IV. Peripezie tra Est e Ovest
p. 74-115
Texte intégral
Il movimento migratorio di popolazione e artisti non ebbe come conseguenza la scomparsa del teatro yiddish in Europa orientale. Ne rimangono tracce consistenti in Romania, Galizia e soprattutto Polonia. Qui, a Leopoli, davvero città chiave per molte vicende del popolo ebraico, nel 1889 un corista municipale, Yankev Ber Gimpel, fondò una istituzione unica nell’Europa orientale: un teatro stabile che riuscì a proporre il repertorio yiddish fino all’inizio della seconda guerra mondiale. Persino in Russia alcune compagnie continuarono a recitare utilizzando lo yiddish germanizzato comprensibile al loro pubblico e scambiato per tedesco dalle autorità zariste. Tra queste la compagnia della coppia d’attori Avrom Yitskhok Kaminski e Esther-Rokhl Kaminska, i genitori di Ida.
1In realtà non si sa molto, allo stato degli studi, del teatro di questo torno d’anni in quelle zone. Certo è che attirava una massa imponente di pubblico molto partecipativo e vivace, che gli spettacoli erano di solito un misto di tutti i generi conosciuti e sempre includevano canti e balli, ed è appurato che si trattava di spettacoli cuciti addosso ai divi protagonisti e che sul palcoscenico, dentro e attorno alla scena, vigeva una selvaggia anarchia. In pratica era ciò che i palati fini avevano definito shund, spazzatura. Il poeta Itsik Manger,1 invece, pensava che quegli attori recitassero
con il cuore, e andava bene così, anzi benissimo. Era gioco per il gusto del gioco, teatro per il gusto del teatro. Questi attori ignoravano i “testi”, se la ridevano degli “autori” e sentivano per istinto che nella loro libertà avrebbero rimediato a tutte le loro stupidaggini. Improvvisavano liberamente sulla scena e le loro improvvisazioni erano piene di grazia.
È già chiaro, a questo punto, che il teatro yiddish era fondamentalmente un teatro d’attori nel quale si celebrava il culto e il trionfo dell’autonomia della forma teatrale.
2Blonzhende Stern (o Blundzhende shtern, espressione tradotta di solito come stelle erranti) è un romanzo di Sholem Aleichem,2 recentemente apparso in un’accurata edizione inglese con accompagnamento delle note storico-critiche di Tony Kushner e Dan Miron. Non è forse l’opera migliore di Sholem Aleichem, scrittore che dà il meglio di sé nelle storie brevi e nei racconti, nei quali predominano la forma del monologo e dell’epistolario, ma Kushner spiega in modo molto convincente perché Wandering Stars sia, nella sua «perfetta imperfezione», un testo di notevole interesse, sia dal punto di vista letterario sia in quanto monumento dedicato al nascente teatro yiddish e alla sua trasformazione nel viaggio dalla culla nell’Europa orientale alla destinazione americana.
3Il romanzo è pieno di incoerenze e debolezze formali, dovute anche alle circostanze fortunose della sua stesura, ma è un’opera sperimentale che nella pagina scritta prefigura ben centosessantuno puntate di un serial che ha il teatro come oggetto e come modo di raccontare. In effetti Wandering Stars sembra una sceneggiatura felicemente anacronistica – cioè in anticipo – per la televisione o il cinema. In essa l’autore riversa la propria esperienza autobiografica3 e delinea il mito di fondazione del teatro yiddish. La moltitudine di personaggi che lo popolano – attrici e attori, cantanti, capocomici e pseudo-registi, impresari e finanziatori, avventurieri e disperati vari – serve a illustrare con dovizia di particolari la nuova e immensa avventura esistenziale, artistica e sociale del teatro negli anni a cui è dedicato questo capitolo.
4La storia inizia nel piccolo villaggio bessarabico di Holenešti, nella Russia zarista. I due protagonisti Reizel e Leibel, lei figlia del povero cantore di sinagoga, lui rampollo della famiglia benestante che accoglie una compagnia di attori girovaghi nella propria fattoria, sono ancora bambini. L’esperienza del teatro sconvolge la loro vita e li fa innamorare, dunque fuggono con gli attori distruggendo le rispettive famiglie, ma sono subito separati e riusciranno a ritrovarsi soltanto dopo molti anni a New York, quando lui è diventato un famoso attore e lei una diva del canto, Henrietta Schwalb, appunto, altezzosa ed egocentrica come la grande primadonna yiddish Clara Young. La loro è la storia di un grande amore non vissuto, proprio come in Dibbuk, l’epopea di un desiderio inappagato che trasforma il (loro) mondo. I personaggi non sono ben delineati, quasi che questo spettasse all’interpretazione attoriale, e mai il romanzo si addentra in puntuali descrizioni del lavoro teatrale. Tuttavia la vicenda è sviluppata con un’ottima conoscenza degli avvenimenti reali e al lettore sembra di veder vivere le persone e le situazioni di cui parlano i documenti. I veri protagonisti della vicenda sono i personaggi secondari, quel popolo del teatro che esprime ribellione e rabbia, capace di geniali invenzioni e di clamorosi fallimenti, combattuto tra bisogno di grandi amori e impulsi sessuali destrutturanti, alla ricerca di benessere e successo ma anche di appagamento artistico. Di essi Kushner dice:
Il popolo di Stelle erranti (Wandering Stars) è composto da individui che sono verbalmente, emozionalmente e a volte fisicamente violenti. Sono tutti stati duramente colpiti e cercano di restituire quello che possono. Praticamente tutti sono deliranti e portati dalla disperazione economica a un frenetico e ossessivo tramare, all’esagerazione, all’iperbole e all’imbroglio. Fin dalla nascita sono impegnati in una feroce e costante lotta per sopravvivere a un’oppressione assassina, per sconfiggere la povertà e l’ignoranza. Il loro mondo, prevedibilmente, brucia di rabbia.4
Proiettandosi in un ambiente sociale che ha fiancheggiato per tutta la vita, Sholem Aleichem finisce, come sempre nel porre, tramite una sospensione tragica, un pungente interrogativo sul destino di quel mondo e quel teatro, sul mondo capitalistico e globalizzato che si sta affermando e sull’arte che sarà possibile. Queste caratteristiche rendono il romanzo una lettura raccomandabile e appassionante anche a distanza di un secolo.
5Il rapporto tra Sholem Aleichem e il teatro è pieno di paradossi. Dopo avere perduto in borsa l’ingente patrimonio della moglie nel 1890 ed essere rinato come scrittore, Sholem Aleichem aveva scritto nel 1894 Yokhenoz, ovvero il grande gioco della borsa, il proprio primo dramma lungo, dove compare il personaggio di Menachem Mendel, testo neanche stampato a causa della censura reclamata e ottenuta dai potentati ebrei che lo trovavano offensivo. Il 1894 è anche l’anno dei due primi monologhi del poi leggendario Tevye il lattivendolo. E il 1903 è l’anno di Divisi e dispersi, che aveva per oggetto la crisi di una famiglia ebraica di fronte ai veloci e sconvolgenti cambiamenti del mondo. Il dramma fu rappresentato nel 1905 a Varsavia, in polacco poiché lo yiddish era proibito, ottenendo un riscontro tanto imprevedibile quanto strepitoso la cui eco si diffuse in tutto il mondo. A questo punto l’autore credette di poter puntare sul teatro ed eccolo accettare nel 1907, in occasione del suo primo viaggio a New York, la doppia committenza di Jacob Adler e di Boris Thomashefsky, consegnando al primo un adattamento di Yokhenoz (ora con il titolo Il furfante, ovvero Shmuel Pasternak) e al secondo una versione teatrale del racconto Stempenyu (reintitolato Figlie ebree, ovvero Stempenyu). Ne conseguirono due fallimenti che rischiarono di portare i rispettivi teatri alla chiusura e che indussero i capocomici a respingere le sue proposte successive: una versione teatrale di Tevye il lattivendolo e Il tesoro (il cui titolo fu poi mutato in I cercatori d’oro per differenziarlo dal testo di Pinski con lo stesso titolo allestito da Reinhardt nel 1910). Nonostante questi rifiuti e il sopravvenire nel 1908 di una tubercolosi, Sholem Aleichem, stabilitosi con la propria famiglia a Ginevra, godette di un certo benessere sino allo scoppio della prima guerra mondiale, che significò per lui l’azzeramento dei diritti d’autore e l’impossibilità di tenere le sue conferenze-performance, donde la ricaduta nell’indigenza per tutta la famiglia. In queste circostanze il ritorno a New York appariva come l’ultima speranza di riscatto economico e culturale. La vicenda è delineata in altri paragrafi di questo libro. Durante i pochi anni che gli restavano Sholem Aleichem scrisse diversi copioni e soggetti che non avrebbe mai visto realizzati e nemmeno pubblicati, tra questi La grande vincita (1915-1916). La rivalutazione avvenne dopo la sua morte e riguardò sia la sua drammaturgia, sempre trattata da registi e compagnie con molta libertà, sia numerosi adattamenti altrettanto liberi dai suoi romanzi e racconti. Comunque sia, Sholem Aleichem, pur essendo già dagli anni Venti considerato un classico della drammaturgia yiddish, è stato in realtà pressoché ignorato fino a oggi, con rare eccezioni come Il violinista sul tetto (altro caso sul quale ci soffermiamo in queste pagine), dove accade che un autore pure disponibile a cercare un punto d’incontro con la cultura teatrale americana ( «Ci ho messo una morte, come vogliono in America» diceva a proposito del rifacimento di Stempenyu)5 è stato ulteriormente manipolato, secondo non pochi critici banalizzato, e lo spettacolo esportato da Broadway in tutto il mondo comunque non ha certo rispettato la sua immagine.6 Lui, uomo di lettere con una profonda sensibilità di performer, sapeva benissimo che gli autori di uno spettacolo sono coloro che lo realizzano e che i copioni di qualunque autore devono essere adattati alle circostanze nelle quali incontrano il pubblico (il regista del Goset, Aleksej Granovskij si vantava, forse mentendo ma in ogni caso con inoppugnabili argomenti, di avere conservato sì e no una cinquantina di righe di 200.000,7 o Il premio), ma non poteva certo immaginare l’ambiguo trionfo postumo che gli sarebbe toccato.
6Ogni lettore di questa serie potrà compilare, se lo desidera, il lungo elenco degli adattamenti dai suoi romanzi e racconti. Qui invece è utile elencare le sue opere drammaturgiche, tutte antologizzate, salvo una, in tre volumi dei ventotto che raccolgono le sue opere complete.8
7Nel volume 4, Dramatishe shriftn, figurano tre atti unici (Il divorzio; Divisi e dispersi; Un dottore) e una commedia (La grande vincita). Il volume 24, Komedyes, raccoglie dieci atti unici, più o meno lunghi: La convenzione; Yokhenoz; Mazel tov; Luoghi di commercio; Agenti; Il re Pik; Shrage; Paradiso; Il signor Boym nascosto; I due sessantasei. L’antologia drammaturgica di Sholem Aleichem ha un seguito e una conclusione con il volume 25, Fun tsvey veltn, nel quale compaiono i due drammi È difficile essere ebrei e Tevye il lattivendolo.
8I cercatori d’oro, nonostante sia una delle migliori opere drammaturgiche di Sholem Aleichem, non è inclusa nelle opere complete; Stempenyu è un copione rimasto inedito e Davide figlio di Davide è stato pubblicato a Tel Aviv nel 1959.
9Impossibile rendere conto qui delle traduzioni in varie lingue che si sono susseguite nel corso del tempo, d’altronde quasi mai riguardanti il suo teatro, meglio dunque concentrarsi sulle messinscene più significative. Prendiamo nota, tuttavia, che in Israele molti suoi testi sono stati tradotti in ebraico, pubblicati e non di rado messi in scena.
Quanto agli avvenimenti storici, invece, bisogna ricordare che con la rivoluzione russa del 1905 cominciò una nuova era per la cultura e il teatro yiddish nel declinante Impero. Le varie forme di censura furono molto attenuate e la stampa yiddish fu legalizzata. Già nel 1906 i cinque quotidiani in lingua di Varsavia9 diffondevano oltre centomila copie, delineando una moderna cultura ebraica di massa; alla fine del decennio le tirature erano raddoppiate. I giornali pubblicavano a puntate i lavori dei maggiori autori e seguivano regolarmente l’attività dei teatri. Nella capitale polacca ben cinque sale, tra le quali un teatro appositamente costruito, proponevano il repertorio yiddish. A Łódź un altro teatro ospitava, ciò fino all’inizio della prima guerra mondiale, le stesse compagnie che toccavano regolarmente, oltre a diverse piccole località, anche città importanti come Vilnius,10 Białystok11 e Lublin.12 Una nuova tradizione culturale prese forma all’interno dello yidishe folk e gli intellettuali guardavano con sempre maggiore interesse alle classi meno abbienti. Figura decisiva nel condurre questo risveglio fu il già citato Yitzchak Leibush Peretz, secondo il quale la nuova cultura doveva esprimere i più elevati ideali estetici e le aspirazioni morali degli ebrei. Nello stesso tempo, Peretz e i suoi seguaci, tra i quali vi erano i critici Noah Prilutski e Aleksander Mukdoyni, oltre a bollare con il termine shund (spazzatura, porcheria) le espressioni culturali che ritenevano degradate, elaboravano alcune nuove proposte drammaturgiche. I testi di Peretz, però, non potevano essere accolti dalle compagnie perché richiedevano molti mezzi e attori, così che La catena d’oro e Notte al Mercato Vecchio furono messi in scena dopo la morte dell’autore da teatri che potevano affrontare un ingente sforzo produttivo.13
10Nello stesso frangente si rivelò il talento di Esther-Rokhl Kaminska, attrice proveniente da un piccolo shtetl. L’attrice negli anni Novanta assieme al marito Avrom-Yitskhok Kaminski aveva diretto alcune compagnie girovaghe nell’Impero Russo. Quando nel 1905 i Kaminski ritornarono a Varsavia scoprirono i testi di Jacob Gordin, drammaturgo affermatosi definitivamente a New York e considerato il primo grande classico del teatro yiddish.14 I melodrammi gordiniani, ispirati più a Ibsen che a Shakespeare, proponevano grandi ruoli femminili e permisero a Esther-Rokhl Kaminska una splendida galleria di interpretazioni tra le quali spicca «la Regina Lear ebraica», ovvero la Mirele Efros del dramma omonimo. L’attrice è ricordata come la «Madre del teatro yiddish».
11Nel 1907 il drammaturgo e regista Mark Arnshteyn15 fondò assieme a Avrom-Yitskhok Kaminski una Literarishe Trupe (Compagnia Letteraria) che ovviamente comprendeva Esther-Rokhl Kaminska. Con un repertorio di drammi gordiniani ma anche copioni di Dovid Pinski, Sholem Aleichem,16 e Arnshteyn stesso, e persino un adattamento dell’ibseniano Casa di bambola, la compagnia riprese a girare per l’Impero Russo, recitando nella stagione 1908-1909 a Pietroburgo e conquistando l’opinione pubblica liberale. Tuttavia l’avventura non durò a lungo e nessun’altra compagnia riuscì a eguagliarne il successo. Solo a partire dalla prima guerra mondiale e dall’Ottobre, come si vedrà tra poco, i territori appartenenti all’ex-impero russo diventeranno la culla di esperienze teatrali di punta per la qualità delle realizzazioni e la radicale novità della ricerca.
Dovid Pinski era originario di Mogilev, Bielorussia. All’età di tredici anni si trasferì a Mosca e cominciò a studiare il russo. Negli anni 1890-91 visse a Vitebsk e poi prese la via di Vienna per studiare medicina, ma a Varsavia incontrò Peretz e si fermò nella città fino al 1896. I suoi primi copioni in yiddish nacquero in quell’ambiente, che ne determinò l’orientamento culturale e la scrittura. Collaborò all’antologia Letteratura e vita (Literatur un lebn, 1894) e alla rivista «Yontev-bletlekh». Condividendo le posizioni di Peretz, Pinski si adoperò contro la censura e per diffondere idee radicali e socialiste tra il proletariato ebraico, anche viaggiando per promuovere le idee e le pubblicazioni del gruppo. Si dedicò anche alla scrittura di racconti e articoli di divulgazione scientifica. Nel 1896 si stabilì a Berlino per frequentare l’università e cominciò a pensare seriamente al teatro. Nel 1899 emigrò in America, dove sarebbe rimasto fino al 1949, data del suo ultimo trasferimento in Israele. Contribuì alla cultura yiddish scrivendo racconti, romanzi, saggi e copioni teatrali, tra i quali si ricordano Il tesoro e Yankl il fabbro, che furono molto rappresentati, ma anche L’eterno ebreo, opera dal contenuto messianico, messa in scena anche dal teatro Habima a Mosca nel 1920. Si tratta di opere che incontreremo anche nella cinematografia yiddish, che vi fece ripetutamente ricorso. Rilevante è anche la sua produzione propriamente letteraria, sempre orientata alla “educazione” della classe lavoratrice ma attenta anche alle tematiche sollevate dalle nuove forme di emarginazione sociale. I suoi toni, nell’affrontare le contraddizioni della modernità, scadono spesso in un pathos artificioso ed è questo l’elemento che non consente alla sua proposta letteraria di confermare il proprio interesse al di là di quelle circostanze storiche.17
La Londra di fine Ottocento accolse sino agli anni Trenta del secolo successivo, moltissimi artisti yiddish in cerca di una nuova patria. Il contributo di coloro che si fermarono per poco o molto tempo così come quello di coloro che scelsero di stabilirsi nella capitale inglese, e da lì recarsi in tournée in diverse altre località, diede vita o uno dei radicamenti più significativi del teatro yiddish.18 Tra il 1870 e il 1914 circa centomila ebrei provenienti da Russia, Polonia, Galizia e Romania si stabilirono a Londra. Parte di loro era in transito per proseguire alla volta di New York, detta di goldene medine (il paese d’oro), o per l’Argentina e altri paesi dell’America Latina e dell’impero britannico. Nelle stradine del quartiere di Whitechapel vi erano molti piccoli stampatori di pamphlet, libri e riviste in yiddish che esprimevano tutti gli orientamenti della comunità, in larga parte composta di sionisti, socialisti e anarchici. Per questi immigrati il teatro yiddish costituiva la più comune forma di intrattenimento. Le sale si riempivano di un pubblico entusiasta e culturalmente eterogeneo, ingenuo e al tempo stesso relativamente competente nel giudicare le realizzazioni sceniche e gli artisti.
12La prima compagnia di teatro yiddish a esibirsi nella capitale britannica, nel 1880, era composta di dilettanti che affittarono il Garrick Theatre di Leman Street per proporre due spettacoli che criticavano i matrimoni combinati e, su testo di Israel Aksenfeld,19 l’asprezza del servizio militare imposto dall’impero zarista agli ebrei. Gli spettacoli non piacquero all’establishment ebraico che condannava il ricorso al “dialetto” yiddish, ma ottennero comunque un certo riconoscimento per la loro qualità teatrale. L’evento decisivo per la nascita del teatro yiddish londinese fu l’arrivo della compagnia del giovane Jacob Adler, che comprendeva la moglie Sonia Oberlander, Volodya e Keni Liptzin, Yisroel e Annetta Gradner, due giovani attori di nome Kempner e Baum e la “Signora Tzhizhik”, l’attrice caratterista. È opportuno precisare che prima dell’arrivo degli Adler, alla fine del 1883, il teatro yiddish era rimasto un fenomeno marginale e fondamentalmente amatoriale; la città era un ossimoro di miseria (Adler dichiara sconsolato di avervi trovato condizioni di vita peggiori che in Russia) e di fermenti sociali, politici e culturali. Vi erano molti piccoli club ospitali o locali di fortuna da trasformare in “teatri”, ma – ricorda Adler – con «palcoscenici grandi quanto una bara»20 e comunque scontando una dura ostilità da parte del rabbinato (il cui leader era un suo parente, molto sospettoso nei confronti degli attori per gli elementi di divisione che potevano creare nella comunità ebraica) e della buona borghesia.
13In ogni caso Adler scritturò alcuni dilettanti portando l’organico artistico a venti elementi, dodici uomini e otto donne, e il 4 gennaio 1884 la nuova Compagnia d’opera russo-ebraica debuttò nella Beaumont Hall. Il temuto «Jewish Chronicle» scrisse che artisti di questo livello avrebbero potuto ben figurare anche sulle scene del West End. Nei due anni seguenti Adler e i suoi si prodigarono in spettacoli, concerti e serate di “varietà” in vari locali del quartiere nei quali un pubblico popolare composto d’intere e numerose famiglie veniva a mangiare e bere, giocare a carte o a scacchi, e naturalmente a discutere di politica.
14Oltre al repertorio già sperimentato, Adler mise in scena diversi copioni di Shomer (pseudonimo di Nokhem Meyer Shaikevitch),21 prolifico autore di melodrammi non memorabili ma riguardanti temi attuali e capaci di suscitare forti emozioni in quel pubblico. Tutti gli attori cantavano e si sottoponevano a una enorme mole di lavoro per ricavare di che vivere, producendosi anche in serate di letture, recital e quant’altro. Una tournée nelle città del nord, nel 1885, fece da contesto per una lite e separazione dai Gradner che se andarono a Parigi, dove si fermarono per un anno senza riuscire a stabilirvisi per poi ritornare con Adler. L’affluenza di un pubblico sempre più numeroso e nuovo e gli incontri favoriti dal vivace ambiente culturale degli immigrati portarono all’apertura di un teatro a qualche centinaio di metri, in Princes Street: era il primo teatro yiddish appositamente costruito, finanziato da un macellaio che adorava gli Adler, inaugurato nel marzo 1886 con Shulamit di Goldfaden. Keni Liptzin era la protagonista e Jacob Adler interpretava Assalonne. La nuova situazione determinò anche un decisivo salto di qualità del repertorio, nel quale vennero inseriti testi come il “classico yiddish” Uriel Acosta di Karl Gutzkow e autori prima impensabili come Schiller (I masnadieri), Scribe (La Juive, che divenne Zhidovka) e Shakespeare, sempre spregiudicatamente adattati: erano testi consonanti con la sensibilità socialisteggiante che pervadeva la comunità ebraica. Tutto ciò portò al riconoscimento pressoché unanime che quello londinese fosse il miglior teatro yiddish d’Europa, fama confermata dai grandi interpreti che vi facevano tappa, come David Kessler, Mogulesko e Sophie Goldstein, una delle prime attrici yiddish professioniste. Finalmente vi erano paghe regolari per tutti, gli attori potevano permettersi bastoni da passeggio e cappelli a cilindro, le attrici persino eleganti toilette in stile parigino, come ricorda l’attore e regista Boaz Young,22 arrivato nel 1886. Il teatro yiddish era di casa anche in altre città come Manchester e Glasgow. La fine di questa fase positiva arrivò purtroppo assai presto, alla fine di gennaio del 1887, a causa di un incidente che provocò la morte di diciassette spettatori e decretò la chiusura del teatro. A quel punto, allo sfortunato Adler non restò altra possibilità che cercare fortuna in America.
15Negli anni Novanta l’immigrazione ebraica continuò costantemente. Dapprima una sala di Vine Court rimase l’unico rifugio del teatro yiddish, ma nel giro di pochi anni si resero disponibili ben due teatri, lo Standard e il Pavilion, mentre nuovi protagonisti s’imponevano, come Fanny Waxman e Moyshe Duvid (poi Morris) Waxman,23 che da bambini partecipanti a un coro diventarono tra i primi protagonisti del Pavilion, Joseph Markovitch, anche drammaturgo, Jenny Kaiser con il marito Joseph Sherman, i fratelli Joseph e Harry Feinberg. Questo teatro, sotto la illuminata guida di Charles Nathanson24 proponeva, oltre al repertorio yiddish, diversi adattamenti shakespeariani. Nathanson era in effetti più un giramondo che un teatrante londinese. Era arrivato in America con la famiglia quando aveva dodici anni e all’età di diciassette, essendo innamorato del teatro e praticandolo da dilettante, aveva cominciato con il recitare in L’orfano infelice di David Moshe Hermalin.25 Divenne professionista contro il volere della famiglia, nel 1893, ingaggiato da David Kessler, Keni Liptzin e Dina Feinman a Chicago. L’anno dopo tornò a New York per recitare nella compagnia di Jacob Adler al Rumanian Opera House, ma poco dopo partì per Londra, dove fu tra i primi a recitare e gestire una compagnia yiddish. Tuttavia non si fermò tutto il tempo nella capitale inglese. Nella stagione 1896-97 diresse una compagnia ad Anversa e poi altre a Parigi e di nuovo in Inghilterra. Nel 1898 fu scritturato a Leopoli e, stretti i rapporti con Avraham Axelrad, partì con la sua compagnia per una lunga tournée in Ungheria. Viaggiò, sempre recitando, per tutta l’Europa orientale e giunse infine a Johannesburg, Sudafrica, dove diresse spettacoli con attrici e attori locali. Quando dovette andarsene per lo scoppio della guerra anglo-boera (1899-1902) tornò a New York, dove fu ingaggiato dal People’s Theater. Dopo questo episodio divenne direttore del Columbia Theater di Philadelphia e socio dell’impresa che costruiva il Grand Street Theater. Anche a Chicago partecipò alla costruzione di un teatro, il Palace. Nel 1912 fece una tournée in Polonia prima di ritornare in America e recitare con Kessler, Thomashefsky, Mogulesko e Leon Blank fino al 1919, quando fu scritturato da Louis Goldberg a New York (1919-1929). Il suo ultimo impegno come attore, a causa di una malattia, fu quello al Lawndale Theatre di Chicago nella stagione 1929-30.
16Al Pavilion agivano Jenny Kaiser e il direttore d’orchestra Professor Staun, già stretto collaboratore di Adler, oltre a Maurice (Meier) Axelrad e Joseph Sherman. Maurice Axelrad, il «Dan Leno ebreo», dunque comedian, ma anche regista, recitò per un certo periodo a Parigi e Buenos Aires. Anche il music-hall yiddish fioriva. Philip e Sallie Weisenfreund, genitori del poi famoso Paul Muni, erano arrivati nel 1899 con i tre figli. Philip fu scritturato dapprima dal Pavilion, poi prese in gestione un proprio music-hall, prima di emigrare in America nel 1901; ma il suo teatro continuò a riscuotere un ampio consenso di pubblico per diversi anni, perfezionando il genere, come risulta da questa cronaca dell’epoca:
Il baritono appare con una giacca di alpaca, vistosi pantaloni a righe, agitando un bastone da passeggio come un comico di second’ordine e intona un motivo allegro il cui titolo è più o meno Così se ne vanno i soldi. La canzone descrive un ricco ebreo […] la sua stravagante moglie che lo riempie di debiti, figura assai familiare agli abitanti del ghetto e non solo. […] Poi entrano in scena le signore. Prima una bella soprano si esibisce in una Amerika iz a golden land, a goldene medine, ma la canzone non è elogiativa come si potrebbe pensare, ché più avanti la si sente gorgheggiare «lì anche un ladro può diventare Presidente». […] la conclusione, con riferimento al sionismo, è che il ritorno in Palestina si avrà quando anche quella sarà una golden land, a goldene medine, e il pubblico applaude fragorosamente.
Nel 1904 iniziarono i lavori per un nuovo imponente teatro yiddish, l’Orient, di oltre duemila posti, ma l’edificio non fu completato per questioni finanziarie e nel 1906 aprì il Pavilion, nuova e stabile casa del teatro yiddish a Londra. Al Pavilion debuttarono anche artisti come Rachel Sorokin26 e Joseph Markovitch, giovane cantante e attore, fervente comunista. Markovitch era originario dell’Ucraina, figlio di commercianti. Dall’età di nove anni viaggiò per tre anni con un chazzan (cantore) come suo assistente, poi lavorò in un coro di sinagoga per due anni. Scrisse il suo primo dramma, Il non credente e lasciò la famiglia perché sorpreso a fumare durante lo Shabbat. Dopo di ciò passò diversi anni a Kiev esibendosi come cantante in varie istituzioni e feste private fino a quando non venne convocato per il servizio militare. Dopo sei settimane nell’esercito russo disertò e fuggì a Londra, dove fu subito scritturato allo York Minster Yiddish Music Hall. In seguito fu chiamato dal Pavilion come attore e drammaturgo. Il suo dramma Il rivoluzionario fu portato in scena da Sigmund Feinman, mentre il suo Mendel Beiliss fu diretto da Joseph Kessler.
17Cominciavano allora i decenni più fortunati del teatro yiddish in Gran Bretagna, tanto che anche diverse altre sale se ne contendevano gli spettacoli. Il Pavilion era uno dei più grandi teatri vittoriani della città ed era tecnicamente equipaggiato come le maggiori sale del West End. Dal 1906 al 1934 fu il tempio del teatro yiddish, riconosciuto in tutto il paese per la vastità di un repertorio che comprendeva tutti i generi, con attori bravi e appassionati e un pubblico entusiasta e partecipativo. Di regola la compagnia di attori locali invitava come protagonista un divo e capocomico che la dirigeva. L’apprezzamento del pubblico era tale che lo stesso spettacolo si recitava ogni giorno della settimana a sala piena. Questi tre decenni furono caratterizzati soprattutto da quattro artisti-capocomici: Sigmund Feinman, Maurice Moscovitch, Joseph Kessler (Zigmund Asher-Zelig)27 e Fanny Waxman, ciascuno dei quali fu attivo a Londra per diverse stagioni.
18Feinman aveva debuttato giovanissimo con la compagnia di Naftali Goldfaden, il fratello di Avrom, in Bar Kochba. Dopo il bando zarista del 1883 trovò rifugio in Romania, poi nella compagnia di Mogulesko e Finkel. Nel 1886 si stabilì a Londra. La figura imponente e la possente voce baritonale, unite a una grande capacità di rendere le sfumature dei personaggi, ne fecero subito un attore affermato. Aveva inoltre grandi doti di drammaturgo e direttore di compagnia. In seguito fu tra i protagonisti di Tisa Eslar, con la compagnia di Horowitz, nonché autore di Il divorzio, ovvero, Il soldato dello zar Nicola, rappresentato al Poole’s Theatre, e di La donna, ovvero, Due matrimoni per dispetto, scena di vita in cinque atti, dato al Thalia, lo stesso teatro in cui furono rappresentati anche il suo Oro, ovvero il vagabondo e La sposa del padre. Nel 1891 fu tra i protagonisti allo Union Theatre del primo dramma di Gordin, Siberia. Nel 1892 condivise la direzione del Poole’s con Adler, Mogulesko e Kessler, ma l’esperienza si concluse presto a causa dei dissapori tra loro. Passò al Windsor nel 1896 e qui mise in scena un proprio copione destinato a una grande popolarità, Ezra eroe vivente, ovvero La promessa della principessa, poi nel 1898, con David Kessler e Regina Prager Il re bianco ebreo (noto anche come Una notte nel giardino dell’Eden). E così via negli anni seguenti, in diversi teatri e con diversi interpreti, sempre prendendovi parte anche come attore. Nel 1899 trionfò al Rumanian Opera House, con Bertha Kalich, David Kessler e Sigmund Mogulesko, con Chanele il finitore, spettacolo a proposito del quale Celia Adler nelle proprie memorie28 parla in questi termini: «Il successo di Chanele il finitore, testo di Feinman interpretato da Sigmund e Dina Feinman, occupa un posto di rilievo nel teatro yiddish newyorchese in crescita qualitativa». Come drammaturgo, regista e attore, Feinman diresse la compagnia a partire dal 1906, sempre amatissimo dai colleghi e dal pubblicò, ma morì improvvisamente nel 1909 durante una tournée in Polonia, lasciando un grande vuoto. Subito dopo la morte di Feinman fu costituita una fondazione che s’impegnò nella costruzione di un teatro in sua memoria, finanziato da un azionariato popolare. Inaugurato nel marzo 1912 dalla compagnia di Peretz Hirshbeyn e presentato come un teatro d’arte omologo a quello di Stanislavskij, il teatro proponeva un cartellone misto di prosa e opera, ma il pesante esito finanziario negativo costrinse a metterlo all’asta dopo soli sei mesi. L’unico teatro yiddish restava dunque il Pavilion, ora diretto da Moscovitch, attore molto colto, oltre che provetto, alto e magro, a differenza della maggior parte dei suoi colleghi, che si era affermato nella New York degli anni Novanta, soprattutto per le sue interpretazioni da co-protagonista con Adler di molti copioni gordiniani. Moscovitch ebbe il merito di fare conoscere al pubblico londinese Strindberg, Ibsen e Gorkij, oltre a diversi Gordin; quasi mai propose operette. Dal 1915 condivise la direzione con Joseph Sherman, quest’ultimo piuttosto orientato verso il teatro leggero. Il 1919 segnò il suo debutto in lingua inglese con uno Shylock al Royal Court, dopo averlo fatto in yiddish. L’esito fu tale da richiedere nove mesi di repliche e significò per lui una nuova carriera nel teatro inglese, solo attore yiddish ad aver conosciuto tale destino.
19Gli anni Venti e Trenta furono, come in Polonia e in America, un periodo di intensa creatività. Al Pavilion agivano artisti come i citati Joseph Kessler e Fanny Waxman. Si invitavano dall’America grandi interpreti come Celia Adler, Ludwig Satz, Samuel Goldenburg e Paul Baratoff, per lo più scritturati dall’impresario Morris Susman, il quale aveva cominciato nel 1922 con la Vilner Trupe e poi lavorando nel 1924 con Schwartz. Il nucleo degli attori londinesi – tutti provenienti dall’Europa orientale – fu un solido collettivo per oltre vent’anni. Tra essi vi erano il caratterista Joseph Fineberg, la caratterista Becky Goldstein29 e suo marito Joseph Markovitch, Joseph Sherman, noto piuttosto come marito di Jenny Kaiser,30 Dina Feinman, altra nota primadonna, Fanny Waxman con suo marito, il manager Nathan Blumenthal, e suo fratello Moishe Duvid Waxman con la moglie Rosa, attrice, la giovane soubrette Surele Landau e il pianista e direttore d’orchestra Ferdinand Straub, senza dimenticare il leggendario suggeritore Isaac Sherman, figura centrale in un teatro dal repertorio così eterogeneo (anche se spesso era il pubblico a suggerire agli attori le battute che questi non ricordavano).
20Jenny (o Jennya) Kaiser, giovanissima attrice con Jacob Adler a Londra, ebbe da lui un figlio nel 1886, Charles Adler. Jenny era una ragazza povera di Whitechapel, «senza principi etici e morali» secondo Adler, ma gioiosa, aperta, affidabile, buona, generosa. Sembrava, scrive Adler, che dicesse a tutti: «Vuoi qualcosa da me? Prendila. Non ne ho bisogno. Va bene così». Lei si innamorò dell’attore e fu ricambiata: «Amavo la corrente di vita che scorreva in lei». Il personaggio che Jenny interpretava nella vita era una Carmen. Una volta separatasi da Adler, essendo un’attrice molto dotata, passò subito dall’essere una semplice corista a interpretare ruoli importanti. L’attore Boaz Young scrive nelle sue memorie che «al Prince’s Street Club-Theatre, c’erano due coriste […] Fanny e Jennie. Fanny era un Cenerentola, innamorata di un principe indiano […] Jenny era bruna e carina, magra, con due occhi fiammeggianti che dicevano “Vieni, prendimi”». Nel suo necrologio, tanti anni dopo, si sarebbe letto:
[…] se n’è andata dopo una lunga malattia, dimenticata da tutti, la nota attrice che per anni ha recitato sulle scene yiddish di Londra con grandi attori come Adler, Feinman, Moskovich e altri. Jenny Kaiser eccelleva nei drammi, nelle commedie e nei melodrammi. Era particolarmente brava come protagonista di Mirele Efros di Jacob Gordin.
Kaiser recitò anche sulle scene inglesi.
21Lo strettissimo legame tra attori e pubblico si manifestava in numerose feste e regali, era un vero e proprio culto ritualizzato dai vari gruppi di patriotn. Ecco una testimonianza di quanto accadeva dalla parte del pubblico nei decenni di massima vitalità:
Anzitutto il rumore. Tutti quanti gli spettatori parlavano senza sosta, proprio come in sinagoga. Gli amici si sedevano insieme senza rispettare in numero di posto e ciò suscitava proteste e liti quando arrivavano i legittimi assegnatari. Le discussioni coinvolgevano tutto il pubblico. C’era anche un grande bar, senza licenza, che vendeva panini e bagels con salmone affumicato o crema di formaggio. Tutti mangiavano. Noi che non potevamo permetterci quella spesa potevamo contare sull’abbondante picnic preparato da mia madre e, come tutti gli altri, mangiavamo durate tutto lo spettacolo. Lo schiamazzo era devastante. Gente che mangiava, brontolii di approvazione o disapprovazione per ciò che accadeva in scena, spiegazioni a chi non capiva o non riusciva a seguire le trame complicate. Sulla scena recitavano in modo esagerato, come matti, e questo piaceva al pubblico: più gli attori erano drammaticamente enfatici più rapinoso era l’applauso che seguiva. Al pubblico piaceva che si ricordasse la vita nell’Europa orientale; nostalgia e tristezza erano i sentimenti dominanti.31
Nulla tuttavia poteva resistere al progressivo declino dello yiddish e ai nuovi orientamenti delle generazioni successive, ma soprattutto alla concorrenza del cinema. Il Pavilion resistette fino al 1935, anno in cui fu costretto a chiudere.32 Ecco invece, su Berlino, dove il teatro yiddish fu un fenomeno meno rilevante e in ogni caso consistente nel solo passaggio delle compagnie, una pagina, come sempre sapida e accurata, di Joseph Roth:
Berlino è una stazione di transito nella quale si sosta più a lungo solo per motivi di forza maggiore. Berlino non ha un ghetto. Ha un quartiere ebraico. In esso arrivano gli emigranti che vogliono andare in America via Amburgo e Amsterdam. Ma spesso poi non si muovono più da lì. Non hanno abbastanza denaro. Oppure non hanno i documenti in regola. (Già, certo: i documenti! Metà della vita di un ebreo trascorre nel combattere invano contro i documenti).33
Così Joseph Roth negli anni Venti. Dopo avere descritto la anomala situazione della città, nella quale non incontra alcuna vera e propria compagnia teatrale yiddish, lo scrittore si imbatte in un cabaret:
Il cabaret lo trovai per caso, mentre, in una limpida serata, girovagando per le strade buie, guardavo attraverso i vetri delle finestre di piccoli oratori i quali non erano altro che semplici botteghe durante il giorno e case di Dio la mattina e la sera.34
E continua:
Quello che vidi io era sistemato nel cortile di un sudicio e vecchio albergo. […] Davanti alle finestre, in modo da nasconderle per metà, c’era un piccolo palco dal quale si poteva accedere direttamente al corridoio del ristorante. Davanti al palco sedevano i musicanti: un’orchestra di sei uomini che, si diceva, fossero fratelli e figli del grande musicista Mendel di BerdyČev (Ucraina), del quale ancora si rammentano gli ebrei orientali più anziani, e il cui violino aveva un suono talmente meraviglioso da non poterlo dimenticare né in Lituania, né in Volinia, né in Galizia. La compagnia degli artisti che doveva fare il suo ingresso di lì a poco era la Trupe Surokin. Surokin era il nome del direttore, regista e cassiere, un signore grasso, ben rasato, originario di Kaunas (Lituania), che aveva già cantato in America, cantore e tenore, divo di sinagoghe e opere, impresario e camerata al contempo. Il pubblico sedeva ai tavolini, mangiava pane e salsicce e beveva birra, andava a prendere cibi e bevande al ristorante, conversava, gridava, rideva. Era costituito da piccoli commercianti e dalle loro famiglie, ebrei non più ortodossi, bensì “illuminati”, come in Oriente sono chiamati gli ebrei che si fanno tagliare la barba (anche se una sola volta alla settimana) e si vestono all’europea. […]
La compagnia era composta da due donne e tre uomini – e non posso fare a meno di arenarmi nel tentativo di descrivere come e che cosa essi hanno eseguito sul palco. L’intero programma era improvvisato. Per primo entrò un uomo basso e magro, nel suo viso il naso era piazzato come un elemento estraneo e quanto mai stupefatto; era un naso spavaldo, insistentemente interrogativo, e tuttavia buffo e commovente, più slavo che ebraico, ampia collina che terminava inaspettatamente a punta. L’uomo con questo naso impersonava un batlen, un buffone mezzo matto e mezzo saggio che intonava vecchie canzoni e le storpiava, aggiungendovi inaspettati e assurdi finali comici. Poi anche le due donne intonarono una vecchia canzone, un attore raccontò una storiella umoristica di Sholem Aleichem e, per finire, il signor direttore Surokin recitò alcune poesie ebraiche e yiddish di autori viventi o del passato recente; recitava i versi in ebraico antico aggiungendo subito dopo la versione moderna, e ogni tanto accennava due o tre strofe sottovoce, quasi le cantasse per sé solo nella sua stanza; allora si faceva un silenzio di tomba, i piccoli commercianti sgranavano gli occhi e appoggiavano il mento sul pugno, e si udiva il frusciare leggero del tiglio.35
Altrove, Roth dice qualcosa anche di Vienna, dove
i figli e le figlie degli ebrei orientali sono produttivi. Che i genitori seguitino pure a fare i venditori ambulanti e a mercanteggiare! I giovani sono tra i più dotati procuratori, medici, impiegati di banca, giornalisti, attori.36
Il teatro yiddish fu una presenza costante nella capitale austriaca dal 1900 al 1938, data dell’annessione dell’Austria alla Germania hitleriana, ma vi erano stati alcuni precedenti a partire dagli anni Ottanta del secolo precedente, tra l’altro con la venuta della compagnia di Moyshe Horowitz, senza suscitare interesse poiché il pubblico abbiente comprendeva e apprezzava assai poco lo yiddish. Nel 1880 la compagnia guidata dal “Professor Horowitz” aveva proposto a una sala vuota e a qualche giornalista irridente un Dibbuk in chiave di farsa sul quale purtroppo non ci sono ulteriori notizie. Sulla base di quanto riportato da Nahma Sandrow e più dettagliatamente da Brigitte Dalinger,37 sappiamo che a partire dal 1890 si trattava di piccole compagnie provenienti dall’est che si esibivano in locande e ristoranti, la più importante delle quali era quella che schierava Pepi Littmann,38 successivamente protagonista anche del cabaret yiddish ungherese. Littmann era anzitutto una cantante dal fascino popolare e il marito, il direttore d’orchestra Jacob Littmann,39 componeva per lei canzoni e duetti. In realtà Pepi era la vera direttrice artistica della compagnia e fu lei a decidere di inserire in repertorio canzoni nella lingua di ogni paese visitato. L’attrice fu una presenza costante nelle stagioni viennesi a partire dal 1901, quando si esibì all’Edelhofer Leopoldstädter Volksorpheum con i cosiddetti attori e cantanti «polacchi», in realtà un gruppo di Broderzingers. Ciò che colpiva in particolar modo gli spettatori era la sua voce bassa e rauca.40 Il suo repertorio variava dall’estrema frivolezza a motivi drammatici e malinconici, senza trascurare i temi più brucianti dell’attualità. Il suo modo di cantare era reso ambiguo e più affascinante dal presentarsi in scena con gli abiti maschili dei chassidim orientali. In questo senso Pepi fu un’antesignana dei cosiddetti “ruoli in pantaloni” che ribaltavano l’interdetto contro le donne in scena, ruoli destinati a fare la fortuna, dopo qualche anno, di Molly Picon, attrice born in Usa e grande interprete della generazione successiva, presente in tournée a Vienna fino dall’inizio degli anni Venti. Con Littmann i “ruoli in pantaloni” diventarono molto popolari nei teatri viennesi, persino, a volte, in drammi seri, come nel caso della interpretazione di Moritz Scharf, il tredicenne protagonista di Omicidio rituale in Ungheria di Arnold Zweig.41 Per la prima rappresentazione del 1919, in tedesco, il ruolo fu interpretato da Elisabeth Bergner, destinata a diventare una delle maggiori attrici tedesche del secolo,42 mentre nell’edizione yiddish del 1930 fu la volta della soubrette Jenny Lovic.
22Essenziale fu la funzione svolta dai diversi teatri yiddish che tra alterne vicende animarono la capitale austriaca, dando lavoro a un centinaio di professionisti della scena: la Jüdische Bühne (Scena ebraica) agì dal 1908 all’Hotel Stefanie, guidata dapprima da Maurice Siegler43 e poi da Schulim Podzamcze, un ex Broder; la Freie Jüdische Volksbühne (Libera scena ebraica popolare), fondata nel 1919 dall’attore tedesco Egon Brecher, l’attore e scrittore Jacob Mestel44 e l’attore Isaac Deutsch, che durò fino al 1923 (dal 1920 con un proprio teatro) proponendo un repertorio di buon livello.
Egon Brecher, nato in Moravia, divenne attore nel 1900 a Heidelberg e per dieci anni recitò in una compagnia che batteva le province tedesche e austriache. L’interesse per il teatro yiddish lo spinse a mettere in scena a Vienna con una compagnia di semi-professionisti l’opera Nuovo ghetto di Hertzel e nel 1907 a fondare con il poeta Hugo Zuckermann un teatro d’arte yiddish (in tedesco) che rappresentava testi di Peretz, Asch, Koralnik e L’eterno ebreo di Pinski (con la partecipazione dell’attore e regista David Herman). Dal 1910 al 1921 fu tra i soci del potente impresario Josef Jarno di Vienna e recitò nel suo Theater in der Josefstadt. Lì fu attore e regista di spettacoli su testi di Strindberg, Ibsen e Wedekind, oltre al repertorio classico. Brecher apprezzava anche la commedia e per questo allestì, sempre in tedesco, Isaac Sheftel, Gabri e le donne e Il tesoro di Pinski e Il patto di Hirshbeyn. Dal 1919 fu insegnante di recitazione alla scuola della Freye Yidishe Folksbiene diretta da Jacob Mestel e dalla stagione 1920-21 fu associato nella direzione dello stesso teatro. Imparò lo yiddish, recitò nel Dio della vendetta di Asch e curò la regia di Yidn di Čirikov e de Il patto di Hirshbeyn, protagonista Paul Baratoff. La compagnia fu invitata da Jarno a recitare nei propri teatri. Nel 1921 la svolta, con il contratto per l’Irving Place Theatre di New York diretto da Max Wilner, dove fu protagonista di Nathan il saggio di Lessing, cui seguì Liliom di Molnár al Theatre Guild. Partecipò anche all’avventura dell’Unzer Teater di Hirshbeyn, Pinski, H. Leivick ed Elkin, sia come attore che come regista. Alla fine di questa purtroppo breve parentesi indipendente eccolo sulla scena di lingua inglese accanto a Lionel Barrymore e, fino al 1925, attore e regista nel teatro di Eva La Gallienne. Alla fine degli anni Venti si trasferì a Hollywood, dove prese parte a moltissimi film, fino alla morte improvvisa che lo colse nel 1946.45
23Un ruolo non secondario fu quello svolto dal Jüdisches Künstlerkabarett (Cabaret degli artisti ebraici) aperto nel 1925 dall’attore Max Streng (1876-1928) e dall’attrice Paula Dreiblatt soprattutto per rappresentare i cosiddetti Lebens-bilder, proto-musical che trattavano temi di costume attuali, ciò fino alla morte di Streng (1928), che in pratica ne determinò la chiusura; Die Jüdische Künstlerspiele (Teatro d’arte ebraico), infine, fondato nel 1927, fu attivo fino al 1938 con un ampio programma di produzioni proprie e ospitalità. Qui Paul Baratoff interpretò Il padre di Strindberg mentre Jenny Lovic fu tra i protagonisti di Omicidio rituale in Ungheria di Zweig. Baratoff era nato in Russia da genitori non osservanti. Da piccolo era stato allevato da una nurse russa e solo nel momento in cui la famiglia si trasferì in provincia fu affidato a un tutore che gli insegnò, tra l’altro, un poco di yiddish. Dopo un ulteriore trasferimento a Kharkov, frequentò il liceo e si laureò in medicina, sempre recitando con compagnie di dilettanti e di studenti e interpretando un ruolo importante nell’Ispettore generale di Gogol´. Nel 1898 fu ammesso al Teatro d’Arte di Mosca, dove recitò nel Fëdor Ioannovič, mentre durante il giorno esercitava come medico. Tre anni dopo entrò nella compagnia Ivanovskij a Ekaterinoslav. Durante le estati recitava a Pietroburgo. Fu scritturato poi dalla compagnia della Duchessa Barjatinskaja e successivamente dal Teatro Letterario di Subarin, nel quale rimase per oltre tre anni. Le tournée estive lo portarono in molte città tra cui Tbilisi, Kharkov, Kiev, Rostov e Odessa. A causa della Rivoluzione d’Ottobre dovette interrompere l’attività di attore. Baratoff non aveva contatti con il teatro yiddish se non per avere assistito da bambino alla Strega di Goldfaden e per aver visto recitare, a Mosca, l’attrice Clara Young (della quale si parla più avanti). Quando lasciò il Paese e giunse da Costantinopoli a Vienna si rese conto di non poter continuare nella propria carriera di attore russo. Strinse però amicizia con Isaac Deutsch, il direttore della Freye Yidishe Folksbiene, che lo convinse a entrare nella propria compagnia. Non conoscendo che una trentina di parole in yiddish, interpretò una parte ne Lo straniero di Gordin. In locandina figurò dapprima come Ben Zvi Baratoff. A Vienna, tra il 1921 e il 1922 prese parte anche ad alcuni film, recitando in tedesco. Recitò a Vienna e in Romania fino al 1923, quando venne ingaggiato dall’Arch Street Theatre di Philadelphia diretto da Anshel Schorr, e vi si fermò qualche mese prima di unirsi come attore ospite a Maurice Schwartz, al Teatro d’Arte Yiddish di New York, dal 1924 al 1927, dopo di che tornò per quasi un anno in Romania e Polonia (qui con l’attrice russa Lidia Potocka, anche lei dall’incerta pronuncia yiddish, causa di buffi incidenti e accigliate critiche).46 Nella stagione 1928-1929 ebbe un ruolo da protagonista, ma in yiddish, nel teatro di Erwin Piscator nel Mercante di Berlino. Negli anni seguenti recitò continuativamente in diversi Paesi e in varie compagnie: in una locandina londinese (in inglese e in yiddish) del Pavilion (1931) figura come il protagonista e regista di Ognuno con il proprio Dio di Dovid Pinski e il suo nome è preceduto da un “Dott.”. Tra le sue prove più notevoli vi sono gli spettacoli nei quali condivise la scena con Maurice Schwartz, vicenda sulla quale ci soffermeremo nel volume IV. Nel 1938 fu tra i registi e gli interpreti del film yiddish noto come The Singing Blacksmith e negli Stati Uniti, tra il 1941 e il 1948, prese parte ai seguenti film: The Men in Her Life di Gregory Ratoff (1941), The Raid by Night di Spencer Gordon Bennet (1942), Song of Russia di Gregory Ratoff (1944), A Royal Scandal di Otto Preminger e Ernst Lubitch (1945) e The Vicious Circle di W. Lee Wilder (1948).47
24La Jüdische Bühne, in particolare, svolse una funzione decisiva nel periodo in questione. Il repertorio spaziava dalle operette, i melodrammi e le commedie di Horowitz e Lateiner ai drammi di Gordin, ma fu la forma spiccatamente musicale degli spettacoli (Singspiele) – tra questi uno Yankele interpretato da Molly Picon travestita da ragazzo, nel 1921 – ad aprire le porte della comprensione e dell’affermazione presso il grande pubblico, sfruttandola poi per proporre una drammaturgia più impegnativa e attuale come quella del giovane Abish Meisels (1893-1959).48
25Dal 1927 al 1938 il Nestroyhof (un bel palazzo viennese situato in Nestroyplatz divenuto un Centro di cultura ebraica) fu la sede dello Jüdische Künstlerspiele. Sotto la guida di Jakob Goldfliess il Nestroyhof offriva un ricco programma di iniziative culturali a tutto campo, teatro yiddish compreso. Tra gli artisti lì operanti si ricordano i Meisels, le cantanti e attrici Mina Deutsch e Paula Dreiblatt e l’attore Doli Nachbar.49 Anche Sigall Ben-Zion e la compagnia Siegler-Pastor50 furono tra gli ospiti. Lo Jüdische Künstlerspiele accolse nel corso della sua esistenza molte compagnie yiddish provenienti da Budapest, Varsavia, Vilnius e dalla Galizia, ma anche il Goset di Mosca, l’Habima e la compagnia newyorchese di Maurice Schwartz.51
26Tra le attrici yiddish “viennesi” – per la maggior parte provenienti dall’est, come gli attori, e quasi tutte figlie d’arte – si ricordano, oltre alle citate Pepi Littmann e Mina Deutsch, Sevilla Pastor52 e Cilli (Tsila) Bell, figlia dell’attore Adolf Bell, che aveva cominciato a recitare da bambina. E ancora: Pepi (Perele) Urich, figlia dell’attore Sami Urich, Maurice (1879-?) e Rosa Siegler e i loro figli, Salcia Weinberg,53 Klara Meisels,54 Larke Glyksman, Paula Dreiblatt, Jenny Lovic, Lea Weintraub-Graf, Bela Berson, Rachel Weissberg. Tra gli attori: Paul Baratoff, Isaac Deutsch, Simon (Simche) Nathan,55 Max Streng, Moni Pastor, Sigall Ben-Zion, Avraham Axelrad.56
27Pepi Littmann era molto nota anche in Ungheria. Mina Deutsch, proveniente da Leopoli, e il marito, l’attore e regista Isaac Deutsch lavorarono dapprima alla Jüdische Bühne, poi alla Freie Jüdische Volksbühne. Mina era un’apprezzata caratterista. Secondo il critico Siegfried Schmitz era «perfetta per il personaggio della madre». I Deutsch, insieme al già internazionalmente famoso Paul Baratoff, effettuarono diverse tournée in Romania e Galizia.
28Gli artisti yiddish partivano spesso da Vienna per lunghe tournée in altre località dell’Europa orientale, mentre nella capitale austriaca si organizzavano costantemente rappresentazioni di compagnie ospiti che di norma riunivano per l’occasione attori di provenienza diversa. In questo senso contavano molto le famiglie d’arte come quella dei Nathan, quella degli Ulrich e quella dei Siegler-Pastor. Noemi Nathan era arrivata a Vienna dalla Polonia nel 1920 con il marito, l’attore Simon (o Simche) Nathan. I due furono scritturati dalla Freie Jüdische Volksbühne. Alcuni suoi spettacoli sono registrati alla fine degli anni Venti e poi nel 1935, assieme alla figlia Ida, che finì durante la seconda guerra mondiale uccisa a Treblinka con la madre. La famiglia Urich, proveniente da Leopoli, recitò spesso a Vienna dal primo dopoguerra a tutti gli anni Venti. Era composta da Cilli Urich, Sami Urich e la loro figlia Pepi. Negli anni Trenta la compagnia Pastor-Siegler recitò spesso allo Jüdische Künstlerspiele, con Sevilla Pastor come diva di richiamo. Sevilla Pastor interpretò spesso personaggi maschili anche lontani dalle figure familiari della tradizione ebraica, come il poliziotto. Rosa Siegler, cantante e attrice, aveva sposato l’attore Maurice Siegler attorno al 1900 ed era arrivata per la prima volta con lui a Vienna nel 1909. Dopo il 1915 i due passarono alla Freie Jüdische Volksbühne e negli anni Venti, con i figli Maurice, Rosa e Sevilla (e l’attore Moni Pastor che costei aveva sposato nel 1926), furono applauditi ospiti della città. Erna Siegler debuttò da bambina, nel 1920, e poi diventò famosa nel ruolo dell’amante romantica; dopo il 1938 trovò rifugio negli Stati Uniti. Altra figlia d’arte era Cilli Bell, che debuttò nel 1922 alla Jüdische Bühne come Yankele (lo stesso personaggio divenuto leggendario sulle scene americane per merito di Molly Picon).
29Salcia Weinberg aveva recitato a Budapest e Praga all’inizio del secolo e, da Vienna, dove si era stabilita dopo aver sposato Hermann Weinberg dal quale ebbe otto figli, partì per alcune tournée. Larke Glyksman, invece, fece parte di varie compagnie e teatri, a Varsavia, in Romania, Cecoslovacchia e Belgio, a Parigi e a Londra, tra gli anni Venti e Trenta, tornando poi a Vienna nel 1936. Di lei scriveva Jonas Turkow57 che «era una donna semplice, legata alla tradizione, non molto colta, ma quando la si vedeva in scena con un’appropriata regia stupiva tutti con la sua profonda cultura del teatro». Secondo Turkow, Glyksman era «una delle migliori primedonne yiddish d’Europa». La si può vedere insieme a Picon nel film Yidl with His Fiddle (Yidl mitn fidl, che si dovrebbe tradurre infelicemente come Yidl con il violino), del 1936, ma anche nel film austriaco Der Abtrünnige (1927) e nell’altro film yiddish Est e Ovest (1923), nel ruolo della nonna Brownstein. Insieme a Glyksman, Lea Weintraub-Graf era apprezzata per la vastità del repertorio in cui dava prova di sé. Weintraub-Graf recitò dal 1909 al 1917 per la Jüdische Bühne e prese parte a diversi spettacoli a Czernowitz, Parigi, in Galizia, in Ungheria e in Germania. Di lei si diceva che avesse «il raro dono di caratterizzare i propri personaggi con mezzi semplici, lasciando tuttavia negli spettatori un ricordo indelebile».
30Klara Meisels arrivò a Vienna nel 1917, fuggendo dalla famiglia di origine. In un primo tempo, lavorando, si mantenne durante gli studi di medicina, poi fu ammessa alla scuola di teatro diretta da Max Reinhardt, dove incontrò il drammaturgo e critico Abisch Meisels che divenne suo marito. I Meisels emigrarono infine a Londra, salvandosi dai nazisti, ma prima, negli anni Trenta, furono molto popolari a Vienna con una fortunata serie di spettacoli di rivista per i quali Abisch scriveva i testi. Paula Dreiblatt, oltre a una vita intensa sulla scena, a Vienna e in diverse tournée all’estero, fu a capo con Max Streng dello Jüdisches Künstlerkabarett nel 1930. Bella Berson aveva ricevuto un’educazione musicale. Dall’Ucraina arrivò a Vienna nel 1905, poi si spostò a Chernovtsy con la compagnia di Avraham Axelrad. Più tardi la si trova ancora a Vienna fino alla fine del primo conflitto mondiale, dopo il quale recitò con Molly Picon e, nel 1922, per sette mesi con Blumenthal a Parigi, poi, ancora con Blumenthal, per nove mesi a Londra nel 1924-25. Effettuò anche lunghe tournée in Cecoslovacchia e in Jugoslavia. Rachel Weissberg, invece, aveva frequentato la scuola della Freie Jüdische Volksbühne e qui debuttò con il marito Sigall Ben-Zion, prima di prendere parte a spettacoli in altri teatri yiddish viennesi tra gli anni Venti e Trenta.
31Dalinger sottolinea che la tipologia dei personaggi interpretati dalle attrici yiddish viennesi era molto vasta e variava dalla ragazza vittima della propria povertà e ignoranza alla giovane che sa esattamente cosa vuole e l’ottiene, dalla madre che raddrizza le sorti dell’intera famiglia alla donna di casa sopraffatta dai costumi moderni, a molte figure di donne indipendenti e forti, soprattutto tra quelle rimaste vedove.
32Da non dimenticare sono le apparizioni di altre attrici, provenienti soprattutto dall’America, come appunto Molly Picon nel 1920 e 1922, Clara Young58 nel 1921, Henriette Schnitzer (1891-1979)59 nel 1923, e Betty König nel 1928, attrici dal talento decisivo per gli sviluppi della scena yiddish viennese.
33Dal quadro delineato si deduce che Vienna non è stata un centro decisivo del teatro yiddish60 per quanto riguarda la produzione, sia drammaturgica che scenica, in quanto nel trentennio in questione non si è prodotta alcuna novità di rilievo in questo senso, ma è stata un fondamentale e peculiare luogo di transito e scambio tra l’est Europa e i vari Paesi dell’Occidente, un luogo nel quale era forte il legame con le tradizioni – le lingue, potremmo dire – di provenienza e proprio in base a questo elemento, per di più in un ex impero che si stava nuovamente disgregando, la frizione tra vecchio e nuovo, vivissima su tutti i piani, fu una causa di esperienze decisive per gli attori yiddish.
La storia di Clara Young è una delle più singolari e merita di essere introdotta a questo punto sia perché evocata da Paul Baratoff sia perché, pur non riguardando Vienna direttamente, è molto significativa dell’irrequietezza e dell’erranza, ovvero dalla continua ricerca di un luogo, di una “patria” fisica e interiore, che caratterizza la gran parte degli artisti yiddish. Resta da comprendere anche la sua scelta solitaria e finale di stabilirsi in Unione Sovietica, non è dato sapere per fare cosa. L’attrice era originaria della Galizia. Il nonno ospitava le compagnie yiddish in un proprio locale e la piccola frequentava con passione tutti gli spettacoli. Fu colpita all’inizio da quelli dall’ensemble di Rukhl Axelrad, l’attrice moglie di Avraham che gli era subentrata nella guida della compagnia. Dopo la morte del padre la famiglia emigrò in America e qui Clara, ancora studentessa, cominciò a recitare con il cugino in una Goldfaden Dramatic Union, dove debuttò ne La strega, dapprima con la canzone Dolci piccanti e poi come Mirele. Sigmund Feinman la vide recitare e la scritturò, ma dopo poco la giovane si unì alla compagnia viaggiante dei Tantsman, dove c’erano, tra gli altri, Abba Schoengold61 e Stanley Zenon Wachtel.62 Nel 1903 cantava nel People’s Music Hall e avendo conquistato il cuore di un vasto pubblico con canzoni come La signora di Broadway e Mio caro, fu scritturata dal People’s Theatre, dove si vide però assegnare ruoli secondari. Nel 1909 eccola sulla scena del Thalia con il marito (Bernard) Boaz Young, socio di David Kessler,63 dove interpretò i primi ruoli drammatici (in Dio, uomo e diavolo, Sonata a Kreuzer, La sorella e in La patria di Sudermann – nel quale recitava anche Esther-Rokhl Kaminska – e nell’operetta di Lateiner Cuore ebraico. Nel 1910 la compagnia si postò al Brooklyn Lyric Theatre per proporvi un adattamento in forma di operetta di La bigama di Hyman Meisel,64 con il titolo di Zeyn veybs man, e I perbenisti di Avrom Shomer.65 Fu anche attrice ospite a Łódź nel teatro di Yitzhak Zandberg66 e a Varsavia con La bigama. Sulla via del ritorno, dopo una settimana di recite a Londra tornò a New York, dove recitò nella stagione 1911-1912 con Kessler in Gli schiavi di Hershele e Ogni gioia e partecipò allo spettacolo di Dovid Pinski Il tesoro con Rudolf Schildkraut e Solomon Manne. Nel 1912 eccola di nuovo acclamata a Varsavia in La ragazza dell’Ovest (o L’americana), musical dei compositori Anshel Schorr e Joseph Rumshinsky, che ebbe un enorme successo anche con il pubblico di ebrei assimilati e non ebrei. Dopo una breve pausa a New York, eccola di nuovo a Varsavia, dove il marito aveva rilevato il teatro dei Kaminski e proponeva Chantshe in America di Nuhum Rakov, con musiche di Rumshinsky su liriche di Isidore Lillian, Alma, dove abiti? di Phillips e la prima operetta tedesca in versione yiddish, Pooptshik, sollevando un entusiasmo indescrivibile:
Era l’attrice yiddish più amata in Polonia e in Russia negli anni Dieci. Non solo gli spettatori yiddish la adoravano, ma anche i polacchi e i russi. Persino gli intellettuali e i letterati di Varsavia erano pazzi di Clara. […] Critici come Mukdoyni, Prilutski, Dovid Frishman e Peretz celebravano la sua eleganza, il suo modo di parlare e la sua recitazione ricca di sfumature, oltre alla sua bellezza. Il suo fascino era tipicamente femminile e carico di sottile erotismo […] Benché non tutto il suo repertorio fosse americano, lei chiaramente utilizzava il suo “essere americana” e si proponeva in personaggi americani.67
Il marito scrisse nelle proprie memorie (La mia vita nel teatro, Mayn lebn in teatr, 1950):
Moltissimi polacchi vennero a vedere Di amerikanerin; persino gli assimilati di Varsavia non si vergognavano a entrare in un teatro yiddish […] e per i letterati gli spettacoli di Clara erano un revival della lingua yiddish […]. Le musiche di Rumshinsky per Di amerikanerin conquistarono una tale fama che tutti quanti, ebrei e polacchi, le cantavano: si potevano ascoltare in tutti i cabaret.
Nel 1914 Clara fu di nuovo protagonista-ospite a Londra e fece una tournée in Russia; nel 1915 a Odessa diresse un adattamento dell’operetta Madame Hoplia. Poi fu in Romania e tornò di nuovo a Odessa per il musical del marito L’imbroglione, uno dei suoi maggiori trionfi. Seguì un tour a Ekaterinoslav, Mosca e Pietroburgo, con passaggio da Odessa, dove all’inizio del 1917 recitò la commedia musicale di Itzhak Katzenelson Anna Bleyb, prima di visitare altre città russe e approdare infine a Kiev. Alla fine del 1920 Clara Young fece ritorno in America, dove presentò al Liberty Theatre L’imbroglione, poi La mogliettina olandese e quindi la commedia di Israel Rosenberg Berele il vagabondo, musicata da Rumshinsky. Nel 1922 si unì a Boris Thomashefsky per presentare La cugina immatura, musical di Abe Schwartz68 su testi di J. Leiserowitz e interpretò Chaika al settimo cielo di Shlomo Steinberg,69 con musiche Joseph Tanzman.70 Nel 1923 fu la protagonista di Lo studente di Isidore Solotarefsky, per regia di Thomashevsky e con musiche di Louis Fridsell;71 nel 1924, dopo un’apparizione allo Hopkinson and Prospect Theatre intraprese una tournée a Londra, in Polonia e Unione Sovietica, dove si fermò per ben due anni e mezzo. Nella Mosca del 1927 presentò l’operetta Tranquilli, il rebbe se ne va di Boaz Young (musiche di Trillig e Rosentur) e nel 1928 prese la strada dell’America Latina, facendo tappa in Argentina e Brasile e tornando negli Stati Uniti all’inizio del 1929 ma ripartendo subito per l’Europa: a Varsavia, ospite dei Kaminski, propose per tre mesi Tranquilli, il rebbe se ne va, procedendo poi per Łódź, Vilnius, Riga, la provincia lituana e infine giungendo nell’ottobre del 1930 a Parigi, al Théâtre Jena, da dove proseguì per un giro nella provincia francese e una tappa in Belgio. Nel 1931, dopo una breve sosta a Londra, rientrò in America per recitare a Boston e Philadelphia, dove interpretò il personaggio di Kuni-Leml, proseguendo quindi per il Messico e Cuba. A questo punto si verificò la svolta definitiva e misteriosa: Clara ritornò da sola in Unione Sovietica, diventandone cittadina, e vi restò sino alla fine della sua vita (ma nulla si sa di cosa facesse). Ida Kaminska la incontrò nel 1941 a Tashkent, dov’erano sfollati tutti gli artisti della capitale. Si sa che Clara Young morì a Mosca nel 1952.
Nell’Ungheria dell’Ottocento la maggior parte degli ebrei avevano adottato come lingua il tedesco e poi l’ungherese.72 Naturalmente in alcune comunità si praticava il Purim-shpil e persino il teatro yiddish, soprattutto in Transilvania, territorio annesso alla Romania nel 1920, e nei Carpazi Meridionali, annessi alla Cecoslovacchia nel 1920 e oggi parte dell’Ucraina.
34Il più famoso tra i badkhen era un tale Berl Bas di Hunfalva (oggi Slovacchia), mentre alla corte di Zalmen Leyb Teitelbaum, nella grande comunità chassidica di Máramarossziget (Sighet), Hersh Leyb Gottlieb73 era noto come il «Szihoter marshelik» (ovvero l’attore di Sighet).
35Le informazioni a oggi disponibili si ricavano da fonti letterarie. József Dombér della comunità Neolog di Losonc (Slovacchia) aveva basato il suo copione del 1921, Ester: uno spettacolo comico in cinque atti con canzoni e danze su fonti sconosciute. I racconti di Dezső Schön – Cercatori di Dio nei Carpazi (1935) – e di György Láng, Hanele, quest’ultimo ambientato nelle comunità chassidiche dei Carpazi Meridionali, sono ricchi di dettagli etnografici e vi si parla anche del teatro yiddish. Ma il primo drammaturgo yiddish conosciuto è Moritz Gottlieb Saphir.74 Nel 1820 circa compose una farsa intitolata Il falso Kashtan che circolò a lungo come manoscritto. Yoysef Holder75 tradusse testi in ebraico e yiddish e anche, in yiddish, il dramma nazionale ungherese, La tragedia dell’uomo di Imre Madách. Emil Makai,76 un poeta di Makó, tradusse in ungherese la Shulamit di Goldfaden, mentre il Dibbuk di An-Ski fu dapprima tradotto in ungherese dallo scrittore Leó Spiel, di Kassa (oggi Košice77 in Slovacchia).
36Comunque il teatro yiddish fu messo in scena raramente in Ungheria. Il solo luogo dove si recitava regolarmente era il Club Wertheimer, noto come il «music hall dialettale [yiddish]» in via Népszínház (che significa “Teatro del Popolo”), a Budapest. Tra il 1886 e il 1912 il regista Lajos Wertheimer metteva in scena farse yiddish e commedie musicali ispirate allo stile dei Broderzinger. La primadonna più famosa del teatro era la già citata Pepi Littmann. Il Club ospitava anche compagnie provenienti da Galizia e Russia.
37Naturalmente la figura dell’ebreo appariva anche nella letteratura teatrale, almeno da metà del xviii secolo. Nei testi dell’Ottocento l’ebreo era rappresentato come un personaggio negativo – avido speculatore o mercante per lo più – e soltanto nel 1847, con Károly Hugó,78 il primo drammaturgo ebreo di rilievo nell’Ungheria moderna, e il suo Banchiere e barone, se ne diede una immagine più sfaccettata.79
38Verso la fine del secolo, sull’onda della drammaturgia borghese, alcuni autori ebrei assimilati crearono personaggi di ebrei presentandoli con evidente simpatia. Tra essi Dezső Szomory,80 portavoce della classe media urbana, e l’assai più noto Ferenc Molnár,81 l’autore de I ragazzi della Via Pal, ma anche Sándor Bródy,82 il cui naturalismo suscitava fieri dibattiti, e Menyhért Lengyel,83 poi sceneggiatore a Hollywood. Stiamo parlando comunque di autori considerati ungheresi a tutti gli effetti e a giusto titolo, poiché nelle loro opere le origini ebraiche sembrano del tutto ininfluenti.
39La drammaturgia yiddish era conosciuta soprattutto attraverso le traduzioni in ungherese e le relative rappresentazioni, per esempio al Teatro Kisfaludy, fondato da Lajos Serly nel 1897 a Óbuda, un quartiere di Budapest con una numerosa popolazione ebraica. Lo stesso fece l’attore e drammaturgo Albert Kövessy. Tra i drammi rappresentati si ricordano Pensa a te stesso, Schlesinger di Antal K. Lorényi, Il soldato ebreo di Andor Lukácsy, Il nuovo cittadino Sammy Goldstein di Kövessy, e Sammy Goldstein si rallegra di Adolf Müller. Nel 1898 al Kisfaludy si rappresentò per la prima volta la Shulamit di Goldfaden, come Shulamit, figlia di Gerusalemme, uno spettacolo destinato a rimanere in cartellone fino alla chiusura del teatro nel 1934 e a stimolare numerose versioni parodistiche.
40A Pest, invece, c’era il Teatro Városligeti, fondato da Zsigmond Feld, che proponeva spettacoli su temi ebraici, a volte mutuati dal repertorio del teatro dell’Óbuda.
41La Országos Magyar Izraelita Közművelődési Egyesület (Omike, Associazione Culturale Ungherese Ebraica), fondata nel 1909 a Budapest, organizzava molte attività tra cui il teatro e nel 1938, quando una legge razzista espulse gli ebrei dalle scene ungheresi, la Omike creò una propria compagnia, la Művész-akció (Artisti in azione), che recitò fino al 1944 proponendo un fitto repertorio che comprendeva temi ebraici di autori ungheresi (Lajos Szabolcsi, Károly Pap, Lajos Bálint), autori come Peretz e naturalmente Goldfaden.
In Francia vi erano comunità ebraiche in diverse città, ma il teatro yiddish nella prima metà del Novecento è stato di norma un fenomeno essenzialmente parigino (nelle città agirono dall’inizio del secolo diverse compagnie minori, la cui storia poco conosciuta sarebbe, per quanto pare di comprendere, di grande interesse)84 e in buona misura d’importazione. All’inizio del secolo dominavano le compagnie di dilettanti, ma presto cominciarono a passare per Parigi formazioni di professionisti provenienti dall’Europa orientale e dagli Stati Uniti. Già nel 1888 la compagnia diretta da Leizer Yakobovitch85 e Kempner era arrivata con un repertorio che comprendeva I due Kuni-Leml di Goldfaden e aveva attratto un numerosissimo pubblico. L’anno seguente toccò allo stesso Goldfaden, il quale fondò un Club Dramatique Israélite-Russe, ottenendo però una calda ma insufficiente accoglienza da parte del pubblico, che lo indusse a tornare in Galizia. L’autore-impresario fu di nuovo a Parigi nel 1900 e se ne andò dopo tre anni senza essere riuscito a fondare un teatro permanente nonché incassando le pesanti critiche degli ambienti di sinistra.
42I dilettanti, che agivano di concerto con diverse associazioni culturali e politiche, restarono per un po’ la realtà più rilevante e diedero vita a un vivace dibattito tra i sostenitori dello shund e quelli di un teatro più realistico e impegnato. In questo quadro si colloca la proposta di Minna, un testo di Leon Kobrin86 che gli interpreti presentavano con queste parole:
Invece dei soliti personaggi che avete incontrato nel teatro yiddish finora – eroi esagerati e assolutamente non realistici che pronunciano stupide battutacce – qui troverete personaggi autentici, presi dalla vita reale, la vostra vita, privi di qualsiasi affettazione.
Da questa esperienza nacquero tre compagnie – la Liberté, la Libre scène yiddish e la Libre scène yiddish des travailleurs (Pyat, Parizer Yidisher Arbeter Teater, nato nel 1933 in seno alla Kultur Lige)87 — che ebbero una discreta durata e crearono alcuni spettacoli di notevole impatto. La forte polemica tra i due fronti del teatro portava a un rimescolamento continuo delle compagnie, delle proposte e persino dei luoghi di spettacolo. Prima del primo conflitto mondiale vi erano in particolare due “teatri”, uno in un grande caffè e uno in una sala finanziata dal ricco Isaac Rirachovski, rispettivamente situate nel iii e nel xii arrondissement, i quartieri più popolati da immigrati ebrei. Il loro repertorio era molto vario e comprendeva anche alcuni classici russi. Dovettero entrambi chiudere nel 1915 per difficoltà economiche, anche perché Rirachovski si rifiutava di incrementare gli incassi con il ricorso al repertorio più popolare.
43Tra le due guerre Parigi visse la stagione di maggior fermento del teatro yiddish. Molte erano le nuove compagnie che vi si stabilivano, come quella di Henrik Lachtinger88 e Regina Viner,89 affermatisi in breve come i campioni dello shund parigino e operanti dal 1932 nella grande sala della Mutualité. I due di tanto in tanto inserivano nel repertorio proposte più impegnative come Il sergente Grisha di Arnold Zweig o Il gobbo di Notre-Dame di Victor Hugo (in questo caso scritturando Ida Kaminska e Zygmunt Turkow).
44Anche molti grandi nomi visitavano la capitale francese. Oltre a diverse compagnie provenienti dall’est Europa, tra cui Habima e Vilner Trupe, vi arrivarono Maurice Schwartz (nel 1924, proponendo tra l’altro Tevye il lattivendolo di Sholem Aleichem, e, dopo altri passaggi, nel 1938 con una formazione più piccola che offriva però un vasto repertorio) e attori come Jacob Ben-Ami90 e Joseph Kestler,91 per non parlare del Goset di Mosca. Granovskij, Michoels e Zuskin, erano noti al pubblico ebraico della capitale, ritenuto dagli addetti ai lavori tra i più rozzi e difficili. Anche Molly Picon, che vi giunse più volte in tournée, ricorda le particolarità positive e negative della città, dei suoi teatri e del suo pubblico. La prima volta le toccò recitare in un teatro-ristorante di Rue Lancry, talmente piccolo che gli attori «potevano assaggiare la zuppa degli spettatori», ma per l’attrice fu anche l’occasione per cominciare a “europeizzare” il suo yiddish americanizzato, cioè «imbastardito».92
45Negli anni Trenta si aggiunsero molti rifugiati da diversi paesi e, dopo vari tentativi, nacque persino, nel 1934, sponsorizzata dalla Kultur-lige, la citata compagnia Libre scène yiddish des travailleurs, di orientamento socialcomunista, che proponeva un repertorio basato su classici e novità impegnate e che visitò diverse città della Francia. La Libre Scène, che aveva assorbito anche alcuni attori della Vilner, non ebbe mai vita facile. Dall’inizio alla fine degli anni Venti, con alcuni intervalli, fu attiva anche la compagnia Masquerade, che proponeva testi yiddish e rivisitazioni di autori classici e contemporanei. A Parigi risiedevano i drammaturghi Haim Sloves (autore di copioni come I vendicatori, La caduta di Haman, Borukh di Amsterdam e Avevo dieci fratelli, dramma sul ghetto Varsavia,93 e Moyshe Dlusnovski.
46Joseph Roth, che si era stabilito a Parigi dal 1925, fu uno spettatore d’eccezione delle piccole e grandi compagnie. Le sue riflessioni sono come sempre molto puntuali:
Ho visitato un teatro yiddish a Parigi. Nel guardaroba venivano lasciate le carrozzine dei bambini. Gli ombrelli si portavano in sala. Sul parquet erano sedute le madri coi neonati. Le file dei sedili non erano fisse. Le poltrone si potevano tirar via. Lungo le pareti laterali gironzolavano parecchi spettatori. Quando uno lasciava il suo posto, c’era subito un altro che lo occupava. Si mangiavano arance. Mandavano spruzzi e profumo. Si parlava ad alta voce, si cantava in coro, si applaudivano gli attori a scena aperta. Le giovani donne ebree parlavano soltanto francese. Erano eleganti come le parigine. Erano belle. Assomigliavano alle donne di Marsiglia, erano intelligenti come le parigine, fresche e civettuole, semplici e pratiche, fedeli quanto lo sono le parigine. L’assimilazione di un popolo comincia sempre dalle donne. Questa sera si dava una commedia in tre atti. Nel primo atto una famiglia ebrea di un piccolo paese russo vuole emigrare. Nel secondo atto ottiene i passaporti. Nel terzo, la famiglia è arrivata in America, è diventata ricca e piena di boria, è in procinto di dimenticare la vecchia patria e i vecchi amici che dalla patria arrivano in America. È questo un pezzo che offre occasioni per cantare canzonette americane e antichi canti russi e yiddish. Fu poi la volta delle danze e dei canti russi, e allora sia attori che spettatori si misero a piangere. Se avessero pianto solamente i primi sarebbe stato di cattivo gusto. Quando piansero gli spettatori, invece, fu doloroso. Gli ebrei si commuovono facilmente – questo lo sapevo. Ma non sapevo che li potesse commuovere un senso di nostalgia per la patria lontana.
C’è un legame molto intimo, quasi privato, fra palcoscenico e spettatori. Per questo popolo essere attori è una cosa bella. Il regista entrò in scena e annunziò il programma successivo. Non lo fece leggendo da un giornale o da una locandina. Parlò a braccio. Da uomo a uomo. Disse: “Mercoledì vedrete il signor x che viene dall’America”. Parlò come un comandante ai suoi fidi. Parlò in modo diretto e spiritoso. Le sue battute erano subito comprese. Quasi presentite. Il finale, intuito.94
Nella stessa capitale francese, Roth era stato spettatore di una piccola compagnia in tournée:
Ho avuto l’opportunità di vedere uno di questi teatri orientali senza regole nel quartiere ebraico di Parigi. Vi furono solo alcune repliche. Era un povero teatro itinerante. Intonavano le stesse canzoni che avevo ascoltato quindici anni prima nel teatro di Leopoldstadt. Si davano “tragedie con canzone e danza”, il pubblico interruppe a metà di un testo, uno degli artisti entrò in scena, spinse da parte coloro che stavano recitando in quel momento e tenne un breve discorso, quindi lo spettacolo continuò; i posti non erano numerati, al guardaroba c’erano le carrozzine dei neonati che piangevano tra il pubblico.95
A questo interesse per il teatro popolare in lingua yiddish si aggiungevano le sue perplessità circa Habima:
Se di quattordici milioni di ebrei, capiscono l’ebraico tre milioni e questi tre milioni sono sparsi tra i quattordici milioni a loro volta sparpagliati nel mondo intero, non riesco a capire l’esistenza di un teatro ebraico. Molti esperti sono entusiasti di Habima. Capisco che ci si possa entusiasmare per un oggetto di lusso… Può avere valore in quanto fatto ad arte. Artistico è però solo il necessario.96
Fino alla prima guerra mondiale le preferenze del pubblico europeo andavano al vecchio repertorio yiddish, specie per come era stato ripreso e rilanciato negli Stati Uniti, ossia in chiave di varietà. Alcuni protagonisti della scena yiddish americana come Boris Tomashefsky e David Kessler fecero lunghe tournée nell’Europa orientale, seguiti poi dai nuovi divi come Molly Picon. Si realizzò così un movimento di ritorno della drammaturgia che aveva avuto origine in Europa e che adesso era messa in scena con una nuova sensibilità, secondo coordinate che trasformavano il “grottesco europeo” in un teatro musicale e più leggero. L’apprezzamento da parte del pubblico di queste novità rendeva difficile l’affermazione di un teatro come quello fondato nel 1909 da Avrom-Yitskhok Kaminski a Varsavia, o meglio ne deviava l’originario orientamento favorevole alla drammaturgia “letteraria”. Già all’inizio del secolo agli intellettuali e agli autori di vaglio come Peretz e i suoi discepoli, riuniti dal 1905 nell’associazione Hazomir, non restava altro che puntare su giovani non-professionisti sperando di dare vita a numerosi luoghi di formazione che potessero prefigurare una diversa identità della generazione seguente di operatori teatrali. Come si è appena visto anche nel caso parigino, il teatro impegnato era perdente nella competizione con quello più commerciale e popolare.
47Possiamo congedarci dal panorama parigino ed europeo con il ritratto di un anziano clown, sempre nella maliconica e lucida scrittura del testimone d’eccezione Joseph Roth:
Parlai in Francia con un artista ebreo di Radziwillow, il vecchio posto di confine russo-austriaco [ora in Ucraina]. Era un clown molto dotato per la musica che guadagnava molto. Era clown per scelta e non per nascita. Veniva da una famiglia di musicanti. Il suo bisnonno, suo nonno, suo padre e i suoi fratelli erano stati ed erano musicanti ai matrimoni ebraici. Egli era stato il solo che aveva potuto lasciare la patria e studiare musica in Occidente. Lo aveva appoggiato un ricco ebreo. Andò a studiare a Vienna in un conservatorio. Compose della musica. Diede alcuni concerti. Ma era solito dire: “Per quale motivo un ebreo dovrebbe fare musica seria in giro per il mondo? Rimarrò sempre un clown a questo mondo, anche se sul mio conto venissero presentate serie relazioni e inviati di giornali sedessero con i loro occhiali nelle prime file. Dovrei forse suonare Beethoven? Non è meglio che suoni il Kol-Nidre? Una sera, quando ormai ero già sul palcoscenico, cominciai a torcermi dalle risate. Che cosa offrivo al mondo, io, musicante di Radziwillow? Non sarebbe meglio che tornassi a Radziwillow, pensai, e suonassi ai matrimoni ebraici? O forse laggiù sarei ancora più ridicolo?
Quella sera compresi che non mi restava altro che andare al circo, non però a fare il cavallerizzo o l’acrobata! Non sono cose da ebrei. Io sono un clown. E fin dalla prima volta che ho calcato la pista ho capito con assoluta chiarezza che non avevo affatto rinnegato la tradizione dei miei padri, che anzi sono ciò che loro pure avrebbero dovuto essere. In verità se mi vedessero si spaventerebbero. Suono la fisarmonica, l’armonica a bocca e il sassofono, e sono felice che la gente ignori del tutto che so suonare Beethoven.
Sono un ebreo di Radziwillow. Voglio bene alla Francia. Forse per gli artisti il mondo è uguale dappertutto. Ma per me non è così. In ogni grande città vado a cercare ebrei di Radziwillow. In ogni grande città ne incontro due o tre. Discorriamo tra noi. Anche a Parigi ce n’è qualcuno. Se non sono di Radziwillow, allora sono di Dubno. E se non sono di Dubno, sono di Kišinëv. E a Parigi stanno bene. Veramente bene. Ma è chiaro che non tutti gli ebrei possono stare al circo. Se non stanno al circo sono costretti a tenersi buoni tutti, anche gli estranei e le persone che sono loro indifferenti, non possono permettersi il lusso di guastarsi con nessuno. A me basta essere iscritto alla Lega degli Artisti. Questo è un grande vantaggio. A Parigi gli ebrei vivono liberi. Io sono un patriota, ho un cuore ebreo.97
Anche la piccola Danimarca fu investita dal movimento migratorio verso ovest. A partire dal 1906 arrivarono nel paese oltre diecimila parlanti yiddish e dopo la prima guerra mondiale si contava una comunità ebraica di residenti a Copenhagen di circa tremila unità. A partire dal 1911 la vita teatrale era animata da formazioni semi-professionali, come quella di Morris e Glike Bilavski, attiva dal 1908 al 1921. Tra gli altri protagonisti della vicenda si ricordano Adolf Timianov e signora e un certo Signor Rothstein. Quando Timianov, dopo la guerra, emigrò a New York, l’attività teatrale si ridusse molto ed era esercitata da volonterosi dilettanti che si misuravano con i testi più conosciuti del repertorio yiddish, gli stessi testi che erano rappresentati da alcune compagnie professionali di passaggio. Il ramo danese del teatro yiddish è rimasto finora praticamente ignoto agli storici; il primo studio sull’argomento, basato su un attento vaglio della peraltro scarsa documentazione disponibile si deve a Morten Thing.98
Notes de bas de page
1 Cfr. David G. Roskies, Manger, Itsik, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 18 febbraio 2011: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Manger_Itsik>.
2 Sholem Aleichem è il protagonista di altre vicende raccontate in questo e nei successivi capitoli. Cfr. Sholem Aleichem, Wandering Stars, Translated from the Yiddish by Aliza Shevrin, Foreword by Tony Kushner, Afterword by Dan Miron, Penguin Books, London & New York 2010. Si tratta della brillante traduzione dallo yiddish (di Aliza Shevrin) del romanzo a puntate pubblicato dall’autore a Varsavia agli inizi del secolo e riproposto nel quinto volume delle sue opere complete (S. A., Blondzhende shtern, in Oysgevelte verk fun Sholem Aleichem, vol. V, Farlag Yidish Bukh, Varsavia 1955), assai diversa dalla traduzione poco fedele di Frances Butwin del 1952. L’unico testo italiano di riferimento (Daniela Mantovan, Stelle erranti. Sholem Aleykhem e il teatro yiddish, in Café Savoy cit., pp. 101-112) sembra fare riferimento all’originale ma si basa, se non sbaglio, sull’edizione del 1952. Con il titolo dato da Sholem Aleichem nasce il modo di definire gli attori yiddish stelle erranti o stelle vaganti, o ancora, secondo il suggerimento di Sandrow, stelle vagabonde. Le complesse vicende editoriali di Blondzhende shtern-Wandering Stars sono precisamente delineate nella postfazione di Dan Miron (pp. 423-451), il quale ricorda tra l’altro il ruolo di decisivo “editor” svolto dal critico teatrale russo Alexander Amfiteatrov (p. 428) nella composizione finale del testo.
3 Tre sono le opere di Sholem Aleichem che trattano il tema del contrasto tra la passione artistica e amorosa e le istanze conservatrici e identitarie: Stelle erranti, l’ultima, è preceduta dai suoi primi romanzi Stempenju (cfr. infra) e Josele l’usignolo, entrambi del 1890. Mantovan (Stelle erranti. Sholem Aleykhem e il teatro yiddish cit.) cita anche due passaggi dalle memorie dell’autore che confermano come egli proietti in quelle trame e nei loro personaggi le proprie vicende personali, in particolare alcuni incontri della prima giovinezza decisivi nella nascita della sua vocazione di narratore del popolo yiddish in cammino verso la modernità. In effetti la più importante attività di Sholem Aleichem, insieme alla scrittura, era quella di attore poiché le sue “conferenze” erano letture molto ben interpretate dei suoi racconti.
4 T. Kushner, prefazione a Wandering Stars cit.
5 J. Weitzner, Sholem Aleichem in the Theater cit., p. 14.
6 Cfr. Stewart F. Lane, Jews on Broadway: An Historical Survey of Performers, Play-wrights, Composers, Lyricists and Producers, McFarland & Co, Jefferson 2011.
7 J. Weitzner, Sholem Aleichem in the Theater cit., pp. 10-11.
8 Sholem Aleichem, Ale Verk fun Sholem Aleichem, Folksfond, New York 1923.
9 Cfr. Antony Polonsky, Warsaw, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 13 dicembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Warsaw>.
10 Cfr. Mordechai Zalkin, Vilnius, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 2 novembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Vilnius>.
11 Cfr. Rebecca Kobrin, Białystok, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 27 luglio 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Białystok>.
12 Cfr. Konrad Zieliński, Lublin: Lublin after 1795, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 27 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Lublin/Lublin_after_1795>.
13 Per quanto riguarda il testo di Notte al Mercato Vecchio e la messinscena del Goset si vedano i paragrafi dedicati allo spettacolo nel volume V di questa serie.
14 Jacob Gordin, il più citato e notevole esponente della drammaturgia yiddish, è oggetto di alcuni ulteriori paragrafi. Bisogna tuttavia mettere subito in chiaro che la nobiltà della sua figura e l’esito della sua opera, concepita in funzione di un grande «teatro educativo», fanno passare in secondo piano il suo valore come autore, in realtà modesto. Cfr. Beth Kaplan, Finding the Jewish Shakespeare. The Life and Legacy of Jacob Gordin, Syracuse University Press, Syracuse - New York. 2007; Barbara Henry, Rewriting Russia. Jacob Gordin’s Yiddish Drama, University of Washington Press, Seattle & London 2011.
15 Cfr. Michael C. Steinlauf, Arnshteyn, Mark, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 9 luglio 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Arnshteyn_Mark>.
16 Oltre alla indicazioni bibliografiche fornite, cfr. Dan Miron, Sholem Aleichem, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 15 ottobre 2010: <http://yivoencyclopedia.org/article.aspx/Sholem_Aleichem> e Max Erik, Menakhem-Mendl [A Marxist Critique], «Prooftexts», 6, 1, Special Issue on Sholem Aleichem: The Critical Tradition, Jan. 1986, pp. 23-39, Indiana University Press: <http://0-www-jstor-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/stable/20689138>.
17 Cfr. D. Pinski, Oisgeklibene schriftn, (Scritti scelti), Congress of Jewish Culture, Buenos Aires 1961 e Avraham Novershtern, Pinski, Dovid, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 27 giugno 2011: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Pinski_Dovid>.
18 La conoscenza del teatro yiddish in Gran Bretagna è un fenomeno piuttosto recente e purtroppo limitato. Il solo volume cui si possa fare ricorso (David Mazower, Yiddish Theatre in London, seconda edizione rivista, The Jewish Museum, London 1996) risale al 1987 ed è nato come catalogo della mostra dallo stesso titolo. Il Jewish Museum dal 2011 propone in rete la versione virtuale di quella mostra. Cfr. Europeana Exibitions: <http://exhibitions.europeana.eu/exhibits/show/yiddish-theatre-en>, sezione di un sito maggiore di buon interesse per il presente studio, Judaica Europeana: <http://www.judaica-europeana.eu>.
19 Insieme a Salomon Ettinger, Aksenfeld è uno dei drammaturghi di rilievo in lingua yiddish del xix secolo. Cfr. Dan Miron, Aksenfeld, Yisroel, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 8 luglio 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Aksenfeld_Yisroel>, e Wikipedia, ad vocem: <http://de.wikipedia.org/wiki/Israel_Aksenfeld>.
20 J. Adler, A Life on the Stage cit., p. 248. Per altre notizie sul periodo di “scuola” del teatro yiddish a Londra e sull’attività di Adler si rimanda al terzo volume di questa serie, Da Odessa a New York: la Grande Aquila e altre stelle vagabonde.
21 Cfr. Jeremy Dauber, Shomer, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 15 ottobre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Shomer>.
22 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Boaz_Young> e Boaz Young, Mein Leben in Teatr, New York 1950.
23 Sui Waxman si vedano i frequenti richiami di A. Tzelniker, Three for the price of one cit.
24 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/N/nathanson-charles.htm>.
25 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/H/hermalin-moshe.htm>.
26 Rachel Sorokin (Leibovitch) era nata Braila, Romania, figlia di panettieri. Nei primi del Novecento giunse a Londra e presto fu sulle scene dei music-hall yiddish con il nome di Madame Josefson. Era una cantante leggera. In seguito fu a Parigi con Joseph Sherman e al ritorno a Londra sposò il compositore e maestro del coro Aaron Sorokin. Recitò soprattutto al Pavilion, dove fu anche Margarethe nel Padre di Strindberg con Maurice Moscovitch. Lavorò anche al Grand Palais e all’Adler Hall e si ritirò dalle scene negli anni Cinquanta.
27 Cfr. anche A. Tzelniker, Three for the price of one cit., p. 43 passim, e Joel Berkowitz, Shakespeare on the American Yiddish Stage, University of Iowa Press, Iowa 2002, p. 107 segg.
28 Cfr. Celia Adler Dertzeil, 2 voll., Shulsinger Brothers, New York 1959. Le memorie di Celia Adler sono appena state tradotte integralmente, a cura di Steven Lasky, e sono scaricabili dalla pagina Facebook del Museum of Yiddish Theatre.
29 Becky Goldstein era nata arrivata dalla Polonia in Inghilterra all’età di dodici anni e dopo non molto tempo aveva iniziato al Pavilion una lunga e fortunata carriera.
30 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/K/kaiser-jenny.htm>.
31 Così Cyril Spector in una testimonianza resa al sito londinese Moving Here: <http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/+/http:/www.movinghere.org.uk>.
32 La panoramica sul teatro yiddish londinese e britannico continua, così come per gli altri paesi, nei capitoli finali, ma è bene precisare sin d’ora che le due principali fonti di informazione sono costituite dalle opere citate di David Mazower e Anna Tzelniker. Quest’ultima lamenta (p. 15) che le pubblicazioni precedenti e persino il fondamentale libro di Nahma Sandrow sono assai carenti su questa localizzazione del teatro yiddish, dando così l’impressione della debolezza di un fenomeno che specialmente a Londra è stato rilevante più a lungo che altrove.
33 J. Roth, Ebrei erranti cit., p. 71.
34 Ivi, p. 77.
35 Ivi, p. 80.
36 J. Roth, Ebrei erranti cit., p. 59.
37 Cfr. N. Sandrow, Vagabond Stars cit., e B. Dalinger, Verloschene Sterne. Geschichte des jüdischen Theaters in Wien, Picus Verlag, Wien 1998, Id., Quellenedition zur Geschichte des jüdischen Theaters in Wien, Niemeyer, Tübingen 2003; Id., Yiddish Theater in Vienna, in Jewish Women: A Comprehensive Historical Encyclopedia, 20 marzo 2009: <http://jwa.org/encyclopedia/article/yiddish-theater-in-vienna>. In italiano cfr. B. Dalinger, Il teatro yiddish a Vienna dal 1880 al 1938, in Café Savoy cit., pp. 113-126. Cfr. anche Klaus Hödl, From Acculturation to Interaction: A New Perspective on the History of the Jews in Fin-de-Siècle Vienna, «Shofar: An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies», 25, 2, Winter 2007, pp. 82-103.
38 Pepi Littmann era il nome d’arte di Peshe Kahane, nata a Tarnopol, Galizia dell’est. Littmann si ispirava alla tradizione dei Broderzinger e in realtà preferiva le locande, i giardini e le piccole sale ai teatri. Alla guida di diverse formazioni, rese popolari le sue canzoni anche presso un pubblico di non ebrei. Esistono, per fortuna, alcune sue registrazioni discografiche e sul sito che le elenca – <http://yiddishmusic.jewniverse.info/littmannpepi/index.html> – si trova anche una sua buffa fotografia con l’abito dei chassidim.
39 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/L/littman-yakov.htm>.
40 Attualmente è possibile ascoltare in rete una registrazione di Pepi Littmann del 1909: <http://www.youtube.com/watch?v=pQCRUqnVqc8>.
41 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://it.ia.org/wiki/Arnold_Zweig>, e A. Zweig, Omicidio rituale in Ungheria. Tragedia ebraica in cinque atti, tr. it. e introduzione di Paola Paumgardhen, Guida, Napoli 2008.
42 Elfi Pracht-Jörns, Elisabeth Bergner, in Jewish Women: A Comprehensive Historical Encyclopedia, 1 marzo 2009, Jewish Women’s Archive, ad vocem: <http://jwa.org/encyclopedia/article/bergner-elisabeth>.
43 Cfr. Nina Warnke, Operetta, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 13 settembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Operetta>.
44 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/M/mestel-jacob.htm>, e Yiddishkayt, ad vocem < http://yiddishkayt.org/2012/02/mestel/>. Le sue memorie: Unzer teater, ycuf, New York 1943.
45 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/B/brecher-egon.htm>.
46 Cfr. N. Sandrow, Vagabond Stars cit., p. 312.
47 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/B/baratov-ben-tsvi.htm>.
48 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/M/meisels-abish.htm>, e Wikipedia, ad vocem: <http://de.ia.org/wiki/Abisch_Meisels>.
49 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/N/nakhbar-doli.htm>.
50 Qualche notizia in Jewish Women Archive, ad vocem: <http://jwa.org/encyclopedia/article/romanian-yiddish-theater> e Israil Bercovici, O sută de ani de teatru evreiesc în România cit.
51 Cfr. Sonya Yee, A Jewish cultural gem: the Nestroyof Jewish Theatre in Vienna (<http://www.jewish-theatre.com>) e Wikipedia, ad vocem: <http://de.wikipedia.org/wiki/Nestroyhof>.
52 Sevilla Pastor non era una delle tre figlie di Moni Pastor, ma la moglie di Moni (Munio, Moshe) Pastor e una delle tre figlie di Moshe e Rosa Siegler, con Erna e Adella. Adella sposò Norbert Sibermann, poi ucciso a Mathausen. Cfr. Costel Safirman, Romanian State Yiddish Theater, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 19 novembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Romanian_State_Yiddish_Theater>.
53 Cfr. ivi. Salcia Weinberg (Shure Licht) come Prager, Kalich e Zwiebel-Goldstein, aveva cominciato la sua carriera nel coro del teatro di Leopoli, passando poi al Teatro Yiddish diretto da Jacob Ber Gimpel; cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/G/gimpel-yaakov-ber.htm>). Successivamente fu con una compagnia di varietà yiddish in Bulgaria, Ungheria, Germania e naturalmente Austria. Cfr. il libretto di accompagnamento, a cura di Joel E. Rubin e Rita Ottens, al cd Di Eybike Mame, Wergo SM 16252.
54 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/M/meisels-clara.htm>.
55 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/N/natan-simcha.htm>.
56 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/A/axelrad-avraham.htm>.
57 Di Jonas Turkow, attore, regista e scrittore, fratello di Zygmunt Turkow e marito dell’attrice Diana Blumenfed si parlerà più diffusamente in uno dei prossimi volumi di questa serie.
58 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/Y/young-clara.htm> e Sharon Power, Yiddish Theatre Actresses and American Jewish Identity, «Shofar: An Interdisciplinary Journal of Jewish Studies», 30, 3, Spring 2012, pp. 84-107: 100 segg. Power ricorda che i compagni di scena e di vita dell’attrice non sopportavano la sua arroganza e il solo attaccamento al denaro. Alla sua figura si sarebbe ispirato Sholem Aleichem per delineare la protagonista di Stelle vaganti, Henrietta Schwalb.
59 Henriette Schnitzer appare nel personaggio di Ester nel film Cuori infranti (Di gebrokhene hertser, Broken Hearts) del 1926 con la regia di Maurice Schwartz. Cfr. <http://jwa.org/encyclopedia/article/yiddish-theater-in-vienna>.
60 Una lettura del teatro di Arthur Schnitzler, ebreo di lingua tedesca, e dei suoi personaggi offre comunque una importante occasione di riflessione sul rapporto tra ebrei acculturati e antisemiti nella società viennese all’inizio del secolo scorso. Il suo dramma Professor Bernhardi (1912), che traspone l’esperienza del padre, fu censurato dall’Impero Austro-Ungarico fino alla sua caduta alla fine della prima guerra mondiale.
61 Cfr. volume III di questa serie e Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Abba_Schoengold>.
62 Cfr. il sito Poles, ad vocem: <http://www.poles.org/db/w_names/Wachtel_SZ.html>.
63 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/dkessler.htm>; Wikipedia, ad vocem: <https://en.wikipedia.org/wiki/David_Kessler_(actor), e volume III di questa serie.
64 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/M/meisel-hyman.htm>.
65 Shomer è autore di diversi testi per la scena, tra i quali si segnalano Ikey il diavolo (1911), Style (1913) e Il milionario verde (1915).
66 Su Zandberg e la moglie Julia, cantante, attrice e direttrice del teatro dopo la morte di Yitzhak, cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/Z/zandberg-julia.htm>.
67 Nina Warnke, Going East: The Impact of American Yiddish Plays and Players on the Yiddish Stage in Czarist Russia, 1890—1914, «American Jewish History», 92, 1, March, 2004, pp. 1-29: 21.
68 Cfr. Wikipedia, ad vocem: <http://en.ia.org/wiki/Abe_Schwartz>.
69 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/S/steinberg-shlomo.htm>.
70 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/T/tanzman-joseph.htm>.
71 Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/F/friedsell-louis.htm>.
72 Cfr. Cfr. Tamás Halász, Theater: Hungarian Theater, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 27 ottobre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Theater/Hungarian_Theater>.
73 Hersh Leib Sigheter era il nome d’arte di Hersh (Hirsch) Leib Gotlieb (o Gottlieb, ebreo rumeno che, prima degli esordi del teatro yiddish, scriveva copioni satirici per il Purim e li rappresentava dirigendo compagnie di giovani. Nonostante le critiche dei tradizionalisti era molto popolare e poteva perciò trasgredire l’interdizione di recitare in date diverse dalla festa. Fu anche traduttore, giornalista ed editore. Cfr. I. Bercovici, O sută de ani de teatru evreiesc în România cit., p. 28.
74 Cfr. Péter Varga, Saphir, Moritz Gottlieb, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 14 ottobre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Saphir_Moritz_Gottlieb>.
75 Cfr. Péter Varga, Holder, Yoysef, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 12 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Holder_Yoysef>.
76 Cfr. János Kőbányai, Makai, Emil, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 27 agosto 2010. 24 agosto 2012: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Makai_Emil>.
77 Cfr. Tamás Csíki, Košice, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 19 agosto 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Kosice>.
78 Cfr. Tamás Halász, Theater: Hungarian Theater cit.
79 Cfr. ivi.
80 Cfr. Ivan Sanders, Szomory, Dezső, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 21 ottobre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Szomory_Dezso>.
81 Cfr. Ivan Sanders, Molnár, Ferenc, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 2 settembre 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Molnar_Ferenc>.
82 Cfr. Ivan Sanders, Bródy, Sándor, Yivo Encyclopedia of Jews in Eastern Europe, 29 luglio 2010: <http://www.yivoencyclopedia.org/article.aspx/Brody_Sandor>.
83 Cfr. Tamás Halász, Theater: Hungarian Theater cit.
84 In mancanza di una bibliografia più ricca, non resta che rimandare all’articolo in rete di Pnina Rosenberg, The World of Yiddish Theater in France, consultabile sul sito: <http://www.jewish-theatre.com/visitor/article_display.aspx?articleID=2288 [link non disponibile: 31/01/2020]>, nonché ai cenni di N. Sandrow, Vagabond Stars cit., pp. 367-368 e ai “Fonds Gérard Frydman sur le théâtre yiddish à Paris”, depositati presso la Biblioteca Medem della Maison de la Culture Yiddish di Parigi (<http://www.yiddishweb.com>).
85 Ovvero Leyzer Yakubovitsh, era nato a Odessa. Per la sua bella voce lavorò da giovanissimo nel teatro yiddish e fu il primo a interpretare il personaggio di “Yoab hgdeuny” nella Shulamit di Goldfaden diretto dall’autore. Poi emigrò in Inghilterra, dove fu uno dei pionieri di un teatro che girava per le province, e in seguito in America, a Boston, dove morì. Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/Y/yakubovitsh-leyzer.htm>.
86 Kobrin, nativo di Vitebsk, cominciò a scrivere in yiddish dopo il suo arrivo in America, nel 1892. Fu giornalista e prolifico autore di racconti e romanzi, oltre che traduttore. Sodale di Abraham Cahan, ebbe un ruolo essenziale nella pubblicistica yiddish di orientamento socialista. È considerato un discepolo di Gordin, ma i suoi ultimi copioni si distinguevano per un più preciso disegno psicologico dei personaggi e per l’efficacia della sua rappresentazione dell’impulso sessuale quale motore delle vicende umane. Molti dei suoi copioni erano classificati come ghetto dramas e trattavano dei contrasti le diverse generazioni di immigrati ebrei. Gordin lo aiutò a scrivere il dramma Minna (1899), il suo più popolare, cui seguirono Natura, uomo e bestia, del 1900, e la tragedia Yankel Boila (1908), considerato dall’attrice Kenny Liptzin, che lo interpretò, come il migliore dei suoi circa trenta copioni. Wikipedia, ad vocem: <http://en.wikipedia.org/wiki/Leon_Kobrin>.
87 Cfr. Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/piat.htm>. Diversi attori della Vilner Trupe si fermarono a Parigi alla fine di una tournée e il Pyat ne beneficiò scritturando il regista e attore Jakob Kurlender, che diresse la compagnia in diversi atti unici, poi Jacob Mansdorf, che tra l’altro montò Urla, Cina! di Sergej Tretjakov e infine David Licht, che nel 1937- 1938 fu regista di alcuni spettacoli da Sholem Aleichem e da Peretz, oltre a Boytre il bandito di Kulbak. Nel 1938 Jacob Rotbaum divenne il regista principale del Pyat e fu attivo fino al 1940, quando, scoppiata la guerra e gli uomini mobilitati, si dovette interrompere l’attività.
88 Ovvero Henry Lachtiger. Polacco, all’inizio dilettante, poi, andatosene da Łódź, fu direttore di compagnia durante la prima guerra mondiale e in seguito attivo in diversi Paesi d’Europa, ma specialmente in Francia, dove dal 1931 operò al teatro Ambigi e alla Mutualité. Marito di Regina Viner. Nelle compagnie che dirigeva e nella quali spesso si ritagliava ruoli comici scritturò come star ospiti Julius Adler (1906-1994), Rudolf Zaslavsky, Molly Picon, Nelly Kesman, Zygmunt Turkow e Ida Kaminska. Era molto colto e scrisse diversi copioni, messi in scena soprattutto in Francia: Sotto la maschera, La figlia dell’industriale, Per suo figlio, Mendel Beilis, Sholem Barbanera, La nuova Russia, Il poeta folle e alcuni atti unici, senza contare le traduzioni. Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/L/lachtiger-henry.htm>.
89 Ovvero Regina Viner-Likhtiger. Originaria di Łódź debuttò a tredici anni con una compagnia di dilettanti e lavorò in tutta Europa con compagnie di media caratura e poi con il marito, sempre in ruoli di primo piano. Cfr. The Museum of Family History, ad vocem: <http://www.museumoffamilyhistory.com/yt/lex/V/viner-likhtiger-regina.htm>.
90 Jacob Ben-Ami è uno degli attori di punta della seconda generazione yiddish americana. Lo incontreremo ancora in diversi passaggi del nostro studio.
91 Joseph Kestler arrivò nel 1924 con la propria compagnia, che recitava dapprima al prestigioso Théâtre des Champs Elisées e poi, praticamente scacciato per la scarsa qualità artistica, nel più popolare Palais Dramatique. Famigerato, Kestler, perché scritturava continuamente nuovi attori lasciandoli poi sempre sul lastrico, ciò fino alla sua fuga improvvisa, nel 1929.
92 Molly! An autobiografy by Molly Picon, with Jean Bergantini Grillo, Simon and Schuster, New York 1980, p. 35.
93 Cfr. Annette Aronowicz, Haim Sloves, the Jewish People, and a Jewish Communist’s Allegiances, «Jewish Social Studies», ix, 1, Fall 2002, pp. 95-142.
94 J. Roth, Ebrei erranti cit., pp. 86-87.
95 Id. in Café Savoy cit., p. 279.
96 Id., Il teatro ebraico di Mosca, in Cafè Savoy cit., p. 280.
97 J. Roth, Ebrei erranti cit., pp. 87-89.
98 Cfr. in danese Morten Thing, Jiddish Teater i København 1906-56, Roskilde Universitetbiblioteks, Skriftserie 55, 2012, sintesi in inglese Yiddish theatre in Denmark 1906-56, Roskilde Universitetsbiblioteks, Skriftserie 60, 2015. E vd. anche DYTP: <https://ojs.ruc.dk/index.php/skr/article/view/4774>.
Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Da Odessa a New York
Una Grande Aquila, un re dello shund e altre stelle vagabonde
Antonio Attisani
2016
Cercatori di felicità
Luci, ombre e voci dello schermo yiddish
Antonio Attisani et Alessandro Cappabianca (dir.)
2018