L’infinito e la critica letteraria nel primo Romanticismo tedesco
p. 69-80
Texte intégral
1È fin troppo noto che la nozione di ‘infinito’ occupa un posto centrale nel discorso filosofico protoromantico: la sua occorrenza, per esempio negli scritti di Friedrich Schlegel degli anni del circolo di Jena e sull’organo dello stesso, ossia la rivista «Athenäum», è di una tale frequenza che diventa assai complesso identificarne l’esatta consistenza semantica. Nel Frammento 116, che deve la sua fama al fatto di essere quello più esplicitamente programmatico dei frammenti della rivista jenese, compaiono tre termini che indicano ciascuno un’idea di illimitato1.
2D’altra parte, chi conosce i modi dell’elaborazione teorica schlegeliana e le sue strategie espressive sa bene che è vano ricercare un senso compiuto di questo, come di molti altri termini del lessico romantico.
3Assai più produttivo è, a mio parere, il tentativo di definire, all’interno dell’orizzonte jenese, la “famiglia semantica”, come l’avrebbe chiamata Leo Spitzer, del termine “infinito”.
4Per fare ciò abbiamo a disposizione diverse realtà testuali, tutte collocabili negli anni che vanno dal 1796-7 al 1804-5.
5Le più note sono il Saggio sullo studio della poesia greca del 1795, pubblicato nel 1797, i Frammenti critici e poetici del «Lyzeum» (1797) e dell’«Athenäum» (1798-1800) e il celebre Dialogo sulla poesia apparso sulla rivista «Athenäum» nel 1800 (fascicolo v).
6Al di là di questi testi, a cui farò riferimento più avanti, c’è un lavoro di fondamentale importanza per capire la genesi dell’idea di infinito e soprattutto il ruolo che questa idea ha nell’economia del pensiero schlegeliano e in particolare nella sua concezione della critica letteraria.
7Mi riferisco alle lezioni su Platone tenute da Schlegel nel 1803-4 a Parigi e nel 1804-6 a Colonia di cui si sono conservati i lavori preparatori. Nelle lezioni parigine dedicate alla «Storia della letteratura europea» compare una Charakteristik des Plato, in quelle di Colonia sulla storia della filosofia un capitolo intitolato Philosophie des Plato che di quella parigina è una versione leggermente ampliata2.
8Vale la pena di seguire gli snodi principali di questa originale ed efficace presentazione del filosofo greco.
9L’interesse di questi testi non è dato soltanto dalla mirabile qualità didattica della presentazione della sua filosofia. C’è un secondo aspetto che li rende una chiave preziosa per capire gli intendimenti romantici: si tratta dell’attenzione riposta sulla forma espositiva con cui si presentano i dialoghi, ossia la questione della traducibilità linguistica del pensiero filosofico, che diviene un vero e proprio assillo di Friedrich Schlegel ma anche, negli stessi anni, di Schleiermacher. Con il teologo di Breslavia e suo sodale romantico Schlegel darà avvio, senza poi darle seguito, alla ritraduzione dei Dialoghi di Platone. Un’intrapresa poi proseguita nell’arco di più di vent’anni dal solo Schleiermacher.
10Ma in che modo Friedrich Schlegel presenta il problema della “forma della filosofia”? La lezione si apre con una serie di osservazioni che concernono la morfologia dei dialoghi platonici.
11Significativa questa affermazione collocata in posizione incipitaria:
Platone stesso ci fornisce il principio a partire dal quale si sviluppa (fließt, cioè “scorre”) in modo naturale l’intera forma della sua filosofia. Premesso che lo scopo della filosofia è la conoscenza positiva dell’essere infinito, dobbiamo riconoscere che tale conoscenza non potrà mai dirsi compiuta e così pure la filosofia come scienza sebbene si possano stabilire i principi primi e sicuri da cui la ricerca deve muovere. E tuttavia ciò che da tali principi è possibile sviluppare è infinito e indeterminabile. Platone ritiene che a causa della sua particolare limitatezza lo spirito dell’uomo possa conoscere il positivo solo negativamente e il negativo positivamente. Egli intendeva il positivo come la divinità, il mondo dell’intelletto (intellektuelle Welt), tutto ciò che è permanente. Il negativo come il mondo sensibile, ciò che è insicuro, passeggero, mutante, effimero.
L’uomo, a causa della sua natura sensibile, può conoscere la realtà infinita e somma solo negativamente, indirettamente e non compiutamente3.
12Questa contrapposizione tra conoscenza positiva e conoscenza negativa è di fondamentale importanza per capire l’ottica in cui si colloca Friedrich Schlegel rispetto alla filosofia platonica ma, più in generale, rispetto al problema della conoscenza.
13Lo studio della filosofia di Platone appare come propedeutico di una ricerca della forma del sapere che riguarda il rapporto tra verità e sua epifania, tra verità e linguaggio.
14La frase che segue di poco il passo citato poc’anzi è rivelatrice di questa tensione irrisolta tra la verità e la forma attraverso la quale essa si esprime: «Del rapporto del divino con la natura si dà solamente una conoscenza mediante immagini allegoriche (bildliche allegorische Erkenntnis)»4. E in un passo del Dialogo sulla poesia, apparso sull’«Athenäum» nel 1800, Lotario afferma: «Tutti i sacri giochi dell’arte non sono che remote riproduzioni dell’infinito gioco del mondo, di quell’opera d’arte che incessantemente crea se stessa». A cui segue questa interessante osservazione di Ludovico: «In altre parole ogni bellezza è allegoria. Le cose supreme, proprio perché inesprimibili, possono essere espresse solo allegoricamente»5.
15Dunque, viene da supporre che la conoscenza abbia a che fare con l’interpretazione, che il tragitto verso la verità sia la ricerca di un’alterità radicale propiziata da un dio traghettatore che mette in relazione il divino con l’umano. Questa divinità della mediazione tra l’umano, il naturale e la trascendenza si palesa nella forma e si rende visibile mediante il linguaggio.
16Si comprende quindi perché l’obiettivo che la scienza affidata al dio Hermes si dà sia di scoprire il significato allegorico (la verità) che si cela dietro l’apparenza sensibile. Ma questa scoperta richiede una guida che indicherà la via verso la meta, sia essa il regno degli inferi o la volta celeste, ossia la soglia tra l’umano e il divino che Lukacs, nella Teoria del romanzo, chiamerà il «tetto trascendentale».
17Se la conoscenza è dunque un’ermeneutica del divino, il suo procedere è fatalmente segnato dall’incertezza, dalla fallibilità, dall’alternarsi di illuminazioni, intuizioni, ipotesi. Se la verità è l’alterità radicale che si nega a una acquisizione diretta mediante le sole risorse di una razionalità discorsiva, se la verità rimane celata, il processo conoscitivo è una ricerca che non potrà mai concludersi, sarà dunque una ricerca infinita.
18Per questo Schlegel afferma che le premesse del pensiero di Platone «non consentono di edificare un vero e proprio sistema filosofico» e aggiunge che il compito dell’interprete di questa filosofia è di comprendere e individuare lo spirito e la forma delle sue opere6.
19Paradossalmente questa anti-sistematicità del pensiero platonico, questa costante progressione della ricerca, che fatalmente rimane incompiuta, coglie, secondo Schlegel, l’essenza della filosofia poiché essa, la filosofia, «è più uno Streben nach Wissenschaft»7, un tendere verso la scienza che una scienza compiuta.
20Pertanto, la missione stessa della filosofia è una perenne e infinita ascesa lungo i percorsi della conoscenza, una conoscenza che potrà sempre e soltanto streben nach, ma mai dirsi appagata dai suoi risultati.
21Le riflessioni sulla filosofia di Platone, non diversamente dal progetto della traduzione dei suoi dialoghi, indicano un desiderio di consonanza della ricerca filosofica romantica con quella di Platone. Una consonanza che si esplicita in una sorta di comune missione ermeneutica tesa a superare la trama dei significati allegorici che si celano dietro la lettera.
22Esattamente questo schema è quello adottato da Friedrich Schlegel e Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher nella preparazione della traduzione dei Dialoghi platonici, uno schema palesemente mimetico della forma dei Dialoghi e dell’articolazione del pensiero che tale forma rende possibile.
23Schlegel afferma nelle lezioni di Colonia che la “caratteristica” di Platone consiste nella «costante tendenza del suo spirito verso un sapere e un conoscere sempre più elevato» ed è per questo che la sua filosofia è caratterizzata da un «eterno divenire, sviluppare, formare le sue idee» e dal tentativo di rappresentare tale ricerca mediante l’artificio retorico e insieme dialettico dei dialoghi8.
24È bene sottolineare che “caratteristica” è un termine chiave del lessico schlegeliano. Schlegel dedicò diversi saggi di carattere monografico a pensatori e letterati suoi contemporanei chiamando tali testi Charakteristik. Scriverà per esempio una Charakteristik di Lessing, una di Forster. Ma anche il saggio sul Wilhelm Meister di Goethe si presenterà come una Charakteristik 9.
25Che cos’è una Charakteristik? Con questa espressione Schlegel intende la messa in evidenza dei tratti peculiari, individuali di un artista o pensatore, un’indagine sul modo in cui il suo spirito agisce e produce. Di fronte a un Werk, un’opera in senso romantico, vale a dire una costruzione linguistica che mette in connessione il finito con l’infinito, questa indagine consiste nell’individuazione della sua “logica immanente”.
26Ora, se la filosofia di Platone ha questa forma aperta e antisistematica anche l’intelligenza di questa filosofia, cioè il tentativo di comprenderla, dovrà percorrere strade diverse da quelle che si percorrono per capire un sistema filosofico compiuto.
27Il lessico adottato in tutta questa lezione su Platone è fatto di parole come: divenire, tendere verso, progressione, formazione, espressioni che suggeriscono l’idea di un punto a quo ma che lasciano indefinito il termine ad quem. Parole che indicano un movimento, un’elevazione, un perenne divenire.
28Come si può notare, questa lettura schlegeliana di Platone è collocata tutta dentro l’orizzonte filosofico e segnatamente poetico che i romantici di Jena andavano elaborando in quegli anni.
29Il Platone che qui incontriamo è un Platone romantico.
30Il dialogo come forma del discorso filosofico è un gemeischaftliches Selbstdenken, dichiara Schlegel, vale a dire un kantiano Selbstdenken, un pensiero prodotto da noi stessi. Non è però opera di un individuo solitario ma di un noi, di una comunità di persone mosse dall’interesse di conoscere la verità suprema.
31In questa formula, apparentemente ossimorica, si evidenzia il Synphilosophieren romantico, il filosofare insieme dove i sodali che hanno dato vita a una comunità di spiriti liberi si dedicano all’infinita perfettibilità del pensiero.
32C’è tuttavia un altro aspetto di fondamentale importanza:
Un dialogo filosofico – afferma Schlegel – non può essere sistematico perché non sarebbe più un dialogo ma una variante di una trattazione sistematica che apparirebbe quindi insensata e pedante10.
Questo trattamento non sistematico comporta tuttavia una conseguenza negativa: il dialogo diventa unwissenschaftlich, carente di scientificità.
33Come si può ovviare a questo inconveniente? La soluzione adottata da Platone nei Dialoghi consiste «nello svolgimento rigorosamente filosofico insieme a una tecnica raffinata (kunstreich), attraverso una connessione interna (inneren Zusammenhang) del tutto».
34Questa caratteristica fa sì che «le opere di Platone, sebbene ciascuna di esse sia un’opera d’arte compiuta, possano essere intese, relativamente all’andamento del suo spirito, allo sviluppo e alla connessione delle sue idee, solo nel contesto generale»11.
35Il lessico schlegeliano è dominato dalla contrapposizione tra una dimensione esterna del discorso e una forma interna: se l’apparenza, pur nella rigorosa precisione delle sokratische Fragen, delle domande socratiche, è quella di un discorso che procede in molte direzioni, internamente esiste una trama di rapporti che tiene legati in un tutto coerente i diversi dialoghi che costituiscono il Werk, ossia l’opus platonico.
36Questo modello bipartito, duale, di costruzione dell’opera fornisce a Schlegel una sorta di paradigma che egli vede operante nelle costruzioni letterarie, in particolare in quelle della Modernità. Vale a dire in quelle che hanno perso la solare razionalità del mythos aristotelico, la costruzione rigorosamente causale, la perfetta armonia dell’insieme. Quelle in cui domina in apparenza il caos, in cui l’insieme risulta a prima vista disarmonico.
37A queste scritture deve essere applicato il sospetto ermeneutico che dietro al caos ci sia una ratio che tutto tiene. Un mirabile esempio di questo sdoppiamento compositivo in bilico tra dizione esoterica e unità sistematica è per Friedrich Schlegel il romanzo goethiano Gli anni di apprendistato del Wilhelm Meister.
38Nel saggio critico (Charakteristik) che Schlegel gli dedica sull’«Athenäum», egli sottolinea, in analogia con l’analisi dei testi platonici, una coerenza interna dell’opera al di sotto della caoticità di superficie. L’espressione efficacemente ossimorica che egli impiega è «armonia di dissonanze»12. Scrive Schlegel:
Questo romanzo delude le aspettative consuete di unità e organicità con la stessa frequenza con cui le soddisfa. Chi abbia, però, autentico istinto sistematico, senso per l’universo, quel particolare presagio del mondo che rende così interessante Wilhelm, similmente avverte ovunque la personalità e la vitale individualità dell’opera, e quanto più indaga nel profondo tanto più vi scopre relazioni e parentele interne, vi ravvisa una coerenza spirituale13.
Ma già nel saggio Sullo studio della poesia greca a proposito dell’Amleto shakespeariano egli sottolineava:
Si è soliti fraintendere l’Amleto a tal punto, che lo si elogia in alcune sue parti. Un’indulgenza assai incoerente, se davvero l’insieme è così sconnesso e privo di senso come tacitamente si dà per scontato. Nei drammi di Shakespeare la connessione interna, semplicissima e trasparente, si offre a menti aperte e spregiudicate con immediata evidenza e naturalezza: ma le ragioni di quella connessione sono spesso così profonde e nascoste, le reazioni e gli invisibili legami sono così sottili che anche l’analisi critica più acuta non può che fallire se manca la sensibilità dell’intuito, se ci si accosta all’opera con attese ingiustificate o se si parte da principi sbagliati14.
Amleto e Wilhelm Meister sono eroi moderni, figure dimidiate, contraddittorie, identità complesse. Le scritture drammatiche e narrative che li ritraggono sono mimetiche della loro complessità e la ‘verità’ che questi eroi-antieroi nascondono in se stessi esclude una rappresentazione letteraria basata sulla progressione razionale (l’unità d’azione) che le poetiche di ispirazione aristotelica hanno prescritto per secoli alla poesia.
39Solo una critica che sia intimamente connessa a un’ermeneutica può aspirare a cogliere il nucleo di verità che quella complessità cela dietro la superficie di azioni incoerenti, apparentemente casuali, prive di una teleologia riconoscibile.
40Di questa critica-ermeneutica Friedrich. Schlegel ha fornito i primi fondamenti e Schleiermacher ne ha tracciato la coerente evoluzione.
41E forse non è casuale che l’occasione più propizia per mettere alla prova un metodo che si sottrae alla logica di una critica come giudizio di conformità alle norme poetiche sia stata fornita dal progetto platonico che Schlegel e Schleiermacher avevano concepito negli anni della massima esposizione programmatica della loro nuova poetica.
42Per quanto possa suonare paradossale, Platone appariva dalla prospettiva jenese come colui che aveva in un certo senso anticipato una modalità di costruzione dell’opera che trovava in quegli anni la sua più convincente realizzazione nel Meister goethiano. Si trattava in realtà di una caratteristica della letteratura moderna, ossia, per Schlegel, delle scritture letterarie che si sono avvicendate, nelle diverse tradizioni letterarie, a partire dalla fine del Medio Evo, ovvero dalla nascita delle letterature nazionali europee. In tutte queste scritture il tratto comune era, a detta di Schlegel, l’assenza di un governo della costruzione poetica riconducibile ai dettami classici (aristotelici) e la presenza in sua vece di linee di coerenza interne che richiedevano un’ermeneutica del dettaglio e insieme una visione complessiva, come un orizzonte di senso in continua trasformazione. Da qui l’importanza dell’interprete come di colui che, rispetto all’autore, possiede una coscienza potenziata dei significati del testo e della loro relazione reciproca. Per questo motivo per Schlegel e Schleiermacher il lavoro dell’interprete è speculare a quello dell’autore dell’opera: il suo obiettivo è il nachkonstruiren, la ricostruzione del testo. Ne deriva che la vera sfida ermeneutica è di cogliere la ‘logica immanente’ che governa quella costruzione. Il suo strumento è l’intuizione, la quale tuttavia non produce una rivelazione improvvisa ed epifanica del significato ultimo del testo bensì una progressione per gradi man mano che procede la lettura interpretante dell’opera.
43Anche per Schleiermacher «intuizione» e «sentimento» sono i due requisiti gnoseologici fondamentali che nei Discorsi sulla religione (1799) rendono possibile la conoscenza dell’universo. Una conoscenza che non significa negazione dell’orizzonte finito dell’esistente ma, al contrario, una sua valorizzazione grazie alla ricerca dell’infinito nel finito:
Nel rapporto dell’uomo con questo mondo, ci sono certi passaggi verso l’Infinito, certe prospettive dischiuse, di fronte a cui viene portato ogni individuo affinché il suo sentimento trovi la via che conduce all’Universo, e alla cui vista vengono destati dei sentimenti che, di certo, non sono direttamente religione, ma della religione costituiscono, per così esprimersi, uno schematismo15.
I passaggi verso l’infinito possono essere intesi nello stesso tempo come una dichiarazione di carattere gnoseologico – l’intuizione in luogo della ragione analitica – e di carattere ermeneutico. La lettura interpretante di un testo procede allo stesso modo, in essa agiscono le stesse modalità conoscitive della relazione conoscitiva con il mondo.
44La ragione analitica procede come l’anatomista che taglia e scompone in minime unità. A questo modo di operare Schleiermacher contrappone la ricerca del centro nascosto delle cose resa possibile attraverso l’intuizione, la visione complessiva, l’epifania che si offre allo sguardo di chi ha un sentimento della totalità:
Per vedere ogni cosa come un elemento del Tutto, si deve necessariamente averla considerata nella sua particolare natura e nella sua massima perfezione. In effetti nell’Universo una cosa può essere reale solo in virtù della totalità dei suoi effetti e legami verso la quale tutto converge così che per dominarla si deve aver considerato una cosa, non da un punto di vista ad essa esterno, ma dal suo proprio centro e da tutti i lati in rapporto a questo centro, cioè nella sua esistenza distinta, nel suo essere proprio16.
In questo passo è adombrata una concezione che avrà un seguito importante nel pensiero critico novecentesco. Essa lascerà tracce evidenti in Walter Benjamin e in Theodor W. Adorno. L’idea stessa di una «logica immanente» delle opere (l’espressione sarà fatta propria da Adorno) è figlia della convinzione che «le opere non debbano essere giudicare da un punto di vista ad esse esterno», e che debbano essere osservate nel loro «essere proprio».
45Come si può vedere anche da questi brevi accenni, l’ontologia del primo Romanticismo trova nella teoria ermeneutica e nell’idea di critica d’arte una sua coerente traduzione: l’intelligenza dell’individuale, che ogni opera d’arte pretende per essere compresa in ciò che la rende tale, è il requisito fondamentale per accedere al sapere infinito. Analogamente opera la religione e quindi queste due modalità di esplorazione della verità si trovano a condividere una comune tensione tra finito e infinito, tra l’espressione sensibile (simbolica e allegorica) da un lato e la verità assoluta dall’altro.
46Nelle Reden über die Religion Schleiermacher definisce questa convergenza degli opposti «intuizione dell’universo»:
L’intuizione dell’Universo […] è il perno del mio intero discorso, essa è la formula più universale ed elevata della religione, con la quale potete rinvenire ogni suo punto, e si possono determinare nella maniera più precisa la sua essenza e i suoi limiti. Ogni intuizione deriva da un influsso dell’oggetto intuito sull’oggetto intuente, da un agire originario e autonomo del primo, che poi viene accolto, sintetizzato e compreso dal secondo, in conformità della sua natura. […] l’universo è in un’attività ininterrotta e si rivela a noi in ogni momento. Ogni forma che esso produce, ogni essere cui esso, in vista della pienezza della vita, conferisce un’esistenza distinta, ogni avvenimento che esso rovescia dal suo ricco e fecondo seno, è un suo agire su di noi; e quindi prendere ogni singola cosa come una parte del tutto, ogni cosa limitata come una manifestazione dell’Infinito, questo è religione. […] Concepire tutti gli avvenimenti del mondo come azioni di un Dio, questo è religione, in quanto esprime la loro relazione a un tutto infinito17.
Analogamente alla religione anche l’opera letteraria ha un orizzonte che si colloca al di là dell’apparenza sensibile del testo, vale a dire oltre il mero ordine dei referenti reali. La verità a cui essa aspira a partire dalla sua irripetibile individualità è quella di una trascendenza a cui in ultima istanza tutto si accorda. Solo a partire da questo punto archimedico a un tempo interno all’opera e da essa infinitamente lontano è possibile capire la sua specifica fisionomia, la sua vera essenza o, per usare l’espressione di Benjamin, il suo «Wahrheitsgehalt», il contenuto di verità.
47La superiorità dell’intuizione sulla scomposizione analitica e sulla sintesi concettuale accomuna la sfera religiosa a quella estetica perché entrambe recano i segni della memoria di un atto della creazione originaria. Conoscere la religione e conoscere l’arte significa dunque percorrere a ritroso la stessa strada che ha condotto dal Tutto indistinto, dallo schlegeliano «caos primordiale», all’ordine finito della differenziazione.
48In conclusione, l’infinito che ho cercato di delineare in questo percorso è un infinito ermeneutico intimamente connesso con l’idea romantica di critica come elevazione progressiva, come movimento dell’autocoscienza verso la trascendenza.
49Un pensiero che ha connotati mistici e nel quale si avverte l’influenza di Jakob Böhme (1575-1624), in particolare della sua opera De signatura rerum (1622).
50Per Schlegel e Novalis l’opera d’arte è il medio in cui si riflette l’assoluto18; essa è un artefatto che si rende autonomo dal suo artefice e dispone una trama di relazioni misteriose tra il finito, la contingenza, i mondi storici e l’infinito, l’assoluto, il divino. In questa tessitura di significati la riflessione è potenziamento progressivo, acquisto di coscienza del tutto.
51Quando il medium della riflessione è l’arte, il conoscere è un movimento che non conosce posa; Novalis, ci ricorda Benjamin, lo chiama romantisieren, «romanticizzare», precisando che «romanticizzare non è altro che un qualitativo elevare a potenza»19.
52L’infinito dunque è insieme la meta inarrivabile della filosofia, della religione non meno che della poesia giacché nella prospettiva dei romantici di Jena la nuova letteratura, ossia il “romanzo romantico” è l’opera in cui la conoscenza e la sua traduzione sensibile nell’ordine finito del mondo sono inscindibilmente unite.
Notes de bas de page
1 La poesia romantica, dichiara il Frammento 116 dell’«Athenäum», può «librarsi sulle ali della riflessione poetica a metà tra l’oggetto rappresentato e il soggetto rappresentante, scevra da ogni interesse reale e ideale, potenziare sempre e di nuovo tale riflessione e moltiplicarla come in una serie interminabile (endlos) di specchi». Ad essa si aprirà «la prospettiva di una classicità che cresce senza limiti (grenzenlos)». Inoltre «il genere poetico romantico è ancora in divenire; anzi questa è la sua essenza peculiare, che può soltanto eternamente (ewig) divenire». E poco oltre: «esso solo è infinito (unendlich)», in Fr. Schlegel, Frammenti critici e poetici, a cura di M. Cometa,Torino, Einaudi, 1998, pp. 43-44.
2 Cfr. Kritische Friedrich-Schlegel-Ausgabe, vol. XII: Philosophische Vorlesungen, I parte, a cura di J.J. Anstett, Paderborn, 1964, pp. 207-226. Si veda la versione ridotta intitolata Charakteristik des Plato in Geschichte der europäischen Literatur (Pariser Vorlesungen 1803/04) in Kritische Friedrich-Schlegel-Ausgabe, vol. XI, a cura di E. Behler, Paderborn, 1958, pp. 119-125.
3 Kritische Friedrich-Schlegel-Ausgabe cit., vol. XII, p. 208.
4 Ivi, vol. XII, pp. 208-209.
5 Fr. Schlegel, Dialogo sulla poesia, a cura di A. Lavagetto, Torino, Einaudi, 1991, p. 46.
6 Kritische Friedrich-Schlegel-Ausgabe cit., vol. XII, p. 209.
7 «Platone aveva una filosofia non un sistema e così come la filosofia è più un tendere verso la scienza che una scienza compiuta anche in lui questa tensione è presente in notevole misura» (ibid).
8 Ibid.
9 Il saggio di Fr. Schlegel sul romanzo di Goethe Wilhelm Meisters Lehrjahre (1795/96) apparve la prima volta con il titolo Über Goethes Meister in Athenäum. Eine Zeitschrift von August Wilhelm Schlegel und Friedrich Schlegel, vol. I, II fascicolo, Berlino, 1798, pp. 147-178. Successivamente fu inserito nel volume Charakteristiken und Kritiken di A.W. Schlegel e Fr. Schlegel, vol. I, Königsberg, 1801, pp. 132-169 con il titolo Charakteristik des Wilhelm Meister. Nel 1825 il saggio fu pubblicato a Vienna in Friedrich Schlegels Sämtliche Werke, vol. X, pp. 123-152, con il titolo Charakteristik der Meisterischen Lehrjahre von Goethe, 1798. La traduzione italiana si trova in Athenäum [1798-1800]. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel, a cura di G. Cusatelli, E. Agazzi e D. Mazza, Milano, Bompiani, 2008, pp. 247-264.
10 Kritische Friedrich-Schlegel-Ausgabe cit., vol. XII, p. 210.
11 Ibid.
12 Athenäum [1798-1800]. Tutti i fascicoli della rivista di August Wilhelm Schlegel e Friedrich Schlegel cit., p. 251.
13 Ivi, p. 254.
14 Fr. Schlegel, Über das Studium der griechischen Poesie (1797), trad. it. Sullo studio della poesia greca, a cura di A. Lavagetto, con un saggio di G. Baioni, Napoli, Guida, 1988, p. 86.
15 F.D.E. Schleiermacher, Reden über die Religion. An die Gebildeten unter ihren Verächtern, trad.it. di G. Moretto, Sulla religione. Discorsi alle persone colte che la disprezzano, in F.D.E. Schleiermacher, Scritti filosofici, a cura di G. Moretto, Torino, UTET, 1998, p. 168.
16 Ivi, pp. 167-168.
17 Ivi, pp. 115-116.
18 Cfr. questo passo di W. Benjamin: «La concezione romantica dell’arte poggia sul fatto che per pensiero del pensiero non si intende alcuna coscienza dell’Io. La riflessione libera dall’Io è una riflessione nell’assoluto dell’arte», in W. Benjamin, Der Begriff der Kunstkritik in der deutschen Romantik, trad. it. W. Benjamin, Il concetto di critica d’arte nel romanticismo tedesco, Torino, Einaudi, 1982, p. 34.
19 Ivi, p. 32.
Auteur
Università degli Studi di Torino
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2017