L’eretica ortodossia: Pietro Ingrao
p. 167-181
Texte intégral
1Nei mesi scorsi, anche per via prima del giubileo in occasione dei suoi cento anni e poi della sua scomparsa, si è accentuata l’attenzione sulla figura di Pietro Ingrao e su quello che egli ha rappresentato nella storia del movimento operaio italiano1. Molte sono le definizioni attraverso le quali si è cercato di racchiudere il senso e le peculiarità di una traiettoria politica e intellettuale sviluppatasi nel corso di una vita lunga e a suo modo straordinaria. «Eretico disciplinatissimo»2, «eterno sconfitto con la schiena dritta»3, «acchiappa nuvole astratto e inconcludente»4, «comunista eretico senza scisma»5, «uomo delle occasioni mancate»6, «perdente di successo»7, «comunista italiano di scuola togliattiana»8. Molte di queste definizioni, formulate da uomini politici che lo hanno conosciuto da vicino o da studiosi di varia provenienza e ispirazione politica, manifestano nei confronti di Ingrao allo stesso tempo stima e quasi rincrescimento. Stima per, com’è stato detto, un «comunista colto e gentile»9, protagonista della vita democratica italiana dopo la fine del secondo conflitto mondiale; rincrescimento per quello che da Ingrao ci si attendeva, per la sua politica che talvolta è apparsa come sentiero bruscamente interrotto, pagina incompiuta, progetto sostenuto da analisi di grande respiro eppure di poca praticità o addirittura intraducibile sul piano tattico e della politica politicante. Scopo di questo scritto non è redigere un bilancio della vicenda politica di Ingrao ma cogliere le affinità tra la sua attività di dirigente del partito comunista più forte d’Occidente e quelle correnti, in particolare la sinistra ingraiana, che in qualche modo anticiperanno o saranno protagoniste del ’68 in quel lasso di tempo che va dalla metà degli anni Cinquanta alla fine dei Sessanta del secolo scorso. Formulare un bilancio sull’“Ingrao storico” sarebbe in ogni caso compito nient’affatto agevole tenuto conto che la pubblicazione delle sue Carte10 solo ultimamente sta vedendo meritoriamente la luce in forma ragionata e, a parte qualche testo commemorativo, storiograficamente rilevante.
2Al fine di analizzare le affinità tra Ingrao e i movimenti che sfoceranno nel ’68 e che saranno artefici di un’aperta contestazione della linea del partito, cui Ingrao legherà fino all’ultimo le sue sorti personali e il successo della sua prospettiva politica, si sono presi in esame alcuni suoi interventi parlamentari, ai congressi del PCI e su alcune riviste in occasione di avvenimenti particolarmente significativi per quella che può essere definita, parafrasando il titolo di un suo celebre articolo, la parte della barricata dalla quale aveva deciso di stare. L’esame di questi testi ci consegna almeno, per così dire, due Pietro Ingrao o se non altro ci aiuta a distinguere due fasi della sua elaborazione politica dal 1956 al 1968: la prima, nella quale egli è, parafrasando Mario Tronti, un comunista italiano di inequivolcabile scuola togliattiana, una seconda, a partire dalla fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, in cui la sua lettura delle novità prodotte dalla trasformazione capitalistica lo spingono a rivedere i rapporti tra democrazia e socialismo secondo un’elaborazione che non coincide con quella della maggioranza del partito e nemmeno, in un senso più lato, con i modi attraverso i quali il PCI rappresentava al suo interno l’organizzazione del dissenso e la composizione delle divergenze.
3Nella sua fase di comunista di scuola togliattiana Ingrao è conseguente sostenitore della via italiana al socialismo elaborata dal Migliore, vale a dire di una strategia che derivava la sua plausibilità da una lettura originale delle caratteristiche del capitalismo nazionale e del ruolo delle istituzioni democratiche nella costruzione dell’egemonia comunista e il passaggio al socialismo. L’Italia per Togliatti è un paese arretrato in cui, come afferma Reichlin, il compito fondamentale dei comunisti «è quello di risolvere le grandi “questioni” storiche: il Mezzogiorno, la questione agraria, il rapporto con il Vaticano»11. La politica dei comunisti avrebbe dovuto far superare al Paese i guasti di un capitalismo in ritardo rispetto ad altre realtà europee attraverso l’allargamento della democrazia e l’unità della nazione. Unità nazionale e democrazia, fra loro strettamente legate, rappresentano, come afferma lo stesso Ingrao, forse le parole d’ordine che meglio riassumono la “novità” della politica del PCI di quegli anni. L’unità nazionale si doveva realizzare attraverso la rappresentanza parlamentare e la politica di riforme strutturali sostenute dai comunisti. L’allargamento della democrazia, lo scontro di classe in nome della legge, per dirla sempre con Ingrao (Ingrao 2006, p. 179), avrebbe dovuto rafforzare la centralità del Parlamento e rendere efficiente l’attività di governo a favore di un superamento delle divisioni, quella tra Nord e Sud del Paese innanzitutto, che l’arretrato capitalismo nazionale aveva prodotto e, per molti versi, rispecchiava. Democrazia e unità nazionale costituiscono, in questo senso, i punti di forza di una strategia più vasta e di una scelta di campo significativa da almeno due punti di vista: da una parte, compito del PCI è modernizzare lo Stato attraverso le strutture politiche di matrice borghese, dall’altra l’internazionalismo del PCI assume una connotazione, si potrebbe quasi sostenere, paradossalmente nazionale. In un intervento alla Camera del 1962 Ingrao afferma: «Lo so: questo partito comunista che è democratico e nazionale essendo marxista e internazionalista, anzi proprio in quanto tale, rompe uno schema di comodo»12. Il processo di rottura dello schema di comodo da parte del PCI incontra un primo, serio ostacolo alla sua realizzazione nella repressione delle rivolte a Poznan´ in Polonia e poi in Ungheria nel 1956. La lotta per l’allargamento della democrazia stride con la repressione o, per tornare alle categorie togliattiane, la rivendicazione di maggiore democrazia in patria appare in contrasto, in quel 1956, con la scelta internazionalistica e a favore dell’URSS. Ingrao starà, com’è noto, da una parte della barricata dichiarando che: «si doveva respingere ed è stato respinto un attacco controrivoluzionario»13. Nella sua biografia del 2006 definirà quella scelta «l’errore più grave della mia vita politica» (Ingrao 2007, p. 249) non sciogliendo il dubbio se sarebbe stato opportuno in quell’occasione levare la sua voce di dissenso oppure, come avvenne, salvaguardare innanzitutto l’unità del partito e, come afferma in Masse e potere del 1977, «controllare e “governare” la riflessione critica sul passato» (Ingrao 1977, p. 133).
4L’ortodossia di Ingrao rispetto alla linea del partito è in questa fase inequivocabile e si rafforzerà dopo il terremoto del XX Congresso del PCUS e la famosa intervista a Nuovi argomenti di Togliatti nella quale il segretario comunista mette in discussione, come rileva lo stesso Ingrao, «una concezione dell’internazionalismo fondata sui principi di uno Stato-guida e di un partito guida, una visione “monolitica” del campo socialista e della transizione al socialismo, riportata in pratica a un solo “modello”14».
5La rottura con un certo integralismo internazionalista da parte di Togliatti creava le basi per rafforzare la linea democratica del partito anche a livello internazionale. Nonostante il giudizio del Migliore sull’URSS e lo stalinismo non poteva essere di aperta critica, giacché non avrebbe tenuto conto del “tempo del ferro e del fuoco” nella costruzione del socialismo in quel Paese, a livello internazionale l’apertura nei confronti delle rivoluzioni non guidate da comunisti e l’approfondimento dei rapporti tra democrazia e socialismo nelle vie nazionali costituivano un fatto nuovo e allo stesso tempo, si sarebbe portati ad affermare, tutto quello che ci si poteva aspettare dal leader comunista in difficoltà e impegnato a difendere il prestigio del Paese guida, l’unità del partito e, parafrasando Ingrao, governare la riflessione critica su quel che era appena successo. L’allargamento della democrazia, la via nazionale al socialismo e la sostanziale fedeltà all’URSS costituiscono i punti fondamentali di una linea rispetto alla quale Ingrao rimane coerente. In un suo intervento alla Camera dei Deputati, del 30 luglio 195715 annuncia il voto contrario del gruppo comunista all’approvazione della ratifica dei Trattati di Roma del precedente 25 marzo. Ingrao dichiara il voto contrario per tre ordini di motivi: la difesa della Costituzione, in particolare del precetto costituzionale che attribuisce allo Stato il ruolo di controllo ovvero di sostanziale sovranità della legge nazionale in materia economica (art.41); la critica al capitalismo italiano, ritenuto poco competitivo nei confronti di quelli d’oltralpe per cui la ratifica di un trattato con paesi economicamente più forti finirebbe, in ultima analisi, per non far l’interesse della nazione; la fedeltà all’equilibrio geopolitico internazionale uscito dalla «piattaforma di Yalta e di Postdam»16.
6La lotta politica portata avanti nei confini stabiliti dalla Costituzione e, si potrebbe dire, fin dentro la Costituzione; l’idea di un capitalismo italiano in ritardo rispetto alle economie dei Paesi soci fondatori dell’attuale Unione Europea, la rivendicazione dell’equilibrio postbellico quale perimetro dal quale non uscire nei rapporti diplomatici internazionali costituiscono le basi ideologiche di un intervento parlamentare coerente con le linee fondamentali del togliattismo su una questione delicata e d’ingente valore simbolico in cui si sommano considerazioni di politica estera e interna. Il voto contrario del gruppo parlamentare comunista e le parole di Ingrao rilevano nondimeno una difficoltà nella strategia complessiva del PCI, generata dal consenso diffuso ai Trattati di Roma, che assegna al PCI un ruolo di minoritaria e pressoché isolata opposizione e determina il suo progressivo allontanamento dalle forze con le quali aveva contribuito a scrivere la Costituzione e fondare le istituzioni repubblicane. L’isolamento del PCI all’opposizione, anche in ragione degli sviluppi della politica estera e, per così dire, dell’occidentalizzazione del quadro politico, costituiscono un colpo di notevole intensità alla strategia comunista e al suo tentativo di andare oltre il riformismo e il rivoluzionarismo nella realizzazione della democrazia progressiva. La rottura dello schema di comodo che il “partito nuovo” e la via italiana al socialismo avrebbero dovuto realizzare pare conoscere una battuta d’arresto in ragione della preoccupante disaffezione, che Ingrao non manca di denunciare nel corso dei suoi interventi alla Camera verso la metà degli anni Cinquanta, della società nei confronti delle istituzioni rappresentative e di governo tale da rappresentare un’involuzione della democrazia nel suo complesso e uno scollamento della società civile nei confronti dello Stato. In un contesto di progressivo isolamento all’opposizione e di disaffezione nei confronti delle istituzioni democratiche da parte della società civile, la costruzione dell’unità nazionale attraverso la democrazia e la conseguente egemonia dei comunisti paiono obiettivi tutt’altro che a portata di mano. Nel periodo che va dalla bocciatura della “legge truffa” ai governi Fanfani, Ingrao denuncia in parlamento l’inefficienza dell’azione governativa e la conseguente crisi della rappresentanza che incrina il rapporto tra società civile e Stato sul quale si basava la strategia dei comunisti. Nonostante la crescita in termini numerici ed elettorali, il PCI svolge all’interno delle istituzioni un ruolo drammaticamente in contrasto con l’ambizione di costruire l’egemonia attraverso e nelle istituzioni. Si pensi, ad esempio, alla battaglia portata avanti per la realizzazione di una norma della Costituzione quale quella relativa all’istituzione delle regioni la cui approvazione è ostacolata dalle colazioni che sostengono i governi DC. La mancanza di alternanza al governo rende carica di ambiguità la via italiana al socialismo. Ingrao, almeno nei suoi discorsi al parlamento degli anni Cinquanta, non critica, tuttavia, la mancanza di alternanza ma di partecipazione del PCI alla compagine governativa17. Il problema non sarebbe superare un sistema politico bloccato sul perno di un “partito interclassista conservatore” la cui azione di governo, afferma Ingrao, pone problemi di rappresentanza giacché accentua la divisione tra società civile e Stato (e, si potrebbe aggiungere tra costituzione formale e materiale) ma respingere la conventio ad excludendum avviata con De Gasperi invocando, come nel caso dell’IX Congresso del gennaio del 1960, una nuova maggioranza di governo.
7Alla fine degli anni Cinquanta maturano nel PCI nuove interpretazioni del capitalismo italiano da cui scaturiscono diverse e per certi versi alternative considerazioni circa il ruolo del partito nelle istituzioni rappresentative e nella società, la politica delle alleanze e, in più in generale, le strade che dovrebbero portare all’attuazione del socialismo. Si parlò, come nel caso di Amendola, di modernizzazione capitalistica, riforme di struttura e programmazione democratica e, come nel caso di Ingrao, delle contraddizioni che lo sviluppo economico e le nuove forme di accumulazione capitalistica portavano con sé che dovevano essere superate da una non ben precisata coalizione di forze che avrebbe dovuto allargare le basi della democrazia diretta. Entrambe le correnti o frazioni, quella ingraiana e quella amendoliana, che avrebbero animato la dialettica interna al PCI fino al 1966, non mettevano in discussione il centralismo democratico. Fu proprio Amendola ad affermare nel corso del IX Congresso che: «Se un compagno ha torto, se esprime il suo dissenso, bisogna convincerlo e aiutarlo a trovare la via giusta; certo se il dissenso è generale, il suo posto non è in un organo di direzione politica» (Garzia 1985, p. 12). Alle osservazioni di Amendola che sostanzialmente non ammettevano a vertici del partito la presenza di eresie e malcelate «reticenze, silenzi e doppiezze», non seguirono prese di distanza o contestazioni da parte di chi aveva cominciato a intravedere nel ruolo dei movimenti, dei gruppi innovatori che nascevano sotto l’ala protettrice del partito una chance per lo sviluppo del movimento operaio, per l’uscita dall’empasse del PCI e per il superamento degli effetti drammaticamente negativi della modernizzazione capitalistica. Quei gruppi composti soprattutto da giovani che animeranno la stagione della contestazione e della ricerca di strade alternative alla linea ufficiale del partito vedevano in Pietro Ingrao un punto di riferimento. L’ingraismo o sinistra comunista, con tutte le contraddizioni che cercheremo di descrivere fra poco, nasce allora. «La sinistra comunista – afferma Luciano Magri – si è venuta costruendo come forza politica molto in ritardo, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Ma la rapidità del suo sviluppo (in tre-quattro anni, dal ’60 al’64, diventa rilevante all’interno del partito e il centro di un di un battito della sinistra) dimostra che essa nasceva su un terreno già lungamente fecondato da una tradizione» (Garzia 1985, p. 13). La tradizione cui fa cenno Magri risale all’interpretazione del pensiero di Gramsci datane da Togliatti e alla definizione del ruolo del PCI nel quadro politico uscito dalla fine del secondo conflitto bellico mondiale. Le categorie del “Gramsci ufficiale” storicista e gradualista, sarebbero, afferma Magri, «lo svecchiamento della cultura italiana, la lotta al clericalismo, magari in contraddizione con alcune scelte politiche acute come quella del rapporto dei cattolici…» (Garzia 1985, p. 13). Il Gramsci di Togliatti sarebbe, per così dire, consentaneo a una linea politica riducibile allo schema puramente antifascista e all’analisi del capitalismo antecedente alla guerra.
8La sinistra comunista trova in Ingrao molto più di una sponda nell’analisi, per così dire antistoricista, dei testi di Gramsci e del marxismo contemporaneo. Nello studio delle contraddizioni del capitalismo italiano, per usare le parole di Garzia «delle nuove soggettività che si esprimono attraverso la sua contestazione» (Garzia 1985, p. 18). e dei problemi cui il PCI deve dare risposta, Ingrao costituisce un punto di riferimento. Magri rifiuterà tuttavia l’etichetta “ingraismo” affermando nel suo Il sarto di Ulm che: «L’ingraismo fu un’invenzione postuma e il frutto di una stampa che aveva bisogno di semplificazioni, costituì comunque un fatto politico rilevante perché per la prima volta si manifestava in un partito comunista la presenza di una sinistra non dogmatica e non stalinista» (Magri 2009, p. 180).
9Le ricerche e le analisi da parte degli ingraiani, o sinistra comunista, sembrano mandare in soffitta il vecchio storicismo marxista in favore delle acquisizioni teoriche delle scienze sociali, delle ricerche empiriche e delle filosofie, soprattutto d’oltralpe, che in qualche modo gemmavano dall’opera di Marx. Luciana Castellina, ad esempio, scrive: «L’ingraismo non fu solo una battaglia per la democratizzazione del partito, il famoso diritto al dissenso. C’era molto di più: si è trattato del tentativo più serio del pensiero comunista di fare i conti con il capitalismo nei suoi punti più alti, di individuare le nuove, moderne contraddizioni e su queste – più che su quelle antiche dell’Italietta rurale – far leva, non per inseguire “mille rivoli rivendicativi” (per usare l’espressione di allora), ma per costruire un vero modello di sviluppo alternativo»18.
10Rossana Rossanda afferma che per loro, giovani militanti della sinistra PCI, «i dirigenti di partito si dividevano tra quelli che venivano da prima della guerra e quelli che venivano dal presente»19. A questi giovani Ingrao sembrava «venire dal presente», differente dai dirigenti più anziani che avevano conosciuto forme di adesione al partito e di militanza diverse da quelle della generazione successiva. Ingrao stesso affermava, tra il serio e il faceto (e forse con una punta di civetteria), che «il comunismo italiano è così speciale perché oltre che a Mosca ha le sue radici a Hollywood»20. Nelle avanguardie letterarie rinnovatrici, nel cinema e in particolare nelle epopee dei films americani. Le forme del suo apprendistato politico e la sua sensibilità culturale erano discordanti rispetto a quelle di un Togliatti rimasto, parole sue, a Carducci21. Ingrao, in breve, diventava rappresentante di una tensione e di una frattura, anche di tipo generazionale, che doveva sfociare necessariamente nella richiesta di maggiore rappresentanza, nel partito innanzitutto e poi nelle istituzioni. Di fronte alle rivendicazioni dei giovani che interpretavano l’esigenza di cambiamento e di modernizzazione (molti di loro daranno vita al gruppo de “il Manifesto”) Ingrao registra l’arretratezza del Partito Comunista Italiano. Nella sua biografia scrive: «[…] avvertivo nitidamente – nel contatto con il gruppo dirigente di Botteghe Oscure – un ritardo nell’afferrare il nuovo, una debolezza nel cogliere il cambiamento. […] A volte mi sembrava di vedere un partito doppio o triplo, in cui il coraggio della lotta e la capacità di esplorare nuove strade si incorniciavano con l’attaccamento a un catechismo sovietico -per giunta di brutta fattura- che a me, a volte, pareva un residuo moribondo» (Ingrao 2007, p. 215). Ingrao sembrerebbe riportare nella sua biografia la cronaca di una rottura con l’ortodossia comunista, soprattutto quando afferma, che: «Il comunismo togliattiano, la rivolta sociale delle cento città valeva forse a fronteggiare il fordismo che gli Agnelli e i Valletta avevano importato dall’America. Ma diceva ancora poco sui nuovi volti dello scontro sociale a livello dell’Asia e del Sud America, di brandelli dell’Africa» (Ingrao 2007, p. 225). Ingrao sembrava invocare il passaggio dalla democrazia togliattiana a una democrazia progressiva che avrebbe dovuto sfociare nell’elaborazione di un nuovo rapporto tra il partito e quei movimenti che contestavano apertamente lo status quo e il monopolio della DC dal quale derivava la crisi della rappresentanza e lo scacco della strategia comunista. Nel 1966, in un discorso alla Camera, dopo l’assassinio dello studente Paolo Rossi, afferma la necessità di democratizzare l’università ed esprime «una parola di fiducia e ringraziamento» nei confronti delle «forze che hanno occupato l’università» e da cui c’è da «imparare molte cose»22.
11La democrazia progressiva tuttavia non riguardava soltanto l’aspetto istituzionale, al quale Ingrao dedicherà la sua ricerca sui temi dello Stato nella seconda parte della sua vita, ma soprattutto il partito, e l’apertura che doveva avvenire nei confronti delle rivendicazioni dei giovani che diventavano, con il passare del tempo, aperte e minacciose nei confronti del carisma e del monopolio della dottrina ufficiale. Negli scritti e nelle prese di posizione del comunista di scuola togliattiana di questo periodo si sente l’eco delle critiche alle insufficienze e agli irrigidimenti del partito emerse dopo il XX Congresso del PCUS e che egli così ricorda in Masse e potere: «Nella misura in cui questa critica camminava e si diffondeva nelle masse, essa chiamava a operare mutamenti indispensabili. Invece questi mutamenti non venivano, né ci fu un’azione tempestiva per prepararli, per “governarli” a sufficienza: né sul terreno pratico, né sul terreno della dottrina. […] Il dogmatismo dottrinale diventava incapacità a fronteggiare il dibattito e la critica di massa» (Ingrao 1997, pp. 140-41). Le sue considerazioni intorno ai ritardi del PCI, legate a una lettura del capitalismo italiano e della lotta di classe ormai superate, la sua sensibilità, e si potrebbe dire confidenza, nei confronti dei movimenti non divennero, ciononostante, linea politica coerente e alternativa. Anche quando Ingrao definisce la sinistra comunista “frazione” e riconosce, a distanza di decenni, di non avere tirato tutte le conseguenze dallo spirito novatore che essa rappresentava e che aveva condiviso, non pare smarcarsi, mi si perdoni il gioco di parole, dalle “ragioni della ragion di partito”, ossia del primato del PCI e del suo ruolo nelle istituzioni democratiche. La sua “eresia” si esprime esclusivamente nelle frasi celebri dell’XI Congresso nel quale, dopo la critica di Longo di quei «fenomeni di logoramento del costume del partito» Ingrao, criticando «il giudizio errato e calunnioso espresso dai compagni cinesi sull’Unione Sovietica», afferma: «Il compagno Longo ha espresso in modo molto netto le sue critiche e le sue preoccupazioni sulla questione della pubblicità del dibattito. Non sarei sincero se dicessi a voi che sono rimasto persuaso»23. È noto che l’intervento di Ingrao ottenne gli scroscianti applausi della platea dei delegati quasi a significare un’adesione profonda e fino allora repressa, liberata dalle parole, per la verità poche, del leader della sinistra comunista alla richiesta di maggior democrazia. È noto altresì che dopo, le sue vibranti frasi che esprimevano, più che altro, perplessità o attenuato dissenso, la frattura divenne percepibile non soltanto a coloro i quali conoscevano le liturgie e i riti del partito-chiesa. Seguirono sanzioni nei confronti degli ingraiani contro le quali “l’informale capo-frazione” non fece levare pubblicamente la sua voce e non fece valere nelle assise del partito la sua opinione. Rimase fedele ai canoni dell’ortodossia tante volte criticata nella composizione del dissenso. La sua eresia terminava tutto sommato con la chiusura dei lavori dell’XI Congresso e si trattò di un’eresia ben attenta a non mettere in discussione il carisma del partito di avanguardia e di massa come egli più volte lo aveva definito. Valgono in questo senso, le parole di Ingrao proferite un attimo prima del famoso: «Non mi avete persuaso» ovverosia: «E perciò comprendo bene l’invito e il monito di Longo a tutti quanti noi a non ridurre il partito a un club di discussione, a unire sempre la libertà di dibattito all’impegno convinto nell’azione. E ad esso mi sento di aderire senza riserve»24. La fedeltà al partito e al suo segretario rimangono i punti saldi da cui Ingrao non può prescindere. La discussione deve sfociare in proposta politica che rafforza l’unità del partito e il suo ruolo di rappresentante delle masse all’interno delle istituzioni democratiche per mezzo delle quali è possibile, in ultima analisi, realizzare il socialismo. Coerentemente con questa presa di posizione, tuttavia, ci si sarebbe aspettati da Ingrao la presa d’atto della necessità di un confronto duraturo e a viso aperto nel partito sui temi della democrazia interna proprio in ragione della validità che egli attribuiva al libero confronto e alle visioni che avrebbero dovuto favorire un allargamento della rappresentanza. Ingrao, in sostanza, non diede seguito alle indicazioni che egli aveva voluto succintamente esprimere nella sua relazione all’XI Congresso. Non sembra, in altri termini, smarcarsi da un’interpretazione dei rapporti interni al partito, e più in generale tra democrazia e socialismo, che egli definì ossificata e terzinternazionalista (Ingrao 1977, p. 157). L’Ingrao del 1966 rimane fedele a quello del congresso del 1960 nel quale aveva affermato che il partito costituisce la «più alta espressione organizzata della classe operaia, la sua avanguardia politica»25 da cui nessuna lotta, nessuna analisi può prescindere. L’XI Congresso non sciolse, per responsabilità che non sono certamente attribuibili nella loro interezza soltanto a Ingrao, i nodi relativi alla democrazia interna e alla rappresentanza del dissenso.
12L’irregolare ortodossia di Ingrao, o la sua eresia incompiuta, possono costituire una chiave di lettura della vicenda della sinistra nella definizione del rapporto tra democrazia e socialismo e alle sfide aperte dai movimenti su questo terreno. Una tale chiave di lettura può essere sintetizzata, in tre aspetti principali: la salvaguardia dell’unità del partito e della sua centralità nel dibattito a sinistra; la centralità del Parlamento e delle istituzioni democratiche nell’elaborazione della strategia di superamento della società capitalista; la sostanziale unione della centralità del partito a quella del Parlamento da cui deriva l’ambivalenza o impossibilità di prendere posizione, approfondire e dare rappresentanza fino in fondo alle ragioni del dissenso. Si può azzardare la tesi che questo blocco della rappresentanza, che suo malgrado Ingrao probabilmente agevolò, costituisca una delle cause, non l’unica e forse nemmeno la più importante, del nascere e proliferare di quei movimenti di fine anni Sessanta che, non trovando cittadinanza all’interno della sinistra tradizionale e nelle istituzioni, contestarono il carisma e l’unità dei valori della generazione precedente.
13Ingrao rimase fedele alla centralità del partito e fu a fianco di quelle frange che mettevano in discussione il centralismo democratico. Allo stesso modo sostenne il decentramento politico ed economico rispetto allo Stato pur affermando la centralità del Parlamento. Il suo rapporto con le culture di rottura, prima di tutto all’interno del partito, fu ambivalente e non si tradusse in una proposta politica fino in fondo comprensibile. Proprio l’uomo, come egli si autodefinisce nell’ultima parte della sua vita, votato più al cinema e alla poesia che alla politica e autore di definizioni rimaste nell’immaginario comune e nel vocabolario della sinistra, si pensi a “barricata”, “gorgo”, “non mi avete convinto”, “volere la luna”, “essere viventi non umani”, mancarono probabilmente non solo le parole ma anche la forza per definire un’alternativa in un periodo, è necessario ricordare, nel quale le parole pesavano come pietre e le divisioni costituivano una sconfitta di quelle ragioni che ciascuno a suo modo ambiva a rappresentare e rendere concrete.
Bibliographie
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Magri, Lucio (2009), Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, il Saggiatore, Milano.
Vicaretti, Roberto (2015), La certezza del dubbio: Pietro Ingrao raccontato da chi lo ha conosciuto, Imprimatur, Reggio Emilia.
Verbali delle sedute della Camera dei Deputati:
– del 19-12-1952 in: Atti parlamentari, II legislatura, p. 44152.
– del 30-07-1957 in: Atti parlamentari, II legislatura, p. 34801.
– del 10-03-1962 in: Atti parlamentari, III legislatura, p. 28058.
del 18-05-1966 in: Atti parlamentari, IV legislatura, p. 23350.
Notes de bas de page
1 Tra le numerose iniziative per ricordare i cento anni di Ingrao sono da ricordare le celebrazioni organizzate dalla fondazione Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato, tra cui il convegno alla Camera dei Deputati, alla presenza del Presidente della Repubblica, del 31 marzo 2015 dal titolo: «I cento anni di Pietro Ingrao-Perché la politica». Da menzionare altresì il numero speciale de «Il Manifesto» del 30 marzo 2015 dal titolo: La storia di Pietro con interventi, tra gli altri, di Luciana Castellina, Alfredo Reichlin, Guido Liguori. Altrettanto numerose sono state le manifestazioni in ricordo della sua figura, tra i funerali di Stato, dopo la sua scomparsa avvenuta il 27 settembre 2015.
2 Luciana Castellina, nel volume di Roberto Vicaretti che raccoglie le interviste ad alcuni personaggi della politica e del giornalismo che hanno conosciuto da vicino Ingrao, così definisce il leader comunista: «Non era affatto eretico, era il contrario: è sempre stato disciplinatissimo. Ha sviluppato un pensiero diverso, ma per niente eretico. L’eretico è uno che rompe, per lui non è stato così: se ne è andato quando il Partito ormai non c’era più». Vicaretti (2015).
3 R. Barenghi, La schiena dritta di un eterno sconfitto, in «La Stampa», 31 marzo 2015.
4 P. Franchi, I 100 anni di Pietro Ingrao, in «Corriere della sera», 29 marzo 2015.
5 Così lo definisce Fausto Bertinotti in una dichiarazione riportata da Alessandra Longo in Un secolo a sinistra tra politica e famiglia: i 100 anni di Pietro Ingrao, il comunista eretico, in «la Repubblica», 24 marzo 2015.
6 A. Giannuli, I cento anni di Pietro Ingrao, http://www.aldogiannuli.it/i-cento-anni-di-pietro-ingrao/
7 M. Lavia, Cent’anni di Pietro Ingrao perdente di successo, http://www.huffingtonpost.it/2015/03/29/ingrao-cento-anni_n_6963514.html
8 La definizione, molto calzante per i motivi che cercherò di illustrare, è di Mario Tronti espressa nel corso del convegno alla Camera dei deputati sopra menzionato.
9 F. Baratelli, Il secolo di Ingrao, passioni e dubbi di un comunista eretico, http://www.ferraraitalia.it/il-ritratto-il-secolo-di-ingrao-passioni-e-dubbi-di-un-comunista-eretico-40550.html
10 Mi riferisco ai volumi che ne raccolgono gli scritti: Ingrao (2014a).
11 A. Reichlin, Quella rottura che ancora ci interroga, in «il manifesto», 30 marzo 2015.
12 Verbale della seduta della Camera dei Deputati del 10 marzo1962 in: Atti parlamentari, III legislatura, p. 28058.
13 P. Ingrao, Da una parte della barricata a difesa del socialismo, in «l’Unità», 25 ottobre 1956.
14 Ivi, p.157.
15 Verbale della seduta della Camera dei Deputati del 30 luglio 1957 in: Atti parlamentari, II legislatura, p. 34801.
16 Ibidem.
17 Nel corso dei suoi interventi alla Camera Ingrao non manca di polemizzare con la Democrazia Cristiana per l’allontanamento del PCI dall’area di governo. È il caso di un suo discorso in occasione della discussione sull’introduzione della cosiddetta “legge truffa”. Verbale della seduta della Camera dei Deputati del 19 dicembre 1952 in: Atti parlamentari, II legislatura, p. 44152.
18 L. Castellina, Ascoltare e essere ascoltati. È stato il nostro New Deal, in «il manifesto», 30 marzo 2015.
19 Questa dichiarazione compare nel testo di Rossana Rossanda, letto da Maria Luisa Boccia, nel citato convegno alla Camera dei Deputati del 31 marzo 2015, visibile sul seguente sito: https://http://www.youtube.com/watch?v=zeiphAhzsaA.
20 L. Castellina, Ascoltare e essere ascoltati. È stato il nostro New Deal cit.
21 Sulla collaborazione con Togliatti, risalente al periodo in cui Ingrao fu direttore de «l’Unità», scrive: «Si stabilì una confidenza e una consultazione sugli eventi politici quotidiani. E questo, spesso, conduceva a una lettura delle vicende italiane e più largamente del corso che veniva prendendo quel vorticoso dopoguerra […] e frequentemente – con una certa civetteria – anche valutazioni sul gusto, sui modi e sulle figure letterarie, dove io recuperavo una mia autonomia e contestavo bonariamente quella sua formazione che si fermava a Carducci respingendo tutta l’avanguardia e le eresie espressive del nuovo secolo» (Ingrao 2007, p. 307.
22 Verbale della seduta della Camera dei Deputati del 18 maggio1966 in: Atti parlamentari, IV legislatura, p. 23350.
23 P. Ingrao, Intervento al XI Congresso del Pci, in http://www.pietroingrao.it/vitapolitica/congressipietro/116-ingraointerventi.html [17/03/2017: link non funzionante]
24 Ibidem.
25 Ingrao, Intervento al IX Congresso del Pci, in: http://www.pietroingrao.it/vitapolitica/congressipietro/111-ingraointerventi.html [17/03/2017: link non funzionante]

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Aspettando il Sessantotto
Ce livre est cité par
- Guidali, Fabio. (2023) Cultural competition in the Italian Left: Mario Spinella and the beginnings of La scienza nuova book series. History of European Ideas. DOI: 10.1080/01916599.2023.2207180
- Guidali, Fabio. (2020) Culture and political commitment in the non-orthodox Marxist Left: the case of Quaderni piacentini in pre-1968 Italy. History of European Ideas, 46. DOI: 10.1080/01916599.2020.1756892
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