una macchina mossa dall’acqua (non è chiaro se si trattasse di un motore a vapore ante litteram) e l’ottuso Richelieu lo fa internare in manicomio.
19E veniamo all’ultima produzione di Gordin, ovvero ai testi che contrassegnano la sua delusione finale, forse una definitiva perdita di speranza.
20Elisha Ben Abuyah, del 1906, ambientato nella prima cristianità, fu subito allestito con successo da Jacob Adler, per il quale era stato scritto. Nella ripresa del 1911 il personaggio della donna perduta, Beata, divenne appannaggio di Sara Adler. L’amico fedele di Ben Abuyah, Toivye Avyoini, era interpretato da Sigmund Mogulesko, e sua figlia dalla figlia di Adler, Frances,34 che fu sostituita nelle ultime repliche dalla più giovane Stella, colei che sarebbe diventata la Adler più famosa. Il Ben Abuyah di Gordin è chiaramente un ritratto dell’autore stesso e, in parte, di Jacob Adler: un agnostico che si sente profondamente ebreo e che rifiuta il cattolicesimo ancora più fermamente dell’ebraismo, un uomo che agisce in base a una propria etica e viene perseguitato dai suoi correligionari, come Gesù, morendo infine nella visione della futura «terribile sofferenza ebraica» che la maggior parte del rabbinato cercava di esorcizzare.35 Secondo Beth Kaplan questo testo è anche «una lettera d’amore al teatro yiddish» dal quale Gordin si sente abbandonato a causa della propria posizione ideologica radicale e minoritaria.36
21L’indegno, del 1908, è definito da Lulla Rosenfeld «uno studio sui timori e la bigotteria della provincia», mentre il protagonista Ben-Zion Garber è «un uomo geniale, perduto e incompreso in un ambiente sociale che finisce per distruggerlo».37 Ben-Zion, figlio di un ricco e ignorante industriale ucraino, rifiuta la disonestà che domina negli affari ed è segretamente innamorato di Lisa Rosenberg, figlia di un rivale del padre, promessa al fratello maggiore. Alla ragazza Ben-Zion non dispiace: lo trova troppo ingenuo e idealista, ma anche dopo il matrimonio continua a esitare tra i due fratelli. Ben-Zion se ne è andato a vivere con il povero zio Yisrol Yakob e sua moglie; pubblica saggi scientifici su una rivista di Odessa, diventa un provetto orologiaio e lavora al progetto di una macchina dal moto perpetuo. Si vocifera che sia un ateo e in combutta con il diavolo. Interviene a fermare un marito che picchia la moglie e viene aggredito a sua volta dai due; protesta contro il maltrattamento dei bambini in una scuola ebraica; denuncia le cattive condizioni igieniche delle fabbriche, inclusa quella del padre. Ignora l’avvertimento che si sta facendo molti nemici. Alla fine del secondo atto sta per completare la propria invenzione quando sopraggiunge Lisa che gli comunica il grave stato di salute del padre. Dal loro dialogo si capisce che sono ancora innamorati, ma anche che la felicità per loro è ormai irraggiungibile. A un certo punto Ben Zion dice: «La Ofelia di Shakespeare si suicida. Questa Ofelia sposa mio fratello», e Lisa risponde: «Lei è annegata nell’acqua pura ed è morta solo una volta, mentre questa Ofelia muore ogni giorno in una lurida palude». Durante il loro dialogo, un esaltato distrugge la macchina di Ben-Zion. Il terzo atto comincia con il padre apparentemente moribondo che rifiuta di farsi vedere da un dottore. Quando Ben-Zion entra, valigia in mano, il fratello maggiore sta chiedendo un testamento a proprio favore. Ben-Zion dichiara che sta pensando di andarsene per sempre. Si capisce che è stato il fratello a ordinare la distruzione della macchina. Ben-Zion chiede perdono al padre, apre la valigia, ne estrae una pistola e si spara al cuore. Il padre informa invano il figlio morente che il testamento sarebbe stato equo e il dramma finisce con il maggiore terrorizzato dall’aver portato il fratello al suicidio e umiliato di fronte a Lisa che finalmente dichiara il proprio amore per Ben-Zion, accusando tutti di averlo ucciso «per paura della verità». I primi interpreti di Ben-Zion e Lisa Rosenberg furono Jacob e Sara Adler.
22Tra le ultimissime opere teatrali di Gordin si ricordano Lo straniero del 1906, Senza casa del 1907, Dementia Americana del 1908, su cui ci soffermeremo, e David il corista.
23Senza casa – da cui è tratto un famoso film – racconta della tragedia che si svolge a New York in una famiglia di immigrati. Sara è una semplice casalinga lasciata dal marito perché costui si innamora di una donna moderna, progressista. Sara non conosce e non capisce l’America e crolla psichicamente. Dopo due anni di manicomio torna a casa, ma non è più il suo posto: il marito non rinuncia all’altra e il figlio ha paura di lei. Fuori nevica e la donna pensa alla Russia, la malattia la assale nuovamente, crede di trovarsi nella sua prima casa e di essere una matrona felice. I vicini chiamano un’ambulanza e quando questa arriva Sara si è trasformata in una bambina allegra e spensierata, continuando a ripetere che sta per tornare a casa. Il dottore pietoso la asseconda nel suo delirio. Lei danza felice fino al calare del sipario.38
24Ai drammaturghi Ettinger e Libin vale la pena di dedicare qualche nota.
25Solomon (Shloyme) Ettinger39 era nato a Zamość, nella parte austriaca della Polonia. Aveva perduto i genitori in tenera età ed era stato allevato da un nonno rabbino spregiudicato e tollerante. A quindici anni fece un matrimonio combinato, com’era d’uso allora, e intraprese varie attività, senza esito, decidendo quindi di studiare medicina a Leopoli. Una volta laureato fece ritorno al paese d’origine ma non riuscì a esercitare. Nel frattempo quella zona era passata sotto la giurisdizione russa ed era aumentata la repressione antiebraica. In seguito si stabilì a Odessa, svolgendo varie attività e cercando di affermarsi come scrittore. Molti suoi testi sono andati perduti, ma alcune scene, poesie e canzoni furono pubblicati. Ci restano tre suoi drammi, Lo zio d’America e Gioventù imprudente, trovati dopo la sua morte, nonché il suo copione più apprezzato e molto rappresentato per circa un secolo, Serkele, scritto dall’autore nei suoi vent’anni e pubblicato postumo nel 1861. Serkele parla di una donna che cerca di dominare il proprio ambiente familiare e sociale utilizzando il denaro rubato all’eredità del fratello, creduto morto. La vicenda è inquadrata in una vivace trama comica che rilancia la critica illuminista della famiglia. Il testo era molto apprezzato dai professionisti della scena yiddish per il suo forte senso della forma, per l’organizzazione sonora del linguaggio e per i suoi ritmi, vale a dire per la sua eccellente struttura teatrale. Queste caratteristiche, putroppo in gran parte perdute nelle traduzioni, tuttavia fanno intendere quanto le scelte delle compagnie fossero orientate non tanto dai contenuti quanto dalla vocazione scenica dei testi. Anche drammaturghi come Goldfaden e Gordin dichiararono di essere stati fortemente influenzati da Serkele; ricordiamo che Goldfaden aveva debuttato come attore nella prima rappresentazione del testo, nel 1863, al seminario rabbinico di Zhitomir.
26Solomon Libin, originario di Mohilev Gubernia, in Podolia, ricevette una educazione religiosa e sin da ragazzo militò tra le file dei progressisti di sinistra. Dopo aver lavorato in una farmacia, emigrò a Londra nel 1891 e dopo sei mesi in America, dove per alcuni anni fu cappellaio e poi, dal 1903, garzone di un giornalaio. Dal 1892 aveva cominciato a pubblicare articoli sull’ «Arbeter tsaytung» diretto da Cahan con lo pseudonimo di “Z. Libin”, scrivendo feuilleton sulla vita degli emigranti con i quali finì per ottenere un certo successo, e frequentava assiduamente i teatri. Nel 1900 aveva debuttato come autore al Thalia con Le nozze tardive, una commedia in quattro atti interpretata, tra gli altri, da Bertha Kalich, David Kessler, Morris Moshkovich e Zigmunt Mogulesko. Da quel momento la sua attività di drammaturgo (forniva i propri drammi per cinquanta dollari) fu intensa e continuativa: 1901, al Thalia, David e sua figlia, testo ripreso nel 1912 all’Aged’s Clinton Theatre; nel 1902, al Thalia, con Bertha Kalich, Il voto infranto; nel 1903, al Thalia, con Kalich protagonista, Henele, una Medea yiddish, ripreso nel 1923 all’Irving Place, sempre con Kalich e prima, nel 1913, con piccoli cambiamenti, da Keni Liptzin con il titolo Vendetta di una madre; nel 1903 David Kessler mise in scena al Thalia Il Primo Maggio; nello stesso anno il Grand Theater, con Sara e Jacob Adler come protagonisti, propose Cuori infranti, uno dei suoi copioni più fortunati (come testimonia la versione cinematografica del 1926 con Lila Lee,40 Maurice Schwartz, Anna Appel,41 Wolf Goldfaden42 e Isidore Cashier43), rappresentato in America e in Europa (portato con sé e adattato da Julius Adler) per lungo tempo. Alla fine dell’anno, Libin cominciò a guadagnarsi la vita come drammaturgo e giornalista del «Forverts». Nel 1904 Jacob Adler mise in scena al Grand Theater Sangue ebraico, seguito da Le due generazioni, con musica di Broyde, scenografie di Adler e direzione di Kessler. Questo copione, come il precedente, non ebbe molta fortuna; alla fine del 1904, sempre al Grand Theater, debuttò La rete del male, dramma in quattro atti; nel 1905, al Thalia, seguì Lo straniero, poi rappresentato in Europa, all’insaputa di Libin, da Dina Feinman e da Esther-Rokhl Kaminska (anche interprete del film omonimo) con il titolo Il selvaggio; sempre nel 1906 al People’s di Boris Thomashefsky fu la volta di Il sognatore e di Il suo passato al teatro della Kalich, con Fernanda Eliscu nel ruolo principale (più tardi in Europa lo interpretò Dina Feinman). Nel 1907, al Grand, fu la volta di I vicini con Sara e Jacob Adler che proposero anche, a ruota, L’eterno ebreo, pubblicizzato come Il cattivo ebreo, titolo del film che ne fu tratto; nel 1907, ovviamente al People’s, Boris Thomashefsky diresse la moglie Bessie in La donna buffa. Jacob Adler nel 1908 diresse e interpretò Il verdetto, nel 1909, mentre Kessler e Kaminska, al Thalia, furono protagonisti di Gente senza fede.
27All’inizio del 1910, Adler, che al momento non aveva un proprio teatro, mise in scena e interpretò alla Academy of Music Punizione divina, con musiche di Joseph Rumshinsky,44 spettacolo portato da Adler in Canada e mantenuto in repertorio mentre veniva interpretato anche da altri attori. In Europa Punizione divina fu un cavallo di battaglia di Esther-Rokhl Kaminska. Sempre nel 1910 Adler propose Il giorno del giudizio e poi, all’Atlantic Garden, Le fondamenta, “dramma realistico in tre atti”, contemporaneamente a Thomashefsky che proponeva al Grand Theater Giustizia.
28Seguirono, nel 1911: Colui che legge i pensieri con Rudolf Schildkraut protagonista, e Amore cieco diretti da Thomashefsky al People’s Theatre. Nel 1912: Bambini stranieri da Thomashefsky al People’s (poi ripreso da Kaminska); Uomini e donne, diretto da David Kessler. Nel 1913: La persona in più con Kessler protagonista e L’ultima ora con Jacob e Sara Adler all’Adler’s Dewey Theatre. Nel 1914: Kessler fu regista e protagonista di Lo storpio e Il potere della passione; poi fu la volta di Gelosia cieca, ovvero Credi a tua moglie, rappresentato da Samuel Goldenburg e Celia Adler all’Amphion Theatre. Nel 1915: La sua prima moglie, Amore, peccato e innocenza, scene di vita in quattro atti, con musiche di Broyde e Friedsell e Kessler protagonista; Il passo falso (secondo alcune fonti il copione era di Lateiner), Il sedotto (testo di cui l’autore nemmeno si ricordava). Nel 1916 nel teatro di Kessler si rappresentò, con la regia di Anshel Schorr, Il cuore di una donna, che già era stato recitato a Philadelphia da Ludwig Satz e Celia Adler; Bessie Thomashefsky, diretta da Max Rosenthal, interpretò La grande domanda – messa in scena anche a Philadelphia con la regia di Anshel Schorr e l’interpretazione di Jacob Adler e Ludwig Satz – e Le due madri, un Lebensbild in quattro atti con canzoni e musiche di Friedsell tratto da un racconto che Libin aveva pubblicato su «Forverts». A causa del grande successo ottenuto, il soggetto ridiventò un nuovo racconto pubblicato a puntate dal «Morgn zhurnal».
29Nel 1917 i Thomashefsky allestirono al National Theatre Il solo testimone, un dramma che rimase in repertorio per molto tempo nel teatro yiddish americano e non solo (in versione inglese come La sconosciuta di Stanley Lewis, in realtà sempre Libin); L’uomo nuovo da parte di Kessler, che vi recitava con Moskovitsh, Bernstein e Celia Adler; al People’s, per la regia di S. Rosenstein, Due donne d’oggi, con Bessie Thomashefsky come protagonista (anche questo copione divenne poi un feuilleton di successo).
30Il 1918 è l’anno di Inganno e amore (da Cabala e amore di Schiller) dramma in quattro atti diretto da Jacob Adler e interpretato da Sara Adler; Maurice Schwartz inaugura il suo Irving Place Theatre con L’uomo e la sua ombra, musiche di Joseph Broyde, e Maurice Schwartz e Celia Adler nei ruoli principali.
31Seguono, nel 1919, Speranza perduta al People’s, con David Kessler come regista e protagonista; La figlia del sarto, commedia drammatica diretta da Samuel Goldenburg al Second Avenue Theatre con musiche di Rumshinsky. Nel 1920 ecco Ellis Island, dramma realistico diretto da Sigmund Weintraub al Liberty Theatre. Nel 1921 il People’s presentò, per la regia di Max Rosenthal,45 il dramma Dio della pietà, con musiche di Broyde e l’interpretazione di Goldenburg, Satz, Rosenthal e Berta Gersten.46 Nel 1922 si rappresentò, diretto e interpretato da Ludwig Satz, all’Irving Place Theatre, Povero, dove vai?, tragicommedia in quattro atti, con un successo tale da restare per sempre nel repertorio di Satz; al Royal Union Theatre, con Malvina Lobel come protagonista, Calcoli di ragazza, con musiche di Peretz Sandler; la commedia drammatica Venditore di robaccia con Satz e Peter Graff protagonisti. Nel 1923 lo Irving Place Theatre presentò la commedia fantastica Senza soldi si sta male, con Goldenburg e Paul Muni protagonisti. Nel 1925 Max Rosenthal diresse all’Irving Place Theatre, Satz nella commedia Yankees verdi, poi L’albero della vita con Celia Adler. Al McKinley Square Theatre, per la regia di Joseph Kessler, fu la volta di Bambini del mondo, interpreti principali lo stesso Kessler, Henriette Schnitzer e Lisa Silbert. Nel 1926 toccò a Gioventù senza legge all’Amphion Theatre, regia di Samuel Goldenburg, e nel 1927 a I bambini non dimenticano per la regia di Chaim Shneyur (attori principali: il regista, Bela Bellerina e Boris Auerbach), Hopkinson Theatre, musiche di Broyde (testo di successo portato a Londra da Kessler e a Varsavia da Shneyur, poi ripreso al Public Theatre nel 1927 con Blank, Satz e Annie Meltzer. Nel 1928 il Folks Theatre, con la regia di Misha German, rappresentò Nuove melodie: i testi delle canzoni erano di Israel Rosenberg e le musiche di Harry Lublin. Nel 1931, a Montreal, con la regia di Chaim Shneyur, andò in scena Hanno conosciuto la felicità, insuccesso subito rimosso dal cartellone ma riproposto a New York (Odeon Theatre) alcuni mesi dopo con il titolo Il sovrano orgoglioso, e altrove con altri titoli e interpreti, sempre con buon successo, tanto da diventare a sua volta feuilleton.
32Questa parziale rassegna dà un’idea della prolifica scrittura di Libin e del suo successo come autore popolare, capace di parlare a molti e di convincere interpreti molto diversi tra loro, senza cadere negli eccessi di volgarità plebea à la Horowitz. Come drammaturgo Libin era un seguace di Gordin, ma era decisamente meno dotato e oggi risulta più datato. Era anche un abile pubblicista e pertanto esistono diverse edizioni di quasi tutte le sue opere. I film ispirati ai suoi copioni consentono di farsi un’idea più precisa delle sue doti drammaturgiche, anche se in quel caso bisognerà prendere in considerazione l’intervento dei registi, decisamente migliorativo. Come si vede la sua attività conosce una battuta d’arresto, anche se non la fine, all’inizio degli anni Trenta: dato, questo, significativo del suo legame con un gusto contingente, primonovecentesco, i cui migliori esponenti, non a caso anche suoi committenti, erano Jacob Adler, Boris Thomashevsky e Ludwig Satz, rappresentanti, nonostante le differenze tra loro, di una evoluzione dal melodramma ottocentesco al sopravveniente realismo.47
Notes de bas de page
1 Come s’è detto, di gran parte degli attori e degli autori qui citati ci si occupa nei vari volumi di questa serie. In proposito si daranno altre notizie e indicazioni bibliografiche. In questa nota e nelle seguenti ci si limita a segnalare le schede biografiche rintracciabili sui siti Yivo, All About Jewish Theatre, Jewish Women’s Archive e altri, oppure, last and least ma comunque utile in mancanza di fonti più autorevoli, Wikipedia. Si tengano presenti anche le note già proposte e il citato Lexicon che offre centinaia di brevi biografie in traduzione inglese. Per Boris Tomashefky cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Boris_Thomashefsky>, per Bessie Tomashefky cfr. Jewish Women Archive, ad vocem: <http://jwa.org/encyclopedia/article/thomashefsky-bessie>.
2 Per Jacob Adler si veda, oltre al volume di questa serie che gli è dedicato, si veda anche il sito Jewish Theatre: <http://www.jewish-theatre.com/visitor/article_display.aspx?articleID=226>, e Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Jacob_Pavlovich_Adler>.
3 Cfr. Jewish Women’s Archive, ad vocem <http://jwa.org/encyclopedia/article/yiddish-theater-in-united-states>, e Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Keni_Liptzin>.
4 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Dina_Stettin>. Dina Stettin fu la seconda moglie di Jacob Adler, con il quale ebbe Celia. La coppia durò assai poco ma nonostante il cattivo rapporto tra loro i due recitarono assieme per molto tempo. La giovane Dina aveva cominciato a recitare con Israel Grodner, poi con Adler, che per lei lasciò Jenny Kaiser. I due si sposarono nel 1887 e Celia nacque a New York nel 1889 poco prima che i genitori divorziassero, nel 1891, perché lui era si era innamorato di un’altra attrice, Sara Heine. Dina sposò dopo qualche tempo Sigmund Feinman e ne prese il cognome.
5 Cfr. anche Nina Warnke, Operetta, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 13 settembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Operetta>.
6 Cfr. Jewish Theatre: <http://www.jewish-theatre.com/visitor/article_display.aspx?articleID=3470>, e il vol. VI di questa serie.
7 Cfr., oltre ai voll. II e VII di questa serie anche Jewish Women Archive, ad vocem: <http://jwa.org/discover/infocus/comedy/picon.html> e <http://jwa.org/encyclopedia/article/picon-molly>; Wikipedia, ad vocem: <http://www.jewish- theatre.com/visitor/article_display.aspx?articleID=3144>.
8 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Paul_Muni>; per le sue interpretazioni cinematografiche Imdb: <http://www.imdb.com/name/nm0612847>.
9 Cfr. il sito a lui dedicato: <http://aaronlebedeff.free.fr/corps-anglais.htm>, e Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Aaron_Lebedeff. Su Youtube lo si può ascoltare in una canzone: <http://www.youtube.com/watch?v=vuj-qjyUjxY&feature=related>.
10 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Ludwig_Satz>.
11 Cfr. Jewish Women Archive, ad vocem: <http://jwa.org/encyclopedia/article/kalich-bertha#bibliography>.
12 Brecher era arrivato dall’Austria negli Stati Uniti nel 1921 e vi restò fino alla morte.
13 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/F/freed-lazar.htm>.
14 La fonte più rilevante di informazioni sul teatro yiddish newyorchese è senz’altro David S. Lifson, The Yiddish Theatre in America cit.
15 Cfr. innanzitutto The Collected Works of Harold Clurman, a cura di Marjorie Loggia e Glenn Young, Applause Books, New York 1994, poi in Actoris Studium - Album # 2 cit., i capitoli che gli sono dedicati.
16 T. Kogawa, Il teatro che volevamo. Conversazione con Harold Clurman, in Actoris Studium - Album # 2 cit., pp. 137-159.
17 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <https://it.wikipedia.org/wiki/Luther_Adler>.
18 Osip Dymov (o Dymow, nome d’arte Joseph Perelman), autore, drammaturgo e giornalista russo e yiddish, le sue opere sono state messe in scena da diversi teatri russi, dal Teatro Habima a Białystok e, dopo la sua emigrazione negli Stati Uniti nel 1913, dal teatro yiddish e nei teatri di New York. Invitato dall’attore e impresario teatrale yiddish Boris Thomashefsky, nel 1913 si trasferì negli Stati Uniti, dove le sue opere furono messe in scena da Thomashefsky e da David Kessler. Tra le più note ci furono Yoshke il musicista del 1914 e Bronx Express del 1919, quest’ultima andò in scena a Broadway nel 1922. Oltre a concentrarsi su tematiche ebraiche, le sue opere affrontano i conflitti generazionali e di classe. Dymov voleva migliorare la qualità artistica del teatro yiddish, collaborò con Rudolf Shildkraut e Maurice Schwartz. Lavorò in Germania dal 1927 al 1932, dove le sue opere facevano parte del repertorio del rinnovato Deutsches Theater, diretto da Max Reinhardt. Rientrato negli Stati Uniti, Dymov continuò a scrivere per la stampa yiddish e come sceneggiatore, per esempio Il cantore di Vilnius, in inglese Overture to Glory) del 1940, regia di Max Nosseck con Yankev Glatshteyn. Copia restaurata da The National Center For Jewish Film, 2008. Cfr. Vassili Schedrin, Dymov, Osip, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 1 marzo 2011: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Dymov_Osip>.
19 Sui rapporti tra H. Clurman e l’Artef cfr. anche J. Schechter, Messiahs of 1933 cit., pp. 251-252.
20 Solomon Libin fu essenzialmente un grande artigiano della scrittura, particolarmente importante per la sua azione che tocca sia il teatro che il cinema. A lui è dedicata, nelle prossime pagine, una nota.
21 Cfr. Joel Berkowitz, Hirshbeyn, Peretz, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 12 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Hirshbeyn_Peretz>.
22 Cfr. Landmark Yiddish Plays cit., pp. 51-61.
23 B. Kaplan, Finding the Jewish Shakespeare cit., p. 208.
24 Cfr. B. Henry, Rewriting Russia. Jacob Gordin’s Yiddish Drama cit. Secondo Henry i drammi di Gordin non sarebbero «meccaniche trasposizioni di opere europee nell’ambiente ebraico, bensì intensi dialoghi critici con le fonti, che affermano la continuità della letteratura ebraica rispetto a quella europea attraverso la sua reiscrizione in forma di dramma popolare yiddish» (p. 6).
25 I principali testi di riferimento sono in questo caso: Joel Berkowitz, Shakespeare on the American Yiddish Stage cit.; B. Kaplan, Finding the Jewish Shakespeare cit. (un’appendice di questo libro fornisce il più completo elenco disponibile dei testi teatrali di Gordin, cfr. pp. 251-255). Cfr. anche J. Berkowitz, B. Henry, a cura di, Inventing the Modern Yiddish Stage: Essays in Drama, Performance, and Show Business, Wayne State University Press, Detroit 2012.
26 Cfr. Dan Pine, Lost Yiddish theater masterpiece revived in S.F. State musical production, Jweekly: <http://www.jweekly.com/article/full/30694/lost-yiddish-theater-masterpiece-revived-in-s-f-state-musical-production>. L’articolo riferisce della scoperta del testo da parte di Joel Schechter, l’autore di Messiah of 1933 cit., e del suo allestimento attualizzato in forma di musical nel 2006.
27 Su questa straordinaria figura del teatro statunitense vd. Joanne Bentley, Hallie Flanagan, Knopf, New York 1988, e H. Flanagan, Arena, Duell, Sloan & Pearce, New York 1940. L’esperienza del Federal Theatre si concluse nel 1939, per decisione del Congresso, con 373 voti favorevoli e solo 21 contrari. Flanagan fu poi messa sotto processo per le sue presunte attività antiamericane e si difese strenuamente. A un certo punto un inquisitore le chiese: «Ma questo Marlowe che lei cita è un comunista?». Anche l’Artef fu costretto a chiudere nel 1940, essendo venuto a mancare il suo ambiente sociale di riferimento e avendo toccato il livello più basso di ottusità ideologica con l’approvazione del patto di non aggressione tra Unione Sovietica e Germania nazista, posizione che li aveva accomunati ai cosiddetti comunazisti.
28 Cfr. Kelly K. Ronayne, Stages of Modernity: The Federal Theatre Project and The New American Welfare State, iUniverse Inc., New York-Lincoln-Shanghai 2009.
29 J. Adler, A Life on the Stage cit., pp. 325-326.
30 B. Kaplan, Finding the Jewish Shakespeare cit., p. 63.
31 Cfr. Svegliati e sogna. Celebrazione e ricordi di Harold Clurman, in Actoris Studium. Album # 2 cit., pp. 121-136.
32 Cfr. Got, Mentsh un Tayvl (God, Man and Devil), 1949, Usa/Canada. Regia: Joseph Seiden (Zeiden). Sceneggiatura: Isadore Frankel, basata su una storia di Jacob Gordin. Musica: Sholom Secunda. Attori: Michal Michalesko (Hersholle Dubrovner), Gustav Berger (Uriol Mozik, Satana), Berta Gersten (Pese Dubrovner, la moglie), Shifra Lerer (Freda, la nipote più vecchia), Esta Salzman (Tzipe, la nipote più giovane), Max Bozyk (Lazar Dubrovner, il padre), Leon Shachter (Choskel, il vicino), Lucy Gehrman (Dobe, la moglie del vicino), Joshua Zeldis (Mot’l, il figlio). B/N, 100’, yiddish con sottotitoli in inglese (copia restaurata da The National Center For Jewish Film, 2006).
33 Per una nuova accurata traduzione inglese di Got, mentsh un tayvl cfr. God, Man, and Devil: Yiddish Plays in Translation, a cura e trad. di Nahma Sandrow, Syracuse University Press, Syracuse – New York 1998.
34 Cfr. Forward, Frances Adler’s Theatrical Heritage: <http://forward.com/sisterhood/215082/frances-adler-s-theatrical-heritage/>
35 L. Rosenfeld nel suo commento a J. Adler, A Life on the Stage cit., p. 254-255.
36 B. Kaplan, Finding the Jewish Shakespeare cit., p. 154.
37 Ivi, p. 336.
38 Lo spettacolo decretò il trionfo di Sara Adler. La versione cinematografica di Senza casa (On a heym, Without a Home), Polonia, 1939, 88’, regia di Alexander Marten, è stata restaurata e sottotitolata in inglese dal National Center For Jewish Film. È l’ultimo film yiddish realizzato in Polonia prima del secondo conflitto mondiale. La protagonista Ida Kaminska è qui affiancata dal famoso duo comico composto da Shimen Dzigan e Yisroel Shumacher. Per maggiori dettagli si veda il volume VI di questa serie.
39 Cfr. Jeremy Dauber, Ettinger, Shloyme, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 6 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Ettinger_Shloyme>; su Serkele cfr. Landmark Yiddish Plays, cit., alle pp. 23-35 per un’analisi critica e alle pp. 113-200 per il testo.
40 Cfr. Sharon Pucker Rivo, Yiddish Film in the United States, in Jewish Women’s Archive: <http://jwa.org/encyclopedia/article/yiddish-film-in-united-states>.
41 Nina Warnke, Anna Appel, in Jewish Women’s Archive: <http://jwa.org/encyclopedia/article/appel-anna>.
42 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/G/goldfaden-wolf.htm>.
43 Cfr. Internet Movies Data Base, ad vocem: <http://www.imdb.com/name/nm0143639/bio>.
44 I compositori yiddish sono oggetto in questo volume del capitolo di Marida Rizzuti. Per Rumshinsky comunque vd. Milken Archive of Jewish Music, ad vocem: <http://www.milkenarchive.org/people/view/all/506/Joseph+Rumshinsky>.
45 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/R/rosenthal-max.htm>.
46 Berta Gersten, nata Gerstenman, visse a New York dal 1899. Il padre conosceva sette lingue e lavorava come traduttore giurato, la madre diventò una famosa sarta per le attrici del teatro yiddish: una di esse, sua cliente abituale, aveva bisogno di un bambino in scena e prese in prestito Berta. Dal 1915 fu nella compagnia di David Kessler dove recitava nel ruolo dell’ingenua, poi entrò nella compagnia di Boris Tomashefsky. Nel 1918 passò con Maurice Schwartz, con il quale restò fino al 1950. Negli anni Cinquanta, con il declino del teatro yiddish, iniziò a recitare in inglese in produzioni di Broadway e in televisione. Dopo essere stata a lungo la moglie di Isaak Hershel Finkel (figlio di Morris e Annetta), alla sua morte si legò a Jacob Ben-Ami, suo amico di lunga data. Cfr. Nina Warnke, Berta Gersten, in Jewish Women’s Archive: <http://jwa.org/encyclopedia/article/gersten-berta>.
47 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/L/libin-z.htm> e Sol Liptzin, A History of Yiddish Literature, Jonathan David Publishers, Middle Village, NY, 1972, pp. 81-82.
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