“Effetto Caporetto”: sconfitta italiana e vittoria bolscevica nel dibattito pubblico italiano
p. 99-110
Texte intégral
1Mi pare utile cominciare questo intervento con la definizione di una parola sulla quale tornerò spesso: il termine chiave è disfattismo. Dal Dizionario Treccani apprendiamo – e questo mi pare un elemento di un certo interesse – che essa fu coniata nel 1915 dallo scrittore russo Grigory Alexinskij, come traduzione del termine russo «colpire, danneggiare». La parola entra però in circolazione in Italia dalla Francia, mutuato dal lemma défaitiste (da défaite), a partire proprio da questo fatidico anno 19171.
2Proprio al disfattismo, come è noto, il generale Luigi Cadorna, capo di Stato maggiore generale in carica dal 1914, attribuisce la principale causa della sconfitta italiana sul fronte carsico, di cui daremo qui per scontati gli eventi fattuali. La mattina del 25 ottobre, dinanzi alla sconfitta ormai evidente, Cadorna così si esprime con il colonnello Angelo Gatti, capo dell’ufficio storico del Comando supremo: «L’e-sercito, inquinato dalla propaganda dall’interno, contro cui io ho sempre invano lottato, è sfasciato nell’anima. Tutto, pur di non combattere»2. La tesi della campagna disfattista sulla quale Cadorna aveva sempre insistito per giustificare la débâcle, era in realtà piuttosto circoscritta e si limitava a qualche volantino di scarsa circolazione. In un telegramma del 27 ottobre indirizzato al Presidente del Consiglio Boselli, si legge: «Esercito non cade vinto da nemico esterno, ma da quello interno»3. Era l’anticipazione del noto comunicato sulla «mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico»4. E compare qui, in maniera esplicita, la tesi del nemico “interno”, sulla quale ritornerò a breve.
3Come è noto, la Commissione di Inchiesta istituita durante il nuovo Governo Orlando, succeduto a Boselli (dimessosi appunto il 25 ottobre) e formalmente istituita il 12 gennaio 1918, dopo un lavoro di circa un anno e mezzo e la raccolta di oltre 2310 documenti tra i più svariati (diari storico-militari, relazioni di comandi, piani di difesa, ordini di operazioni, regolamenti, circolari, pubblicazioni di propaganda tra le truppe, deposizioni raccolte stenograficamente ecc.), giunse alle conclusioni ufficiali che «gli avvenimenti dell’ottobre 1917 avevano il carattere di una sconfitta militare»5 e che non ci fu il cedimento delle truppe denunciato da Cadorna, anche se c’era una stanchezza morale diffusa tra i combattenti che sicuramente contribuì alla disfatta. Oltre alla superiorità tecnico-tattica degli austro-tedeschi, i crolli di Serbia, Romania e Russia e le condizioni meteorologiche avverse del 24 ottobre 1917, si annoveravano la propaganda disfattista svolta dal nemico, la propaganda socialista, conseguenza della rivoluzione bolscevica e quella derivata dalla nota del Pontefice («inutile strage»)6 sulla pace. Le cause determinanti della sconfitta furono però quelle militari, di natura tecnica e morale e Cadorna venne ritenuto il «maggiore responsabile del disastro»7.
4Del resto, la «caccia al socialismo»8 e ai socialisti, per usare l’espressione gramsciana di un articolo del 22 settembre 1917, era aperta da alcuni anni. Da quando cioè, di fronte alla canea bellicista e all’interventismo crescente, con le varie sfaccettature nelle quali si manifesta e sulle quali non posso qui soffermarmi, prima dell’entrata in guerra dell’I-talia, il Partito socialista italiano si era attestato sulla linea del «né aderire né sabotare», secondo il motto ideato da Costantino Lazzari. Il 1917 in Italia rappresenta il climax di una sempre più soffocante legislazione in materia di ordine pubblico e, allo stesso tempo, il momento di maggiore intensità del dissenso popolare durante la Prima guerra mondiale.
5Facciamo però un passo indietro per spiegare meglio come si giunge a questa fase: nell’aprile del 1915, Antonio Salandra, primo Ministro dal 21 marzo 1914 (direttamente indicato da Giovanni Giolitti), commissionò ai prefetti un’inchiesta che sondasse gli umori degli italiani nei confronti di un eventuale ingresso in guerra; nonostante l’indagine fosse interrotta quasi subito, giunsero al ministero 55 relazioni, dalle quali si evinceva che «A conti fatti la maggioranza della popolazione italiana, dopo qualche mese dallo scoppio del conflitto, continuava a rimanere ostile alla guerra e indifferente ai richiami dell’interventismo»9. Salandra sottovalutava una delle principali caratteristiche della guerra moderna, ossia il consenso delle masse, da costruirsi attraverso un’attiva ed efficiente azione di propaganda. Il Ministro privilegiava invece la via del rafforzamento dell’esercito e il ricorso alla diplomazia segreta e perseguì dunque con persuasione la strada della repressione del dibattito interno, imponendo il principio del «tacere e obbedire»10 e introducendo, con il regio decreto del 23 maggio 1915, la censura della stampa con il relativo oscuramento dei giornali di opposizione e la manipolazione retorica delle notizie che giungevano dal fronte.
6Il governo criminalizzò il dissenso e la critica, chiuse i circoli socialisti, ne incarcerò i dirigenti, serrò le camere di lavoro. Lo stesso atteggiamento mostrò nei confronti del mondo cattolico11. Tutta l’attività di sostegno e di propaganda realizzata dai governi durante il periodo bellico si fondava, come è stato notato, «su fattori di coesione negativa: il nemico esterno e quello interno»12, appunto. Si creò così un clima di costante tensione e di potenziale guerra civile. In questa prospettiva venne creato nel 1916 l’Ufficio centrale di investigazione, che coordinava l’azione di una rete di spie che dovevano indagare sui diversi leader dell’opposizione al fine di prevenire e reprimere il dissenso. Ciò corrispose, dal punto di vista degli equilibri istituzionali, ad un impressionante aumento del peso dell’azione statale sull’esecutivo, che si sarebbe poi sublimato con l’avvento del fascismo. Benché questo fenomeno sia piuttosto normale in contesti di guerra e di emergenza, «[in Italia] il fenomeno assunse dimensioni sconosciute nelle democrazie parlamentari»13. Secondo Giorgio Agamben, «la Prima guerra mondiale coincise nella maggioranza dei paesi belligeranti con uno stato di eccezione permanente»14. In Italia si assistette ad uno spaventoso ricorso alla decretazione d’urgenza: durante la Grande Guerra l’esecutivo arrivò a produrre più di 10 decreti al giorno fortemente restrittivi delle libertà civili e politiche dei cittadini italiani; furono proibite le riunioni pubbliche e si autorizzarono le autorità ad effettuare perquisizioni e chiusure immediate di associazioni (R. D. n. 674 del 23/5/1915).
7Queste norme, come si è detto, colpirono le attività politiche di base e difatti furono chiusi circoli socialisti e internati i dirigenti politici o sindacali ritenuti più “indisciplinati”. Ma furono considerati reati anche la diffusione di notizie (compresi anche i semplici commenti e gli apprezzamenti) sull’andamento della guerra che potessero scoraggiare la popolazione, o che fossero ritenuti “disfattisti”. (R. D. n. 675 del 23/5/1915; D. Lt. n. 885 del 20/6/1915).
8Esemplificativo del livello di pervasività degli interventi appena ricordati e del clima di «pazzia criminale»15 che si respirava in Italia in quei mesi, è ancora uno scritto di Antonio Gramsci:
Racconta una distinta signora, benevolmente conosciuta nel campo magistrale torinese: Mi trovavo in tram con una mia amica. Ella mi narrava la sventura di un suo figliolo tornato dal fronte mutilato. Nell’accoramento dei ricordi la madre si lasciò sfuggire espressioni che fecero subito imbronciare un signore seduto vicino a noi. «Signora, se ella non smette, sarò costretto a far fermare il tram, e a chiamare le guardie». La mia amica stupita domanda: «Ma ella chi è?», «Le sarò presentato alla Questura». Il tram è fatto fermare, la signora additata alle guardie, e il professore si allontana con la soddisfazione del dovere compiuto.16
9E tuttavia, da un documento di sintesi sul movimento pacifista in Italia del dicembre 1916 realizzato dalla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, si ricava la percezione delle autorità di controllo rispetto ai fermenti sovversivi dall’inizio del conflitto. Pur riconoscendo la fiorente solidarietà tra le classi operaie dei vari paesi europei e il nuovo afflato internazionalista vòlto alla cessazione delle ostilità, lo stato dello «spirito pubblico in Italia» è definito «non allarmante»17. Al tempo stesso, si esortano le forze di polizia a «prevenire e frenare la propaganda sediziosa»18 per impedire che essa possa sfociare in movimenti collettivi e turbolenti. Le prime indagini portano ad imputare la responsabilità della dissidenza al Partito socialista, colpevole di perpetrare una «subdola propaganda» presso le donne, la diffusione di manifesti di stampo eversivo, e lo sfruttamento delle «torve passioni delle masse»19.
10Tutte queste norme, che introducevano reati di opinione, furono aggravate col noto D. Lt. n. 1561 del 4/10/1917, il cosiddetto “Decreto Sacchi”, dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia e Affari di culto, che diede alle autorità una eccezionale discrezionalità, affidando ai tribunali militari i “sovversivi”.
11Il decreto Sacchi accolse dunque i «desiderata delle forze militari e dell’interventismo più fanatico che premevano da tempo per una più decisa azione repressiva contro il disfattismo»20. In forza di questo decreto, non solo gli scioperi furono considerati illegittimi, ma venne giudicato reato qualunque evento che impedisse lo svolgimento del lavoro (per esempio, le manifestazioni). Inoltre, con questo decreto si incoraggiava la pratica della delazione da parte delle stesse autorità:
L’incoraggiamento che veniva dall’alto a usare largamente tali sistemi, la sicurezza dell’impunità per chi se ne serviva, e la quasi assoluta certezza che il colpito sarebbe stato sottoposto a procedimento penale e a condanna, rendevano la denuncia facile strumento anche per soddisfare vendette e rivalse personali e, talvolta, per risolvere drasticamente intralci ad attività economiche o commerciali.21
12Molti dirigenti del Psi furono arrestati: Costantino Lazzari, Nicola Bombacci e molti altri22. In questo stato d’eccezione, prodromo del regime totalitario fascista, solo i Comandi militari godettero di ampia autonomia e nelle zone di guerra esercitarono poteri pressoché assoluti. Come si è detto, questo è l’anno di maggiore stanchezza sia tra le truppe, sia nella popolazione: la percezione che la guerra si potesse protrarre ancora a lungo suscitava nella mentalità collettiva un senso di avvilimento e apprensione, favorendo tensioni popolari a diversi livelli. A questo stato d’animo si aggiunge la visione entusiastica della Rivoluzione bolscevica, miraggio universale di pace e giustizia, capace di ispirare sollevazioni popolari, molte delle quali contraddistinte dall’entrata in scena di un nuovo soggetto politico: le donne. Già nel gennaio del 1917 le notizie sullo stato di assidua agitazione interna alla Russia zarista avevano cominciato a preoccupare l’opinione pubblica italiana. Tuttavia, è con i fatti di febbraio (8-12 marzo) – in principio letti come i «gravi disordini di Pietrogrado»23 – che la questione diventa dominante, soprattutto per il potenziale ideologico che essa trasmette alle masse contadine e operaie in Italia.
13Le notizie che arrivano dalla Russia, sconnesse e frammentarie, da una parte contribuiscono a diffondere un certo ottimismo del proletariato rispetto al Sol dell’avvenire, e dall’altra incoraggiano l’intero schieramento politico. Molti interventisti (sia dell’agone rivoluzionario, sia di quello democratico), infatti, guardano con favore alla Rivoluzione di febbraio, soprattutto per la possibilità di un più concreto impegno russo nel conflitto. Lo stesso Mussolini, dalle pagine del suo quotidiano «Il popolo d’Italia», ne scriverà con entusiasmo, riprendendo l’adagio sulla guerra come rivoluzione e la rivoluzione come guerra24. Come sintetizza Angelo d’Orsi, «la rivoluzione di marzo diventa strumento di lotta politica e di propaganda per la destra socialista antigovernativa e antisocialista, dai nazionalisti ai mussoliniani»25.
14L’attività di propaganda dell’intelligencija bolscevica in Italia, nel frattempo, divulga la dottrina leninista, dando concretezza all’immaginario rivoluzionario presso gli ambienti socialisti d’Italia. Contemporaneamente, si afferma una solidarietà trasversale tra movimento operaio e masse cittadine sempre più affamate e stanche (razionamento del pane). Tutti questi elementi costituiscono una miscela potenzialmente esplosiva, che si manifesta con segnali evidenti già nella primavera-estate del 1917. Si verificano, infatti, fenomeni di rivolta nelle campagne e nelle fabbriche al punto che il Ministro dell’Interno Orlando ordina una nuova indagine sullo stato dell’ordine pubblico al fine di predisporre nuovi strumenti di prevenzione e repressione26. La rivolta del pane dell’agosto del 1917 a Torino, definita «il più rilevante episodio di insorgenza popolare accaduto durante la guerra al di fuori della Russia»27, è indicativa di questo clima,, così come analoghe manifestazioni anche in altre città (Milano, per esempio). In questa fase, le autorità di polizia fanno il punto sulla penetrazione delle idee rivoluzionarie in Italia. In particolare, si mostrano preoccupati da una certa stampa sovversiva, la quale a sua volta condanna la mistificazione antibolscevica messa in atto dallo Stato per «deviare la pubblica opinione […] e preservare il paese dalla cattiva influenza dei Soviet russi»28. L’azione repressiva dello Stato si concentra soprattutto su episodiche manifestazioni di rifiuto, che vedono spesso protagoniste donne, contadini e soldati in licenza. La diffusione di canti antipatriottici e di pratiche parareligiose rimandano ad un ritorno dell’occultismo, inteso come risposta ancestrale alla fame e alla disperazione. In questo contesto si inseriscono anche gli episodi di mariofanie, di cui Fatima è una delle più note29.
15Se ci riferiamo ancora alle fonti prodotte dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, possiamo valutare la penetrazione in Italia delle spinte rivoluzionarie provenienti dalla Russia, tenendo presente che si tratta di informazioni ricavate sovente da delatori, molti dei quali remunerati dalla polizia in relazione all’importanza delle notizie fornite e dunque da valutare con particolare spirito critico. Gli stessi enti di spionaggio e controspionaggio italiani – l’Ufficio centrale d’investigazione e il Servizio informazioni dell’esercito – si servivano di confidenti non sempre ritenuti attendibili.
16Nel frattempo, la Rivoluzione di Febbraio suscita nuove speranze nel proletariato: il direttivo romano del Partito socialista organizza una manifestazione di simpatia per i fatti di Pietrogrado. La dimostrazione è vietata per il timore che possa «assumere un significato diverso e provocare contrasti di opinioni con pericolo per l’ordine pubblico»30. D’altronde l’Ufficio Centrale d’Investigazione ha in quegli stessi giorni avviato indagini a campione presso la classe lavorativa di due quartieri popolari della capitale (San Lorenzo e Testaccio), dalla quale emerge un grande entusiasmo verso la rivoluzione in Russia. Quanto si evince dai sondaggi popolari riflette i timori di un possibile sconvolgimento politico anche in Italia in un momento assai delicato della guerra. Emblematico il rapporto che viene stilato a conclusione dell’inchiesta:
La sobillazione al certo non manca, più occulta che palese, per ora, da parte dei nemici della patria, alti e bassi. Essa potrebbe aver presa nell’animo della massa. Solo nel caso che un qualche imprevisto od imprevedibile turbamento d’ordine economico o sociale determinasse dimostrazioni di piazza nella quale circostanza potrebbero i mestatori trarre occasione per sprigionare la scintilla che potrebbe dar luogo all’incendio. Perciò è necessario in questo momento eliminare ogni pretesto di malcontento nel pubblico ed impedire quindi agitazioni e qualsiasi pubblica manifestazione.31
17Il lavoro di sorveglianza e di selezione di notizie e commenti riguardanti il fermento rivoluzionario in Russia si può evincere dalla scrupolosa attività censoria del Servizio Informazioni dell’Esercito: nei quindicinali «Notiziari sullo Spirito delle truppe», le corrispondenze dei militari vengono lette attentamente e le manifestazioni di dissenso sono raccolte e diligentemente divise per capitoli. Nel resoconto del 15 aprile 1917 alla voce «fermento sovversivo» si descrive l’intensificazione delle idee rivoluzionarie tra le fila dell’esercito; nello stesso «Notiziario», si tratta anche degli «effetti morali della rivoluzione russa»32, intesi in questa fase come corollario del fermento sovversivo diffuso.
18Anche il controllo della corrispondenza si intensifica in maniera abnorme, coinvolgendo quasi 4 miliardi di missive che si muovono fra Paese e fronte combattente, ma anche tra i civili33. Anche in questo caso emerge il persistente stato di agitazione dei soldati, i quali rimarcano in più occasioni la necessità di indurre il Paese ad una pace immediata. È quanto scrive ad esempio un militare dalla zona di guerra, la cui lettera censurata riportava riferimenti espliciti ad una ribellione da farsi sul modello sovietico. Un altro soldato spera che i tumulti possano scoppiare in Italia «per affrettare la pace»34.
19Gli effetti internazionali della Rivoluzione di Febbraio contribuiscono alla diffusione del sospetto oltre confine. L’Ufficio Centrale d’Investigazione che fa capo al Ministero dell’Interno intercetta notizie più o meno attendibili anche dai propri informatori all’estero, ne trasmette il contenuto al dicastero e manifesta il proprio timore verso possibili complotti. I termini apocalittici di questi resoconti, con i riferimenti all’avvento dell’Anticristo e a possibili atti di sabotaggio, impressionano le autorità di controspionaggio, che premono sull’Istituto di Mobilitazione Industriale per una disciplina più restrittiva della forza-lavoro militarizzata. Il sospetto irrazionale raggiunge punte altissime anche in una lettera del Servizio Informazioni del Comando Supremo dell’Esercito, il quale avanza l’ipotesi dell’esistenza di una parola segreta nota ai sovversivi, la quale una volta pronunciata avrebbe dato il via alla rivoluzione. Per scongiurare questa ipotesi e sventare tempestivamente la congiura, l’Ufficio dispone la ricerca del presunto «comando» nelle corrispondenze e nella stampa estremista.
20Particolarmente attiva in questo contesto la Lega Antitedesca, avamposto operativo del nazionalismo più populista, la quale ha come obiettivo primario «sventare le mene e le macchinazioni spionistiche dei nemici d’Italia e dei loro mandatari»35, avversare il contrabbando di guerra e il sabotaggio industriale, assicurare alla giustizia il più alto numero di disfattisti in circolazione. Per raggiungere tale scopo, la Lega mette a punto un vero e proprio tariffario indicante i diversi compensi per i propri collaboratori: venti lire per chi fornisce dati utili a far ritenere gravemente sospetta di spionaggio una persona fino a quel momento insospettabile; trenta lire per chi fornisce prove di propaganda deleteria antinazionale fatta in presenza di più persone; cento lire per la corrispondenza spionistica. E via dicendo fino alla cospicua somma di mille lire per una prova di sabotaggio militare o industriale.
21Non tutti i timori nei confronti della rivoluzione si mostrano infondati e in più circostanze il fermento sovversivo sembra muoversi su una consolidata rete clandestina capace di penetrare anche gli stabilimenti ausiliari. È quanto accade ad Alessandria, dove nel maggio del 1917 è rinvenuto presso l’opificio MINO un manifesto antibellico dalla forte carica dissidente. Le autorità decidono di infiltrare due poliziotti nella fabbrica con il compito di fingersi operai per ottenere informazioni sugli autori dello scritto e sulle modalità di circolazione dello stesso. Un documento eccezionale che rivela la diffusione delle istanze rivoluzionarie in Italia e il potenziale eversivo della classe operaia militarizzata:
Le rivoluzioni non si fanno scoppiare a data fissa, ma si preparano e si possono dirigere verso fini determinati. A quest’opera noi vi chiamiamo o lavoratori. Bisogna preparare gli animi e l’ambiente, bisogna persuadersi che può giungere un momento opportuno, e che occorrerà saperlo afferrare. Propaganda quindi assidua delle idealità rinnovatrici, agitazioni continue, per mantenere sempre alta e vibrante l’anima del proletariato. E quando lo scoppio verrà, essere pronti ad aiutarlo, a dirigerlo. […] LAVORATORI raccogliete il nostro appello. Vigilate e siate pronti. All’erta! perché forse i nostri giorni si avvicinano.36
22Nel dicembre del 1917, il Ministero dell’Interno dirama una circolare a tutti i prefetti del Regno che mette in guardia dagli effetti del lavoro sotterraneo dei servizi segreti nemici. Questi si applicherebbero con dovizia per infondere pessimismo nella popolazione e nell’esercito italiano, inducendoli dunque a sollevarsi «sotto il miraggio di una pace da conseguire con metodi russi»37. Anche la classe operaia è continuamente monitorata attraverso indagini volte a comprenderne lo stato d’animo e prevenirne eventuali ribellioni.
23L’esito positivo della battaglia di Vittorio Veneto e il successo finale nella guerra non abbassano il livello di guardia nei confronti dello spettro bolscevico che diventa anzi un pericolo ancor più temibile all’indomani della fine della guerra. Terminato il primo conflitto mondiale, i servizi di sicurezza italiani continuano a monitorare da vicino l’andamento delle vicende russe e come sappiamo, da lì a poco, al biennio rosso, ultima fiammata del movimento proletariato, succederanno il biennio nero e la presa del potere di Benito Mussolini.
Notes de bas de page
1 Cfr. Angelo d’Orsi, 1917. L’Anno della Rivoluzione, Roma-Bari, Laterza, 2016, p. 159.
2 Cfr. Stefano Magni, Caporetto: diario di guerra del generale Angelo Gatti, dalla storia alla letteratura (infra).
3 Antonio Moscato, La madre di tutte le guerre. Primo conflitto mondiale 1914-18, Aosta, Edizioni La. Co. Rì, Coll. «Centro Studi Livio Maitan», 2014, p. 60.
4 Ibid.
5 Alessandro Gionfrida, Introduzione all’Inventario del fondo H-4 – Commissione d’Inchiesta-Caporetto, Stato Maggiore della Difesa, Roma, 2015, p. 27.
6 Come è noto, l’allora pontefice Benedetto XV il primo agosto 1917 inviò una Lettera «ai capi dei Popoli belligeranti» di radicale condanna della guerra, definita, in un inciso «inutile strage».
7 Alessandro Gionfrida, Introduzione all’Inventario del fondo H-4 – Commissione d’Inchiesta-Caporetto, cit., p. 13. Sulle conseguenze della pubblicazione, cfr. Giorgio Rochat, L’Esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, Roma-Bari, Laterza, 1967.
8 Antonio Gramsci, Il socialismo e l’Italia, in «Il Grido del Popolo», 22 settembre 1917. Ora in Antonio Gramsci, Scritti dalla libertà (1910-1926), a cura di Angelo d’Orsi, Francesca Chiarotto, Roma, Editori Riuniti, 2012, pp. 229-232 (229).
9 Gianluca Seramondi, Le classi subalterne in Italia durante la Grande Guerra. Uno stato d’eccezione, in «InStoria, rivista online di Storia e Informazione», n. 32, agosto 2010; http://www.instoria.it/home/classi_subalterne_italia_grande_guerra_I.htm;ultimoaccesso20maggio2018.
10 Ivi.
11 Cfr. Gabriele Paolini, La colpa è del Papa. Le accuse alla Santa Sede e ai cattolici prima e dopo Caporetto (infra).
12 Gianluca Seramondi, Le classi subalterne in Italia durante la Grande Guerra. Uno stato d’eccezione, cit.
13 Ivi.
14 Giorgio Agamben, Lo stato di eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 23.
15 Antonio Gramsci, Bollettino del fronte interno, in «Avanti!», 6 luglio 1916, ora in Antonio Gramsci, Scritti dalla libertà (1910-1926), cit., pp. 159-161 (160).
16 Ibid.
17 Archivio Centrale dello Stato (ACS), Ministero dell’Interno (MI), Dipartimento Generale di Pubblica Sicurezza (DGPS), Conflagrazione Europea (A5G, 1GM), b. 4, f. 7, sf. 42, Rapporto della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, 29 dicembre 1916, in Graziano Mamone, Ombre rosse. La repressione del disfattismo e lo spettro bolscevico in Italia (1917-1919), in «Diacronie. Studi di Storia Contemporanea», 31, 3/2017, Le armi della politica, la politica delle armi, Ideologie di lotta ed esperienze di guerra, pp. 1-17.
18 Ivi, p. 5.
19 ACS, MI, DGPS, A5G, 1GM, b. 1, f. 7, Circolare del Ministero dell’Interno alle Prefetture del Regno, Agitazione pro-pace, 13 gennaio 1917, in Graziano Mamone, Ombre rosse, cit., p. 6.
20 Giovanna Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta. Mentalità e comportamenti popolari nella Grande Guerra, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 340-43 (343).
21 Gianluca Seramondi, Le classi subalterne in Italia durante la Grande Guerra. Uno stato d’eccezione, cit.
22 Angelo d’Orsi, 1917. L’Anno della Rivoluzione, cit., p. 159.
23 Graziano Mamone, Ombre rosse, cit., p. 3.
24 Sulle reazioni a livello nazionale e internazionale di fronte alla prima rivoluzione russa, cfr. ivi, pp. 43 ss.
25 Ivi, p. 46.
26 Ivi, p. 49.
27 Leonardo Rapone, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo (1914-1919), Roma, Carocci, 2012.
28 ACS, MI, DGPS, A5G, 1GM, b. 4, f. 7, sf. 42, Copia di articoli tratti dal «Cielo Naroda» del 29 luglio e 11 agosto 1917, La rivoluzione russa e l’Italia, in Graziano Mamone, Ombre rosse, cit., p. 7.
29 Angelo d’Orsi, 1917. L’anno della rivoluzione, cit., pp. 71 ss.
30 Graziano Mamone, Ombre rosse, cit., p. 6.
31 Cfr. Beatrice Pisa, La propaganda e l’assistenza sul fronte interno, in Nicola Labanca (a cura di), Dizionario Storico della Prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 207-218 (223).
32 Graziano Mamone, Ombre rosse, cit., p. 6.
33 Ivi, p. 9.
34 Ivi, p. 8.
35 Ivi, p. 10.
36 Ivi, p. 11.
37 Ivi, p. 12.
Auteur
Dottore di ricerca in Studi Politici all’Università di Torino. Coordina la Redazione di «Historia Magistra. Rivista di storia critica» e la Segreteria scientifica di «Gramsciana. Rivista internazionale di Studi su Antonio Gramsci». Ultime pubblicazioni: Operazione Gramsci. Alla conquista degli intellettuali nell’Italia del dopoguerra (Mondadori, 2011); Aspettando il Sessantotto. Continuità e fratture nelle culture politiche italiane dal 1956 al 1968 (Accademia University Press, 2017).
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