Introduzione
p. VII-XXII
Remerciements
Vorremmo vivamente ringraziare i membri del comitato scientifico del convegno, i laboratori che hanno contribuito all’organizzazione e alla pubblicazione degli atti: il LECE-MO dell’Università Sorbonne Nouvelle Paris-3, diretto da Corinne Lucas; il LUHCIE dell’Università Grenoble-Alpes, diretto da Sylvain Venayre; la Maison d’Italie della Città universitaria di Parigi, diretta da Roberto Giacone. Un ringraziamento particolare va alla rivista «Historia Magistra», diretta da Angelo d’Orsi, che ci ospita nella sua collana e che ha incoraggiato il progetto fin dalle prime fasi.
Texte intégral
1Il presente volume raccoglie gli atti del convegno internazionale che si è svolto all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3 e alla Maison d’Italie il 9-10 novembre 2017, in occasione del centenario nella battaglia di Caporetto. Al di là della ricorrenza, il convegno si è inserito nelle tematiche di un gruppo di ricercatori del Centre Interdisciplinaire de Recherche sur la Culture des Echanges (CIRCE) che, da diversi anni, ha dedicato un seminario di ricerca e un convegno internazionale ai traumatismi individuali all’interno di eventi storici segnati da una forte valenza collettiva1. Il gruppo degli studiosi si è avvalso della preziosa collaborazione dei colleghi del Laboratoire universitaire histoire culture(s) Italie Europe (LUHCIE) dell’Università Grenoble-Alpes.
2La celebrazione dei centenari è una tradizione ormai molto in voga: si parla di una «religione degli anniversari» che si è manifestata in particolar modo nelle ricorrenze legate alla Prima guerra mondiale. Nel 2014, è stato celebrato il centenario dell’inizio della Grande Guerra; nel 2015, quello VII dell’entrata in guerra dell’Italia2; il 2016 è stato segnato dalle ricorrenze delle battaglie di Verdun e della Somme o dallo studio della vita culturale e letteraria nel fronte interno3; nel 2017 si sono ricordati la Rivoluzione d’ottobre, l’intervento degli Stati Uniti e i grandi ammutinamenti4; il 2018 chiude questo ciclo commemorativo con il centenario della fine del conflitto5.
3La Prima guerra mondiale costituisce l’esperienza fondante di una nuova concezione di lotta tra i popoli, e in quanto tale ha segnato la memoria dell’Occidente, poiché ha fatto uso per prima delle tecnologie di distruzione di massa. I ricercatori che hanno rivolto la loro attenzione ai traumatismi hanno dato avvio, negli anni Novanta, ai Trauma studies, in un dialogo con gli specialisti dei Memory studies e di altri campi.
4Privilegiando una prospettiva interdisciplinare, il convegno su Caporetto tenutosi all’Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3 è stato concepito come un’occasione di scambio e di riflessione su uno degli eventi più controversi della storia italiana: incrociando gli approcci diversi ma complementari di storici, esperti di attività militari, di letteratura e di arti visive, esso ha consentito di iscrivere il traumatismo individuale e collettivo di Caporetto nella più complessa prospettiva della costruzione della memoria nazionale.
5Ricordiamo innanzitutto quale fu il ruolo di Caporetto6 (o dodicesima battaglia dell’Isonzo) nel contesto degli eventi bellici del 1917. Più di un anno dopo la spedizione punitiva (Strafexpedition) lanciata dagli austriaci nel maggiogiugno 1916 contro il fronte italiano del Trentino, e nello stato di sfinimento delle truppe dovuto alla guerra di posizione, dall’estate del 1917 gli alti comandi austro-ungarici ricevettero rinforzi dalle truppe tedesche non più impegnate sul fronte russo. Nel settembre 1917, sotto il comando del generale Otto von Below, le unità tedesche formate alle più moderne tecniche di assalto applicarono una strategia nuova fondata sull’accerchiamento, sull’infiltrazione e sull’uso dei gas asfissianti. Il primo attacco si svolse nella notte del 24 ottobre 1917 su una linea di cresta compresa tra Plezzo e Tolmino, prendendo alla sprovvista le truppe italiane, che il Comandante supremo dell’esercito, Luigi Cadorna, non aveva preparato a una guerra di difesa. Tra Plezzo e Tolmino, all’altezza del paesino di Caporetto, si apre la grande vallata del Friuli. Fu lì che le truppe d’assalto austriache e tedesche aprirono una breccia che le portò, seguendo il corso dell’I-sonzo, verso la pianura. Tra il 24 ottobre e il 9 novembre, i soldati italiani – sottratti dal 1915 alla loro vita quotidiana dall’arruolamento obbligatorio, sottoposti alla violenza degli scontri militari e alle condizioni disumane delle trincee – dovettero battere in ritirata. Lo sfondamento del fronte consentì alle truppe d’assalto austriache e tedesche di giungere in poco tempo fino al Piave dopo aver superato senza grandi ostacoli il Tagliamento.
6Fin dal 28 ottobre, il generale Cadorna diffuse il famoso comunicato che attribuiva la colpa della disfatta alla «mancata resistenza di reparti della 2a Armata»7, esonerando il Comando militare dalle proprie responsabilità. Come noto, la ritirata ebbe notevoli ripercussioni sul piano politico e militare. Paolo Boselli fu sostituito alla presidenza del Consiglio da Vittorio Emanuele Orlando, mentre Armando Diaz succedette a Cadorna a capo dello Stato maggiore dell’esercito. Lo svolgimento degli eventi militari fu al centro della polemica storico-politica fin dall’immediato dopoguerra con l’istituzione, nel 1919, di una Commissione parlamentare di inchiesta8.
7Caporetto suscitò un dilemma identitario poiché rimetteva in discussione il legame tra gli uomini al fronte e lo Stato-Nazione. All’umiliazione esso aggiunse la paura e la lacerazione psico-fisica sommata, per buona parte dei soldatiufficiali, alla deportazione, alla prigionia ed alle sanzioni militari. Questo evento che sembrava presagire la disfatta delle forze italiane, in realtà suscitò paradossalmente uno slancio verso la vittoria, segnando in modo duraturo la memoria dei soldati e della popolazione.
8Nel linguaggio corrente, la sconfitta di Caporetto rimane ancor oggi sinonimo di disfatta e di disastro. Il comunicato di Cadorna aveva sottolineato la «deficiente resistenza» di una parte dei soldati, e quindi messo in causa la loro fedeltà e il loro sacrificio per la Patria, accusandoli peraltro di aver ceduto alla pressione dei “pacifisti” (socialisti, cattolici, liberali non interventisti, ecc.). Fino ai giorni nostri, il tema ha suscitato grandi dibattiti e passioni, come possono testimoniare anche i curatori di questo volume: nei giorni che seguirono la pubblicazione del call for papers del convegno, ci fu rimproverato di voler ravvivare, per di più oltre le frontiere nazionali, lo stereotipo dell’italiano “cattivo soldato” (che corrisponde specularmente all’altro stereotipo degli “Italiani brava gente”, e quindi incapaci di crudeltà nelle guerre coloniali). Per questo motivo, la prima parte di questo volume è stata dedicata alle cause e allo svolgimento della battaglia, sulla base dei più recenti contributi della storia militare che tendono a relativizzare il “carattere epocale” di Caporetto: come ricorda Marco Cimmino nel suo saggio, si trattò di una “sconfitta normalissima”, paragonabile a quelle vissute da quasi tutti gli eserciti che parteciparono alla Grande Guerra.
9È allora necessario interrogarsi di nuovo sulle condizioni militari e contestuali che hanno portato alla disfatta di Caporetto, sulla sua memoria e sul modo in cui lo storiografia si è confrontata con essa, modificando progressivamente il proprio approccio e i propri giudizi durante i cento anni che ci separano dall’evento. Nella nuova versione del suo volume dedicato a Caporetto. Storia e memoria di una disfatta, Nicola Labanca distingue cinque grandi fasi9. La prima, che corrisponde alla fine dell’Italia liberale, fu contrassegnata da forti polemiche, dall’istituzione della Commissione d’inchiesta e da una vasta produzione memorialistica. La seconda fu quella del fascismo, che cercò di attenuare tali contrasti, glorificando la partecipazione italiana al conflitto. La terza coincide con i primi venti anni della Repubblica, in cui si cercò di smussare le asperità della Grande Guerra, iscrivendola nell’azione nazionale del Risorgimento (da qui l’espressione di “quarta guerra di indipendenza”). La quarta fase inizia alla fine degli anni Sessanta, sull’onda dei grandi movimenti di protesta, quando si iniziò a studiare la repressione cui furono sottoposti i soldati. Le opere pubblicate in questo periodo – I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra e Il mito della grande Guerra di Mario Isnenghi10, Plotone di esecuzione. I processi della prima guerra mondiale di Enzo Forcella e Alberto Monticone11 – condussero ad una radicale revisione della storiografia su Caporetto. La quinta fase prende avvio dopo la fine della guerra fredda. Gli storici hanno ampliato lo sguardo affrontando aspetti scarsamente indagati (sia sul piano militare che sociale), utilizzando l’ampio materiale raccolto negli archivi militari italiani e austriaci, in particolare le lettere e i taccuini dei soldati conservati in copia grazie alla censura militare. Le due opere fondamentali pubblicate alla fine degli anni Novanta – Caporetto. Storia di una disfatta di Nicola Labanca12 e La Grande Guerra 1914-1918 di Mario Isnenghi e Giorgio Rochat13 – hanno approfondito, sulla base di una nuova documentazione archivistica, il dibattito sulle responsabilità militari nella sconfitta di Caporetto, sfatando le accuse tradizionali di sabotaggio messo in atto dai disfattisti del fronte interno. Sulla scia di questi studi, lavori più recenti hanno cercato, in occasione dei novant’anni dalla disfatta, di rendere atto della complessità dell’evento, esplorando i rapporti tra “governanti e governati” in un paese che si era unificato solo mezzo secolo prima14. Senza essere determinante sul piano militare – Vittorio Veneto laverà la vergogna dell’anno precedente – , Caporetto ha causato un traumatismo durevole, legato alle umiliazioni, alla paura, alle sanzioni militari e, per molti soldati, alla deportazione in campi militari e alla prigione. Per questi motivi, si tratta di un tema sempre al centro della memoria e della coscienza nazionale, come testimoniano i numerosi volumi pubblicati all’approssimarsi del centenario della battaglia15.
10Il convegno organizzato all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris e il volume che ne raccoglie gli atti rispondono all’esigenza di una ricostruzione critica del contesto e dello svolgimento della battaglia, nonché delle conseguenze sullo stato psichico e sulle certezze ideologiche degli scrittoriufficiali. Il convegno e il volume hanno affrontato la disfatta di Caporetto a partire dalla nozione di «trauma(tismo)», che consente di leggere diversamente le scritture storiche e letterarie su di essa. Numerosi scrittori-ufficiali (Carlo Emilio Gadda, Piero Jahier, Filippo Tommaso Marinetti, Ardengo Soffici, Attilio Frescura, Carlo Salsa e tanti altri) hanno vissuto sulla propria pelle la disfatta del 24 otobre 1917. È sembrato dunque opportuno chiedersi in quale misura l’umiliazione della sconfitta e il crollo del sogno nazionale dinanzi alla tragica ritirata dell’esercito abbiano “lavorato” le loro scritture elaborate di getto a ridosso dell’evento o redatte successivamente in modo più disteso.
11Se intese quale espressione del trauma, quindi non percepite più solo come puro materiale referenziale ad uso della ricostruzione storiografica, tali scritture implicano una liminare puntualizzazione in merito alla valenza fenomenologica e psicoanalitica del termine «trauma(tismo)». Il dizionario Treccani distingue traumatismo e trauma. Il primo termine, calcato sul francese traumatisme, sarebbe una variante del secondo. Si legge infatti: «Talora ai due termini è attribuita una differenza di significato: il trauma è riferito alle sole manifestazioni locali, il traumatismo anche a quelle generali (spesso però la realtà clinica rende tale distinzione artificiosa)». Più precisa, pur nell’approccio globalizzante, ci sembra la definizione del termine trauma [dal gr. τραῦμα (-ατος) «ferita»]. In ambito psicoanalitico, esso sarebbe un «turbamento dello stato psichico prodotto da un avvenimento dotato di notevole carica emotiva»; in senso lato e figurato sarebbe una «grave alterazione del normale stato psichico di un individuo, conseguente a esperienze e fatti tristi, dolorosi, negativi, che turbano e disorientano».
12Se paragonata a tali definizioni generiche, quella fornita da un rinomato psicoanalista francese, Thierry Bokanowski, sottolinea la distinzione classificatoria e operativa fra i due termini traumatisme e trauma relativamente alla violenza prodotta da un evento esterno il cui forte impatto emotivo agisce sulla stabilità dell’assetto psichico. Riflesso delle coppie oppositive evenemenziale/psichico e esterno/interno, i due termini vengono definiti come segue:
Il trauma(tismo) – parola che deriva dal greco e che significa nel contempo un’effrazione e una ferita – designa le conseguenze di un avvenimento la cui subitaneità, l’intensità e la brutalità possono non solo causare uno choc psichico, ma anche lasciare tracce durevoli sulla psiche di un soggetto che ne risulta alterato. L’avvenimento traumatico (o di tipo traumatico) è perciò un evento violento, che accade all’improvviso e nei confronti del quale il soggetto è impreparato; questo evento brutale – che coglie il soggetto di sorpresa e lo sconcerta – comporta sul piano psichico un’effrazione della barriera para-eccitante, cosicché la psiche risulta sopraffatta da un’eccitazione che egli non può né capire né gestire. Ciò comporta una perturbazione importante del funzionamento psichico e delle difese stabili fino a quel momento, pertubazione che può arrivare, in casi estremi, fino al crollo.16
13Nelle scritture storiche e letterarie relative alla catastrofe militare e ideologica di Caporetto si è tenuto conto dell’articolazione tra l’evento esterno (traumatisme) improvviso e violento, e lo shock psichico (trauma), la siderazione dell’“Io”, nonché l’incidenza del crollo delle difese narcisistiche sulla verbalizzazione di un’esperienza che sfiora l’irrealtà, poiché impensabile e inenarrabile. In quali generi e in quale organizzazione linguistico-stilistica possono tradursi l’ossessione del trauma sempre vivo e lo stato psichico che ne risulta stravolto? Come può l’Io scrivente gestire una scrittura che porta le tracce di un vissuto allucinato?
14Occorre ricordare che la nozione di “trauma (tismo)” e di nevrosi elaborata dalla letteratura psicoanalitica e psichiatrica prima e soprattutto durante la Grande Guerra17 diventa strumento di analisi e comprensione dei fatti individuali e storici nella seconda metà del Novecento, allorché essa si impone quale approccio scientifico per dare voce a una memoria collettiva basata sulle testimonianze e più globalmente sulla scrittura di sé dei tanti soggetti scriventi della Grande Guerra. Le Memorie, i Diari, i Giornali, i Ricordi intesi come il genere più adatto alla restituzione dell’esperienza bellica, più che venire intesi in questo volume sulla disfatta di Caporetto quale materiale contenutistico proficuo per la storiografia, vengono interrogati nella loro essenza mediata di un’esperienza fisico-psichica ancora in corso al momento della scrittura e quindi mezzo di valutazione dell’impatto traumatico sulla resa stilistico-retorica della testualità.
15In tal senso, una delle maggiori preoccupazioni dell’approccio interdisciplinare di questo volume riguarda lo studio della riscrittura letteraria e artistica dell’evento traumatico di Caporetto; esso consente di affrontare diversamente un momento della storia italiana che mai ha smesso d’interessare gli storici. La scrittura a caldo o retrospettiva può avere un effetto catartico sulla possibilità di figurare e condividere il trauma, ma può essere altresì un exutoire e un laboratorio di resilienza, personale (quindi psichica) e ideologica. Nella misura in cui si riscrive/ rivive quell’esperienza per sé e la si scrive/fa vivere a un lettore18, in entrambi i casi si fa l’esperienza di un evento semiotizzato, perché messo a distanza formale, ma non meno reale19. Secondo Patrizia Violi, il trauma «diviene il risultato di un processo semiotico di attribuzione di senso, molto più complesso e meno lineare di quanto non appaia a prima vista. Lo spazio dell’après coup instaura un intervallo che separa l’evento dal senso dell’evento, rendendo il trauma un fenomeno essenzialmente semiotico e quindi in certa misura costruito, o ricostruito, nell’interpretazione che ne diamo, e non “naturalmente” dato come inevitabile conseguenza dei fatti»20. L’esperienza socializzata, per di più letterarizzata, essendo una delle modalità del lavoro di superamento del trauma, assume i tratti di una esperienza condivisa, diventando così forma di conoscenza della Storia, di percezione altra di una guerra – la Grande Guerra – mai rimessa in causa, malgrado la ferita narcisistica provocata dal trauma (tismo) di Caporetto.
16Gli approcci, le tipologie dei documenti, i generi e le forme letterarie e artistiche atti ad affrontare l’evento dell’ottobre-novembre 1917 sono stati molteplici: testi politici e militari, articoli di stampa, racconti, diari, testimonianze. L’esperienza della disfatta di Caporetto è stata rivissuta dagli scrittori-soldati e affrontata dal punto di vista della testimonianza di uno shock individuale ossessivo, della scrittura di sé iscritta in una dimensione storica. La riflessione ha preso in considerazione anche le conseguenze inedite dell’evento sul piano fisico e psichico, in quanto difficilmente comprese e affrontate all’epoca.
17Le stratificazioni temporali – riguardanti tanto la lettura storiografica, militare e politica quanto le scritture memoriali e narrative di questo evento fondatore per la coscienza e per l’identità nazionale – rappresentano un importante fattore di riappropriazione di un fatto sul quale la storiografia italiana non ha mai smesso di interrogarsi. Nel processo di rimemorazione (non solo dei fatti, ma anche del funzionamento/sconvolgimento del linguaggio del corpo), le forme rappresentative dello shock subìto sono state affrontate tanto nella dimensione dell’immediatezza del vissuto, quanto nella rivisitazione memoriale ex post che ha agito sui meccanismi del linguaggio autobiografico o artistico, inteso anche come sfogo e resilienza.
18Si è organizzato questo volume in quattro sezioni. Nella prima, consacrata alle cause della disfatta di Caporetto, cinque contributi propongono delle interpretazioni innovative sulle possibili spiegazioni dell’evento. Marco Cimmino ricorda innanzitutto che la cosiddetta «disfatta di Caporetto» costituì uno dei rari esempi di mitologia negativa della Prima guerra mondiale che ha accompagnato quasi tutte le valutazioni storiografiche sull’impegno italiano nel conflitto. In realtà l’esito della battaglia di Caporetto risulta perfettamente spiegabile e il mito della disfatta fu il prodotto di una sinergia tra i complessi d’inferiorità maturati dall’esercito italiano e l’interesse alleato ad accrescere le dimensioni del disastro.
19Attraverso l’analisi del Diario critico di guerra del colonnello Giulio Douhet, Eric Lehmann propone una stimolante lettura dell’evento, affrontato dal punto di vista della strategia militare. Tra i memoranda della Grande Guerra il diario del colonnello di stato-maggiore Douhet, redatto sin dalle prime mosse dell’intervento italiano il 23 maggio 1915 e portato avanti fino all’11 settembre 1916, costituisce una testimonianza significativa. In essa il colonnello presenta Caporetto come un semplice capitolo di una guerra di armi, condotta da generali dalla mentalità ottocentesca, con metodi antiquati e costosi sia in termini materiali che umani. Il trauma di Caporetto viene dunque inserito nel più vasto contesto di una immensa guerra di nazioni concepita e portata avanti in modo fallimentare.
20Ad arricchire il quadro sulle possibili ragioni della disfatta, Salvatore Pugliese tenta di appurare nel suo contributo un altro fondamentale assunto, ovvero se Caporetto sia stato il risultato di una reazione alla severità del regime penale militare. Alla vigilia della ritirata, i criteri repressivi della legislazione militare furono ulteriormente modificati, con l’entrata in vigore del decreto Sacchi (4 ottobre 1917) che inaspriva le sanzioni penali contro il disfattismo. Il contributo presenta dunque una fondamentale disamina su una delle più importanti questioni della storiografia caporettiana in quanto la pista di ricerca verifica se la rotta di Caporetto sia il naturale sbocco di una condizione dei soldati divenuta intollerabile o semplicemente un’operazione bellica ben riuscita.
21Fulvio Senardi presenta invece il punto di vista di uno dei maggiori storici britannici del tempo, George Macaulay Trevelyan, autore del libro di memorie Scenes from Italy’s War (1919). Riformato dall’esercito britannico, Trevelyan scelse di guidare un’unità di ambulanze della British Red Cross sul fronte isontino, divenendo un testimone ideale delle vicende di guerra e in tale prospettiva la sua testimonianza rappresenta un contributo importante alla comprensione dell’evento Caporetto. Come spiega sapientemente l’Autore, in essa prevale la comprensione dell’estrema complessità del teatro di guerra isontino e carsico, tale da giustificare quella ritirata confusa di cui Caporetto rimase l’emblema.
22A completare il quadro testimoniale, Stefano Magni analizza il diario di guerra del generale Angelo Gatti, il quale, grazie alla stretta vicinanza con Cadorna e gli alti Comandi, poté fornire un quadro completo degli eventi dell’autunno del 1917. Il suo diario, testo di sicuro valore storico, smaschera molte delle responsabilità del Comando supremo e smentisce la tesi cadorniana dell’ammutinamento e della vigliaccheria delle truppe in trincea. In tale prospettiva, il contributo completa il quadro offerto dalla letteratura caporettiana più conosciuta e si inserisce in un ideale dibattito a distanza con i diari di coloro che furono protagonisti diretti degli eventi.
23La seconda sezione affronta le conseguenze dell’evento nel dibattito pubblico italiano e si apre con l’articolato contributo di Angelo d’Orsi sul ruolo degli intellettuali e dei politici di fronte a Caporetto. L’Autore ricorda innanzitutto che a differenza della Guerra di Libia, il mondo intellettuale fu quasi unanimemente a favore dell’intervento italiano nel conflitto. Ci fu nondimeno uno zoccolo duro di neutralisti che si schierò su una linea di adesione sofferta, o di silenzio che poteva essere interpretato come dissenso. All’indomani della disfatta, su personaggi chiave dell’interventismo Caporetto ebbe effetti forti, su Benito Mussolini in primis, il quale, stando a certe letture storiografiche, proprio con quella sconfitta lasciò cadere ogni pur ormai remota ascendenza socialista e si buttò a capofitto in una logica nazionalista. Mentre altri, intellettuali interventisti, smarrirono la gioia della guerra, intesa futuristicamente, ripiegando su una più matura riflessione, che tuttavia fu perlopiù smarrita nell’orgia di nazionalismo esasperato, che si manifestava nella caccia al “nemico interno”, al “disfattista” e al “bolscevico di casa nostra”.
24Nel logico prolungamento di questa prospettiva, Francesca Chiarotto elabora un’efficace analisi dell’effetto Caporetto nel dibattito pubblico come emblema della vittoria bolscevica. All’indomani della disfatta, bolscevismo e caporettismo divennero sinonimi. La campagna per superare il trauma di Caporetto si trasformò infatti in una campagna antibolscevica, e via via, la paura del bolscevismo, risoltasi in demonizzazione, divenne il leitmotiv della propaganda fascista. Il movimento della disfatta, ossia “Caporetto”, rimase invece, nel discorso pubblico, una sorta di etichetta incollata ai socialisti, ormai diventati “bolscevichi”, anche quando si trattava di moderati riformisti.
25Gabriele Paolini, nel suo denso contributo sulle accuse alla Santa Sede e ai cattolici prima e dopo Caporetto, descrive temi, modalità e toni delle accuse attraverso lo spoglio di varie fonti, quali gli Atti parlamentari, i documenti della Commissione d’Inchiesta su Caporetto, i quotidiani del tempo o ancora i carteggi e la memorialistica. Lo studioso sottolinea che all’indomani di Caporetto fu naturale per i vertici militari ricondurre il disastro anche alla responsabilità del papa e di quei cattolici che avevano cercato di sostenere e diffondere le ragioni della Nota. Il contributo ricostruisce il clima dell’epoca, molto indicativo della percezione del disastro e delle dinamiche auto-assolutorie da esso attivate. Nell’ultimo contributo della sezione, Luc Nemeth propone una lettura di uno dei capolavori della letteratura di guerra, che ebbe un impatto dirompente nel contesto della fine degli anni Trenta: Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu. Il contributo analizza compiutamente il trauma tacito, nonché il trauma operativo di Caporetto nella scrittura di Lussu. L’episodio caporettiano avrebbe avuto un’influenza determinante sulla decisione di pubblicare il libro, al fine di rendere palesi al pubblico italiano alcune delle ragioni della disfatta: l’incapacità dei generali, nonché la riproduzione della struttura sociale classista da parte delle gerarchie militari che ebbero in scarsa considerazione la vita di migliaia di uomini mandati al macello.
26La terza sezione presenta alcuni significativi modelli di riscritture del trauma di Caporetto da parte di soldati-scrittori che hanno vissuto l’esperienza sulla propria pelle e ne hanno fornito una testimonianza particolarmente pregnante.
27Nel contributo sulla vergogna di Caporetto nel diario nascosto di Carlo Emilio Gadda, Manuela Bertone sonda le ragioni dell’occultamento protratto della disfatta di Caporetto nella scrittura diaristica gaddiana. Come si evince dall’appassionante ricostruzione dell’Autrice, si tratta di un vuoto a stampa estremamente significativo se lo si collega agli eventi accaduti in quel torno di tempo, dal momento della resa a quello della cattura del soldato-scrittore. Gadda decise di occultare la vergogna di Caporetto, ovvero uno degli episodi cruciali del conflitto e della propria esistenza, senz’altro al fine di cancellare un ricordo indicibile che ritornerà tuttavia in altre insospettabili forme nella scrittura successsiva.
28Il contributo a quattro mani di Stéphanie Lanfranchi ed Elise Varcin verifica in quale modo il trauma di Caporetto si traduca in parola negli scritti di Mussolini e come l’evento abbia avuto un’influenza determinante nell’orientamento politico del futuro Duce. Per effettuare tale analisi, le Autrici hanno affiancato ai tradizionali strumenti di indagine i più innovativi metodi statistici. L’Opera omnia è in tal modo scandagliata dal punto di vista lessicale attraverso una verifica delle occorrenze linguistiche legate all’evento traumatico di Caporetto. Tale approccio si è rivelato particolarmente fecondo, poiché ha permesso alle Autrici di avere una visione chiara del punto di rottura e di cristallizzazione del trauma di Caporetto sull’ideologia mussoliniana e di comprendere fino a che punto la disfatta abbia lasciato tracce profonde, sino a costituire la matrice di una concezione negativa dell’i-talianità.
29Nel contributo sul trauma di Caporetto nella scrittura diaristica di Marinetti, Francesca Belviso propone una lettura della memoria traumatica dei Taccuini e in particolare del lucido racconto autobiografico della ritirata quale esso compare nel testo specifico intitolato dal curatore dell’edizione critica “La ritirata di Caporetto”. Il contributo permette altresì di entrare nel laboratorio dello scrittore e di scoprire gli addentellati fra la scrittura autobiografica e la rielaborazione narrativa dell’evento, attraverso l’analisi di un abbondante materiale inedito stralciato dal curatore. Il contributo permette dunque di comprendere quali siano le strategie discorsive messe in atto dallo scrittore-testimone al fine di rendere dicibile l’evento traumatico e analizza lo scarto tra il valore della testimonianza e la sua sublimazione nella scrittura narrativa.
30In un altro perfettto modello di scrittura autobiografica, La ritirata del Friuli di Ardengo Sofffici, Maria Pia De Paulis analizza il trauma caporettiano tra scrittura di sé e scrittura della Storia. Soffici registra in presa diretta lo spostamento obbligato da un Comando all’altro durante la confusa ritirata. Soldato-scrittore cosciente, ma alienato dall’irrompere dell’evento traumatico, Soffici traduce in scrittura un episodio la cui portata soggettiva si innesta nella dimensione collettiva. Il contributo pone sapientemente al centro della problematica la questione fondamentale di come la scrittura franta di un soggetto immerso in una situazione di disorganizzazione psichica riesca a dire l’esperienza traumatica attraverso una costruzione letteraria più ampia, coerente con le premesse artistiche ed ideologiche dell’intellettuale interventista. In tale prospettiva, il contributo invita ad interrogarsi su come lo schock della ritirata trovi nelle assise ideologiche nazionaliste e interventiste di Soffici una forma di resilienza, dunque un possibile superamento del trauma.
31Nel penultimo contributo della sezione, Guido Alliney propone uno studio articolato su uno dei più significativi autori della memorialistica caporettiana: Antonio Pirazzoli. Nella testimonianza La battaglia di Caporetto nelle impressioni di uno che c’era, edita nel 1919, Pirazzoli ricorda la sua esperienza della battaglia sul monte Mrzli, uno dei pilastri per il controllo della valle dell’Isonzo fra Caporetto e Tolmino. Il contributo indaga una particolare lettura della disfatta, distinguendo le responsabilità dei comandanti dalla fedeltà dei soldati e degli ufficiali subalterni, uniti nella dura vita di trincea e solidali nei combattimenti del 24 ottobre. In tal senso, Caporetto viene letto come un episodio della storia d’Italia che rivela la meschinità delle classi egemoni; ma, nello stesso tempo, mostra anche la falsità dell’interpretazione della sconfitta da parte della sinistra marxista, che la vuole intendere come generata dal malcontento delle masse popolari.
32Chiude la sezione il contributo di Alfredo Luzi su Mario Puccini, ufficiale combattente nella Prima guerra mondiale, autore di un importante trittico di guerra. L’Autore si focalizza su Caporetto, racconto di un odissiaco peregrinare dal Carso al Piave che dà la voce ai più umili, ovvero ai soldati, ai contadini, agli abitanti del Friuli e del Veneto, che vivono l’evento traumatico della sconfitta tra disperazione e speranza e che sono costretti ad obbedire, anche quando mossi da un profondo desiderio di pace. Il contributo offre dunque la lucida e poetica analisi di un’opera di testimonianza storica e letteraria dall’alto valore etico.
33L’ultima sezione di questo volume collettivo esplora la spinosa questione della memoria dell’evento, delle sue violazioni e possibili rappresentazioni iconografiche e artistiche.
34Antonella Mauri concentra il suo studio sulla rappresentazione del mutilato prima e dopo Caporetto. La rappresentazione del soldato italiano, che prima della disfatta viene raffigurato in modo spensierato ed eroico, subisce una considerevole trasformazione dopo questa data. Il contributo mostra, grazie allo spoglio di un abbondante materiale d’archivio che spazia dalla pubblicistica ai testi di costume, come da Caporetto in poi la vulnerabilità del soldato venga mostrata in tutta la sua crudezza, attraverso rappresentazioni che raccontano l’orrore della guerra. Nel dopoguerra l’immagine del soldato umiliato e offeso diverrà l’emblema dell’ingiustizia subìta, e il fascismo non tarderà a sfruttarla a scopi propagandistici.
35Nel penultimo contributo, Monica Biasiolo affronta la dolorosa questione del prezzo pagato dalle donne durante l’ottobre-novembre 1917. Le violenze di cui esse furono vittime si consumarono nelle zone del Friuli e del Veneto orientale che divennero i terribili scenari di un trauma individuale e collettivo. Il trauma di Caporetto viene qui attentamente studiato nella prospettiva della violenza di genere attraverso il resoconto di alcune testimonianze, come quella di Mons. Valentino Liva o dello scrittore-testimone Angelo Gatti.
36Infine chiude il volume, su una nota più alata e leggera, il contributo di Walter Zidarič sugli echi della sconfitta nella musica italiana. L’Autore verifica e approfondisce in che modo le vicende della Prima guerra mondiale, e della battaglia di Caporetto nella fattispecie, abbiano avuto un riflesso nella musica italiana attraverso l’analisi di brani musicali del periodo 1917-18, tra cui, ad esempio, Il diciotto novembre o Addio, Venezia addio (1917-1918), La canzone del Grappa (1918), La canzone del Piave (1918). Il contributo esamina altresì in che modo musicisti e parolieri abbiano partecipato, direttamente e/o indirettamente, al dibattito suscitato dal trauma della sconfitta di Caporetto e come la musica abbia contribuito ad una forma di resilienza.
37Attraverso approcci originali e metodi di ricerca innovativi, il volume ha permesso di verificare ipotesi e di aprire nuove prospettive di ricerca nell’obiettivo ultimo di sottrarre definitivamente Caporetto al proprio mito, restituendolo alla storia, alla cultura e alla memoria nazionali.
Notes de bas de page
1 Cfr. http://www.univ-paris3.fr/dire-les-traumatismes-du-xxe-siecle-de-l-experience-a-lacreation-litteraire-et-artistique-italienne--474204.kjsp?RH=ACCUEIL
2 In Francia, nell’ambito del progetto interuniversitario Les Italiens et la Grande Guerre 1915-1918/2015-2018 che ha riunito gli italianisti di tre Atenei, Stefano Magni ha organizzato all’Università Aix-Marseille dal 12 al 14 novembre 2015 il primo convegno: De la guerre des idées à la guerre des hommes, i cui atti sono in corso di stampa.
3 Manuela Bertone e Barbara Meazzi hanno organizzato all’Università di Nice Sophia Antipolis il 24 e il 25 novembre 2016 il secondo convegno del progetto interuniversitario: L’Autre front/Il fronte interno: le conflit sans combats dans les villes italiennes de l’arrière, i cui atti sono in corso di stampa.
4 Tra le numerose pubblicazioni, cfr. Angelo d’Orsi, 1917. L’anno della rivoluzione, Bari-Roma, Laterza, 2016.
5 Nell’ambito del progetto interuniversitario menzionato, l’8 e il 9 novembre 2018 Maria Pia De Paulis e Francesca Belviso organizzano all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3, con la collaborazione di Angelo d’Orsi, direttore della rivista «Historia Magistra», il terzo convegno: 1918-2018: cent ans de la Grande Guerre en Italie.
6 Come ricorda giustamente Nicola Labanca, Caporetto «stava e sta in terra slovena» e, a rigor di logica, bisognerebbe parlare di Kobarid. Nelle carte austro-ungariche della Grande Guerra, il toponimo si chiamava Karfreit. Il termine italiano di Caporetto passò anche in inglese e in francese. Nicola Labanca, Caporetto. Storia e memoria di una disfatta, Bologna, il Mulino, 2017, p. 203.
7 In esso Cadorna denunciava: «La mancata resistenza di reparti della 2a Armata, vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-ungariche di rompere la nostra ala sinistra sulla fronte giulia...». Cfr. Mario Silvestri, Caporetto. Una battaglia e un enigma, prefazione di Sergio Romano, Milano, RCS Libri, coll. BUR, 2003, p. 199.
8 Per la ricostruzione del processo grazie a documenti inediti, cfr. Luca Falsini, Processo a Caporetto. I documenti inediti della disfatta, prefazione di Angelo Ventrone, Roma, Donzelli Editore, 2017.
9 Si legga il capitolo «Cento anni di pubblicazioni», in Nicola Labanca, Caporetto. Storia e memoria di una disfatta, cit., pp. 161-191.
10 Mario Isnenghi, I vinti di Caporetto nella letteratura di guerra, Venezia, Marsilio, 1967; Id., Il mito della grande Guerra, Roma-Bari, Laterza, 1970.
11 Enzo Forcella e Alberto Monticone, Plotone di esecuzione. I processi della Prima guerra mondiale, Roma-Bari, Laterza, 1968.
12 Nicola Labanca, Caporetto. Storia di una disfatta, Firenze, Giunti, 1997.
13 Mario Isnenghi e Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, Milano, La Nuova Italia – RCS Libri, 2000.
14 Cfr. Cesare De Simone, L’Isonzo mormorava. Fanti e generali a Caporetto, Milano, Mursia, 2005; Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la Grande Guerra, Roma-Bari, Laterza, 2006; Lorenzo Del Boca, Grande guerra piccoli generali. Una cronaca feroce della Prima guerra mondiale, Torino, UTET Libreria, 2007; Orio Di Brazzano, Caporetto. I luoghi della Grande Guerra sull’Isonzo raccontano la XII battaglia, Chiari (Bs), Nordpress Edizioni, 2007.
15 Ci limitiamo a citare, oltre al lavoro di Nicola Labanca, quello di Luca Falsini, Processo a Caporetto. I documenti inediti della disfatta, cit., e di Alessandro Barbero, Caporetto, Roma-Bari, Laterza, 2017.
16 Thierry Bokanowski, Du traumatisme au trauma. Les déclinaisons cliniques du traumatisme en psychanalyse, in «Psychologie clinique et projective», n. 16, 2010/1, pp. 9-27, ora in https://0-www-cairn-info.catalogue.libraries.london.ac.uk/revue-psychologie-clinique-et-projective-2010-1-page-9.htm. Traduzione nostra.
17 Si pensi al V° Congresso internazionale di Budapest che nel settembre 1918 affronta la questione della psicoanalisi delle nevrosi di guerra Cfr. https://www.spiweb.it/dossier/dossier-psicoanalisi-e-guerre-gennaio-2014/ la-psicoanalisi-delle-nevrosi-e-delle-psicosi di-guerra-congresso-di-budapest/ pagina consultata il 9 aprile 2018. I risultati dei lavori di Karl Abraham e Sándor Ferenczi sono raccolti nel volumetto (introdotto da Sigmund Freud) Psicoanalisi delle nevrosi di guerra (edizione originaria Zur Psychoanalyse der Kriegsneurosen, Diskussion gehalten auf dem V Internationalen Psychoanalytischen Kongress in Budapest, 28 und 29 September 1918, Leipzig und Wien 1919).
18 Si veda Jane Robinett, The narrative shape of traumatic experience, in «Literature and Medicine», n. 26, fasc. 2, 2007, pp. 1-28, ora in http://www.academia.edu/8567825/The_Narrative_Shape_of_Traumatic_Experience.
19 Cfr. Cathy Caruth, Unclaimed experience. Trauma, Narrative, and History, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 1996.
20 Patrizia Violi, Paesaggi della memoria. Il trauma, lo spazio, la storia, Milano, Bompiani, 2014, p. 35.
Auteurs
Docente di lingua e cultura italiana all’U-niversità di Picardie Jules Verne (Amiens) e membro del centro ricerca CIRCE dell’Université Sorbonne Nouvelle-Paris 3. Specialista dei gruppi intellettuali e dei movimenti culturali europei della prima metà del Novecento, ha pubblicato numerosi saggi. Curatrice dell’edizione critica del Taccuino segreto di Cesare Pavese (Aragno, 2018), ha pubblicato il volume Amor fati. Pavese all’ombra di Nietzsche (Aragno, 2015).
Professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea all’Università Sorbonne Nouvelle-Paris 3. I suoi lavori più importanti vertono sul periodo della Grande Guerra. Tra le pubblicazioni più recenti, si annoverano i volumi: Curzio Malaparte. Esperienza e scrittura («Chroniques italiennes», 1/2018) e il Cahier Malaparte (Éditions de l’Herne, 2018).
Maître de conférences/HDR all’U-niversità Grenoble-Alpes. Ultime pubblicazioni: La France et l’Italie, histoire de deux nations soeurs con Gilles Bertrand e Jean-Yves Frétigné (Armand Colin, 2016); Il Ritratto e il Potere, immagini della politica in Francia e in Italia nel Novecento, a cura di Luciano Cheles e Alessandro Giacone (Pacini, 2017).
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