3. La scoperta di Henrik Ibsen e la riorganizzazione del panorama teatrale berlinese
p. 113-149
Texte intégral
3.1. Henrik Ibsen in Germania
1I numerosi teatri presenti nelle città tedesche e francesi rappresentano, tra il XIX e il XX secolo, «i canali obbligati per l’affermazione degli autori nordici sul continente»1. Le opere del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen circolano in Germania fin dal 1876, come testimonia il primo allestimento de I condottieri a Helgeland, il 10 aprile 1876 presso l’Hoftheater di Monaco2. Ibsen, che soggiorna per un lungo periodo a Dresda e a Monaco, è già noto per le creazioni giovanili ancora intrise di toni nordici-arcaici e romantici, conformi allo spirito tedesco del tempo. Il primo dramma a essere tradotto in lingua tedesca, nel febbraio del 1872, è incentrato sul pastore protestante Brand, da cui l’opera prende il titolo (Brand). Sempre nel 1876 si registra una seconda rappresentazione ibseniana, Die Kronprätendenten (I pretendenti della corona). I Meininger, ampiamente attratti dal dramma, decidono di portarlo in scena a Berlino il 3 giugno. La rappresentazione ottiene un grande successo e, secondo la ricostruzione proveniente dalle lettere di Ibsen, viene allestito per «nove sere di fila»3. La critica, tuttavia, non è benevola nei suoi confronti e sulle pagine del “Deutsche Rundschau” si leggono le aspre parole di Karl Frenzel: «Si perde tempo, denaro ed energie a sforzarsi di presentare drammi che, nonostante il loro valore poetico, non potranno mai naturalizzarsi sulle scene tedesche a causa delle loro caratteristiche di fondo che ci sono assolutamente estranee»4. L’autore scandinavo, dunque, si imbatte nelle prime difficoltà.
2Paul Schlenther narra che nel 1878 giungono nella capitale berlinese Die Stützen der Gesellschaft (I pilastri della società) di Ibsen, opera definita dai giovani «avvincente ed illuminante»:
[…] continuavamo a tornare a teatro. Di giorno leggevamo il testo nell’orribile tedesco di Wilhelm Lange; ma né la traduzione arida e priva com’era di poesia, né le anime legnose di quegli attori di periferia potevano qualcosa contro la forza di quel testo poetico. Attraverso quel testo imparammo ad amare Ibsen, ad amarlo per tutta la vita. Posso confermare a nome di molti miei coetanei che sotto l’influsso di quella moderna letteratura della verità, nacque in noi, in un momento decisivo della nostra vita, quella linea stilistica che sarebbe stata decisiva per tutta la nostra esistenza5.
3Ad assistere all’entusiasmante rappresentazione vi è anche Otto Brahm che, a partire da quel momento e con sempre maggiore intensità, consacrerà ogni singolo giorno della sua attività di giornalista e di redattore teatrale alla diffusione della produzione ibseniana. Di quell’indimenticabile giorno allo Stadttheater berlinese sulla Lindenstrasse, egli rivela le impressioni in un saggio postumo del 1904, Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches (Henrik Ibsaen a Berlino. Considerazioni personali e oggettive). Le precise e potenti affermazioni del critico sono: «La prima forte impressione teatrale che ho provato quando ho iniziato a guardare il mondo con i miei occhi, quel mondo teatrale di cui mi interessavo con passione – la prima forte impressione relativa alla produzione di un drammaturgo vivente – mi è stata data da Henrik Ibsen»6. Brahm, insieme all’amico Schlenther, percepiscono in quel testo ibseniano l’essenza di un possibile cambiamento radicale:
Il primo sentore di un nuovo mondo poetico […] [in cui] ci siamo sentiti, per la prima volta, confrontati con persone del nostro tempo in cui potevamo credere, e da una critica teatrale onnicomprensiva del presente abbiamo visto sorgere vittoriosamente gli ideali di libertà e verità come i pilastri della società. Dal momento in cui abbiamo ascoltato questa nuova arte della realtà, la nostra vita estetica ha ricevuto il suo contenuto7.
4A partire dal 1880 i drammi di Ibsen appaiono solo sporadicamente sul territorio tedesco e, nel complesso, registrano un calo d’interesse da parte dei teatri. Brahm avverte la necessità e il dovere, a questo punto, di intervenire attraverso la militanza critica.
5Nella primavera del 1885 Brahm conosce il drammaturgo al caffè Aragno di Roma, uno dei più celebri ritrovi letterari del tempo e, dall’anno successivo, comincia a presentare al pubblico i lavori ibseniani attraverso un saggio pubblicato sul “Deutsche Rundschau”. Le opere del norvegese rinnovano radicalmente il panorama tedesco (e presto europeo), ripulendo quanto di convenzionale e banale esista sulle scene. Ibsen è il riformatore, è l’uomo in grado di sfiorare l’animo umano e il primo a ribaltare la consuetudine del teatro come semplice intrattenimento.
6Quando Brahm nel 1889 sceglie di inaugurare la neonata Freie Bühne con Gespenster (Spettri), la decisione non è connessa esclusivamente al mero potere del dramma bensì, asserisce l’americano Lee Baxandall (1935-2008), al fatto che «[…] lo spettacolo simboleggiava praticamente tutto ciò che egli considerava auspicabile per un teatro tedesco rigenerato»8. Ibsen è l’incarnazione delle volontà artistiche brahmiane. Ogni elemento, dallo stile ai personaggi, dalla recitazione alla scenografia, contiene i tasselli necessari per un adeguato riassetto del teatro tedesco. Lo sconcerto sollevato sul pubblico alla vista di Gespenster viene riportato dallo scrittore Franz Servaes (1862-1947):
Alcune persone, come se interiormente distrutte, non hanno ritrovato la calma per giorni. Si precipitavano per la città, per il Tiergarten. Il destino stesso gli si era rivelato…Tale ineluttabilità, tale inevitabilità del tragico destino! Avvolgendosi intorno a noi come un serpente, tenendoci in un abbraccio prigioniero, intorno alle nostre membra, intorno al nostro petto. […] Non c’è da stupirsi che il pubblico abbia gridato per paura e indignazione!9
7La ricezione dello spettacolo evidenzia dunque l’estrema novità del lavoro che stabilisce un sorprendente e incisivo concetto di teatralità. Ibsen è il «progenitore» della Freie Bühne, poiché l’inversione di rotta dei palcoscenici tedeschi inizia proprio da lui. Pertanto, è solo con l’assunzione del nuovo incarico di direttore teatrale che Brahm porterà a compimento i suoi intenti promuovendo la rappresentazione delle opere dell’autore norvegese. Anche durante gli anni della direzione del Deutsches Theater, il più importante teatro di Berlino, egli fa eseguire diversi drammi ibseniani, ma è solo al Lessing Theater (dal 1904 al 1912) che allestisce un intero ciclo dedicato alle sue opere raggiungendo un totale di 635 spettacoli10. Fin dal saggio del 1886 Henrik Ibsen, Brahm individua la connessione esistente tra le creazioni di Ibsen e, all’interno di ognuna di esse, il critico ravvisa come costante una rete di relazioni tra le questioni in campo. Se un’opera rimane insoluta, sostiene inoltre Brahm, è possibile che sia risolta nel lavoro successivo, portando come esempio l’invisibile filo conduttore che collega Der Bund der Jugend (La Lega della Gioventù) a Ein Puppenhaus (Casa di Bambola), nonché Ein Puppenhaus a Gespenster11.
8Nel 1907 la “Vossische Zeitung” preannuncia l’allestimento, al Lessing Theater, dell’atteso ciclo di opere ibseniane e, sei giorni prima del debutto, Brahm ne svela la precisa sequenza. Di fatto, nota Jens-Morten Hanssen, «[…] questo annuncio era fuorviante. Finge di dare un resoconto di quante performance di Ibsen sarebbero state date al Lessing-Theater, ma in realtà include le performance di Brahm date sia al Deutsches che al Lessing-Theater. Questo dimostra, senza ombra di dubbio, che il ciclo Ibsen era il “bambino” di Brahm più che un progetto del Lessing-Theater»12. In sintesi, il ciclo non presenta nessuna novità per gli spettatori ma «il confezionamento», afferma Hanssen, «era impressionante e irresistibile»13.
3.2. Introduzione a Gespenster e inaugurazione del Deutsches Theater
9L’approccio brahmiano ai Gespenster di Ibsen avviene, secondo la data riportata nella prima recensione sul tema, nel 1884. Da quanto si apprende dalla “Vossische Zeitung”, il critico in quella data non ha ancora assistito a una rappresentazione del dramma ma ne ha letto, con molta probabilità, una versione tradotta da Marie von Borch (1853-1895) e pubblicata dalla Reclams Universal-Bibliothek in circa 3000 copie14.
10Il dramma familiare in tre atti, avente per argomento il fenomeno dell’eredità, è trattato «sotto una luce diversa e con così tanta audacia che non mancano né giudizi glorificanti né quelli diffamatori»15. Quei lettori che, al di là di una contenuta sfera letteraria, rimangono ora sgomenti dinanzi alla forza del rivoluzionario testo generando, immediatamente, divisioni in difesa e in opposizione di Ibsen. Ma l’effetto progressista dell’opera, ammette il critico, può essere inteso compiutamente solo sulle tavole del palcoscenico, con attori “veri” in grado di riprodurre l’autentica tragedia provata dai personaggi16. Il “libro drammatico” ibseniano per poter attuare la sua completa azione necessita, dunque, di una realizzazione scenica. L’articolo in questione può essere definito pionieristico in quanto prepara il terreno per gli spettatori, gli attori e i direttori teatrali di fine secolo. Brahm sfida i suoi lettori e, non troppo velatamente, i direttori di scena dei teatri berlinesi sulla possibilità di rappresentare Gespenster a Berlino. Egli è consapevole che l’azione richieda «coraggio» ed esiga l’audacia «di ambire a un’onorata vittoria»17.
11Il ricco Adolphe l’Arronge, autore drammatico e direttore teatrale tedesco, nel 1881 acquista il Friedrich-Wilhelm-Städtisches Theater, teatro di operetta sito nella Schumanstrasse berlinese, trasformandolo in un teatro di prosa. L’anno 1883 segna la data di inaugurazione del nuovo edificio rinominato Deutsches Theater. Brahm riversa sincere speranze nell’apertura di quest’ultimo, nel quale intravede una roccaforte di rinascita culturale: «Siamo alla vigilia di grandi eventi. Questa è la sensazione con cui il pubblico della nostra città attende con ansia l’apertura del Deutsches Theater»18. Egli è sicuro che questa nuova impresa possa apportare concreti cambiamenti per la vita artistica della capitale. È convinto che esso possa aspirare al famoso “teatro nazionale” per il quale si era ampiamente battuto Lessing quando la Germania non era ancora una nazione unita.
12Nell’articolo riservato all’inaugurazione del Deutsches Theater (edito dalla “Vossische Zeitung” il 29 settembre 1883), Brahm approfitta della vantaggiosa opportunità per rivolgere, ai suoi eterogenei lettori, una lezione sull’educazione al gusto, la cosiddetta Geschmacksbildung. Dal momento che l’evento richiama l’attenzione di un pubblico molto vasto, non esclusivamente vicino al mondo teatrale, egli intende precisare gli obiettivi artistici che un tempio culturale di tale portata dovrebbe rispettare. Secondo Brahm il teatro deve aprirsi al suo pubblico e assorbire le energie vitali di ogni classe e ambiente sociale ritrasmettendole, in seguito, attraverso l’arte dell’attore. Lo spettatore, invece, deve essere plasmato da questi prototipi artistici (dall’attore che incarna i differenti modelli sociali), come viene specificato nelle seguenti parole:
In senso artistico, l’attore dovrebbe dare il tono; in senso sociale, dovrebbe riceverlo dal pubblico. Se volesse incarnare le forme moderne, dovrebbe farlo nello stile della nostra società. Egli ascolterà attentamente l’eco delle mille voci che gli ritorna e il cui valore aumenta quanto più diversificato è, composto da tutti gli strati della metropoli, alto e basso, nobile e povero di spirito19.
13Anche la scelta dei testi da portare in scena si rivela estremamente rilevante. Malgrado il Deutsches Theater sia legato a un repertorio «apparentemente inesauribile» come i classici, esso non dovrà limitarsi al terreno circoscritto del passato. Il nuovo teatro deve sforzarsi nello scovare talenti, moderni obiettivi, «ha bisogno del sangue fresco, giovane», sottolinea il critico «[…] deve essere colpito dalla vita presente»20. Un drammaturgo, prosegue Brahm, non riuscirà mai a sfiorare più in profondità l’animo dello spettatore allorché egli presenti, sul palcoscenico, uomini veri soggiogati da paure, sensazioni e sentimenti autentici.
14È dopo queste precise premesse che Brahm, un anno dopo, proporrà il Deutsches Theater come edificio adatto a ospitare l’innovativo dramma di Ibsen. Il critico confida anche nella troupe del recente teatro che, nel giro di pochi anni, sarà in grado perfino di oscurare la celebrità del Burgtheater di Vienna. Gli attori del Deutsches hanno dimostrato in varie occasioni «[…] di essere in grado di andare avanti e, nella sensazione di lavorare a un grande lavoro, si riuniranno tutti insieme con gioia»21. Nel suggerimento sugli attori e le relative parti, infatti, Brahm designa per Anna Haverland il ruolo di Helena Halving, all’interprete Siegwart Friedmann il personaggio del Pastore Manders, ad August Förster assegna il falegname Engstrand e ad Agnes Sorma e Josef Kainz le figure di Regine Engstrand e del figlio Osvald.
15Un mese dopo, il 13 marzo 1884, appaiono sulla “Frankfurter Zeitung” cinque nuove pagine incentrate sulla medesima opera ibseniana. Il recensore, pur non avendo ancora assistito a una messa in scena del dramma, ne traccia una minuziosa analisi evidenziando la drammaticità della vicenda vissuta dalla madre e dal figlio: «[…] il tragico della sua materia consiste nel fatto che la madre, mentre tutto il suo pensiero si concentra sul voler proteggere il figlio dall’eredità intellettuale di un padre vizioso, deve vedere come egli muoia davanti ai suoi occhi senza alcuna possibilità di salvezza per un’eredità corporale del padre»22. La tragedia, enunciata con un linguaggio semplice e concentrata in un unico giorno, risiede proprio in questa tremenda svolta. Al figlio Oswald non è concesso di essere il fautore delle sue azioni poiché a scatenare i suoi tormenti sono i legami familiari, la materia ereditaria.
16Ibsen, partendo dalla narrazione del passato e congiungendosi al presente, tratteggia l’intero complotto con un «eccezionale potere drammatico». La maestria dell’autore deve essere osservata nel più esiguo dettaglio. Nulla è lasciato al caso e dalla apparente quotidianità il lettore viene trascinato nel turbinio dei simboli. Il critico, in un successivo scritto, afferma di aver letto diverse volte il dramma, di aver preso parte alle prove generali e di aver scovato, in ogni incontro con l’opera, «nuove relazioni radicali, simboli e visioni del mondo realistici e pieni di forza; […] quest’opera, come una vera opera d’arte è inesauribile come la vita, come il mondo»23. Esaminare ogni dettaglio, secondo Brahm, consente di fare chiarezza sui sottili meccanismi che muovono l’intero quadro drammatico.
17Egli rivolge gelosamente la sua attenzione al movimento letterario nordico, sinonimo di unitarietà e determinazione, orientato a opporsi «alla pressione medievale che affligge gli animi negli stati governati dai vescovi»24. Combattendo energicamente l’«oscurità» della tradizione, Ibsen, Bjørnson e Georg Brandes (1842-1927), importante critico letterario e filosofo danese, si dirigono verso una nuova direzione: una forma moderna del dramma. Questi «imperterriti» protagonisti del secondo Ottocento scandinavo introducono il lettore nella satira sociale e, provocando discussioni sulle problematiche morali e intellettuali affrontate da diversi punti di vista, lo indirizzano verso il naturalismo25.
18Nel dicembre 1886 la Reclams Universal-Bibliothek ristampa 5000 esemplari del capolavoro ibseniano (nr.1828). I lettori sono chiaramente incuriositi da una creazione che desta così ampio scalpore nel mondo letterario. Brahm, nell’articolo intitolato Henrik Ibsen Gespenster in Berlin (Gli Spettri di Henrik Ibsen a Berlino), informa il suo pubblico dell’avvento di Gespenster sui palcoscenici tedeschi. Le città che accolgono il dramma, seppur ancora in forma privata a causa della censura, sono Augusta e Monaco. La prima assoluta di Gespenster in Germania, infatti, ha luogo nello Stadttheater di Augusta per iniziativa di Felix Philippi (1851-1921) dove ad assistervi in sala vi è lo stesso Ibsen. Il pretesto per la messa in scena, per la quale non è prevista la vendita di alcun biglietto, è una prova in costume rigorosamente “a porte chiuse”. La seconda occasione di inscenare l’opera si presenta il 21 dicembre 1886 nella sala dell’Hoftheater di Monaco, una delle poche non soggetta a restrizioni, grazie all’impulso del duca di Meiningen. Franco Perrelli, nel suo L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi, riporta i ricordi di Max Grube, l’interprete del Pastor Manders nella rappresentazione meiningeriana: « Il solo annuncio della messinscena di Spettri aveva messo in subbuglio il piccolo ducato di Meiningen dove non molti avevano letto il testo, ma “era universale opinione che il dramma fosse estremamente indecente e immorale”»26. Oltre Grube, l’attrice Maria Berg (1840-1920) dotata di grande sensibilità artistica e conosciuta come una delle più valide risorse della compagnia dei Meiningen, impersona la Signora Alving mentre Alexander Barthel (1859/60- 1901), il quale subentrerà al Deutsches Theater al posto di Josef Kainz, interpreta Osvald. Per l’occasione Ibsen offre indicazioni sulla scenografia e, a testimonianza dell’episodio, vi è una lettera datata 15 novembre 1886 in cui il duca, in accordo col drammaturgo norvegese, esorta i suoi fedeli scenografi Brückner a progettare un ambiente avente «[…] sullo sfondo, la vetrata che dava su una serra, che di preferenza doveva ospitare fiori veri. Attraverso la finestra posteriore si deve vedere un paesaggio norvegese, per il quale si può usare lo spezzato del [Wilhelm] Tell»27. Dall’ultimo passaggio è evidente che in questa fase la pratica di riutilizzare telai ed elementi scenotecnici è ricorrente, perfino per i meticolosi Meininger. Tuttavia, sarà solo nel 1887 che gli “Spettri” faranno il loro ingresso nella capitale del Reich.
3.3. L’avvento di Gespenster sulle scene berlinesi
19La sfida lanciata da Brahm qualche anno prima sulla possibilità di allestire il dramma nella capitale tedesca viene accolta infine da Anton Anno, il direttore del Residenz Theater di Berlino, con l’ausilio di Franz Wallner, ex attore della compagnia dei Meininger attivo questa volta nel ruolo di Osvald, e Charlotte Frohn, interprete della Signora Alving28. La censura autorizza la rappresentazione unica la domenica del 9 gennaio 1887. Tuttavia, l’intero entourage culturale è a conoscenza del fatto che dietro l’allestimento, nei suggerimenti di scenografia e recitazione, vi sono due uomini appassionati di teatro e dediti alla divulgazione delle opere di Ibsen: Otto Brahm e Paul Schlenther. Dal saggio postumo Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches si desume che a Brahm, in quella circostanza, viene chiesto di proporre al drammaturgo norvegese (che alloggia nell’Hotel du Nord, sull’Unter den Linden berlinese) di comparire sul palcoscenico. Il critico rammenta con grande emozione il prestigioso compito assegnatogli e, una volta realizzato l’intento, descrive con vividezza il fenomenale effetto del dramma sul pubblico:
Il successo, per dirlo in una sola parola, è stato sorprendente, soprattutto il primo atto che ha portato i più forti effetti drammatici e scatenato un applauso infinito, come non avevamo mai sentito prima in questi ambienti […] Henrik Ibsen, chiamato con impeto dopo ogni atto, doveva apparire, non so dire per quante volte, davanti al pubblico […]29.
20Anche l’attore Wallner dichiarerà successivamente «di non aver mai più visto nulla di simile […] tutto era sospeso sotto l’incantesimo della forza del testo. […] all’unisono l’autore fu acclamato e mite, ebbro per la vittoria, si lasciò trascinare più volte in proscenio, mentre chiare lacrime di gioia gli scendevano lungo le guance»30. L’evento sembra registrare ben 14.000 «richieste d’ingresso»31 e il critico Alfred Kerr lo celebra come uno «dei più significativi eventi teatrali degli ultimi anni»32. Lo stesso Brahm afferma di aver avuto l’impressione quel giorno che le «dighe», costruite appositamente dagli avversari di Ibsen e alimentate da pregiudizi e consuetudini, devono essersi rotte33.
21Le opere di Ibsen sono degli autentici contenitori di natura capaci di «strappare alla vita il nuovo terreno poetico». La verità «inesorabile e accecante» incisa nelle creature dei suoi drammi è il motivo per cui il drammaturgo norvegese viene contrassegnato dal critico come il più «audace e grandioso» autore esistente. Soggetti palpitanti e tangibili presentano le vicende più inattese dell’esistenza come le teorie meschine di un parroco o l’ipocrisia di un alcolista. Ibsen, pur non risparmiando alcuna situazione sconveniente, ha il dono di intenerire repentinamente gli animi degli spettatori e di trattenerli a lungo, anche dopo l’uscita da teatro.
22Allo stesso modo in cui Sofocle ha esposto nel suo Edipo Re una «materia macabra» mediante l’uso poetico, ora ugualmente Ibsen sottopone al pubblico un dramma analitico che si sviluppa come una catastrofe racchiudendo nella sua morsa, lentamente, la madre e il figlio34. Il norvegese, dunque, viene paragonato alla maestria e alla saggezza dei greci e, nell’ultimo articolo dedicato ai Gespenster, il raffronto interessa anche Schiller. Un secolo prima, infatti, in un’epoca in cui l’arte doveva apparire sublimata e rallegrare gli spettatori, anche i capolavori schilleriani erano stati detestati dai critici e dagli uomini di cultura tedeschi. Schiller era designato come un drammaturgo inadatto le cui materie artistiche «diveniva[no] bolle e schiuma tra le sue mani». Nel 1784, come emerge da un articolo divulgato il 6 settembre dalla “Vossische Zeitung”, si voleva eliminare i personaggi schilleriani dal teatro: «Cosa dovrebbero fare sulla scena quei personaggi orrendi come, ad esempio, il detestabile Franz Moor nei Masnadieri e il presidente von Walter?». La vicinanza con Schiller mostra come le opere teatrali generate da entrambi i drammaturghi contengano, a giudizio brahmiano, «un’atmosfera satirica geniale alla cui violenza gli spettatori si ribellano invano, in entrambi [è presente] un realismo audace, che supera oltre misura ciò che l’epoca del suo sviluppo riteneva arte»35.
23A superare la performance del 1887 vi è l’allestimento curato dalla Freie Bühne il 29 settembre 188936. Mentre i Gespenster sono stati già rappresentati pubblicamente in diverse città tedesche come Danzica, Königsberg e Francoforte sul Meno, nella capitale imperiale vige un rigoroso divieto della polizia. Nell’accurato testo di Gernot Schley intitolato Die Freie Bühne in Berlin, si legge che il dramma adoperato per inaugurare la neonata associazione teatrale berlinese viene portato in scena senza omissioni o particolari modifiche, facendo uso di una specifica scenografia, adottata per evocare la tenebrosa atmosfera dell’opera e sostenere un caratteristico stile recitativo37. Dal momento che non si rintracciano recensioni di Brahm a riguardo, ci si basa sulle impressioni di altri critici presenti in sala come, ad esempio, Karl Frenzel che sulla “National-Zeitung” annota: «La scena era nell’oscurità, come avvolta nell’eterno crepuscolo […] e anche quando è stata portata la lampada nel secondo atto, l’ombra grigia non voleva cedere il passo»38. L’obiettivo della rappresentazione è «chiarire la poesia», la forza inesorabile del testo. L’intera essenza del dramma, infatti, non viene sminuita da elementi inutili o da caricature bensì da componenti semplici e da una unitaria forma stilistica.
24Pertanto, il successo della performance è indiscusso e segna la conquista del drammaturgo norvegese non solo del podio berlinese o tedesco, ma di quello europeo. Ibsen incarna il passaggio verso una moderna era teatrale.
3.4. Henrik Ibsen come “nemico del popolo”
25La messa in scena berlinese di Gespenster ravviva l’interesse del mondo culturale per Ibsen, consentendo la rappresentazione di una seconda opera, Ein Volksfeind (Un nemico del popolo). Il dramma viene presentato al pubblico dell’Ostend Theater di Berlino nel mese di marzo del 1887. Scritto nel 1882 a Roma, e dunque secondo anche cronologicamente a Gespenster (1881), descrive la vicenda del dottor Stockmann, medico di uno stabilimento di bagni termali il quale, avendo scoperto l’inquinamento delle acque, viene licenziato e allontanato affinché il fatto non diventi di dominio pubblico. Ciononostante, il medico decide di non abbandonare la città per educare i giovani a un maggiore senso civile.
26Le recensioni brahmiane sull’opera, tre in totale pubblicate tra il 1887 e il 1890, puntano prevalentemente l’attenzione sulla risposta del pubblico. È a partire proprio da Ein Volksfeind che il critico dimostra come gli stimoli, che egli semina con costanza nei suoi scritti, ottengano il risultato sperato. L’interessamento e il consenso degli spettatori muovono i primi passi e la fervente battaglia di Brahm ottiene le prime esplicite vittorie. Per studiare e comprendere il concreto coinvolgimento degli spettatori, Brahm non assiste solo alla prima di Ein Volksfeind bensì anche alla seconda messa in scena, come lascia intendere da un articolo pubblicato sulla “Frankfurter Zeitung” il 9 marzo 1887:
[…] Quanto l’immediato effetto sia insito nel dramma lo ha dimostrato l’accoglienza della prima sera come della seconda sera. In una ha predominato la platea letteraria, nell’altra il pubblico della domenica, più sempliciotto; in entrambe però l’impressione è stata ugualmente forte, l’applauso vivo ricompensa dopo ogni atto la poesia e la rappresentazione […]39.
27Gli spettatori sono entusiasti dell’opera del norvegese e appare chiaro come tali lavori «per i quali sembra provare interesse solo una “comunità di cultori”, possano invece fare effetto su un’ampia cerchia» e nell’epilogo della recensione Brahm scrive: «Se un’opera di stampo più serio influenza allo stesso modo gli intenditori così come la massa – quale prova migliore che la sua realizzazione drammatica sarà possibile?»40.
28Il personaggio del dottor Stockmann è un uomo alla ricerca della verità, pronto a prendere decisioni più «di cuore che di testa» e che, una volta scoperta l’insalubrità delle terme, intende annunciarlo su un organo di stampa dal titolo “Messaggero del popolo”. Senza pensare minimamente alle conseguenze si scaglia contro il fratello, sindaco della città, ritrovandosi intrappolato dalla piccola comunità del paese che ormai lo considera come un “nemico del popolo”. Ibsen, scrive Brahm, dà vita a un eroe apparentemente meschino, testardo e oggettivo di cui, tuttavia, mostra specificità caratteriali insolite in grado di rendere unico il personaggio41. Il drammaturgo non consente al pubblico di comprendere il finale della vicenda, lasciandogli una sensazione di frammentarietà che viene repentinamente valutata da questi come «insoddisfacente»42. Per il critico questo giudizio di inadeguatezza non esprime un concreto parere estetico. Al contrario egli, con una simile fine, intravede una mossa astuta ovvero la capacità, da parte di Ibsen, di scatenare un «tormentoso dubbio sul futuro»43. E se nella tragedia antica l’eroe soccombe dinanzi agli occhi dello spettatore, «nel dramma sociale realistico dei nostri tempi» spiega Brahm, «si addicono altre forme artistiche, perché la nostra vita attuale non offre soluzioni così rapide, e nelle sue battaglie si va sempre più lentamente verso la morte che con la polvere e la spada»44. La verità mostrata a poco a poco o ceduta, lasciando il finale incompleto, alle competenze immaginative degli osservatori, permette di stuzzicare il loro intelletto e l’immedesimazione nella specifica situazione.
29Brahm riscontra particolari somiglianze tra il Dottor Stockmann e il risoluto commerciante di cavalli, Michael Kohlhaas, protagonista del racconto di Heinrich von Kleist, o con il soggetto dell’opera Der Erbföster (Il guardaboschi per diritto ereditario) di Otto Ludwig45. Questo “nemico del popolo” ibseniano segue una lunga scia che passa per il Götz von Berlichingen di Goethe e il Karl Moor dei Die Räuber di Schiller, e porta ai successivi ostinati personaggi individualisti di Rebecca West, Nora o Hedda Gabler.
30Per intuire appieno le tesi del critico bisogna considerare anche i costanti paralleli con la tragedia greca. Brahm, infatti, ricorda:
Hegel e gli estetici della sua scuola hanno parlato molto della tragedia, delle pari legittimità e hanno visto Antigone e Creonte come un esempio tipico a tale proposito, nei quali le ragioni del cuore e la ragion di stato sono opposte l’una all’altra, due forti e determinanti forze vitali: sicuramente la tipica opposizione, nelle più moderne forme dell’essere, si profila nel medico termale e nel sindaco “nemico del popolo”; certamente la simpatia del poeta appartiene a quello e non a questo, così come la simpatia del tragico greco va ad Antigone e non a Creonte: […] e poiché l’eroe va contro le condizioni di questo mondo va a fondo nella sua grandiosa limitatezza46.
31Malgrado ciò, emergono diverse critiche e si accendono dibattiti dovuti alla diversa nazionalità del drammaturgo. A provocarli sono coloro che Brahm definisce Superklugen, gli “intelligentoni” di turno, ovvero critici e spettatori che dinanzi a tali lavori lasciano predominare il loro attaccamento alla patria. L’avversione all’esterofilia, che fino a quel momento sembra non esistere minimamente sul territorio e al contrario accetta con disinvoltura i drammi dei vicini francesi, ora pare rianimarsi opponendosi a opere che, a parere del recensore, sono invece intrise di profondo spirito teutonico. Le ragioni dell’attacco sono talmente irrisorie che conducono Brahm a detestare l’atteggiamento dei colleghi critici sostenendo:
[…] Le stesse persone che hanno tollerato il dominio dei francesi sul nostro palcoscenico per così tanto tempo, in un’improvvisa ondata di indignazione patriottica, rifiutano al poeta norvegese l’ospitalità del palcoscenico tedesco […]47 Il punto di vista di questi uomini nazionali sembra pertanto così strano, perché proprio la produzione di Ibsen attrae direttamente la sensibilità tedesca; poiché attraverso queste creazioni risuona un tono fondamentale di natura autenticamente germanica48.
32Questi uomini, che vedono nel dottor Stockmann ibseniano un uomo pronto anche a opporsi alla sua stessa comunità pur di stanare la verità, identificano il protagonista col medesimo Ibsen e con l’obiettivo di denunciare le condizioni sociali norvegesi. Pertanto, sostiene Brahm, in un momento in cui non esiste un autore tedesco in grado di generare testi così moderni, molti preferiscono valutare il drammaturgo esclusivamente dal punto di vista nazionale. Egli constata che se gli stessi testi fossero stati prodotti da un autore tedesco come Hugo Lubliner (1846-1911), ad esempio, nessuno avrebbe creduto alla paternità di Lubliner.
33Nuovamente nel 1890, sulle pagine della rivista “Freie Bühne für modernes Leben”, si rintraccia una recensione dedicata al dramma. In quella stagione teatrale, infatti, Ein Volksfeind appare due volte sulle scene della capitale; la prima nella Luxusaal del Lessing Theater e la seconda nella sua originaria sede, all’Ostend Theater. Brahm informa i lettori sulle differenze intercorrenti tra le due rappresentazioni. Grazie al recensore, infatti, veniamo a conoscenza delle modifiche effettuate sul testo per la rappresentazione al Lessing Theater in cui, al posto del famoso stabilimento balneare si preferisce in scena un istituto di cura, ogni atto viene trasformato in «Tableaux» e le esecuzioni degli attori sono definite «più sicure»49. Viceversa gli interpreti della Freie Volksbühne, in scena all’Ostend Theater, forniscono al pubblico gli effetti tipicamente ibseniani che vengono regolati dal regista Cord Hachmann (1848-1905) e il cui allestimento, nel complesso, è valutato da Brahm come un «discreto» lavoro capace di lasciar trapelare una crescente tensione presentando l’autentico stile dell’opera, «chiaro e trionfante»50. In conclusione, Brahm sintetizza la potenza del dramma e del protagonista Stockmann in poche righe:
La genialità del poeta non si esprime da nessuna parte in modo più convincente, il suo agire veloce, il suo afferrare pieno di temperamento e il migliorare artisticamente dei problemi profondamente tragici dell’umanità; e noi veniamo ricondotti ai più alti esempi dell’arte, ai drammi della ripicca violentissima, della vita privata sovrana, vediamo questi esseri umani vivi e vegeti, pulsanti davanti a noi. Thomas Stockmann […] come una specie di dimora germanica per uomini soli sta lì, un’immagine di verità eterna51.
3.5. Rosmerholm e Ein Wildente
34Al terzo posto dei drammi ibseniani analizzati da Brahm si colloca Rosmerholm (La casa dei Rosmer), recensione apparsa nell’aprile del 1887 sulla “Die Nation”. L’opera, realizzata a Monaco dal maestro norvegese, viene scritta in tempi molto brevi tra il mese di giugno e settembre dell’anno 1886. Questo testo «inquietante e misterioso»52 trova, secondo Brahm, stretti legami sia nella tecnica che nella composizione con il precedente Gespenster53. In entrambi, d’altronde, l’azione coinvolge pochi individui e, in ognuno di essi, «dal passato spunta un occulto, creduto morto, che si manifesta solo gradualmente al sopraggiungere del presente, e dopo esser stato riconosciuto, mette in moto lo svolgimento interno ed esterno dell’azione»54. Ibsen fornisce allo spettatore un costante chiaroscuro sulla vicenda, un altalenarsi di tensione e quiete. Ancora una volta il critico sottolinea che quelli del norvegese sono drammi dell’anima nei quali Ibsen mostra quanto siano toccanti e taglienti le battaglie di pensiero (dunque interiori) dei suoi personaggi, e non esclusivamente gli atti esterni in grado di rivelare le loro volontà.
35L’articolo di Brahm, oltre a una minuziosa ricostruzione della trama, esplora il personaggio di Rebekka West, una seducente trentenne ospite nella casa dei Rosmer. In questa «natura potente, tormentata da istinti elementari» che oltre a condurre Beate (la moglie di Johannes Rosmer) al suicidio è causa anche della morte di Johannes e della sua, il critico avverte una forza connessa intimamente ai suoi antenati, a quella zona estrema del Finnamark norvegese da cui proviene. Rebekka è completamente intagliata nel realismo, nella verità della vita riscontrabile nella lingua che adopera e nelle reazioni alle domande dei restanti personaggi.
36Tra Rebekka e Johannes Rosmer vige un rapporto «profondo e contradditorio», essenzialmente antitetico. Lui è un pastore protestante e un rispettato membro della comunità che, a seguito della morte della moglie Beate, rinuncia alla sua missione sacerdotale; per contro Rebekka deriva da un passato avventuroso e spregiudicato. Brahm evidenzia il divario esistente tra i due protagonisti affermando, infatti, che essi sono: «[…] i rappresentanti di due grandi forze vitali, […]: l’una l’energia, l’altra la riflessione, l’una il volere incondizionato, l’altra l’oculatezza etica in cui l’eticità domina in modo così sicuro come un impulso naturale»55. Il critico, infine, coglie i momenti di massimo splendore poetico nelle scene finali, in quegli attimi di fine oscura come l’apparizione dei cavalli bianchi nella tenuta Rosmer, dove il mondo soprannaturale sembra poter piombare, da un momento all’altro, nella storia.
37Di tutt’altro genere è Die Wildente (L’Anitra Selvatica), l’opera in cinque atti concepita da Ibsen nel 1884. I volumi che raccolgono le critiche teatrali di Brahm, ovvero Theater, Dramatiker, Schauspieler (a cura di Hugo Fetting) e Kritische Schriften. Über Drama und Theater (a cura di Paul Schlenther), riportano, per questo dramma e per i successivi Ein Puppenhaus (Una Casa di Bambola) e Die Frau von Meer (La Donna del Mare), le relative messe in scena nell’anno 1888. Eppure, esaminando l’articolo di Franco Perrelli, citato nei precedenti paragrafi, si evince che l’anno della «fortuna tedesca di Ibsen» (e dunque delle varie messe in scena dei suoi drammi) è il 1889, quando nella capitale del Reich alcuni teatri come il Residenz, il Lessing e il Königliche, programmano una sorta di «festival» delle opere del drammaturgo56. A conferma di quanto scritto sono le parole pervenute da una corrispondenza, del 5 marzo 1889, tra Ibsen e la moglie in cui l’autore le comunica:
Ieri mattina, con mia piena soddisfazione, s’è tenuta la prova generale della Donna del mare (Fruen fra havet) al Königliches Schauspielhaus. […] Domani sera, sarà presentata Wildente [L’Anitra selvatica (Vildanden)] al Residenztheater e dopodomani Nora al Lessing-Theater di Blumenthal. Sono ancora indeciso se congedarmi da qui o recarmi a Weimar [per Die Frau vom Meer], come mi stanno persuadendo a fare57.
38Brahm riferisce ai suoi lettori che Ein Wildente è un dramma molto atteso a Berlino, tanto da aver spinto il direttore del Residenztheater, Lautenburg, a preferire la formula di matinée. Egli, infatti, pur sapendo che il dramma non è sottoposto ad alcun divieto della polizia, preferisce quella che potremmo definire oggi una “strategia di marketing” per assicurarsi, dopo aver destato ancora di più l’interesse del pubblico, di riempire completamente i posti a teatro. Il critico, riguardo alla questione, precisa: «[…] Dopo che l’interesse per le creazioni di Ibsen era diventato così vivo da parte del pubblico di Berlino, c’era bisogno di questo stimolo alla curiosità concepito artisticamente per riempire la platea in tutte le file»58.
39Il mondo culturale berlinese, grazie alla circolazione della «eccellente» traduzione di Marie von Borch, conosce il dramma già da un anno e dopo la rappresentazione diretta da Lautenburg non può che confermare l’emozione implicita nell’intrepido testo59. L’«intensità artistica» del lavoro travolge gli spettatori i quali, letteralmente ammaliati dalla bellezza e dai misteriosi slanci, dalla pienezza della vita e dall’insistente verità universale, si convincono della scoperta di un «drammaturgo di primo rango» e del fatto che «queste anitre selvatiche sono animali molto singolari»60. Ibsen dispone di un temperamento drammatico originale, esperto nel misurare le esigenze di scena e nel dar vita a moderne strade artistiche. Ambedue le caratteristiche vengono mescolate in modo magistrale dall’autore trovando, forse per la prima volta, un pubblico «commosso e pietrificato» già a partire dalla prima scena61.
40Il motore dell’azione, per questo dramma, risiede nella figura di Greger, figlio del ricco commerciante Werle. È proprio Greger, infatti, a spifferare la cruda verità all’amico Hjalmar Ekdal. Il giovane Hjalmar che di professione fa il fotografo sposa Gina, la quale è stata governante in casa Werle nonché amante di quest’ultimo. Werle, dopo aver incautamente ingravidato la donna, la affida a Hjalmar nascondendogli i particolari della storia. Hjalmar scopre, dunque, di non essere lui il vero padre della quattordicenne Hedvig e di aver avuto la mano della sua sposa solo per evidente necessità.
41Brahm intuisce tempestivamente che dietro l’idealismo di Greger e i suoi tentativi di “illuminare” l’amico sulla subdola situazione, vi è riflessa l’infelicità di un bambino cresciuto in una complicata situazione genitoriale62. Ogni intervento pensato e svolto da Greger avviene all’ombra del padre. Mettendo in campo la «tensione aggressiva» di Hjalmar contro Welre, Greger affida all’uomo il compito di vendicarsi, defilandosi da quella che dovrebbe essere la sua mansione63. La descrizione che Brahm compiutamente avvale per Greger è la seguente: «Da esperienze molto personali Ibsen sviluppa allora la figura dell’idealista, dalle premesse del suo divenire, da questa sconsolata gioventù vissuta nella battaglia tra il padre e la madre e dalla pressione ed esasperazione di un tempo precedente che forma il fanatismo dell’idealista della verità in un arzigogolo isolato»64.
42Analogamente Ibsen elabora il personaggio del dottor Relling, antagonista di Greger. L’autore norvegese mostra una particolare attenzione per il mestiere di medico che, secondo Brahm, è dovuta a una trascorsa volontà di Ibsen di intraprendere tale professione. I medici, di fatto, nelle opere teatrali dell’autore svolgono una importante funzione; un dottore è l’eroe del dramma Nemico del Popolo e ne L’Anitra Selvatica è sempre un medico a sentenziare le ultime parole della tragedia65. Ibsen modella il dottor Relling come un uomo combattuto dalle passioni, un pessimista radicale convinto del fatto che il termine “ideale” e quello di “bugia” siano equivalenti. Quest’uomo trova, come indicato da Scipio Slataper, «il sostegno, la cura, il ferro per questo mondo» nella «bugia razionale»66. Anche per l’Anitra Selvatica, così come per ogni creazione del drammaturgo, piovono critiche. Si accusa Ibsen di aver assegnato al suo “amato” dottor Relling parole e pensieri direttamente connessi alle sue. Specialmente nelle pungenti affermazioni del dottore in cui egli chiede, in un passo del testo, di non utilizzare «la parola straniera» o «ideale» chiarendo che i norvegesi per simili termini adottano quello di «bugia»67, la frase viene identificata dai giudicatori come un’espressione chiaramente di Ibsen. Brahm definisce questo tipo di paragone «un malinteso», che obbliga il drammaturgo a dover costantemente specificare «l’obiettività» dei drammi, i quali non concedono minimamente tali «perequazioni»68. Presentando le due opposte figure di Greger e del dottor Relling, l’autore sembra non voler designare una concreta inclinazione, tecnica di cui spesso usufruisce nei suoi lavori; pertanto, probabilmente, è proprio questa tendenza a incrementare la fama delle realizzazioni ibseniane. Brahm spiega in questo modo il fenomeno:
La tendenza di Ibsen non esprime né l’uno né l’altro, ma in uno o entrambi vi è una parte del giusto e anche qui si apre quella “universalità” del poeta; e la parola diventata banale sembra portare la sua opera al successo: la verità viene messa nel mezzo. Entrambi i poli spirituali del pezzo sono queste figure contrastanti del pessimista e dell’ottimista, e avevano un profondo effetto sull’ascoltatore […]69.
43Oltre al grandioso testo redatto dal norvegese, Brahm avverte la rilevanza del nuovo stile recitativo adottato dagli attori del Residenztheater. Gli interpreti, infatti, beneficiano di una tecnica completamente differente, naturale, che comporta l’abolizione di maschere e artifici. Essi comprendono che «gli individui qui non devono formare modelli», ma agire così come richiede il loro modo d’essere. Impersonare i protagonisti ibseniani vuol dire, secondo Brahm, riportare nel teatro tedesco la serietà e il prestigio di un tempo e, inoltre, presenta la possibilità di puntare alle più alte vette dell’arte attoriale superando ciò che fino a quel momento è stato presentato sulle scene.
44Per questa performance, il ruolo della figlia quattordicenne Hedvig spetta alla signorina Zipser, la quale «ha contribuito generosamente al forte successo con il suo cordiale modo di conversare e la sua grazia dolce e naturale». All’attrice Alice Pöllnitz è assegnata la parte, recitata «con adeguatissima acutezza e superiorità», della governante di casa del commerciante Werle, mentre Ekdal è interpretato da Hans Pagay (1845-1915), il cui personaggio resterà uno dei suoi cavalli di battaglia, e infine Greger, il figlio di Werle, viene rivestito dall’attore Brandt che ottiene successo soprattutto per la presenza scenica e il trucco70.
3.6. Nora
45La vicenda di Ein Puppenhaus e la sua diffusione in territorio europeo è ormai ben nota. Utile, tuttavia, è comprendere il significato che le viene attribuito nella capitale tedesca. La ricostruzione è possibile grazie a due approfonditi articoli di Brahm concernenti gli allestimenti avvenuti al Lessing (1888) e al Berliner Theater (1892).
46Nora, l’eroina protagonista del dramma, in Germania viene vista sotto una luce speciale, tanto che, invece del titolo originario di Ein Puppenhaus, sui cartelloni teatrali e sulle testate giornalistiche si incontra spesso quello di Nora. L’opera, colma di «devastante contenuto femminista»71, non manca di critiche e, quando nel 1880 appare finalmente in Germania, al Fleensburg Staattheater, provoca animati dibattiti. Scipio Slataper a tale proposito scrive:
I teatri ogni sera rimbombavano di applausi, fischi, imprecazioni, discussioni, entusiasmi. Ibsen aveva messo il dito sulla piaga della sua epoca, come Goethe col Werther in quella della sua. E come allora non si capì Werther, ora non si capiva Nora. E come Werther trovò centinaia di imitatori, centinaia di imitatrici trovò Nora. Nora, diventa il «tipo Nora», serve a coprire ogni sorta di contrabbando72.
47Slataper rammenta che l’esecuzione di Nora, specialmente in Norvegia, provoca nella realtà un vero e proprio scandalo nella moderata classe borghese. Il capovolgimento del ruolo della donna nella società, da quello di madre e moglie fedele a quello di disertrice dei propri doveri, produce in alcune casalinghe norvegesi reazioni anomale; vi sono state donne, infatti, che hanno emulato il comportamento di Nora e altre che, al contrario, lo hanno respinto con fermezza. Perfino alcune attrici, contrarie ad abbandonare casa e figli nella scena finale, hanno costretto Ibsen a ricercare un finale alternativo73. È nota, in particolare, la vicenda di Hedwig Niemann-Raabe, che rifiuta di recitare l’ultima “scottante” parte, seguita da Maurice ad Amburgo e da Laube a Vienna74.
48Brahm, dal canto suo, rammenta dei critici che in occasione della prima messa in scena tedesca associano il pathos di Nora con quello dell’autore, chiedendosi se anche Ibsen, allo stesso modo di Torvald, si sarebbe assunto tutta la responsabilità e le colpe in questione. Secondo il critico, questi giudicatori sono i medesimi che hanno «portato il pezzo al fallimento»75. Tuttavia, nella rappresentazione del 1888 (dunque otto anni dopo), il pubblico ha avuto il tempo di approfondire ed entrare in contatto con questa innovativa creazione ibseniana. Nessuno ora può ignorare «la brillante dote della particolarità che domina in “Nora”, la profonda sovrastruttura del tutto e il fascino infinito del singolo nel corso della scena e del dialogo»76. L’obiettivo del critico, sostiene Brahm, è dunque quello di informare i lettori sul processo di idee allontanandoli dai più insensati errori di interpretazione.
49Il recensore, nell’analisi della messa in scena al Lessing Theater, racchiude l’essenza del dramma in poche righe: «Il pezzo ha per così dire un Giano bifronte, guarda al contempo verso gli effetti emozionanti secondo lo stile dei francesi e la nuova direzione sul problema etico che Ibsen ha trovato pienamente originale. Di conseguenza ha due comportamenti, uno esteriore e l’altro interiore […]»77. Brahm riconosce, pertanto, due momenti d’azione. Uno all’inizio più controllato in cui Nora appare innocente e inconsapevole degli atti del passato e una seconda fase colma di intrighi e svelamenti, dove la donna si trova contesa tra la paura e la speranza. Il pubblico segue con «profonda partecipazione e con respiro trattenuto» lo svolgimento della rappresentazione e Brahm mette in luce, nuovamente, come Ibsen superi di gran lunga i drammi francesi a cui i tedeschi sono abituati, colorando il tutto in uno stile moderno, più naturale78.
50Nella prima recensione, egli sostiene che l’Ibsen a cui è abituato, «il pieno Ibsen, l’Ibsen di oggi», emerge solo a partire dal terzo atto, momento in cui si attivano i conflitti interiori dei personaggi79. Dopo la confessione di Nora al marito Torval sulla falsa firma posta a nome di suo padre per ottenere un prestito e salvare il coniuge, l’uomo è angosciato esclusivamente dell’impatto che le conseguenze possano avere sulla propria reputazione. Torvald, svelando tratti egoistici in cui è disposto a qualsiasi sacrificio pur di salvaguardare la sua persona, espone un’indole terrorizzata dalla verità. È a questo punto che Nora, «con parole chiare, fredde e nuovamente eccentriche» prende coscienza della vita vissuta fino a quel momento e come una moderna Antigone prova a far luce ragionevolmente sulla legge non scritta della pietas rispetto a quella imposta dalla società asserendo: «Una figlia non dovrebbe avere il diritto di risparmiare al suo vecchio padre dispiaceri e preoccupazioni? Una donna non dovrebbe avere il diritto di salvare la vita al proprio uomo? Allora dobbiamo avere delle leggi molto cattive»80. L’autore plasma una Nora ostinata, spinta da un impulso etico per la verità, per il sacrificio. Il compito di Nora è dunque quello di mediare tra una prima parte in cui viene presentata la moglie-bambola, l’uccello canterino che cinguetta educata per piacere agli uomini, e la donna emancipata, lasciando scorgere sotto il suo apparente e superficiale involucro i suoi lati più nascosti e ribelli. Oltre all’interpretazione di Nora da parte dell’attrice Lilli Petri (1863-1915), seconda moglie del direttore Anton Anno, descritta dal critico come «un amabile talento teatrale che affrontava con tutti gli onori i compiti tanto esigenti», Brahm segnala l’esecuzione di Agnes Sorma, uno dei talenti più freschi del teatro tedesco che sarà ricordata come la Duse tedesca81. Al Berliner Theater nell’anno 1892 viene allestito per la prima volta un dramma di Ibsen, «l’attuale star del teatro […] il più discusso drammaturgo tra quelli viventi […]»82. Per lo spettacolo Agnes Sorma è in grado di adempiere brillantemente il ruolo della protagonista Nora. Brahm scrive a riguardo:
La signora Sorma ha spesso recitato il ruolo della vedova nella commedia e la giovinetta tedesca, spesso la proprietaria della baracca; e con tutta la sua grazia drammatica e la sua mimica sottile ora si misura con Ibsen con meraviglia e mistero. La sua amenità aggraziata e gradevole, la delicata capacità espressiva del suo viso in cui un movimento con le sopracciglia, un guizzo dell’angolo della bocca dice moltissimo, […] ognuna delle sue piccole preferenze si rivolge da Nora a noi: “purtroppo manca solo il legame spirituale”. E perciò per lei e per i suoi contemporanei la rappresentazione di Ibsen sarebbe una cura, un rimedio drammatico, che dal teatrale riconduce alla natura animata83.
51Nello specifico, egli si sofferma su alcuni momenti fondamentali dell’azione utili a comprendere l’esecuzione di Sorma. Fin da subito, l’attrice si scontra con la soppressione del virtuosismo attoriale e con la ricerca di un moderno principio artistico. Infatti, scrive il recensore: «Il virtuoso e Henrik Ibsen non riescono a stare insieme, in effetti un fossato profondo corre tra di loro» e proseguendo afferma: «Mi ricordo di un dialogo con Ibsen in cui lui si scagliava contro il concetto di “ruolo” con un discorso tagliente. “Allora si parla ancora spesso dei ruoli a teatro”, diceva, “e le attrici e gli attori mi fanno domande riguardanti un bel ruolo. La parola può solo causare malanno; e via! Io non scrivo alcun ruolo, io rappresento individui!”»84.
52Sorma dalla prima scena tenta un approccio naturale al personaggio sfuggendo, ciò malgrado, il legame “trascendentale”; quando la Nora ibseniana arriva con l’albero di Natale, paga il facchino e gli consente di tenere il resto, mostra immediatamente allo spettatore la sua tendenza benefattrice e sprecona. L’attrice Sorma, invece, prima di lasciargli la mancia preferisce esitare qualche minuto e apparire titubante sul da farsi. E se nella versione originale il drammaturgo fa sì che la protagonista si accosti con cautela alla porta della camera di Torvald per ascoltare di nascosto i suoi discorsi, Sorma nella messa in scena al Berliner procede con maggiore scioltezza nell’aprirla e nello sbirciarvi maliziosamente all’interno. Per Brahm, così facendo, inserendo tutte queste azioni di poco valore, «il “ruolo” viene imbellettato e manca l’uomo da mettere in scena»85. Resta il fatto però, che Agnes Sorma è sicuramente una delle più intrepide e abili interpreti di Nora in quegli anni e, nell’epilogo della sua prima recensione al dramma, Brahm osserva: «Bisogna augurare alle opere ibseniane una vita teatrale sempre più ricca, anche nell’interesse della nostra arte teatrale: esse conducono, lo spettatore come l’attore, verso il naturale, il grande, verso nuove e fresche figure a cui un’arte che si riforma deve ispirarsi e deve maturare»86.
3.7. Die Stützen der Gesellschaft e la rivalsa della donna
53Al Deutsches Theater di Berlino nell’aprile del 1889 va in scena Die Stützen der Gesellschaft. L’unica recensione brahmiana pervenutaci sul dramma, pubblicata sul “Die Nation” il 27 aprile, si apre con un suggerimento per il pubblico; è un errore per Brahm attribuire, come accade spesso in Germania, il significato di uno scrittore alla portata di ogni singolo dramma mentre è importante effettuare un veloce resoconto delle precedenti creazioni per constatarne, specialmente nel caso di Ibsen, la crescita. Il critico ritiene i lavori del drammaturgo testi da leggere a sé, dove ciascuno di essi è portatore, a suo modo, di un significato differente e peculiare:
Quando siamo davanti alle poesie87 di Ibsen non dobbiamo confrontare la “Nora” con l’“Anitra Selvatica” e l’“Anitra Selvatica” con “La donna del mare”, ma senza condizionamenti aspiriamo a comprendere ognuno per sé con i suoi pregi e le sue caratteristiche; noi non dobbiamo né alzare la gemma del fiore, né viceversa rinfacciare al frutto maturo che comunque gli mancano gli stimoli primaverili88.
54Die Stützen der Gesellschaft segna l’inizio della fase del teatro sociale dell’autore norvegese, lo spartiacque che marca il passaggio da una poesia romantico-nordica al naturalismo. L’opera, terminata nell’agosto del 1877 è rappresentata sulle scene berlinesi già a partire dall’anno successivo ed è proprio in una di queste occasioni che due giovanissimi Brahm e Schlenther assistono, per la prima volta, a una rappresentazione ibseniana testificandone le impressioni89.
55La vicenda, intessuta sulla venerata e rispettabile figura del console Bernick rivela, a poco a poco, il passato segreto del protagonista. Molti anni prima, infatti, Bernick si era allontanato dalla donna amata, Lona Hessel, convolando a nozze con la ricca sorellastra di lei, Betty, per evidenti interessi economici. Pertanto, alla ragnatela di bugie che assedia l’esistenza dell’uomo e minaccia il suo intoccabile status sociale si aggiunge l’avventura clandestina avuta con un’attrice della cittadina norvegese in cui è ambientato il dramma; per non essere scoperto dal marito della donna e non perdere la fiducia dei suoi estimatori, Bernick addossa ogni imprudenza al cognato Johan salpato per l’America insieme a Lona.
56Brahm intravede nel precedente Die Komödie der Liebe (La Commedia dell’amore, 1862) il dramma precursore de Die Stützen der Gesellschaft, testo in cui inizia a caratterizzarsi il personaggio ibseniano avvolto dalle costanti contraddizioni del suo essere interiore. La teoria di Brahm, per i drammi che dalla commedia del 1862 giungono fino all’opera in questione, dimostra che essi sono costruiti su una tecnica drammatica «tramandata», ovvero alla maniera dei francesi90. Anche Steiner ne La morte della tragedia constata la vicinanza non solo de Die Stützen der Gesellschaft, bensì anche di Gespenster e Puppenhaus con lo stile dei francesi riscontrando in essi una evidente singolarità: «Il fattore rivoluzionario sta nell’aver adoperato espedienti logori, come il passato misterioso, la lettera intercettata o la confessione sul letto di morte, per trattare gravi e urgenti problemi sociali»91. La tesi vuole, pertanto, che solo Nora si distacchi dagli altri, segni «il passaggio a una nuova arte moderna interiorizzata», assegnando il raggiungimento del grado più alto di perfezione ai successivi Gespenster e Ein Volksfeind92.
57Nei Die Stützen der Gesellschaft, l’«incondizionata credenza» nella verità è visibile nel personaggio del Console Bernick il quale, anche se solo nel quarto e ultimo atto, giunge a una confessione pubblica dei suoi peccati93. Dopo essere stato celebrato, quasi per l’intero dramma, per le elevate competenze industriali smaschera il lato più nascosto di sé, coscienzioso e divorato dai rimorsi. Infine, dunque, l’ansia di verità di Bernick trionfa sulla sete di potere, sul desiderio di ricchezza e di successo sociale. Secondo Slataper, il messaggio che Ibsen intende tramandare con la sua commedia è: «Occupiamoci meno della società: pensiamo a esser onesti noi. Non facciamo i “pilastri”, ma siamo uomini. Così come Ibsen era riuscito ad affermare che l’arte è individualità, e onestà purificatrice di spirito, afferma anche positivamente che la vita è vita di individui, onestà, fedeltà di individui a sé stessi»94.
58Nella recensione sullo spettacolo le attente riflessioni di Brahm si aprono a un ulteriore tema, la questione della donna recepita come portatrice di verità. Tornando improvvisamente dall’America, l’emancipata Lona “spalanca le finestre” all’animo di Bernick, risvegliando in lui i sentimenti di onestà e giustizia. Tenendo conto, infatti, delle considerazioni di Lona, convinta che la società sia composta esclusivamente da «animi scapoli» incapaci di considerare la donna, si scopre, secondo Brahm, la «chiave» del dramma95. Nell’opera Ibsen inquadra quattro tipi di donne (Lona Hessel, la Signora Betty Bernick, la Signorina Martha Bernick e l’ospite di casa Dina Dorf) e mostra il modo in cui la loro natura sia stata alterata e arginata dalle pressanti relazioni e dalla società:
Ed ecco dapprima Lona Hessel, la forte donna altamente sviluppata spiritualmente, che viene condotta alla stravaganza, all’asprezza e alla caricatura da una “società” ristretta e timorosa; ed ecco la sorella più silenziosa, la signora Bernick, che, intimidita al fianco di un coniuge egoisticamente prepotente, vegeta senza gioia. Quindi la signorina Bernick, un’esistenza parimenti silenziosa, che però sotto un animo tollerante mostra una protesta contro la costrizione alla convenzione e anela a un cielo più ampio, a un’atmosfera più libera nel corso della sua vita […] e infine l’allieva della signorina, Dina Dorf, l’antecessora di Nora, che non vuole essere sposata e si preoccupa delle origini, ma che desidera tessersi da sola il suo destino e che si allontana orgogliosa dall’inclinazione sofferente dei farisei […]96.
59È nell’invenzione di queste quattro moderne donne che risiede l’originalità dell’opera. In esse, conclude il critico, trapela una prospettiva satirica ostile ai «fradici sostegni sociali» e tra le interpretazioni delle quattro figure si distingue l’attrice Paula Carlsen (1837-1900) nella parte di Lona, che viene descritta dal recensore come «un sorprendente modello, sebbene non convincente in modo assoluto nella sua consapevole grossolanità e nudità americana»97. Tuttavia, il pubblico del Deutsches Theater non presta molta attenzione alla componente femminile acclamando, invece, la coinvolgente azione. Dodici anni dopo la sua creazione il testo ottiene ancora un vivo successo, emanando ancora un forte effetto di «novità» sugli spettatori berlinesi98. Per questa performance il signor L’Arronge, in mancanza dell’autore, raccoglie dopo ogni atto gli applausi del pubblico. Brahm assegna a L’Arronge il merito, nonostante tutto, di aver instaurato un clima affiatato tra gli interpreti (pur avendo a disposizione performer poco esperti come Pohl, Kadelburg, Nissen, Wessel) e il pregio di aver ottenuto eccellenti risultati. Dati gli effetti conseguiti soprattutto dagli attori capaci di avvicinarsi a un’arte impervia ma colma di prolifici stimoli come quella di Ibsen e l’incredibile e inattesa accoglienza del dramma da parte del pubblico, Brahm assoda che l’“ibsenismo” nella capitale tedesca appare sempre più pronunciato e nella chiusura dell’articolo scrive: «Veramente, accadono ancora segni e miracoli»99.
3.8. Die Frau von Meer e Hedda Gabler
60Die Frau von Meer (La Donna del Mare) di Ibsen fa il suo ingresso sulle scene tedesche, precisamente all’Hoftheater di Weimar, solo a partire dal 12 febbraio 1889. Il mese successivo viene rappresentato anche all’Hoftheater di Berlino destando, insolitamente, l’interesse di un pubblico molto diverso dal solito. Il dramma non deve aver avuto una semplice accoglienza dal momento che Brahm, nell’unica recensione dedicatagli (stampata sulla “Frankfurter Zeitung” l’8 marzo 1889), la rammenta come un’opera «interrotta continuamente da singolari sospensioni»100. Questa creatura marina ibseniana, dunque, naufraga diverse volte prima di approdare sulla “terraferma” ed è per questo motivo che ora il controverso lavoro è atteso con «vivace suspense»101. Il critico trascrive nel dettaglio l’uditorio presente in teatro: «Sopra la sala […] si vedeva un pubblico insolitamente distinto, spiritualmente aristocratico, i più eccezionali scrittori, gli eruditi, gli artisti compositori e creativi, i direttori del Burgtheaters e del Deutsches Theaters»102. Tra le righe del suo articolo, Brahm lascia scorgere la sensazione di essere dinanzi a un evento senza precedenti, decisivo non solo per la riuscita dello spettacolo in sé bensì per il futuro teatrale dell’autore nel teatro tedesco contemporaneo. L’attesa e l’agitazione pervade gli spettatori fino alla fine del primo atto, momento in cui vengono acclamati gli interpreti seguiti, successivamente, dagli applausi per l’autore.
61Per l’intera durata della prima parte del dramma Brahm avverte una «approvazione incondizionata», turbata solo lievemente nelle successive sezioni da una recitazione eccessivamente fioca, incomprensibile103. Il recensore sottolinea che proprio in questi drammi in cui è essenziale la comprensione di ogni singola parola, non è permessa una interpretazione nebbiosa e indecifrabile dal punto di vista acustico. L’opera «più fragile» rispetto alle altre e «specificamente nordica nel suo carattere» è del tutto racchiusa nel suo universo individuale, nella propria concezione poetica104. Questa diminuzione di tensione sopraggiunta nella seconda parte della serata è causata ancora una volta, sostiene Brahm, dagli attori ritenuti «ancora novellini» per l’arte ibseniana. Il recensore insiste ulteriormente su una tecnica recitativa inadeguata, completamente da riformare per pareggiarsi coi drammi del grande maestro nordico: «Compiti di un così rilevante peso devono essere svolti con un colpo unicamente da una genialità drammatica; i mezzi talenti si abitueranno a essa solo gradualmente, solo poco per volta incontreranno i toni più sottili delle emozioni»105. Gli sforzi costanti e decisi del direttore Anno, energico ammiratore del drammaturgo, l’assiduo impegno di Emanuel Reicher (1849-1924) nelle vesti del Dottor Wengel e di Clara Meyer (1848-1922) nel ruolo di Ellida, sono ampiamente apprezzati da Brahm e l’opposizione, «che non manca in nessuna prima di Berlino», non influisce sulla riuscita della messa in scena106. Il critico è consapevole di trovarsi dinanzi a un primo valido tentativo in grado di imprimersi, dopo questa messa in scena, nelle pagine di storia del teatro contemporaneo.
62A seguire, tra gli ultimi scritti critici di Brahm riservati a Ibsen, ci si imbatte nell’analisi di Hedda Gabler. La trilogia femminile apertasi nel 1886 con Rosmerholm e proseguita con Die Frau von Meer, cede il posto ora a una nuova donna, la demoniaca Hedda. Il dramma, terminato nel 1890, viene accolto al Residenztheater di Monaco nel gennaio del seguente anno approdando nella capitale del Reich un mese dopo, nel febbraio 1891. Sulla rivista della Freie Bühne, il critico riporta le sensazioni suscitate da una prima lettura del testo. Ormai la comparsa dell’opera in versione stampata non rappresenta più «un evento letterario» prettamente germanico (come era avvenuto per le primissime produzioni ibseniane), ma costituisce un fenomeno di risonanza europea107. La coinvolgente lettura induce, dichiara Brahm, a una aperta riflessione sull’opera:
In “Hedda Gabler” [Ibsen] ha prodotto un’opera dalla combinazione così ininterrotta, di una così tanto pressante forza della visione e di un così demoniaco carattere […]; è il più completo Ibsen, il più maturo Ibsen, il miglior Ibsen. […] si annuncia qualcosa di sorprendentemente nuovo nell’opera: mai egli è rimasto più attaccato alla faccenda nelle sue poesie moderne, mai ha creato di più e problematizzato di meno che qui. Infatti, in “Hedda Gabler” lui è l’artista più autentico che mai108.
63Si osserva, dunque, che l’ultima produzione ibseniana magnetizza completamente il critico. A differenza dei precedenti lavori fondati sui capisaldi di libertà, rivendicazione delle questioni etiche o sulla contrapposizione di menzogna e verità, in Hedda Gabler è presente una singolare costante, la «forza demoniaca delle passioni umane, […] la pienezza della natura stessa» che insorge con la sua incommensurabile potenza109. La controversa protagonista Hedda è considerata da Brahm un «demone della femminilità, come quelli non prodotti da alcun drammaturgo dopo la Lady Macbeth di Shakespeare o la Adelheid di Goethe»110. Ella è il più sconvolgente e inconciliabile personaggio concepito dall’Ibsen maturo. Il titolo, elemento considerato dal drammaturgo di estrema rilevanza per comprendere appieno l’opera, è Hedda Gabler, una donna accompagnata dal cognome paterno del generale Gabler e non del marito Tesman. Ibsen, con questo intervento, intende precisare che Hedda è più «figlia di suo padre che moglie di suo marito»111. Il genitore, pertanto, deve averla «marcata profondamente» consegnandole un’educazione fatta di obblighi e doveri, priva di amore, che la porta a divenire una donna insoddisfatta della propria vita, egoista e invidiosa dei successi altrui. Roberto Alonge fa notare che il termine “potere” è quello che si incontra con maggiore frequenza nelle battute di Hedda112. Ella aspira ad avere il completo dominio sull’uomo, proprio come il padre lo aveva su di lei, e questa ossessione, impossibile da realizzarsi una volta scoperta l’imminente maternità a cui sta per andare incontro, la conduce alla morte. È solo ponendo fine ai suoi giorni, infatti, che Hedda riesce a liberarsi dalla sua smania di controllo113.
64Tuttavia, Brahm non dà spiegazioni sul finale del dramma per non dissolvere la curiosità dei lettori. Egli, così facendo, gli affida «il compito di scoprire la venatura sottile della poesia», di porsi domande sulle relazioni operanti tra alcuni soggetti dell’opera114. Il suo giudizio in questo primo resoconto del testo non è decisivo o eccessivamente scrupoloso, ma fornisce informazioni utili per connettere il suo pubblico con la grandiosa personalità artistica del drammaturgo norvegese, «un genio che vive liberamente nel proprio mondo fantastico e che è in grado di plasmare naturalisticamente, attraverso la realtà, ciò che si vede al suo interno; […] che cala la luce nei fondali dell’umanità, negli abissi delle anime e nei vortici delle passioni»115.
65Le aspettative brahmiane, tuttavia, vengono deluse quando Hedda Gabler viene portata in scena l’anno successivo al Lessing Theater116. Brahm avverte immediatamente l’imbarazzante situazione in cui è costretto a ritrattare le sue impressioni letterarie, riportate nel preliminare scritto. Per lasciarci intuire adeguatamente la sensazione provata all’uscita dal teatro, il recensore trascrive le parole che il suo maestro Scherer aveva citato durante una relazione su un nuovo dramma: «Non ogni esibizione su ogni palco può contare su un controllo reale»117. Gli innegabili equivoci trasformano l’allestimento in un’opera «incert[a], difficile e stentat[a]» e spingono Brahm ad attestare che: «L’arte recitativa tedesca, a quanto pare, non è ancora matura per una così profonda esplorazione psicologica, e il colpo di fortuna sembra lontano nel nostro lacerato teatro»118. È evidente che i sei attori in scena, dei quali il critico non riferisce i nomi, sono incapaci di trasmettere agli spettatori personaggi, forse, fin troppo umani. L’insuccesso della rappresentazione in territorio tedesco è ricordata anche da Franco Perrelli, il quale afferma: «Si avvia in Germania un certo declino della parabola dell’autore norvegese, che si avventurava peraltro, nei suoi estremi drammi, su una strada di scrittura vieppiù sperimentale»119.
66Ad ogni modo, le opere di Ibsen esercitano una profondissima influenza nei paesi di lingua tedesca, contribuendo all’affermazione del movimento naturalista. Il drammaturgo, nel discorso commemorativo di Brahm del 1906, è descritto come «l’innovatore» del teatro germanofono, «un innovatore di una forza e di un potere che non attraversava il palcoscenico dai tempi di Shakespeare»120. Alla luce dell’indagine presentata in questa sede il critico, come d’altronde ogni studioso cimentatosi col lavoro del norvegese, esplora alcuni argomenti e figure che consentono (pur se non in misura completa) di avere una visione più ampia su un uomo che ha ormai assunto «i tratti del classico, che non finisce mai di stupire e che rivela continuamente aspetti imprevisti»121. Moderno anticipatore dei malesseri e delle gravi condizioni esistenziali del futuro individuo novecentesco, Ibsen rivoluziona dalle fondamenta il teatro occidentale riportando sulle scene (esclusivamente dopo i Greci) «il dramma dell’uomo alle prese con la verità, deciso a fare i conti con la propria natura, a fare i conti con il mondo in cui vive, e quindi a non fermarsi dinanzi a nessun rispetto umano (…)122. Brahm, primo fra tutti in Germania, afferra lo spessore di un autore in grado di «santificare nuovamente la scena spesso profanata», purificandola di nuovi contenuti123.
Notes de bas de page
1 F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi, in A. Meregalli, C. Storskog (a cura di), Bridges to Scandinavia, Università degli Studi di Milano, di/segni, Milano 2016, p. 105.
2 Il giorno dopo la messa in scena Ibsen scrive all’editore Hegel: «La sala era praticamente piena e il dramma è stato accolto da una tempesta d’applausi. Io ho seguito la rappresentazione dietro le quinte e poi sono stato acclamato cinque volte. Dopo lo spettacolo, i letterati monacensi hanno improvvisato una festa in mio onore che si è protratta nella notte». H. Ibsen, Skrifter, trad.it. F. Perrelli, V. Ystad et al. (a cura di), Aschehoug, Oslo 2005-10, vol. XIII, p. 308.
3 Ivi, p. 313.
4 F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 108.
5 P. Schlenther, Gesammelte Werke, Band 6, p. 238f.. È da sottolineare che in quel periodo, oltre alla terribile versione tradotta da Wilhelm Lange, ne circola anche una modificata da Emil Jonas, (famoso per i suoi atti di pirateria su testi originali) che viene accettata da ben trentadue teatri. Cfr. F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 110.
6 O. Brahm, Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches, «Frankfurter Zeitung», 10. Mai 1904, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 215.
7 Ibid.
8 L. Baxandall, The Naturalist Innovation on the German Stage: the Freie Bühne and Its Influence, «Modern Drama», Bd. 5, 1963, p. 454.
9 T. T. Hansen, Otto Brahm’s Freie Bühne: on the Function of Ghosts in 1889, in P. Bjørby, A. Aarseth (a cura di) Proceedings, IX International Ibsen Conference, Alvheim & Eide, Øvre Ervik 2001, p. 305.
10 È da sottolineare che il Lessing Theater non è un teatro privato e non riceve sovvenzioni da nessuno. Il successo al botteghino, ottenuto sia per le produzioni di Ibsen che per quelle di Hauptmann e Schnitzler, è legato esclusivamente all’abilità di Brahm nel scegliere le opere adatte da mettere in scena e, dunque, alla capacità di attirare il pubblico. Cfr. J.M. Hanssen, Otto Brahm’s Ibsen Cycle at the Lessing-Theater in Berlin, «Nordlit», n. 34, 2015, pp. 263-270.
11 Cfr. O. Brahm, Henrik Ibsen, «Deutsche Rundschau», Band XLIX, 1886, p. 212.
12 J.M. Hanssen, Otto Brahm’s Ibsen Cycle at the Lessing-Theater in Berlin cit., pp. 268-269.
13 Ibid.
14 La Reclams Univeral-Bibliothek (Biblioteca Universale Reclam) nasce nel 1867 a Lipsia a opera della casa editrice Philipp Reclam jun. e fa parte, oggi, della collana editoriale della Reclam Verlag. È generalmente conosciuta per la sua forma esile e compatta e, soprattutto, per il moderato costo (all’epoca 20 marchi) responsabile di una diffusione veloce e capillare sul territorio tedesco. Brahm, nel saggio Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches, afferma che la coraggiosa Marie von Borch sceglie di cimentarsi nell’ardua impresa di traduzione poiché prova particolare affinità con le esperienze vissute dalla signora Alving. La storia deve quindi aver affascinato la donna al punto tale da permetterle di realizzare un progetto in cui molti traduttori, prima di lei, hanno decisamente fallito. Cfr. O. Brahm, Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches cit., pp. 215-221.
15 O. Brahm, Ibsens Gespenster für das Deutsche Theater, «Vossische Zeitung», 2. Februar 1884, in Id., Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 157.
16 Le precise parole utilizzate da Brahm in questo passo sono le seguenti: «La sua piena azione può essere vista solo sul palcoscenico, poiché essa è stata pensata e realizzata non tanto come un dramma di lettura quanto come un dramma esclusivamente per il teatro: a Copenaghen, dopo che il teatro di corte aveva rifiutato la rappresentazione, la compagnia di Lindbergh lo ha portato in scena facendo una buona impressione». Ibid.
17 Ibid.
18 O. Brahm, Das Deutsches Theater, «Vossische Zeitung», 29. September 1883, in Id. Kritische Schriften, Über Drama und Theater cit., p. 30.
19 Ivi, pp. 34-35.
20 Ivi, p. 35.
21 Ivi, p. 37.
22 O. Brahm, Ibsens Gespenster, «Frankfurter Zeitung», 13. März 1884, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 159.
23 O. Brahm, Henrik Ibsens Gespenster in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 12. Januar 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 166.
24 La Danimarca dopo le guerre di liberazione nella seconda metà dell’Ottocento è ancora bloccata in un mondo conservatore, isolata dalle nuove tendenze culturali europee. Georg Brandes è in grado di ristabilire il contatto con il resto delle nazioni dando l’avvio a un’epoca riformatrice scandinava. Le caratteristiche principali del rinnovamento sono insite nella satira sociale e, appunto, nella nuova corrente naturalista. O. Brahm, Ibsens Gespenster, «Frankfurter Zeitung», 13. März 1884, Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 158.
25 Ibid.
26 F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 111.
27 A. M. Koller, Ibsen and the Meininger, «Educational Theatre Journal», n. 17, 1965, p.106.
28 Brahm, nel concludere la recensione del 12 gennaio 1887, elogia il temerario direttore Anno, abile nel cogliere «la raffinatezza della poesia» e riserva giudizi positivi per la completa dedizione all’opera dei cinque attori: Franz Wallner, Emanuel Reicher, Charlotte Frohn, Helene Schüle e Würzburg.
29 O. Brahm, Henrik Ibsens Gespenster in Berlin cit., p. 163.
30 H. Kindermann, Theatergeschichte Europas, trad. it. M. Fazio, O. Müller, Salzburg 1968, vol. VIII, p. 23.
31 L’espressione è utilizzata da F. Perrelli per dimostrare le aspettative del pubblico ed è citata in L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi. Tuttavia, la notizia proviene da H. Koht, Henrik Ibsen, Aschehoung, Oslo 1954, vol. II, p. 218.
32 H. Ibsen, Skrifter cit., p. 467.
33 O. Brahm, Henrik Ibsen in Berlin. Persönliches und Sachliches cit., p. 218.
34 Brahm scrive a riguardo: «[Ibsen] ha realizzato uno sconcertante dramma dell’anima, i cui effetti vengono sentiti a lungo; e la coppia della madre angosciata e del figlio agonizzante, che predomina in quest’opera e ci tocca nel profondo perché ci abbandona, è commovente, infinitamente commovente…». Cfr. O. Brahm, Henrik Ibsens Gespenster in Berlin cit., p. 165.
35 O. Brahm, Henrik Ibsens Gespenster in Berlin, «Die Nation», 15. Januar 1887, pp. 170-171.
36 A definirla superiore rispetto alla messa in scena del 1887 al Residenz Theater è Theodor Fontane che la recensisce sulla «Vossische Zeitung», il 30 settembre 1889.
37 Cfr. G. Schley, Die Freie Bühne in Berlin cit., pp. 38-45.
38 K. Frenzel, Gespenster Inszenierung der Freien Bühne im Berliner Lessing-Theater, «National-Zeitung», 30. September 1889, n. 539, p. 42.
39 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 9. März 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., pp. 171-176.
40 Ivi, pp. 175-176.
41 In una lettera inviata all’editore Hegel, Ibsen afferma: «Mi sono divertito un mondo nella stesura di quest’opera; e il fatto che essa sia ormai finita, ha creato attorno a me un vuoto, una mancanza. Il dottor Stockmann ed io ci siamo fatti buona compagnia e, per molti riguardi, ci siamo trovati perfettamente d’accordo […]». Cfr. G. Antonucci, Presentazione di Un Nemico del Popolo in G. Antonucci, L. Chiavarelli (a cura di), H. Ibsen, I Capolavori cit., pp. 184-185.
42 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 12. März 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., pp. 178-179.
43 Ibid.
44 Ibid.
45 Michael Kohlhaas è il titolo di un racconto scritto da Heinrich von Kleist e pubblicato in versione integrale nel 1810. La storia prende spunto da un fatto realmente accaduto nel XVI secolo e descrive la vicenda del protagonista Michael alle prese con gli atti di sopruso del proprietario terriero Wenzel von Tronka.
46 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 12. März 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 178.
47 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 9. März 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 176.
48 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Frankfurter Zeitung», 12. März 1887 cit., p. 177.
49 O. Brahm, Henrik Ibsens Volksfeind in Berlin, «Freie Bühne für modernes Leben», 17. Dezember 1890, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., pp. 179-181.
50 Ibid.
51 Ibid.
52 Cfr. G. Antonucci, Presentazione di La casa dei Rosmer in G. Antonucci, L. Chiavarelli (a cura di), Ibsen, I Capolavori cit. p. 248.
53 Cfr. O. Brahm, Residenz-Theater: Rosmerholm, «Die Nation», 14. April 1887, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 181.
54 Ibid.
55 Ivi, p. 182.
56 F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 112.
57 H. Ibsen, Skrifter, trad. it. F. Perrelli, vol. XIV cit., pp. 536-537.
58 O. Brahm, Die Wildente auf der Bühne, «Frankfurter Zeitung», 6. März 1888, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 185.
59 Ibid.
60 O. Brahm, Die Wildente auf der Bühne, «Die Nation», 10. März 1888, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler, cit., pp. 190-193.
61 Ibid.
62 Roberto Alonge, confermando la tesi brahmiana, sostiene che l’atteggiamento di Greger, infatti, è saldamente legato a «una pulsione antipaterna» e a un «rifiuto viscerale del genitore». Cfr. R. Alonge, Ibsen. L’opera e la fortuna scenica, Le Lettere, Firenze 1995, p. 52.
63 Ivi, p. 53.
64 O. Brahm, Die Wildente auf der Bühne, «Die Nation», 10. März 1888 cit., p. 191.
65 Lo scambio di battute nel finale è il seguente: «Relling: Fra tre trimestri la piccola Edvig non sarà altro per lui che un bel tema per declamazioni. Gregor: E voi osate dire questo sul conto di Hjalmar Ekdal! Relling: Ne riparleremo, quando la prima erba sarà appassita sulla sua tomba. Allora lo potrete sentir piangere sulla “figliola troppo presto strappata al suo cuore paterno”; allora lo potrete veder cuocere nella commozione, nell’ammirazione e nella compassione per se stesso. State attento! Gregor: Se voi avete ragione, ed io torto, la vita non è degna d’esser vissuta. Relling: Oh, la vita potrebbe pure avere del buono, a dispetto di tutto, quando noi potessimo solo esser lasciati in pace da questi benedetti esattori, che si presentano alle porte di povera gente, come noi, con i diritti dell’ideale. Gregor (guarda davanti a sé): In tal caso son contento della risoluzione che ho preso. Relling: Con il vostro permesso… qual è dunque la vostra risoluzione? Gregor (in procinto di andarsene): D’essere il tredicesimo a tavola. Relling: Oh, che il diavolo vi porti».
66 S. Slataper, Ibsen, Vallecchi, Firenze 1977, p. 174.
67 Brahm a tal proposito riporta un passaggio in cui lo stesso Ibsen afferma: «Mi cercano, per farmi responsabile delle osservazioni che le singole persone esprimono sul dramma; eppure, in tutto il libro non c’è alcuna opinione che si potrebbe collegare all’autore. Su questo io mi sono infatti protetto in anticipo… Hanno anche detto appunto che la mia poesia predica il nichilismo. Essa non si occupa propriamente di predicare qualcosa. Accenna solo sotto la superficie […] come ovunque si agitano le idee nichiliste…la mia intenzione va a suscitare un’impressione nel lettore di quando lui ha vissuto un pezzo della sua vita reale. Ma niente affronterebbe una tale intenzione più forte di un inserimento della visione del poeta. O davvero non si crede che io possegga così tante competenze nella critica estetica per riconoscere ciò? In realtà io le ho dapprima esaminate e poi trattate». Cfr. O. Brahm, Die Wildente auf der Bühne, «Die Nation», 10. März 1888 cit., pp.191-192.
68 O. Brahm, Die Wildente auf der Bühne, «Frankfurter Zeitung», 6. März 1888 cit., p. 186.
69 Ivi, p. 187.
70 Ivi, p. 189.
71 R. Alonge, Ibsen. L’opera e la fortuna scenica cit., p. 40.
72 S. Slataper, Ibsen cit., p. 140.
73 Ivi, pp. 140-141.
74 Cfr. F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 110.
75 O. Brahm, Lessing-Theater: Nora, «Die Nation», 1. Dezember 1888, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 196.
76 Ibid.
77 Ivi, p. 195.
78 Ibid.
79 Ibid.
80 Ivi, p. 196.
81 Ivi, p. 197.
82 O. Brahm, Berliner Theater: Nora, «Die Nation», 7. Mai 1892, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 198.
83 Ivi, pp. 200-201.
84 Ivi, p. 198.
85 Ivi, p. 199.
86 O. Brahm, Lessing-Theater: Nora cit., p. 197.
87 È rilevante notare che Brahm, nei suoi scritti critici, definisce spesso le opere di Ibsen “poesie”.
88 O. Brahm, Deutsches Theater: Die Stützen der Gesellschaft, «Die Nation», 27. April 1889, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 201.
89 Cfr. La diffusione della corrente naturalista in Germania, paragrafo contenuto all’interno del secondo capitolo del presente testo.
90 La vicinanza al teatro francese del tempo è visibile, in particolare, nel lieto fine della commedia e nella sinteticità con cui vengono illustrati alcuni personaggi.
91 G. Steiner, Morte della tragedia, Garzanti, Milano 1965, p. 225.
92 O. Brahm, Deutsches Theater: Die Stützen der Gesellschaft cit., p. 202.
93 Ibid.
94 S. Slataper, Ibsen cit., p. 113.
95 O. Brahm, Deutsches Theater: Die Stützen der Gesellschaft cit., p. 202.
96 Ivi, p. 203.
97 Ibid.
98 Ibid.
99 Ivi, p. 204.
100 O. Brahm, Ibsen im Berliner Hoftheater, «Frankurter Zeitung», 8 März 1889, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 204.
101 Ibid.
102 Ibid.
103 Ivi, p. 205.
104 Ivi, p. 207.
105 Ibid.
106 Ivi, p. 204.
107 O. Brahm, Hedda Gabler, «Freie Bühne für modernes Leben», 24. Dezember 1890, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., p. 209.
108 Ivi, pp. 209-210.
109 Ivi, p. 210.
110 Ibid.
111 Le parole sono riportate in una lettera che Ibsen invia, il 4 dicembre 1890, al conte Prozor, suo traduttore francese. Cfr. G. Antonucci, Presentazione di Hedda Gabler, in G. Antonucci, L. Chiavarelli (a cura di) Ibsen, I Capolavori cit., p. 378.
112 Cfr. R. Alonge, Ibsen. L’opera e la fortuna scenica cit., pp. 61-64.
113 Significativo, annota Alonge, è il modo in cui Hedda si suicida (nella stanza in cui è affisso il dipinto del generale Gabler): «Non si uccide subito. Prima tira le tende e va a suonare al pianoforte. È una sorta di ricapitolazione di sé, di sforzo di ritrovamento della propria identità. Ed è anche un modo di separarsi dal contatto con gli uomini volgari. Si isola per recuperare il senso di comunione con il proprio padre. Il suo è anche un sacrificio che ristabilisce la fusione con la “divinità paterna”». Ivi, p. 62.
114 O. Brahm, Hedda Gabler, «Freie Bühne für modernes Leben», 24. Dezember 1890 cit., p. 212.
115 Ibid.
116 In quel periodo il Lessing Theater è diretto da Oskar Blumenthal.
117 O. Brahm, Lessing Theater: Hedda Gabler, «Freie Bühne für modernes Leben», 18. Februar 1891, in Id. Theater, Dramatiker, Schauspieler cit., pp. 212-213.
118 Ivi, p. 213.
119 F. Perrelli, L’Europa dei teatri e i barbari scandinavi cit., p. 113. Bisogna sottolineare che per quanto concerne il “successo di pubblico” è indispensabile chiarire che, al di là della complessità del fenomeno, non è Spettri o La Signorina Julie di Strindberg il dramma più rappresentato alla fine dell’Ottocento, ma la trasposizione del romanzo di Jules Verne, Le Tour du monde en quatre-vingts jours, il quale ottenne ben 1500 repliche. Ivi, p. 124.
120 O. Brahm, Gedenkrede auf Henrik Ibsen im Theater an der Wien, 30. Mai 1906, in Id., Kritische Schriften, Über Drama und Theater cit., pp. 456-462.
121 G. Antonucci, Introduzione in Ibsen, I Capolavori cit., p. VIII.
122 N. Chiaramonte, La situazione drammatica, Bompiani, Milano 1960, pp. 224-225.
123 O. Brahm, Gedenkrede auf Henrik Ibsen im Theater an der Wien cit., p. 462.
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