Animali, Umani e Dei
p. 384-392
Texte intégral
1Nella nostra ricerca artistica l’animalità è presente fin dal nome della compagnia, con la varietà di rimandi a cui si allude accostando le parole animali e celesti: l’essere in mezzo all’una e all’altra cosa, bestie e divini, è forse la condizione dell’esistenza umana, oltre che una tenzione artistica irriducibilmente avversa a ciò che spesso rende il teatro una merce dozzinale.
2La presunzione d’essere una compagnia di animali che inutilmente aspira ad un’improbabile grazia celestiale, la stiamo praticando in vari modi che provo a sintetizzare.
3Il primo aspetto da evidenziare vorrei chiamarlo Esodo: andare cioè il più lontano possibile dal sistema del teatro ufficiale, pur sapendo comunque d’esserci, gioco forza, impantanati fino al collo. Andare distanti non solo dalla politica del teatro, ma dal sistema dello spettacolo in quanto tale: circuiti, programmatori, critici, ricercatori, algoritmi ecc. Questa scelta noi, con tutti i nostri limiti, l’abbiamo praticata e la stiamo ancora praticando, con una radicalità di cui andiamo particolarmente fieri, attraverso una militanza artistica che trova nelle marginalità la sua cittadinanza principale. Esempi concreti di questa prassi, oltre alle opere prodotte, sono l’aver contribuito a immaginare e costruire un vero e proprio Teatro Stalla, a Verdello presso la Fondazione Emilia Bosis, in una comunità terapeutica della bergamasca dedita alla cura delle malattie psichiatriche anche attraverso una sperimentazione della così detta pet therapy con l’utilizzo delle più svariate razze di animali (non solo cavalli e cani ma anche rapaci, dromedari, pecore, maiali, serpenti, pappagalli ecc.).
4Il Teatro Stalla è un grande spazio scenico con tanto di gradinate, palco in sabbia, apparecchiature tecniche e condizioni atte ad ospitare la relazione tra attori e animali. Altro esempio di auto allontanamento dal mondo del teatro è l’attuale nostra residenza artistica a Coltano, in una zona molto periferica del Parco Naturale di San Rossore tra Pisa e Livorno, come sede principale della ricerca su teatro, natura e follia che caratterizza da molti anni la nostra esperienza. Questi luoghi, ovviamente, non sono né la terra promessa, né riserve indiane: sono solo piccoli presidi in cui la presenza del teatro è necessaria non solo agli artisti che la praticano ed è armonica rispetto al contesto a cui si colloca.
5Il secondo aspetto che voglio evidenziare è la dimensione identitaria della compagnia formata da professionisti, utenti psichiatrici, educatori, studenti universitari, volontari e anche animali che, assieme alle piante e alla natura sono parte integrante del nostro percorso di ricerca. In questo senso noi siamo una compagnia indipendente che fa teatro d’autore articolando funzioni, livelli e ruoli in una maniera estremamente chiusa e nello stesso tempo molto aperta. Ogni professionista che milita in questa esperienza infatti non esaurisce in essa la propria attività, ma la arricchisce e rinnova attraverso una propria personale modalità d’approccio: all’inizio di ogni anno condividiamo un calendario di progetti continuativi che coinvolgono l’intero nucleo professionale o parte di esso, per poi verificarne in corso d’opera la peculiare capacità dei processi d’essere calamita d’interessi in grado di formare comunità artistiche il più possibile variegate. Questa struttura a cipolla – figlia di una generazione in cui la dimensione di gruppo era insita per ogni compagnia della ricerca teatrale italiana – caratterizza anche le sperimentazioni sceniche che vanno da atti performativi che coinvolgono trenta o più persone, interne ed esterne alla compagnia, animali, musicisti, professionisti e non, fino a opere da palcoscenico per pochi attori, comunque sia sempre tratte e ispirate all’esperienze precedenti.
6Ho premesso questi due aspetti, prima di entrare più direttamente in tema, perché penso che questo contesto di comunità artistica diffusa determini con maggiore chiarezza il senso della nostra relazione con gli animali: il teatro come luogo sacro in cui si compie il rito civile dell’incontro con l’altro da sé. Chiunque esso sia, un elemento della Natura, l’ombra che io stesso proietto, un compagno di cammino, un matto, un nero, un vecchio barbone, una pecora che mi intenerisce o un cavallo che mi spaventa, un adolescente a rischio di marginalità sociale, un gruppo di studenti e così via. In questa prospettiva ogni alterità che condivide le necessità di questa nostra ricerca è ovviamente un dono prezioso che cerchiamo di valorizzare attraverso processi di ascolto e reciproco contagio espressivo, in un’ottica di trasformazione delle coscienze e di trasmissione di energie ed essenze il più possibile sottili. Questa ricerca si compie attraverso atti artistici, opere che al loro centro hanno processi di relazione espressiva tra attori professionalmente formati, a cui è però necessario questo contesto, e le esperienze di vita di cui sono portatori i cosiddetti diversi, per forma fisica, per dimensione mentale, per cultura, per razza, per specie, animale, vegetale, minerale.
7In questa chiave gli animali e i matti sono stati e sono portatori di grandi ricchezze a cui sempre più fa riferimento il patrimonio artistico della nostra compagnia. Anche se questo accostamento tra i matti e animali suscita spesso perplessità, o risulta a qualcuno addirittura offensivo, ci sono tra loro notevoli affinità, nella vita e in scena. Ogni generalizzazione è ovviamente superficiale però, come suol dirsi, matti e animali sono entrambi istintivi, cioè hanno un sesto senso molto sviluppato nella nitida percezione delle energie circostanti, degli umori, degli stati d’animo altrui, in un rapporto tra fiducia e diffidenza con l’umano comprensibilmente contratto e difficile da scalfire a causa della ferocia, dell’astuzia e della stupidità che caratterizza la nostra razza. Entrambi presentano stereotipie molto marcate, comportamenti ripetitivi rigidi e incomprensibili ai più. Entrambi hanno infine un dono inestimabile: sono portatori di linguaggi, di modi d’essere e di sapienze altre, uniche, esclusive, difficilmente omologabili agli standard del pensiero e della morale umana. Per avere un pur minimo diritto d’accesso a tali qualità occorre innanzi tutto restituire la dignità della loro presenza.
8Questo riconoscimento d’appartenenza non è un atto formale, è la sostanza che determina la qualità della relazione, spiega perché sei lì, assieme a lei o lui, cosa ti muove, che cerchi e su quale linea di prospettiva agisce la tua presenza. Tutto ciò avviene in gran parte attraverso un linguaggio extra verbale, un soma, la densità del movimento che si determina rispetto alla compresenza, in scena e fuori scena, di tre parole che, oltre alla competenza, danno i codici d’accesso: onestà, rispetto e amore. Credo che per i matti e gli animali sia fondamentali sentirsi degni di onore, amati ma anche e soprattutto rispettati, a partire da una loro situazione di alterità, di minorazione in confronto alla norma, di sudditanza rispetto a un potere altrui. Questo rispetto è una forma autorevole d’attenzione, riferita al guardarsi indietro, sostare nel dubbio, nella ricerca, nella riflessione, avere la pazienza di intuire ciò che per l’altro è essenziale. Fiutarsi, stabilire regole condivise sui territori, il cibo, il gioco. Animali e matti aiutano ad abbandonare la prospettiva della nostra corsa in avanti, verso il risultato, verso il prodotto, spendibile, vendibile, già predeterminato da quella logica violenta e tirannica che caratterizza noi umani standard, macchine desideranti la bulimia del consumo. Il rispetto è un fenomeno intimo, fragile, la cifra di una vulnerabilità reciprocamente riconosciuta attraverso il diritto di cittadinanza dato allo spazio di identità altrui, al territorio segnato dall’odore animale, così puzzolente nella profumeria dei nostri veleni chimici ma così dotato di feromoni attenti all’adozione, all’appagamento, all’identificazione, alla delimitazione del territorio, alla segnalazione di uno stato di allarme o di richiamo sessuale. La maestria degli animali, in questo, sia nella vita sia nello spazio della ricerca artistica è incommensurabile rispetto alla pratica di quel bilico tra finzione/verità, psicologia/fisiologia che così profondamente condiziona il lavoro dell’attore. Il dialogo scenico con un animale, così come per un matto dotato di talento espressivo, comporta altissime capacità d’improvvisazione, che poi significano regole apprese col fare, particolarissime modalità di scrittura scenica, ma soprattutto comporta la messa in atto di un paradigma completamente diverso da quello che caratterizza gli schemi della produzione e della distribuzione teatrale. Questa contraddizione più che essere teorizzata credo debba essere praticata nei campi della ricerca integrata tra creazione artistica, tutela dell’ambiente, benessere e salvaguardia della malattia.
9Nella nostra esperienza abbiamo sperimentato la presenza scenica di animali sollecitati alla prestazione (nonostante la nostra ritrosia) e la presenza di animali lasciati invece liberi di manifestare a loro modo la relazione con l’opera e con gli spettatori. Abbiamo appreso con stupore che anche alcuni animali, specie se dominanti, possono avere una consapevolezza della scena e, nel primo caso, modificano i comportamenti in base ai codici di una costrizione più o meno violenta. Con una certa facilità abbiamo fatto entrare nello spazio del Teatro Stalla cinquanta oche ma molto più difficile è stato convincerle a uscire in un momento scenico preciso. Dopo dieci, quindici giorni di esperienza abbiamo visto che le oche, dopo aver capito dove e come uscire, si comportano esattamente come alcuni pessimi attori, scritturati di malavoglia, anticipando l’uscita in base, probabilmente, a percezioni sonore che le avvisano dell’imminente conclusione di una prestazione non voluta. Nel secondo caso, invece, là dove gli animali sono lasciati sostanzialmente liberi, Principessa, una cavalla particolarmente paziente, o curiosa, o intelligente, non so dire, ha autonomamente deciso di partecipare alla scena finale, che evocava un’ultima cena, proponendo in prova una prossemica di sé da protagonista, inconfutabilmente collocata a capotavola proprio accanto al sottoscritto. Così come una coppia di gru coronate, dopo aver proposto una bellissima quanto impudica scena d’amore, hanno poi appreso il paradosso del teatro faticando molto a replicare quella scena una volta terminato il loro calore amoroso.
10Insomma lo spazio del teatro è davvero un altrove mitico in cui possono compiersi magie inattese, dovute forse al ricongiungimento di piani scissi da quello conosciuto come reale, piani in cui la presenza di noi umani trasfigura in quell’essenza, in parte misteriosa, determinata da una sorta di trance ipnotica che, talvolta, abbraccia la scena e la platea, coinvolgendo ed essendo al tempo stesso coinvolta in questo processo grazie all’energia degli animali. Il teatro in sé, nel nostro training e nelle pratiche espressive, è per noi una forma di teurgia pagana. Educa a modificare lo stato delle forme e delle energie poiché ammette l’invisibile, nella sua parte più percepibile. In questa pratica si realizza un avvicinamento tra umani, animali e le divinità che Madre Natura manifesta, divenendo in questo un ottimo antidoto contro le forme di anestesia culturale e doping di massa. La qualità della scena, ovviamente, testimonia i risultati di questo processo, ed è su essi che si gioca l’opera artistica, figlia di accadimenti il cui valore onirico è per noi il plot drammaturgico che di volta in volta si dipana in una forma simbolica. Esso quasi mai assume una dominante narrativa, la presenza degli animali amplifica dunque una forza evocativa che, nel nostro modo di fare teatro, non acquisisce mai una dimensione descrittiva di tipo naturalistico o paesaggistico. Questo, dopo varie direzioni di ricerca che ha assunto il nostro cammino, consente di porre al centro una serie di domande sulla relazione che intercorre tra umano e non umano, animale, vegetale, minerale o spirituale, cercando di non concedere mai nulla all’esibizione spettacolare, alla prestazione di qualche mirabilia che non sia l’essenza del mistero.
Bibliographie
Opere, performance e azioni di strada sul tema animale e con coinvolgimento di animali, scritte e dirette da Alessandro Garzalla:
2012 – Vangeli Storti - performance teatrale con attori, non attori e animali, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2013/2014 – Vangeli di Strada - azione di strada con attori, musici, carri, maschere, animali, rappresentata in diverse città e festival, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2014 – Nel segno di Caino- performance teatrale con attori, non attori e animali, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2013/2014 – Calendiluna /Calendisole - azione di strada con attori, musici, carri, maschere, animali rappresentata in diverse città e festival, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2016 – Canto Animale - performance teatrale con attori, non attori e animali, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2017 – Lucignolo Horror Show - performance teatrale con attori, non attori e animali, prodotta in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis
2017 – L’ombra Di Orfeo - azione itinerante con attori, non attori, musici e animali, prodotta in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano
2018 – Il Minotauro - azione itinerante con attori, non attori, musici, maschere e animali, prodotta in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano
2019 – Ulisse - opera teatrale con attori, non attori, musici e animali, prodotta in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano
2020/2021 – Akeldama’/L’Ombra di Giuda - opera teatrale con attori, non attori, musici e animali, prodotta in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano
2021 – Oracoli in versi - azione itinerante con attori, non attori, musici e animali, prodotta in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano
Collaboratori Ilaria Bellucci, Giulia Benetti, Sara Capanna, Caro Cellai, Satyamo Hernandez, Francesca Mainetti, Giulia Paoli, Chiara Pistoia, Anna Teotti, Manuela Trillo
Musici Pietro Borsò, Joaquin Cornejo, Mattia Donati, Nicola Garzella, Simone Padovani, Tommaso Iacoviello
Per la relazione con gli animali Pier Giacomo Lucchini, Simona Armanelli, Paolo Adami, per le opere realizzate in collaborazione con la Fondazione Emilia Bosis; Simona Gabrielli e Vincenzo Parente, per le opere prodotte in relazione al Parco delle Biodiversità di Coltano.
Auteur
Animali Celesti - Teatro d’arte civile. Autore, regista, attore di teatro e arti performative specializzato nell’ambito del teatro d’arte civile con particolare riferimento ai contesti di marginalità e disagio, alla relazione che intercorre tra teatro e follia; direttore artistico presso il Teatro Verdi di Pisa nel settore scuola e ricerca e della Fondazione Sipario Toscana – Città del teatro e dell’immaginario contemporaneo; al termine di quelle esperienze fonda la compagnia Animali Celesti teatro d’arte civile, per proseguire la ricerca in contesti di alterità; docente esterno presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa nel Corso di Laurea per Tecnici di Riabilitazione Psichiatrica e fondatore del Parco delle Biodiversità di Coltano dove la compagnia opera in un contesto naturale in relazione con utenti psichiatrici, animali, educatori, ambientalisti e studenti universitari
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