Trasfigurazione ed evento del corpo animale
p. 403-410
Texte intégral
varcando le frontiere o le fini dell’uomo, giungo all’animale: all’animale in sé, all’animale in me e all’animale che si sente mancante, a quell’uomo di cui Nietzsche diceva pressappoco, non mi ricordo dove, che era un animale ancora indeterminato, un animale mancante di sé
(J. Derrida, L’animale che dunque sono)
1L’osservazione e lo studio degli animali e del loro habitat, applicato all’allenamento del performer e al processo di creazione, è un elemento diventato costitutivo della nostra ricerca: il corpo umano, svuotato del dato biografico, attraversando l’anatomia delle specie esplorate ad esso estranee – accade ad una nuova figura e si fa evento. Accade finalmente di essere un corpo, libero dal possederlo.
2Come dice Roberto Marchesini in Etologia Filosofica (2016): «l’uomo ha un corpo, l’animale è un corpo». In questo essere della figura animale si appare in scena, venendo meno la biografia. Il corpo del performer quindi si fa evento a-storico: se salta è il salto e se parla è la parola. “Incorporare l’animale” è dunque una via verso l’abbandono, l’accadere, per uscire dalla storia e farsi paesaggio.
3Quando un animale compie un movimento, ad esso partecipa il corpo intero nella sua complessità, restituendoci l’armonia del movimento stesso, perfetto nella sua funzione. Questa bellezza evidente, che noi avvertiamo come incredibile potenza è dovuta a una interezza che già lo trasfigura nell’azione, già lo proietta nel salto prima ancora di compierlo, che proietta il verso come prolungamento del corpo, come atto necessario alla vita. Alla stessa interezza deve puntare il corpo in scena.
4L’indagine sugli animali ci permette dunque di maturare una presenza scenica radicale, fuori dalla storia.
5Incamminandoci sulla strada di una nuova creazione, cerchiamo di arrivare in un luogo che non sappiamo ancora nominare. Un certo istinto ci guida verso una sorgente, come accade a certi animali, in migrazione verso luoghi che nutrono e riparano. Un cammino che lascia un solco per lo spettatore che dovrà percorrerlo quando il tracciato sarà compiuto. È animale il cammino stesso di creazione, per la condizione che impone ai corpi, in stato di esplorazione, attenti, in lettura, sempre pronti alla meraviglia e al pericolo. Lungo questa strada il corpo del performer muta, fino a trasfigurare.
6In questo percorso tra uomo e animale, ci sembra che si apra questo spazio incredibile da esplorare; e questo per noi è il teatro, questo spazio da abitare tra l’uomo e l’animale: lo spazio dell’innominabile, il luogo dove speriamo ogni volta di poter giungere trasfigurati, lungo un cammino di diseducazione e misconoscenza, che approda nel luogo del mistero, al teatro. Nel mistero possiamo essere coesi; nel mistero la solitudine si fa moltitudine. Quando si condivide lo stupore è lì che accade inevitabilmente la trasfigurazione, cioè riconosciamo e ci riconosciamo nell’altro, nella nuova forma che ha preso l’altro.
7Osservare e trascendere sono componenti essenziali di questo processo. Mimesi e trasfigurazione sono inizio e fine del percorso.
8L’osservazione degli animali ci permette di sviluppare uno sguardo privo di giudizio; ciò che appare si dà nella sua essenza, senza tenere nulla indietro, senza nascondere o lasciare sottinteso alcunché. Tale è la presenza animale, sempre visibile, a tutti esposta. Dunque prima di affrontare il lavoro sulla figura, sull’assunzione della forma animale, c’è l’osservazione e la nudità a cui ci espone lo sguardo animale «l’animale ci guarda e noi siamo nudi davanti a lui» (Derrida 2006, 68).
9Questa nudità vogliamo assumerla come condizione necessaria per accadere in scena nello sguardo dello spettatore. Non si tratta certo di una nudità personale, ma piuttosto di un donarsi in lettura, farsi evidenti, segno tra i segni che compongono il quadro scenico senza colonizzare l’immagine con il proprio soggetto. In una parola sciogliersi nel discorso, nel susseguirsi dei segni, dando luogo a una grammatica istantanea, generata per negoziazione, per ripetizione e differenza. Se ci sentiamo coinvolti, chiamati in causa, in presenza di un animale, è proprio per questo motivo, perché la sua presenza è una permanenza, evidenza che ci fa tutti nudi.
Il punto di vista dell’assolutamente altro, e niente mi ha mai fatto pensare tanto all’alterità assoluta del vicino o del prossimo, quanto i momenti in cui mi vedo visto nudo sotto lo sguardo di un gatto. Quale è la posta in gioco di tali domande? Non importa essere degli specialisti per intuire che queste implicano l’idea di che cosa vuol dire vivere, parlare, morire, essere e mondo come essere-nel-mondo o come essere-al-mondo, o essere-con, essere-davanti, essere-dietro, essere-dopo, essere e seguire, essere seguiti o inseguire, là dove seguo, in un modo o nell’altro, ma sempre presso ciò che viene chiamato animale (ibid.).
10Indagare lo sguardo animale ci permette dunque di processare il rapporto tra attore e spettatore, affinché possa trascendere nella compresenza, in una reciproca esposizione non già all’altro ma al mistero del teatro.
Come ogni sguardo senza fondo, come gli occhi dell’altro, questo sguardo cosiddetto “animale” mi fa vedere il limite abissale dell’umano: l’inumano o l’anumano, le fini dell’uomo, cioè il passaggio delle frontiere oltre il quale l’uomo osa annunciarsi a se stesso, chiamandosi così con il nome che crede di darsi. E in questi momenti di nudità, sotto lo sguardo dell’animale, tutto può succedermi, sono come un bambino pronto per l’apocalisse, sono l’apocalisse stessa cioè l’ultimo e il primo evento della fine, la rivelazione e il verdetto. (ivi, 49).
11Questa comunanza nella rivelazione si innesca a partire dal corpo del performer che si fa spazio, diviene paesaggio che si estende agli spettatori.
12A questo esito ci porta la familiarità con le figure animali, attraverso un processo di mimesi e trasfigurazione.
13Un animale in azione impiega il corpo intero nella sua complessità, restituendoci non un senso ma una sensazione, emanazione.
14Il gatto salta con tutto il corpo; si nota con chiarezza che non vi è alcun tipo di spreco nell’organizzazione del movimento e nella distribuzione della forza lungo il corpo, ogni sua parte contribuisce all’azione – è una questione di economia non lasciarsi indietro nessuna parte – se l’animale salta è esso stesso il salto.
15L’uomo che salta sembra più propriamente che usi il corpo per saltare; il corpo è il suo strumento, l’estensione che precede il bastone: il proto-strumento pronto all’azione, in previsione e non in abbandono: non il salto, ma appunto l’uomo che salta.
16Il corpo è lo strumento da organizzare nel salto, ciò che ci restituisce l’abilità, e al contempo la capacità di guardarci da fuori, di osservare il nostro corpo in opera. Ne vien fuori che a saltare sono due entità distinte: un corpo ed una immagine più o meno organica del salto. Per scongiurare il pericolo che il performer possa autorappresentarsi nell’azione, affinché possa compiere un’ azione invece che alludervi, è necessario coincidere con il contenuto, far pratica di nuove geometrie e «uscire fuori dalle proprie coordinate come dai propri rapporti metrici» (Deleuze 2016, 132).
17Come per il corpo e il movimento, così è per la voce e la parola. Nella parola ritroviamo il luogo in cui si attua la differenza animale, il luogo in cui la declinazione animale diviene riconoscibile. Nell’articolazione della parola, istante per istante il suono originario viene canalizzato, deviato, interrotto e armonizzato per diventare quella cosa che chiamiamo voce. Ogni volta che parliamo, diveniamo umani, ci decliniamo in questo mondo, negoziando con quell’origine la nostra differenza. Attuando una articolazione tra il vivente e il parlante. Quando il discorso si fa corpo, suono e parola coincidono. Così come il gatto che salta è il salto, il corpo che parla è la parola. Lavoriamo al superamento del carico biografico con cui un performer inizia un processo di creazione; si disegna una via di svuotamento, l’io diventa una parte che osserva. In scena si arriva disumani, contro-cultura, già pronti al sovvertimento della “comune” concezione di tempo e spazio; parole-gesti scardinano la convenzione. Ci si prepara dunque ad un atto barbarico costruendosi un corpo disumano in cui l’istinto come forza primordiale, principio di pura reazione, viene piegato ad un ecosistema con altre regole di sopravvivenza.
18Per lavorare su una specifica qualità di presenza del performer, capace di scatenare l’evento teatrale, partiamo dallo studio dell’anatomia di differenti specie animali, studiandone la postura ed il movimento. Il meccanismo fondamentale è quello della mimesi, osservare, copiare, esplorare le differenze posturali, portare il corpo in movimento, passare a posizioni di riposo, di aggressione e di fuga.
19Incarnare un altro corpo diverso dal nostro per proporzioni ed anatomia, richiede un abbandono totale all’immagine dell’animale che stiamo imitando, il corpo diviene evento a-storico, eliminando ogni possibilità di ricondurre ciò che accade a un prima o a un dopo biografico.
20La mimesi fisica e sonora attiva una condizione di spossessamento se compiuta nell’abbandono di un corpo ad un altro corpo. In questo abbandono, come un abbraccio, ci si libera dalla volontà di produrre segni. In questo svuotamento risiede il primo passo verso una capacità di ascolto non pregiudiziale, pronta a lasciare che il corpo venga attraversato dai suoni, dal riverbero del movimento e della voce, senza barriere, deviazioni o canali preferenziali.
21In sala il corpo del performer assume l’immagine animale, ma non coincide necessariamente con essa; come se una continua negoziazione fosse necessaria tra la volontà di compiere un’azione e l’azione stessa. Il segno che l’immagine porterà con sé sarà dunque un compromesso, cosciente o incosciente, di quella negoziazione. Lo sviluppo di una coscienza del corpo e di una capacità di abbandono ad esso, inverte la gerarchia che detta la sequenza di eventi, posponendo la coscienza all’azione: l’azione fluisce per necessità, guidata dal discorso, nell’abbandono del segno al discorso, la coscienza osserva e prende atto della traduzione in segni del discorso da parte del corpo. Una tale disposizione, che presuppone un discorso preesistente radicato e digerito, è possibile solo se ci si affida al corpo e alla sua intelligenza, alla sua capacità di essere immagine integra e fedele, il resto è lettura pura, nella sospensione del giudizio. Accade dunque che il corpo parli e conseguentemente metta in discussione lo stesso discorso.
22Attraverso l’imitazione dell’immagine animale, il corpo si svuota del suo soggetto, per incorporare oltre che un diverso respiro anche una disposizione all’atto, non pensata, fondata su un abitare il corpo nello spazio. Nella pratica, l’imitazione parte dalla visualizzazione per incorporare da principio la postura, poi l’andatura, fino ad arrivare al respiro, poi al verso e dunque alla parola. Un processo che si fonda su un meticoloso adattamento di una anatomia ad un’altra, con tutto ciò che ne consegue: una disposizione del peso inusuale e una articolazione del movimento conseguentemente diversa. Si reimposta la coordinazione tra gli arti superiori e quelli inferiori, accentuando il lavoro sulla spina dorsale, con passaggi frequenti tra condizione verticale e orizzontale. La postura inedita per il corpo del performer influenza la respirazione, che apprende nuovi ritmi e direzioni. La mimesi del corpo animale libera il performer dall’attitudine alla significazione sia della presenza che del gesto, così come del movimento e della relazione con lo spazio e gli elementi che lo definiscono. È un lavoro di rinuncia, di abbandono all’altro da sé.
Bibliographie
Deleuze G. 2016, L’immagine-movimento, Cinema, 1, Einaudi, Torino
Derrida J. 2021, (2006) L’animale che dunque sono, Rusconi, Milano
Marchesini R. 2016, Etologia Filosofica, Alla ricerca della soggettività animale, Mimesis, Milano
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