Gli Animali delle Ariette, dalla vita al teatro
p. 393-402
Texte intégral
1Da quando abitiamo in campagna alle Ariette, gli animali sono sempre stati presenti, tanti, di tante razze, tante vite, tante morti.
2Sono sempre stati vicini a noi, hanno accompagnato la nostra vita. Noi li abbiamo guardati, cercando di catturare qualcosa in quello “stare”, in quell’essere sempre e comunque, in quella totale assenza di “vita scandita dal tempo”, solo attimi, tanti attimi uno dopo l’altro.
3E loro ci osservano, ascoltano la nostra voce, si insinuano nelle nostre abitudini, al punto quasi da farci pensare «Mi ha riconosciuto!», ma in effetti il mistero che avvolge la loro vita rimane intatto.
4Il mondo delle bestie è un altro mondo, da cui ci sentiamo attratti e spaventati, perché nelle bestie percepiamo qualcosa di originario, che ci appartiene, ma che non riconosciamo più. Associamo spesso agli animali parole come istinto, libertà, piacere e nella nostra rincorsa di un’utopia, di un altro mondo possibile, di una felicità estrema, quello con gli animali è un continuo confronto.
5E con questo loro “stare”, sono diventati attori nei nostri spettacoli. Non hanno mai dovuto fare niente di più che essere quello che sono, condividere con noi la relazione con gli spettatori. E il più delle volte ci hanno rubato la scena.
6Oggi è sempre più difficile avere a che fare con gli animali, non vogliamo più sporcarci le mani.
7O li alleviamo per la nostra alimentazione in quantità sproporzionate e in condizioni disumane, oppure li veneriamo come dei, impoverendo e mistificando la loro vera natura.
8E così è successo che qualche settimana fa sono arrivati i veterinari della Ausl a casa nostra perché qualcuno aveva segnalato un maltrattamento di animali alle Ariette.
9Parleremo anche di questo. E della pandemia in corso. Di chi è la colpa? Ovvio, degli animali che si stanno ribellando e che sono veicolo di virus e di infezioni. Bisogna trovare una soluzione. Di questo parla il nostro ultimo spettacolo E riapparvero gli animali, testo di Catherine Zambon.
Stefano
10Paola è nata in campagna, figlia di contadini, di mezzadri, quindi per lei da bimba era normale stare in mezzo alle mucche e ai vitelli, alle galline e ai conigli. Io invece sono nato in città e da piccolo la mia relazione con il mondo animale era mediata da documentari televisivi e cartoni animati disneyani. Il mio babbo però, due volte alla settimana, uccideva una quindicina di maiali e li trasformava in salumi assieme a mio nonno in un piccolo macello-laboratorio a poche centinaia di metri da casa nostra, vicino alla Certosa di Bologna. Era una piccola attività artigianale nata negli anni cinquanta: il salumificio Pasquini & Brusiani. La mortadella che producevano a Bologna la conoscevano tutti.
11Ho anche lavorato con mio padre da ragazzo. Però non l’ho mai visto uccidere i maiali. Lui non mi ha mai chiesto di guardarlo mentre lo faceva e io non sono mai andato di là, nel piccolo spazio adibito a macello, a vedere. Restavo nell’altro spazio, il laboratorio, quello dedicato alla lavorazione delle carni e mi limitavo a sezionare il risultato di quello che lui aveva fatto.
12Finché ho abitato in famiglia non ho mai avuto né cani né gatti. Ricordo le tartarughe di terra nel piccolo giardino di casa, qualche episodio saltuario con criceti e tartarughine d’acqua comprate o vinte a qualche fiera assieme a pulcini colorati con colori improbabili.
13E anche Paola, dopo aver abbandonato la campagna ed essersi trasferita in paese, ad Anzola dell’Emilia, a metà degli anni sessanta, mi sembra non abbia più avuto animali fino a quando, nel 1984, siamo andati a vivere insieme in una porzione di una vecchia casa colonica a Lavino di Mezzo. Lì abbiamo preso il nostro primo cane, Bac, nato da Briciola, la cagnetta dei suoceri della cugina di Paola.
14Poi nell’89 abbiamo abbandonato la Cooperativa Baule dei Suoni e il teatro, abbiamo lasciato la casa in affitto di Lavino di Mezzo e siamo andati a vivere alle Ariette, un podere abbandonato di proprietà della mia famiglia, sulle colline di Castello di Serravalle a trenta chilometri da Bologna. Siamo diventati coltivatori diretti e senza pensarci tanto abbiamo preso degli animali: galline e anatre. Ci sembrava inevitabile andando a vivere in campagna.
15Poi il tecnico della Confederazione Italiana Agricoltori è riuscito a convincerci a mettere su un piccolo allevamento di pecore da latte per fare il formaggio. Viste le nostre simpatie vegetariane eravamo un po’ riluttanti ad avere a che fare con mammiferi di grossa taglia, ma alla fine le abbiamo comprate, anche per costruire un’azienda agricola biologica equilibrata, capace di produrre un po’ di tutto e utilizzare al meglio anche gli spazi marginali.
16Altri animali, i conigli e le oche, per esempio, ce li hanno regalati e poi si sono riprodotti e una parte, quelli detti domestici o da compagnia come i cani e i gatti, sono arrivati per caso. Per esempio la gatta Mina l’abbiamo trovata nell’orto proprio nell’89 appena arrivati alle Ariette. Da lì è nata tutta la storia dei tanti gatti che continuiamo ad avere anche adesso. Il cane Buck era un setter abbandonato dai cacciatori e il meraviglioso cane Botto l’abbiamo trovato nel cortile quando era ancora un cucciolo.
17Naturalmente quando hai tanti animali ne vedi nascere molti. A volte li aiuti anche a nascere. Le pecore, per esempio, hanno quasi sempre partorito da sole, senza problemi, senza bisogno di nessun intervento, però qualche volta mi è capitato di essere presente. Veder nascere un animale è una esperienza forte. La prima volta che ho visto nascere un agnello io pensavo che fosse morto. Lo vedevo uscire lentamente, il muso tra le zampe anteriori, in posizione perfetta, però sembrava inanimato. Dopo due spinte è sgusciato fuori tutto. Appena toccato terra è come passato dalla morte alla vita, ha cominciato a scuotersi, a vivere. È stato bellissimo.
18Abbiamo sempre avuto tanti animali, ma non abbastanza da immaginarli come un allevamento da reddito, sono sempre stati animali che stavano con noi. Noi prendevamo loro qualcosa, per esempio raccoglievamo le uova delle galline. Non mi sono mai sentito di sfruttare le galline prendendo le loro uova per fare le tagliatelle o per venderle.
19Era più difficile il rapporto con le pecore, perché a un certo punto, una volta l’anno, di solito all’inizio di febbraio, nascevano gli agnelli. Io non sono mai stato capace di ammazzarli, però li vendevo al macello. Si poneva il problema della decisione di vita o di morte nei loro confronti. Era molto difficile, non ho mai sentito il desiderio di uccidere un animale.
20Facevamo anche il formaggio, quindi mungevo le pecore, ma non mi sono mai sentito, almeno in quei tempi, uno sfruttatore. Andavamo avanti assieme, noi e i nostri animali, vivevamo nello stesso luogo, un po’ gli davamo da mangiare noi, un po’ ci davano da mangiare loro, come se fosse una comunità mista.
21Questi nostri animali domestici ci hanno messo involontariamente in contatto con tanti altri animali che vivevano attorno a casa nostra, ma che noi non eravamo mai andati a cercare, per esempio le volpi.
22Le volpi ci venivano a trovare perché erano interessate alle nostre galline.
23Ogni tanto arrivava il lupo. È venuto a più riprese, si è mangiato qualche pecora. Ma gli animali selvatici non sono tutti carnivori, non sono interessati ai nostri animali, ma piuttosto a quello che coltiviamo nei campi. Soprattutto negli ultimi tempi i caprioli e i cinghiali vengono a mangiare i cereali, il grano, l’orzo.
24Tutti questi esseri di cui ho parlato, noi compresi, e vorrei aggiungere tra gli esseri tutti i vegetali, vivono attorno alle Ariette in un equilibrio dinamico, formano un ecosistema.
Paola
25Tutto quello che in questo convegno è stato giustamente concettualizzato, come le immagini video della nascita dei pulcini nell’incubatoio, tutto quello che giustamente qui è stato, come si diceva ieri, sezionato, messo nelle scatole, segmentato e nominato, alle Ariette è semplicemente la vita, la vita che noi facciamo da 31 anni.
Stefano
26Quando dico abbiamo tanti animali uso il verbo avere, come quando dico ho una moglie, o degli amici, o dei colleghi di lavoro. Usare questo verbo ci pone continuamente, ogni giorno, il problema della relazione con gli altri esseri viventi. Come devo affrontare, per esempio, il problema dei cinghiali che invadono il mio campo di grano? Come faccio a spiegare a un cinghiale il concetto di proprietà privata quando io stesso non sono neanche tanto convinto della correttezza di quel concetto?
27Sono tutte queste domande, scaturite dalle esperienze e dalle contraddizioni di questa vita alle Ariette, che ci hanno spinto di nuovo, anche se in modo diverso, verso il teatro.
Paola
28Quando alle Ariette abbiamo iniziato a tenere gli animali, l’abbiamo fatto perché per noi era naturale, in campagna, averli. Non abbiamo pensato: «Li mangiamo o non li mangiamo? Li uccidiamo?». Noi abbiamo cominciato a tenerli perché io sono nata e ho vissuto tanti anni in campagna, per me era naturale. Se tu vai in campagna hai degli animali, è il ciclo della vita, è naturale. E non siamo mai stati nemmeno nell’ottica produttiva, perché gli animali erano pochi, quindi non c’erano le condizioni per un allevamento da reddito come oggi viene normalmente inteso, era una piccola comunità di cui noi ci prendevamo cura, e gli animali ci davano il latte, ci davano le uova.
29Il problema si è posto dopo. Li mangio o non li mangio? Li uccido o non li uccido? Il problema è nato così, quando è arrivato il momento, quando sono nati gli agnelli, quando i pulcini sono diventati polli. Non siamo mai riusciti ad uccidere i nostri animali, ma finché c’era mia madre era lei che li uccideva.
30Per lei era normale fare questo gesto. Lei amava molto gli animali, li curava, ma per lei era normale prendere un pollo, tirargli il collo e mangiarlo. E così la nostra è stata una presa di coscienza dei problemi di relazione con gli animali che non abbiamo fatto da soli, sulle pagine dei libri, ma sul campo, insieme a loro e con loro.
Stefano
31Noi uomini siamo antropocentrici, però a me è sembrato di capire che anche i cinghiali sono cinghialocentrici, cioè loro quando hanno fame mangiano quello che trovano senza pensare al proprietario legittimo. Egocentrismo, si dice così, ogni essere ha una centratura sulla sua vita e la vita è scontro, incontro, confronto, contaminazione, scambio di energie che si muovono da un essere all’altro.
32Io in certi periodi della mia vita non ho mangiato animali. Oggi se qualcuno mi invita a casa e mi fa il pollo io lo mangio, e mi piace anche. Delle volte penso di fare bene, delle volte penso di fare male, delle volte proprio non so cosa fare. Sono d’accordo con Pietro, il teatro serve a riflettere. Abbiamo ricominciato a fare teatro alle Ariette attorno al 1994 dopo diversi anni di silenzio. Abbiamo ricominciato in un altro modo, non c’erano più il palcoscenico e la platea, ma una nuova dimensione condivisa con gli spettatori, che fosse nella campagna o nella nostra casa. E abbiamo anche cominciato a fare un teatro che parlava di noi, delle nostre vite, perché ci sembrava la cosa più sincera, condividere l’esperienza, lavorare sull’autobiografia. Nel primo spettacolo che abbiamo fatto Fienile c’era in scena il cimitero delle nostre pecore, raccontavamo la loro storia in endecasillabi e raccontavamo anche la storia di una vecchissima anatra maschio. Teatro da mangiare? come diceva Marco, non è che ce lo siamo inventati perché era una trovata o una moda. È capitato che per raccontare la nostra vita, dopo dieci anni che coltivavamo del grano e facevamo tagliatelle impastando la farina e le uova delle nostre galline, potevamo scegliere se raccontare soltanto o portare materialmente in scena la farina e le uova.
33Dice Pietro che lui preferisce non portare in scena la cosa. È giusto, è una scelta, però è anche vero che io potevo, con lo spettatore, condividere un’esperienza raccontandogli che avevo macinato il grano, ci avevo messo le uova, che avevo tirato le tagliatelle per dieci anni e con quelle mi ero guadagnato da vivere, ma potevo anche, mentre io gli raccontavo questa cosa, potevo anche impastarla quella farina, con le uova e fare quelle tagliatelle e dargliele da mangiare.
34Così abbiamo fatto e nessuno si è scandalizzato trattandosi di cose da mangiare.
35Quando invece, seguendo lo stesso ragionamento, abbiamo messo in scena i nostri animali ci sono stati problemi, problemi sulla legittimità di portare gli animali in teatro, trasformarli in performer, senza il loro consenso, senza un’espressione della loro volontà.
36A un certo punto, visto che andavamo spesso in tournée e questi animali con cui stavamo sempre cominciavamo ad abbandonarli spesso, abbiamo pensato che avrebbero potuto venire in tournée con noi. Non abbiamo mai saputo se i nostri animali fossero contenti di venire in tournée.
37Non abbiamo neanche mai saputo se fossero contenti di vivere tutti i giorni con noi alle Ariette. Forse avrebbero preferito essere lasciati liberi e non rivederci mai più. Forse, non lo sappiamo. Una volta abbiamo liberato dei conigli. Sono rimasti a vivere attorno a casa finché la volpe, a uno a uno, se li è mangiati. A volte, quando guardavamo i nostri animali mentre eravamo in tournée, ci sembravano contenti, soprattutto quando siamo andati in Spagna.
Paola
38La prima volta che i nostri animali sono venuti con noi è stato nel 2004, quando abbiamo realizzato lo spettacolo L’estate fine in un campo a Santarcangelo, un campo di seimila metri quadrati che abbiamo coltivato per sei mesi per poi arrivare al debutto nel mese di luglio. Lì abbiamo portato 20 anatre.
39L’anno dopo, in un momento di grande difficoltà personale, uscivamo da un grave lutto, la morte della mia mamma, decidemmo di lavorare a un nuovo spettacolo sull’identità animale che si sarebbe dovuto chiamare Bestie.
40Bestie era una sorta di arca prima del diluvio, arca di uomini e animali che escono da un vecchio mondo per andare verso un mondo nuovo. Era uno spettacolo fatto di domande. Vivere con gli animali ci aveva posto tante domande, non solo sul nostro rapporto con loro, ma su noi stessi, sulla vita, sulla morte, sulla felicità, sulla volontà, sul rapporto con il tempo.
41L’animale, se ti è vicino da tanti anni, è un compagno di vita, ma anche una presenza muta che tu provi a interrogare. Lo sguardo dell’animale ci attrae perché è pieno di mistero.
42Gli animali ci riconoscono? Gli animali ricordano? Hanno nostalgia? L’animale riconosce il proprio figlio? L’animale ama? L’animale ha paura della morte?
43I miei animali, quelli che nello spettacolo Teatro da mangiare? in un tema clownesco dicevo che erano come i miei figli (anche se io e Pasqui non abbiamo avuto bambini), questa grande famiglia, questi animali che noi non abbiamo mai ammazzato, che vediamo diventare vecchi, che vediamo morire, questo spettacolo Bestie li conteneva, voleva raccontarli, dare loro parola, voce.
44Li abbiamo portati in scena perché erano, insieme a noi, i portatori di queste domande, era la loro presenza nuda e muta che ci poneva quelle domande che noi avevamo provato a tradurre in parole. Non abbiamo mai chiesto loro di fare nulla, soltanto di essere presenti in scena insieme a noi e di condividere il rapporto con la comunità di spettatori che avevamo davanti.
45Perché il nostro teatro è un teatro condiviso, non c’è palco, non c’è platea, è un teatro comune.
46I miei animali in scena sono i miei compagni di vita. Questo non vuol dire che loro scelgano di venire con noi, ma abbiamo sempre cercato di costruire le tournée dei nostri animali con una grande cura. Abbiamo fatto con loro lunghi viaggi internazionali, siamo andati lontano, a Calais, ad Anversa, a Valencia. Li caricavamo su grandi camion attrezzati per trasporti animali internazionali. Stavano tutti insieme, come alle Ariette. Cercavamo di ricostruire all’interno dei camion la loro casa, lo spazio che abitavano. È stata una bellissima avventura, una grandissima esperienza.
47Abbiamo continuato il rapporto con i nostri animali in scena, soprattutto con le oche, in altri momenti e in altre forme, magari più piccole, agili e semplici da realizzare.
48Voglio dire solo che da 31 anni tutte le mattine, e non è per sentimentalismo che lo dico ma per far capire la particolarità del nostro rapporto con gli animali, un’esperienza quasi unica nel panorama teatrale, tutte le mattine noi ci svegliamo e diciamo: «Facciamo gli animali».
49Questa frase vuol dire che andiamo nel cortile, li puliamo e gli diamo da mangiare.
50Penso sempre che se non ci fossero gli animali non sarei veramente viva, mi sentirei un po’morta.
51Voglio raccontarvi una piccola storia, un fatto successo alle Ariette.
52Era il 25 aprile del 2011, una volpe entrò di notte nel pollaio. Noi abbiamo un pollaio benfatto, con una rete alta, è difficile per una volpe entrare. Mi svegliai e pensai: «Che strano, ma cosa è successo?». Era come quando nevica, che fuori senti quel silenzio innaturale, però era aprile. Ho aperto la finestra, ho guardato nel pollaio e tutte le galline erano morte. La volpe era entrata nel pollaio e aveva ammazzato 25 galline, non proprio tutte, e un’oca grande. Una strage, è tremendo vederla.
53Quel silenzio mi ha fatto pensare che senza i miei animali, mi sentirei davvero morta.
54Forse è questo il senso più profondo del nostro rapporto con questa comunità di animali.
55Sempre, alla fine di ogni spettacolo, gli spettatori ci domandano: «Ma chi sta dietro agli animali se voi siete qua?». È un problema che abbiamo sempre avuto e che continueremo ad avere. Quando noi non ci siamo c’è sempre qualcuno che deve stare alle Ariette con loro e curarli ogni giorno.
56
Bibliographie
1994 – Fienile - progetto Paola Berselli e Stefano Pasquini, regia Stefano Pasquini, produzione Teatro delle Ariette in collaborazione con Teatri di Vita
2000 – Teatro da mangiare?- progetto Paola Berselli e Stefano Pasquini, regia Stefano Pasquini, produzione Teatro delle Ariette
2004 – L’estate fine - progetto Paola Berselli e Stefano Pasquini, regia Stefano Pasquini, coproduzione Teatro delle Ariette - Festival di Santarcangelo dei Teatri
2006 – Bestie - progetto Paola Berselli e Stefano Pasquini, regia Stefano Pasquini, coproduzione Teatro delle Ariette -VolterraTeatro
2020 – E riapparvero gli animali - testo Catherine Zambon, traduzione e regia Paola Berselli e Stefano Pasquini, produzione Teatro delle Ariette
Auteurs
Il Teatro delle Ariette è la compagnia degli attori-contadini, del teatro da mangiare, dell’autobiografia. Nel 1989 Paola Berselli e Stefano Pasquini lasciano il teatro e vanno a vivere nel podere denominato Le Ariette. Dopo anni di silenzio e di lavoro nei campi, nel 1996 fondano la compagnia con Maurizio Ferraresi. Costruiscono il Deposito Attrezzi, un edificio rurale che diventa la loro sede teatrale. Nel 2000 al festival VolterraTeatro debuttano con Teatro da mangiare? e da lì inizia la loro avventura.
Il Teatro delle Ariette è la compagnia degli attori-contadini, del teatro da mangiare, dell’autobiografia. Nel 1989 Paola Berselli e Stefano Pasquini lasciano il teatro e vanno a vivere nel podere denominato Le Ariette. Dopo anni di silenzio e di lavoro nei campi, nel 1996 fondano la compagnia con Maurizio Ferraresi. Costruiscono il Deposito Attrezzi, un edificio rurale che diventa la loro sede teatrale. Nel 2000 al festival VolterraTeatro debuttano con Teatro da mangiare? e da lì inizia la loro avventura.
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