1. L’Archivio dei fantasmi
p. 3-8
Texte intégral
1.1
1Verba volant, scripta manent, dicevano i latini, e il motto è rimasto a significare l’opportunità di scrivere, di mettere nero su bianco, quando si prendono impegni o si fanno accordi, a evitare brutte sorprese. Prendendo dunque il motto nella sua accezione prosaicamente notarile, si dovrebbe concludere che, al contrario, si dà poesia (almeno dal momento in cui viene superata la fase della sua diffusione esclusivamente orale) solo quando scripta volant. In origine, però, pare che il significato fosse diverso, con riflessi anche sulla poesia: dirla, ascoltarla recitata da una o più voci, voleva dire viverla, quindi sentirla, molto più che leggerla in silenzio (operazione del resto riservata a pochi) scritta su documenti polverosi. Insomma le parole della poesia sono tali solo se, anche scritte, volano.
1.2
2Questo oggi non può più significare, però, che debbano essere parole alate. Se c’è una cosa che abbiamo imparato, è che non possiamo fare a meno del peso corporeo delle parole, della loro sostanza non solo fonica e musicale, del loro spessore esistenziale. Verba volant, ma anche manent, nel senso che corrono sempre il rischio di cadere, di precipitare, di scomparire nell’abisso del non-senso: volo goffo, frenato da mille pesi, materiali, psicologici, politici, metaforici. La poesia di un’umanità invecchiata non può essere uguale a quella di un’umanità giovane.
1.3
3È quasi inevitabile, oggi, che un poeta, uno scrittore (si pensi a Pasolini) sia tentato di trasformare le parole in corpi e volumi, di utilizzare direttamente, cioè, “la lingua scritta della realtà”. L’umanità ha scoperto solo da poco più d’un secolo la fotografia, poi le immagini in movimento, e la possibilità di fornire loro colore, voce, illusione di volume, cioè, credendo di fare del realismo, ha perfezionato la tecnica per produrre spettri. Oggi il repertorio spettrale è vastissimo, la schiera degli spettri si aggiunge a quella dei viventi e a quella dei morti, affolla la nostra memoria di ricordi immaginari.
1.4
4Gli spettri cinematografici (come ha già notato Derrida) non sono vivi, anche se hanno, come i virus, alcune caratteristiche della vita, soprattutto non hanno autonomia, legati come sono all’eterna ripetizione degli stessi gesti e comportamenti (quelli tenuti una volta sul set o comunque durante le riprese). Vediamo attori e attrici scomparsi da tempo, persone defunte, luoghi e oggetti distrutti o profondamente modificati; oppure esseri ancora viventi, soggetti che potremmo incontrare là fuori, appena usciti dal cinema, ma che certo non sono lì, sullo schermo, nel momento in cui li vediamo: soggetti che hanno ceduto la propria immagine, accettando che sia separata dai loro corpi, che divenga piatta e bidimensionale. Sarà per questo che, a quanto si dice, Sarah Bernhardt pianse a vedersi per la prima volta sullo schermo. Sarà per questo che Artaud, dopo gli iniziali entusiasmi, aveva finito per odiare il cinema. Eppure quelle immagini spettrali sono in grado di veicolare una sorta di quintessenza. Non proclamano tanto l’assenza del corpo vero, quanto la pretesa di rappresentare la verità del corpo, la sua essenza, la sua anima, se così si può dire.
1.5
5Il mondo ha smesso da tempo di credere all’esistenza dell’anima, anche quando finge di crederci ancora. L’unica nostra realtà è quella del Corpo, ma il cinema ci mostra che il Corpo è sempre almeno doppio; la sua immagine parlante e in movimento è forse l’equivalente, nell’era della tecnica, di ciò che i nostri padri chiamavano Anima, cui l’arte tradizionale (per esempio il ritratto, nella pittura) poteva solo accennare. Anime (non solo quindi quelle dei cartoons giapponesi) uguale Ombre, Spettri, Fantasmi, uguale Immagini parlanti in movimento.
1.6
6Dunque l’invenzione del cinema ha reso tangibile l’esistenza degli Spettri, con i quali ormai l’umanità si trova necessariamente a dover fare i conti. Ci sono i vivi, ci sono i morti, e ci sono i fantasmi cinematografici, che anticipano comunque, in quanto loro illusori sostituti, anche la scomparsa dei vivi e assieme assicurano la sopravvivenza della loro memoria, registrandoli nel grande Archivio degli Assenti.
7L’Archivio degli Assenti non è un cimitero, né una raccolta di certificati di morte; non si limita a registrare/ricordare nomi, storie e foto, ma ripropone alcuni momenti della vita di ognuno, peraltro senza più possibilità di variazioni. Nel filmino familiare, mia madre mi saluterà sempre quel giorno, a quell’ora, allo stesso modo, con lo stesso lieve sorriso. Nel block-buster hollywoodiano vedrò il mio attore preferito affrontare sempre le stesse mirabolanti peripezie. Infine ora, nell’era elettronica, ho la possibilità di imbattermi in Fantasmi di Fantasmi, spettri di cose che non hanno mai avuto reale esistenza e che non esisterebbero al di fuori di questa loro spettralità.
1.7
8Non si potrebbe dire che, per fare un esempio, un appassionato lettore di romanzi abbia anche lui a che fare con gli Spettri, in questo caso letterari? In parte si, ma sarebbero allora spettri metaforici, prodotti della mente, pure immaginazioni. A spettri di questo genere manca il requisito della concretezza, o meglio, a essi non serve. Per tutto Moby Dick (il romanzo), Melville ci dice che al capitano Achab manca una gamba (sostituita da una di legno), strappatagli dal Mostro bianco, ma non ci dice mai quale: la destra o la sinistra? Non c’è nessun bisogno di saperlo, e al lettore non importa. Invece, quando John Huston ha girato il film, ha dovuto per forza decidere quale fosse la gamba mancante di Gregory Peck ( e provvedere al relativo trucco).
9E un autore, un regista, uno spettatore di teatro? Costoro non avrebbero mai a che fare con veri Spettri, in quanto si troverebbero di fronte Corpi, in tutto il loro spessore, in tutta la loro concretezza – o avrebbero a che fare, al massimo, con i Fantasmi, ancora di tipo letterario, i Personaggi. Dunque avrebbero a che fare con Fantasmi troppo concreti, per aspirare pienamente a essere qualificati come tali. In questo senso, il Teatro vive proprio della tensione tra Testo e Corpi, a meno che non decida di fregarsene, del Testo (era il caso di Carmelo Bene).
1.8
10La prima metamorfosi operata dal cinema è quella di trasformare i corpi in spettri senza volume, capaci di riapparire anche dopo la propria morte e condannati a ripetere sempre gli stessi gesti.
11Torniamo dunque a chiederci: cos’è il cinema? O più modestamente: cosa rappresenta, oggi, per noi?
12A mano a mano che aumentano gli anni dell’invenzione cinematografica (ormai sono ben oltre i cento), mi pare diventi sempre più evidente la sua principale funzione. Il cinema è un dispositivo di conservazione di tracce corporali di corpi scomparsi, cioè di fantasmi, che è possibile risvegliare a comando (a ogni proiezione), con un solo limite: quello dell’eterna ripetizione del medesimo.
13È la parata dei fantasmi di cui parla Derrida, fantasmi che tuttavia ci sembrano corpi veri, vere riproduzioni di quei corpi che un tempo agirono sul set, perfino quando appaiono nel più spettrale bianco e nero (anzi, allora forse di più) – salvo il fatto che sono condannati a ripetere (lo ribadiamo) sempre gli stessi gesti, quelli fissati una volta per sempre nelle varie fasi delle riprese e della lavorazione. Naturalmente un film si può manipolare, accelerare, rallentare, proiettare all’indietro ecc., ma il discorso non cambia.
14È questa, poi, la distinzione tra fantasmi “reali” (o meglio, descritti come tali per esempio in un romanzo) e i fantasmi cinematografici – che i primi sono imprevedibili, non si sa mai cosa faranno o diranno, i secondi no – i secondi ripetono sempre gli stessi gesti, pronunciano (se parlano) sempre le stesse parole, che potremmo addirittura imparare a memoria (alcuni cinefili lo fanno).
1.9
15Ci sono, allora, possibilità di variazioni?
16Malgrado tutto, penso di si. Non voglio dire solo che il gesto può essere modificato (entro certi limiti) da chi decida per esempio di fare un film manipolando uno o più film esistenti (secondo le modalità godardiane o quelle esaminate da Marco Senaldi in Doppio sguardo), anche se il gesto rimane identico, può essere interpretato in mille modi differenti durante mille visioni che si susseguano. Può. Da che dipende? Dalla pregnanza del gesto, dalla sua “verità”. Un gesto è “vero”, quando ha la capacità di aprirsi, restando identico (riprodotto meccanicamente), a una quantità di possibili interpretazioni. Insomma, anche fissato per sempre, il gesto vero proietta qualcosa oltre se stesso.
17Se questa non è una specie di resurrezione, una sorta di sempiterna vitalità o di sopravvivenza, cosa lo è?
18Ben pochi, certo, saranno disposti ad ammettere che il cinema, considerato per eccellenza industria del divertimento, in realtà ci racconta la morte. Ciò dipende dal fatto che esso, tramite l’illusione di realtà e la funzione narrativa, fa di tutto per nascondere questa sua natura, e che comunque non ci racconta la morte se non come qualcosa da cui sempre si ritorna; almeno, tornano i simulacri dei Corpi, parlanti e semoventi, prendendo definitivamente il posto di quelle che un tempo si chiamavano Anime. L’Anima non è che l’ombra registrata del Corpo, non immortale, ma destinata a durare, come tutto, almeno finché dura il supporto di registrazione.
1.10
19Bisognerà dunque ammettere che ogni Corpo ha un’Anima, meccanica o elettronica che sia, destinata a sopravvivergli per un tempo più o meno lungo, ma non ogni Corpo merita di avere un’Anima, né ogni Anima merita di avere un Corpo. C’è una drastica selezione dei Corpi e una altrettanto drastica selezione delle Anime, a decidere della loro durata e rilevanza, ossia del posto più o meno privilegiato, più o meno importante, a loro riservato nel complesso del Grande Archivio, e della frequenza con la quale ogni tanto ne vengono estratti. Le grandi Star, le Dive, i Divi, in questo, hanno gioco facile? Non è affatto detto, anzi: spesso la verità emerge dai corpi di sconosciuti, da ciò che usiamo chiamare “nuda vita”.
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