Performare la Natura. Dal dispositivo rappresentazionale al ‘teatro delle specie’. Tra pratica e teoria in Donna Haraway, Una Chaudhuri e Marta Cuscunà
p. 162-186
Note de l’éditeur
Pubblico con modifiche l’articolo in «Comunicazioni Sociali», XLIII, n.s., n. 3 (2021), pp. 386-405, online dal 2- 2022.
Texte intégral
La nostra solidarietà nei confronti dei mostri è cosa nota. Indipendentemente da quanto abbiano fatto, piangiamo per King Kong e la Creatura della laguna nera.
Facciamo il tifo per Lucifero e soffriamo per Grendel.
(C. Miéville, Tesi sui mostri 2020, 49)
1. Uno zoo capovolto
1A Toronto un lupo gira per strada. A Roma una papera con il seguito dei piccoli cammina tranquillamente sul marciapiede. A Bergamo una famiglia di cinghiali gira beatamente per strada. In Thailandia decine di scimmie affollano le strade. A Cagliari un delfino nuota serenamente nel porto, le anatre vagano per Venezia e nidificano sul molo, nei canali di Burano nuotano cigni. A Milano decine di lepri corrono nei parchi cittadini. Sulle piste da sci della Savoia corrono i lupi. A Nara, in Giappone, i cervi esplorano la città, a Bogotá un maikong gira per una zona residenziale1.
2I media titolano in maniera sensazionalistica: «Animali liberi si riprendono i loro spazi, anche in città numerosi avvistamenti di animali liberi in tutta Italia. La natura si riprende i propri spazi»2.
3Sono i primi mesi della pandemia. Gli animali umani sono chiusi nelle proprie abitazioni, gli animali selvatici ripopolano le città.
4Purtroppo l’insufficiente problematizzazione del paradosso di questo zoo capovolto ha reso le immagini “impensabili”. Per converso le immagini dell’animale “eccezionale” hanno offuscato quelle più problematiche dell’uccisione in massa dei visoni in Europa a causa del virus3. Immagini peraltro prodotte e diffuse soltanto dagli attivisti antispecisti (raramente ospitati nei media mainstream). Vi sono altri corpi marginalizzati, serializzati, nascosti come quelli negli allevamenti intensivi e nei macelli (altri focolai del virus), che sono stati letteralmente assenti dai media:
L’animale è sempre stato docilmente al suo posto. In effetti se ci vuole lasciare tranquilli, deve starsene al suo posto, nella “natura”, altrimenti nello zoo (ma solo per salvaguardare le specie a rischio di estinzione), meglio ancora nei documentari naturalistici. Comunque lontano da noi, da qualunque altra parte (Cimatti 2021, 7-8).
5Gli umani forzatamente rinchiusi nelle proprie abitazioni dal dilagare del virus SARS-CoV-2 osservano alcuni esemplari di animali selvatici timidamente riconquistare degli spazi urbani, raramente li possono vedere dal vivo, trovandosi in un quasi costante confinamento domestico, nella maggior parte dei casi li guardano online, da remoto, la dimensione esistenziale prevalente durante i mesi del lockdown 2020-2021.
6Perché iniziare in questo modo un saggio di argomento teatrologico? Perché la situazione eccezionale dello zoo capovolto può condurci a esaminare lo scarto tra rappresentazione e performatività, perché evoca – lo stiamo vivendo sulla nostra pelle – il “pianeta infetto” di cui scrive Donna Haraway (2016/2019) e da cui trae ispirazione il progetto performativo di Marta Cuscunà, Earthbound, che analizzo nell’ultima parte e che è un esempio concreto del “teatro delle specie” suggerito da Una Chaudhuri.
7Intendo concentrami su un’esperienza che coniuga riflessione teorica transfemminista e antispecista, performance e attivismo politico. La scelta delle figure di riferimento attraverso cui dipanare pratiche e teorie, Donna Haraway, Una Chaudhuri e Marta Cuscunà, in particolare, richiede una necessaria dichiarazione di “posizionamento” da parte mia, studiosa di teatro e militante antispecista. Questo in riferimento all’epistemologia radicalmente politica della Haraway dei “saperi situati”, ovvero posizionati e incarnati. La studiosa sottolinea la necessità di prospettive parziali e contingenti, la sua è una metodologia performativa che non separa il conoscere dal fare, dal produrre la realtà.
8Da tempo chi scrive si occupa del fecondo intreccio tra i Performance Studies e gli Animal Studies, venendo a definire, con Laura Cull (2015), questo intreccio di pratiche e teorie come Animal Performance Studies. Gli Animal Studies, assumendo la questione e la condizione animale come prioritaria, si posizionano in una dimensione di assoluta interdisciplinarità o di “indisciplinarità” e in un’ottica liberazionista (Timeto 2021; Best 2021). In questo orizzonte la dimensione performativa può essere particolarmente feconda per gli Animal Studies, perché è definita da alcune caratteristiche: embodiment, presence, process, event, condivise con i non umani, terreno per esplorare modalità relazionali inedite tra specie diverse in grado di oltrepassare la definizione riduttiva del linguaggio, logocentrica, che non include la embodied communication e che escluderebbe ab origine le altre specie.
9Ecco quindi papere, delfini, lupi, cinghiali. Alcuni di loro timidamente si sono affacciati nei centri urbani, nel silenzio inumano del lockdown manifestando una presenza marginalizzata negli ultimi secoli, un’opacizzazione culturale che è parte del più complesso processo della loro marginalizzazione fisica. John Berger in Perché guardiamo gli animali? (2016)ricostruisce gli ultimi due secoli di storia dell’Occidente in cui industrializzazione e capitalismo hanno condotto inesorabilmente alla progressiva scomparsa degli animali, una nuova solitudine in cui viviamo senza di loro.
10Ma anche nell’epoca del contagio si rischia di riprodurre un meccanismo ideologico ricorrente e pervasivo in cui, come sottolinea efficacemente lo stesso Berger:
ad essere osservati sono sempre gli animali. Il fatto che essi possano osservare noi ha perso ogni importanza. Gli animali sono l’oggetto del nostro sapere in costante ampliamento. Ciò che scopriamo di loro è un indice del nostro potere, e dunque un indice di ciò che ci separa da loro, più li conosciamo, più sono distanti. (Berger 2016, 40)4.
11Le apparizioni degli animali durante i primi mesi della pandemia, sparuti miraggi, empatici fantasmi nell’universo della loro invisibilizzazione generale, oggetto di sguardi distanzianti e gerarchizzanti, indicano chiaramente un soggetto che guarda e un oggetto che viene guardato. Dinamica implicita nel pensiero dualistico occidentale in cui l’opposizione ideologica più radicata è certamente quella tra animale e umano: l’animale – parola che racchiude con prepotenza l’immensità del mondo animale (l’animot di Derrida 2006, 89-90) – è il vivente di cui l’uomo necessita per definirsi in contrapposizione (Cimatti 2021, 8).
12Lo zoo anticipa nella storia il nostro presente globalizzato, il displacement, lo spostamento forzoso e coatto degli animali dai propri luoghi d’origine, la perdita irreparabile della loro storia e identità. È l’istituzione dedicata a questo sradicamento. Nella modernità, rappresenta lo “spettacolo dell’animale in gabbia”, come dell’umano animalizzato, esemplare la storia di Ota Benga (Budriesi 2019b). Lo zoo racconta di quella boundary-making activity, operazione sul limite, sul confine dell’identità, cioè il tentativo, da parte dell’animale umano, di definirsi in contrapposizione a ciò che viene definito come “natura”: i non umani e gli umani animalizzati e quindi inferiorizzati (Filippi 2016, 85-86, caso 15).
13Fin dall’apertura dei primi giardini zoologici, a cavallo tra Settecento e Ottocento, il proposito educativo, scientifico, dovrebbe occultare la crudeltà insita nello sradicamento degli animali dagli habitat, nell’isolamento della cattività: gli animali nello zoo sono ridotti ad attori muti da osservare e classificare.
14L’ evoluzione in scientific zoo della modernità prevede la riproduzione mimetica dell’ambiente naturale in cui dovrebbero vivere gli animali, lo “spettacolo” della libertà ovvero l’artificio della libertà. La libertà come qualcosa da tradurre in termini visivi: al posto delle gabbie possono essere collocate mura trasparenti, che per i “reclusi” sono persino peggiori5.
15Zoo come ripetizione avvilente del panottico, conferma della «natura estetico-scopofilica del sapere»quella che «sancisce la massima prossimità tra rappresentazione e realtà: è lo sguardo a individuare il tipo nelle sue qualità irriducibili, a distinguerlo e classificarlo, e così a de-finirlo» (Timeto 2017, 248)6. La classificazione del vivente partendo dai dati biologici non è certamente innocente e neutrale (Filippi 2016). La violenza dello sguardo reificante attivata dal dispositivo dello zoo richiama l’etimologia di specie:
il guardare e la specificazione dell’alterità si legano infatti intimamente già a partire dalla radice etimologica (dal latino spicĕre), è frutto di un’operazione in prima istanza visiva, che serve a fissare le differenze fra i corpi puri e scongiurare il pericolo dell’ibridazione sia materiale che simbolica (Timeto 2017, 248)7.
2. Dallo specismo al “teatro delle specie” (officine teoriche)
16Il dispositivo visivo, mimetico in senso riduttivo, rappresentazionale, dello zoo possiede fattori intrinseci che lottano contro la sua stessa struttura: contro il dispositivo spersonalizzante dell’astrazione, gli animali nello zoo sono di carne e ossa, la loro condizione di carne nel mondo, vulnerabile, ci riporta, per contrasto, alle dimensioni su cui viaggia la performance: presenza, evenemenzialità e incarnazione, canali privilegiati di incontro, relazione, contaminazione, sconfinamento nel non umano.
17Una Chaudhuri identifica, a livello storico, l’emergere del naturalismo a teatro come un ostacolo allo sviluppo di una visione ecologica nella cultura occidentale: nel dramma naturalista la natura è al servizio del dramma sociale e questo è ottenuto attraverso la trasformazione della natura stessa in metafora. Lo stesso vale per i non umani: la tendenza che trasforma gli animali non umani in simboli e metafore, proiezioni emozionali e psicologiche dell’umano (da Esopo a Disney) alimenta quella, inesorabile, del loro sistematico sfruttamento: lo smembramento simbolico e materiale dei corpi attivato dallo specismo come ideologia giustificazionista (Timeto 2017, 248).
18Jean-Marie Pradier – osserva Chaudhuri – non separa lo sfruttamento dal processo di simbolizzazione e scrive:
the presence of animals in the bodily practices of humans is inseparable from the teeming symbolic significations in countless myths, fables, poems, stories and dramatic texts in which animals with human or superhuman attributes take the leading roles (Chaudhuri 2017, 5; Pradier 2000, 14).
19They do not speak, intuizione cruciale di Jean Baudrillard (1981) – secondo Chaudhuri – per una teoria e una pratica dell’eco-performance e paradossalmente il silenzio degli animali, la nostra incapacità di intendere a fondo il loro linguaggio li condanna a un “destino rumoroso” e gli animali sono condannati, come scimmie kafkiane, a recitare l’umano:
the silence of animals dooms them to a vociferous fate: since they will not speak, they are ceaselessly spoken, cast into a variety of discursive register, endlessly troped. While rationa lism turned them into ‘beasts of burden’, and ‘beasts of consumption’, humanism followed up by making them also ‘beast of somatization’, forced to carry emotional and psychological identities wholly invented by – and projected onto them – by people. As literary symbols and metaphors, as pets, as performers, as signifiers of wild, as purveyors of wisdom, in fables, in fairy tales, in nature films, in zoos, in circus, at fairs, rodeos, fox hunts, dog shows, the animals are forced to perform us (Chaudhuri 2017, 27).
20Chaudhuri partecipa attivamente all’animal turn del pensiero contemporaneo: negli ultimi decenni le discipline umanistiche, ovvero i Cultural Studies, hanno rivolto lo sguardo a un’altra vitale dimensione della marginalità – come già accaduto con i Women’s Studies, i Queer Studies e i Disability Studies – nel tentativo di riconfigurare generi ed estetica di quello che Chaudhuri definisce “teatro antropocentrico”, che rigorosamente esclude la natura. All’opposto, la studiosa invoca prospettive altre sugli animali: «I want to invoke another prospective on animals, one that vastly complicates the powerful fantasy on art that would “speak for” nature, that would give voice to the suffering animals» (ivi, 37).
21Altro e irrelato problema del teatro è la ri-produzione mimetica del non umano. Chaudhuri riprende À rebours di Huysmans che contiene una provocatoria idea dell’annichilimento a cui la riproduzione mimetica sottopone la natura:
La nature a fait son temps […]. Il n’est, d’ailleurs, aucune de ses inventions réputée si subtile ou si grandiose que le génie humain ne puisse créer; aucune forêt de Fontainebleau, aucun clair de lune que des décors inondés de jets électriques ne produisent; aucune cascade que l’hydraulique n’imite à s’y méprendre; aucun roc que le carton-pâte ne s’assimile; aucune fleur que de spécieux taffetas et de délicats papiers peints n’égalent! (Huysmans 2004, 75)8.
22Scenari, riproduzioni della realtà, che conducono la natura stessa a un silenzio inespressivo (e inespresso).
23Chaudhuri ha coniato efficacemente l’espressione “theater of species”9 per definire una tendenza emergente nella pratica performativa dei nostri tempi riferita alla comune dimensione dell’animalità, la nostra come quella dei non umani. La dimensione performativa apre a relazioni multispecie di natura non soltanto visiva, che distanzia mentre distingue.
24Il momento storico in cui ci si ammala di “solastalgia” – quel sentimento di mancanza del luogo conosciuto, cuore dell’ultimo lavoro di Pietro Babina, Alla voragine10, grido angoscioso, ecologia disperata, angolo di verde precario e sofferente, piccolo giardino in un vuoto che avanza con una pioggia che cancella incessantemente le forme di vita (i gatti sono scomparsi), in un momento in cui i cambiamenti climatici trasformano siti familiari in paesaggi di rischio e di disastro – ci ricorda, come sostiene Una Chaudhuri (2017, 8) riprendendo Haraway di The Companion Species Manifesto(2003), che siamo umani in mezzo a moltitudini, tutti ugualmente vulnerabili, contingenti, sottoposti alle minacce del nostro habitat. Il teatro delle specie è performativo e la performatività stessa manifesta la propria animalità ontologica, la capacità di muovere, animare i partecipanti, i performer, come gli spettatori. La dimensione della (comune) animalità e quella performativa sono giocate entrambe nella dimensione dell’embodiment, della presenza e dell’esperienza, dell’evento, del processo. Questo fa sì che la dimensione della performance non si esaurisca nella dimensione riflessiva, ma abbia una forza trasformativa, producendo nuovi pensieri, situati in quella che Chaudhuri definisce la dimensione contemporanea della zooësis (Timeto 2017, 48). Il “teatro delle specie” non separa la teoria dalle pratiche, la natura dalla cultura, gli umani dal non umano, l’organico dall’inorganico e performa la fragilità condivisa dalle specie; il “teatro delle specie” implica una rivalutazione dei non umani nella cultura contemporanea.
25Il “teatro delle specie”:
restages all life as species life, highlighting and foregrounding the ecological dimensions of human life, which include not only biological, climatological and material factors but also the vast panoply of what Donna Haraway calls ‘naturecultures’ […]: the ideas and practices through which human beings relate to the ‘more than human’ world. The theater of species brings the resources of performance to bear on what is arguably the most urgent task facing our species: to understand, so as to transform, our modes of habitation in a world we share intimately with millions of other species(Chaudhuri 2017, 158).
26La studiosa statunitense, negli anni, ha contribuito, forse più di tutti, a una lettura non antropocentrica della letteratura drammatica come delle dimensioni performative delle arti dal vivo. Dichiara perentoriamente che il teatro, nella storia, è stato la più antropocentrica delle arti. Ma può anche essere altro: il “teatro delle specie”, così come inteso da Chaudhuri attraverso Haraway, è relazione tra “specie compagne”. La dimensione onto-epistemologica suggerita da Haraway nasce dalla considerazione che
la ‘specie’ è un ossimoro, una parola che da sola costringe a unità ciò che invece è una “folla multispecie” e non può quindi rientrare in definizioni categoriche. Per interferire con questa univocità semiotica, Haraway affianca alla parola ‘specie’ la parola ‘compagna’. L’espressione specie compagna (companion species), invece che quella più ovvia ma anche più ambigua di animale da compagnia (companion animal), è usata da Haraway per mettere meglio in rilievo le genealogie condivise del divenire intraspecie. Infatti, non c’è stata da un lato l’evoluzione biologica degli animali non umani e dall’altro quella culturale degli animali umani, ma una storia comune di azioni distribuite, un processo emergente di coabitazione che ha visto coinvolti tutti gli attori in gioco (Timeto 2017, 248).
27Chaudhuri ha aperto la strada a quelli che Laura Cull definisce Animal Performance Studies(Budriesi 2019a, 2020), in primis definendo il concetto di zooësis, per riferirsi in modo ampio al come le arti e la cultura costruiscano e rappresentino i non umani. Il termine si riferisce al platonico poiesis e all’aristotelico mimesis, utilizzati nella teoria critica, ma più direttamente ispirati al concetto di gynesis proposto dalla teorica femminista Alice Jardine per restituire centralità alle donne: «the putting into discourse of ‘woman’ [and] the valorization of the feminine, woman, and her obligatory, that is, historical connotation, and somehow intrinsic to new and necessary modes of thinking, writing, speaking» (Jardine 1986, 25), a cui Chaudhuri aggiunge:
zooësis (from the Greek zoion = animal) refers the ways the animal is put into discourse: constructed, represented, understood and misunderstood. In proposing the term I also share Jardine’s progressive ambition of contributing to new modes of thinking and writing that would valorize the animal and bring a heightened ethical attention to human-animal relationship(Chaudhuri 2017, 5).
28Il termine zooësis include una vasta gamma di quelle che Chaudhuri definisce cultural animal practice (che costituiscono l’ “animalculture”)11e includono: literary rapresentation of the animals, a partire dalle favole di Esopo, dramatic representation of animals, da Le Rane di Aristofane a
performances in circus and on stage, ubiquitos or isolated social practices as: pet keeping, dog shows, equestrian displays, rodeos, bullfighting, animal sacrifice, scientific experimentation, species preservations, taxidermy, hunting, fur wearing, meat eating, each with its own archive and repertory, its own spatialities and temporalities, its own performers and spectators [corsivi miei] (Chaudhuri 2006, 103-104).
29Chaudhuri apre la strada a un necessario riattraversamento, con nuovi pensieri, nuovi strumenti analitici, nuove prospettive militanti della storia natur-culturale: gli attrezzi analitici messi in campo sono quelli della razionalità come dell’immaginazione e in questo ricorda la prospettiva di Donna Haraway, il suo dar corpo a FS, acronimo ricorrente nelle sue opere che sta per fabula speculativa, femminismo speculativo, fatto scientifico e string figures, figure di stringa, grovigli di una matassa in cui sono invischiati umani e non umani.
3. Il teatro delle specie: laboratorio delle pratiche
30Earthbound12significa letteralmente “piantati a terra”, “diretti verso la terra”. Ci troviamo a vivere sulla terra in tempi confusi, torbidi, inquieti. Raccontare storie può essere – secondo Donna Haraway – una pratica di cura nei confronti di una sempre più urgente necessità di giustizia ambientale multispecie. Il termine Earthbound deriva da uno stimolo di Bruno Latour (2013), fatto proprio da Haraway, in questo periodo storico che alcuni identificano con il termine Antropocene, era in cui non è più possibile fare appello alla Provvidenza, alla Storia, alla Scienza, al Progresso. Le storie, avviluppanti come tentacoli, che racconta Haraway, sono narrazioni multispecie, allo stesso tempo scientifiche, reali, speculative, fantascientifiche e filosofiche. L’obiettivo è quello di scatenare una risposta potente rispetto alla devastazione del nostro mondo, ma anche di suggerire la ricerca di luoghi di quiete. È generare kin, connessioni inventive, parentele imprevedibili, per le quali Haraway conia il neologisimo oddkin.
31Staying with the Trouble (Haraway 2016) colpisce la creatività, stimola gli artisti. Haraway sostiene che, per ovviare al rapido cambiamento climatico dovuto agli effetti antropogenetici, è necessario un impegno incessante ma anche capacità di gioco. Di fronte agli orrori del Capitalocene e dell’Antropocene opta per coniare un nuovo termine-obiettivo Chthulucene13che rimanda al compost, all’intreccio delle relazioni tra specie diverse e vuole riportare l’attenzione sulla dimensione terrena, ctonia.
32Con-divenire o non divenire affatto: la via proposta è l’oddkin come creazione di legami di parentela non riproduttiva e alleanze trasversali responsabili. Haraway spiega che odd rimanda a qualcosa «che non quadra, fuori categoria» e si richiama, ad esempio, all’idea di sorella ma di un’altra specie (Timeto 2020, 40). Rispetto alle pratiche di con-divenire, di incontro tra corpi, fa l’esempio dei giochi che fa con un cane con cui vive, del suo stendersi a terra vicino a lui, dell’accarezzarlo con la faccia, e di non avere tempo di pensare: «il divenire insieme è davvero qualcosa che si sente a pelle, accade molto velocemente» (ivi, 41); parla dell’agility praticata insieme e ne considera il training come esperimento di co- costituzione delle specie compagne in quelle che definisce «zone di contatto»(Haraway 2008, 214 ss.). Intendere l’incontro con l’altro come performativo è molto utile alla prospettiva degli Animal Performance Studies perché va oltre la dialettica tradizionale del sé e dell’altro e porta a ripensare l’incontro stesso: «as an event involving not whole entities but rather facets or zones of various identities» (Chaudhuri 2017, 35).
33L’idea di una reciproca animalità, di un divenire-animale rimanda al concetto elaborato da Deleuze e Guattari (2002), un processo di di-sidentificazione, de-territorializzazione dell’uomo e dell’animale, attraverso un movimento di scambio e di ibridazione continuo, un tentativo di decostruire la frontiera tra i due soggetti. Questo divenire è concepito come processo performativo e transizionale e non è in alcun modo mimetico. Anche Deleuze propone il famoso esempio del cane: non si tratta di imitarlo, ma ciò che avviene nella relazione è qualcosa di molto più fluido, aleatorio, creativo, temporaneo e fugace (ivi, 274).
34Il divenire può avvenire soltanto nella dimensione dell’atto, quindi grazie alla mediazione della performance in cui è il divenire a essere reale, non ciò che si diviene.
35Trattare di performance e di “natura”, del “teatro delle specie” seguendo Haraway e Chaudhuri significa intendere la differenza tra natura e cultura come definitivamente collassata: «is neither merely culturally non purely ‘there’ but rather a process of endless exchange and interactivity between the human and the other-than-human that lead leads to ‘co-producted nature-cultures’»(Giannachi-Stewart 2006, 19). In questo senso il nostro incontro con la natura, può essere soltanto incarnato perché l’ontologia stessa della natura è performativa: essa appare come atto e noi agiamo al suo interno:
whether we see nature as only in and throught culture, feel it as the ‘real’ or hear it between the human and other-than-human, nature needs to be physically encountered in order to be perceived. The ontology of nature, then, lies only in the performance of nature-in nature capacity to appear as action, or in our capacity to act within it(ivi, 20).
36Essere uno è sempre divenire-con molti. Donna Haraway parla di “simpoiesi”, traendo il termine da Katie King che lo riferisce ai sistemi che producono in maniera collaborativa e che non hanno confini spaziali o temporali definiti al loro interno, sono quindi sistemi complessi, dinamici, reattivi, situati. Emerge a livello ontologico la non separabilità tra i viventi (Haraway 2019, 55). Haraway si ispira alla prospettiva simbiogenetica14, relativa a organismi che divengono insieme ovvero sono simbionti l’uno per l’altro e vanificano la distinzione tra ospite e ospitante; non si ferma al piano scientifico della trattazione, ma prende il volo verso una fabula speculativa, la storia di cinque generazioni di quelle/i che chiama “Camille”.
37Make kin not babies (Haraway 2019, 242)15.
38Chi sono i/le Camille? Camille è un nome proprio che in francese non ha connotazione di genere, sono le generazioni di bambini del compost. Sono comunità che non possono immaginare secondo fantasie colonialiste mondi in cui migrare, “terre vuote” in cui cominciare da zero, sono comunità che resistono in luoghi sfruttati e inospitali del pianeta cercando di ridurre il numero di esseri umani sulla terra. Nelle comunità del compost chi deciderà di mettere al mondo un nuovo essere umano (deve essere una scelta rara) ha il diritto e l’obbligo di scegliere un simbionte animale per il nuovo bambino; animale scelto tra le specie a rischio di estinzione. I simbionti animali spesso appartengono a specie migratorie, il tentativo è quello di cercare di recuperare, ripristinare terre devastate, vivere tra le rovine16.
39La storia di Camille inizia dalla migrazione sui Monti Appalachi nel West Virginia, un’area devastata dall’estrazione del carbone. Camille1 ha scelto come simbionte la farfalla monarca, minacciata per via delle conseguenze dell’agricoltura industriale che priva questo insetto migratore di habitat e di cibo. Le storie dei/delle Camille si dipanano tra il 2025 e il 2425. I primi simbionti sono quelli di un pesce, di un uccello, di un crostaceo, di un anfibio, tutte specie in via di estinzione, le specie a rischio (Haraway 2019, 166); si attuano anche simbiosi con mammiferi, partendo dai pipistrelli:
il punto di quelle alterazioni non era la mimesi, ma delle suggestioni concrete intrecciate a innovative pratiche pedagogiche di con-divenire natural-sociale che potevano aiutare la simbiosi a prosperare lungo cinque generazioni umane dedite alla guarigione di luoghi e vite umane non-umane danneggiate (ivi, 170).
40I compostisti pensano a eroine tratte dalla memoria letteraria del mondo, come Nausicaä della valle del vento17:« per farlo [è] fondamentale non dimenticare il puzzo lasciato nell’aria dalle streghe messe al rogo […] piangere la morte del mondo che si smembra»(ivi, 192-193).
41I/le Camille sono anche araldi dei morti, riportano attraverso una memoria attiva stili di vita utili, ormai dispersi e si uniscono ad altre comunità che resistono, come quella Mazahua in Messico nella strenua lotta per la terra, per l’acqua contro la deforestazione(ivi,177 ss.).
42Haraway segue Latour che sostiene che tutti devono imparare a raccontare «le storie di Gaia/geostorie» in cui «tutti quelli che erano oggetti di scena e agenti passivi sono diventati attivi, senza per questo diventare parte di una trama gigantesca scritta da un’entità che sovraintende tutto»(ivi, 65). «Ma cosa succede quando un partner coinvolto nella vita di un altro scompare dal pianeta? Quando gli olobionti18 vanno in pezzi?» (ivi,102).
43Da questa situazione ‘infetta’, quasi alle soglie della dissoluzione, prende spunto Marta Cuscunà per il suo Earthbound (2021)19.
44Il palcoscenico è buio, sonorità metalliche pervadono l’ambiente, Marta, unica attrice in carne e ossa dello spettacolo, di cui è anche regista, compare in scena su un monociclo elettrico futuribile, si “connette” a un arbusto quasi disseccato e inizia la fase di “monitoraggio” della specie vegetale trovata:
protocollo ripristino ambientale attivato dispositivo vegetale trovato, Gaia pronta per l’abbinamento20. Sono qui per aiutarti a risanare i danni che i loro antenati hanno causato al pianeta, tu sei un’ottima iper-accumulatrice di arsenico e io sono programmata per prendermi cura di te (ivi).
45Gaia inizia “l’abbinamento” all’alberello e trasmette i dati alla rete delle intelligenze artificiali di cui è parte. La pianta morente trasmette alla rete questi dati:
presenza di radioattività sullo strato superficiale della foresta, caratterizzato da evidenti disturbi antropici. Inquinamento da arsenico, cadmio, zinco e […] un blocco di calcestruzzo. Concentrazioni oltre la soglia umana di rischio. Falda superficiale della foresta esposta, acque profonde della foresta intatte. La Geo-localizzazione è terminata e la rete ringrazia (ivi).
46La realtà del pianeta è fortemente compromessa, le temperature altissime, i rifiuti tossici impregnano gravemente il terreno. La possibilità di rifugio, isole di resistenza che Haraway propone in Chthulucene, viene immaginata come una serra, un ambiente protetto e artificiale, al cui interno – che in scena è una grande semisfera rotante – compaiono tre bizzarri e colorati puppet, creature animatroniche chiamate – sulla falsariga di Haraway – Camille. Nella fisionomia ricordano gli animali di cui sono simbionti: una foca, un pipistrello (appeso a testa in giù) e un pangolino, hanno però anche caratteristiche umane, lunghi capelli il pipistrello, treccine la foca e volti ibridi 21.
47Inoltre hanno impiantati geni vegetali, di pomodoro e di fragola, che permettono loro di germinare, di mettere radici. Vivono in un piccolo universo protetto da una membrana, ma possono vedere gli “umani comuni”, al di fuori.
48In scena si avvia così un dialogo ironico con gli spettatori (gli “umani comuni” che percepiscono di fronte a loro) nel tentativo, da parte di due Camille, di capire se chi è in platea li possa vedere o udire:
sono strani… secondo te possono vederci? Hanno capacità visive limitate non essendo legati ad altre specie ma non sono mica ciechi! Cosa stanno facendo? Attività di comunità. Cioè? Sono ancora molto individualisti quindi hanno bisogno di unirsi tra loro per sentirsi una comunità. Vuoi scherzare, vuoi dire che sono così primitivi da credere ancora nell’esistenza dell’individuo singolo? Sì, e non hanno nessuna capacità di relazionarsi con la loro flora intestinale! (ivi).
49La storia è ambientata cento anni dopo l’inizio dell’evoluzione simbiogenetica, ma la situazione, nella progressione dello spettacolo, sembra peggiorare: Gaia, connettendosi all’alberello, scopre che si sente sola e sta entrando in una fase di quiescenza a causa della carenza estrema di ossigeno, delle lesioni fisiche e della siccità. Gaia stessa sta mutando, percepisce un desiderio di riproduzione che le intelligenze artificiali non dovrebbero provare. Il desiderio di riprodursi pervade anche il rifugio dei/delle Camille: la comunità vota per un nuovo ciclo riproduttivo: «28 maggio 2100. Il comitato per la riproduzione è lieto di informare che dopo 41 anni di astinenza riproduttiva la comunità “Earthbound 63” ha deciso all’unanimità di riprodursi» (ibid.). Il progetto prevede una genitorialità condivisa: Camille-pipistrello sarà la donatrice di ovuli, Camille-pangolino il donatore di sperma e Camille-foca la gestante. Il desiderio viene infranto, il progetto fallisce, i/le Camille non riescono a riprodursi. Il test di gravidanza è condotto più e più volte dall’intelligenza artificiale, ma non c’è più tempo: i/le Camille devono migrare, evidentemente il rifugio non è più vivibile.
50Camille-foca emerge dal buio della serra e si rivolge agli umani comuni:
voi siete dieci miliardi, altro che invasione delle cavallette! Tutti bravi a dire: ‘fate legami e non bambini’, il nostro principio etico per me è una maledizione. […] La nostra colonia era tra i migliori rifugi della terra, era un posto stupendo dove perfino essere sull’orlo dell’estinzione sembrava una cosa meravigliosa. Io vi odio per questo! […] avrei fatto un bambino, due chili e sei, capelli rossi, una pinna caudale. ‘Fate legami non bambini’, la parte più difficile…(ivi).
51I/le Camille devono migrare, una di loro, dalla forma umana, che abbiamo visto adagiata su un lato della serra, anch’essa creatura animatronica perfettamente somigliante a un’anziana signora, viene svegliata dal letargo, ma non sarà in grado di migrare, è troppo anziana, sogna una caprese, ma sa che una mozzarella non è più sostenibile nel mondo in cui vivono, muore. Nel finale Gaia si allinea nuovamente all’alberello e sul suo dispositivo rotante compie un girotondo intorno alla pianta sulle note dolci di Can’t take my eyes off you. Forse non tutto è perduto22.
52La nuova storia militante portata in scena da Cuscunà parte da Chtulucene e dalla fabula speculativa I bambini del compost (Haraway 2019, 151-194).
53Marta Cuscunà23 sottolinea l’idea della cura e della responsabilità:
ho cercato in qualche modo di dare consistenza alla proposta di Donna Haraway che contiene un cuore molto luminoso: l’idea della cura, di costruire legami intorno al senso di cura e di responsabilità a prescindere dal legame biologico rispetto alla creatura di cui ci sente responsabili. Ma sembra che la nostra società in questo momento vada in una direzione completamente opposta24.
54Cuscunà ha già portato in scena storie militanti, in particolare nel progetto teatrale sulle resistenze femminili, iniziato nel 2009, per problematizzare le disparità di genere; partendo dalla storia recente ha proposto modelli di emancipazione femminile, come quello Ondina Peteani prima staffetta partigiana, deportata ad Auschwitz, morta a Trieste nel 2003, le cui ultime parole «È bello vivere liberi!» danno il nome alla pièce25. Ha esaminato le disparità di genere anche affrontando e portando in scena il tema della monacazione forzata attraverso le vite di Arcangela Tarabotti, monaca e scrittrice del Seicento, e delle Clarisse di Udine vissute tra fine Cinquecento e primi decenni del Seicento26. Le monache di Udine seppero riscattarsi rispetto alla loro condizione creando una comunità al femminile, al di fuori delle leggi del patriarcato, aperta alla cultura: si facevano inviare libri messi all’indice, studiavano astronomia e alchimia. Altro tema di resistenza femminile, contemporaneo, quello messo in pratica da diciotto ragazzeche, restarono incinte contemporaneamente, nel 2008 a Gloucester, in Massachusetts27. Una delle ragazze confessò di aver avuto l’idea di creare una comunità femminile dopo aver assistito a un femminicidio28.
55Da sottolineare la stretta vicinanza di Cuscunà con studiose, artiste, attiviste che si occupano di Women’s Studies e Queer Studies, tra cui Giuliana Musso, che ha conosciuto all’epoca del progetto Indemoniate29. A Cuscunà non piace essere etichettata entro un genere preciso, il suo è un peculiare intreccio di teatro di narrazione (o, meglio, di teatro d’impegno civile)30 e di teatro visuale, appreso nel fervido clima catalano grazie al magistero di Joan Baixas31; un processo creativo che inizia con una minuziosa ricerca storica32 e va a costituire un ordito drammaturgico generato in progressione con l’animazione delle figure:
per noi è centrale l’idea che drammaturgia e meccanica si influenzino a vicenda. A mano a mano che si sviluppa la drammaturgia si sviluppano i prototipi della scena e di conseguenza la drammaturgia cambia, le strutture, gli scheletri delle figure non sono preesistenti33.
56Nella trilogia sulle resistenze femminili la performer catalizza l’attenzione sull’alternanza tra la figura di narratrice e i personaggi incarnati: tra livello diegetico e livello mimetico, tra narrazione epica e immedesimazione mimetica (Pasqualicchio 2006).
57In Earthbound, invece, Cuscunà scompare come narratrice e, seminascosta nel buio, dà voce a quattro creature animatroniche:
nei primi lavori la mia tendenza come narratrice era bilanciata rispetto alle altre creature sceniche, poi, piano piano, sono andata sottraendo la mia presenza. Lavoro con queste creature come se fossero protesi del mio corpo a livello performativo, anche perché l’intera manipolazione avviene in forma manuale34.
58Qui performa oltre l’umano, unico corpo di carne e sangue, ma paradossalmente non umano, perché Gaia è un’intelligenza artificiale e si muove in uno spazio postumano, infetto, quasi irrimediabilmente compromesso; in questo spazio il corpo della performer è l’unico motore scenico (anche ironicamente) di creature che sono evolute (o felicemente involute, direbbe Haraway) in soggettività più che umane. Frammentazione identitaria che conduce a una percezione del corpo e a un senso della presenza dilatata e frammentata in più figure. Cuscunà attua un percorso di de-corporeizzazione animando i/le Camille, un decentramento del corpo e un’esperienza di soglia per lo spettatore.
59Secondo la filosofia posthuman il corpo dell’uomo non è affatto viziato da carenze ma «presenta semmai delle ridondanze che gli consentono l’ibridazione con il mondo esterno» (Marchesini 2019, 113).
60Sia la biologia sia la filosofia hanno cessato di sostenere il concetto di organismi ambientalmente indipendenti, per questo si parla di “simpoiesi” ovvero di sistemi che si producono in maniera collettiva in un processo involutivo. Cuscunà, come Haraway, tiene in considerazione “l’ipotesi Gaia”35, secondo la quale gli organismi viventi sulla Terra interagiscono con le componenti inorganiche circostanti per formare un complesso sistema sinergico e autoregolante che aiuta a mantenere e perpetuare le condizioni per la vita sul pianeta. Con il proprio corpo dà vita a Gaia:
mi sembrava interessante che questa intelligenza artificiale che aiuta i/le Camille di Earthbound ad affrontare il loro presente sia un’intelligenza che ha il compito di dialogare con gli elementi della natura, di ristabilire un contatto con il paesaggio, con la vegetazione: un’intelligenza artificiale quindi sviluppata per ricucire quella frattura che ha caratterizzato l’Antropocene, che ha separato la nostra specie dal pianeta e mi sembrava interessante che l’unico corpo veramente umano rappresentasse in realtà l’unico personaggio che non ha niente di umano, un’intelligenza artificiale, un robot36.
61La sua ricerca iconografica su i/le Camille di Earthbound parte dall’ispirazione visiva delle sculture di Patricia Piccinini37, nelle quali l’artista dà corpo a famiglie ibride, trans- specie, in cui le presunte barriere che ci separano dal resto del vivente sono definitivamente collassate38. Queste chimere che incarnano la differenza, l’intimità ecologica con i non-umani, possono ricordare l’orchidea che imita l’ape per farsi impollinare (riportata da Haraway e messa in scena da Cuscunà nella serra dei/delle Camille), un’idea di coevoluzione affettiva, transpecie, creativamente intricata(Timeto 2020).
62Concludendo ritorno all’inizio di questo contributo in cui ho preso in considerazione la dimensione performativa come terreno particolarmente fecondo per esplorare la relazione tra umani e non-umani perché – come sostiene Una Chaudhuri – c’è qualcosa di speciale nella performance in rapporto alla conoscenza dei non-umani in quanto essa si basa sulla relazionalità incarnata (embodied relationality)e sulla comunicazione non verbale e può quindi diventare luogo in cui superare le barriere di specie, visto che gli animali sono spesso accusati di “mancanza” di linguaggio, che è mancanza di un linguaggio condiviso con gli umani(Chaudhuri 2009, 520-525).
63La dimensione performativa può essere un metodo di ricerca che si rifà a una corporeità condivisa con i non- umani, un luogo che può favorire l’incontro tra le specie nella direzione dello sviluppo di una necessaria etica inter-specie.
Bibliographie
Des DOI sont automatiquement ajoutés aux références bibliographiques par Bilbo, l’outil d’annotation bibliographique d’OpenEdition. Ces références bibliographiques peuvent être téléchargées dans les formats APA, Chicago et MLA.
Format
- APA
- Chicago
- MLA
Baudrillard J. 1981, Simulacres et simulation, Galilée, Paris (trad. it. Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, PGRECO, Roma, 2008 )
Berger J. 2016, Perché guardiamo gli animali?, Il Saggiatore, Roma
Best S. 2021, Ascesa e caduta dei Critical Animal Studies, http://www.liberazioni.eu/archivio/archivio-articoli/pdf (consultazione 10 gennaio 2022)
Budriesi L. 2019a, Il caso di Jackie the Baboon. Dalla teoria della performance agli Animal Performance Studies, «Mimesis Journal. Scritture della performance,» 8, 2, pp. 31-53, https://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/mimesis/1754 (consultazione 10 giugno 2022)
10.4000/mimesis.1754 :Budriesi L. 2019b, Divenire animale. La performance come metamorfosi, in La passione e il metodo. Studiare teatro. 48 allievi per Marco De Marinis, AkropolisLibri, Genova, pp. 150-162
Budriesi L. 2020, Performing horses nel teatro europeo tra Ottocento e Novecento, «Mimesis Journal, Scritture della performance», 9, 1, pp. 5-37, https://0-journals-openedition-org.catalogue.libraries.london.ac.uk/mimesis/1897 (consultazione 10 giugno 2022)
Budriesi L. 2021, Artivismo tra smart mob e teatro paesaggio, «Connessioni remote», L’artivismo forme, esperienze, pratiche e teorie, 2, pp. 290-323, https://riviste.unimi.it/index.php/connessioniremote/article/view/15265 (consultazione 10 giugno 2022)
Chaudhuri U. 2006, Animal Geographies. Zooësis and the Space of Modern Drama, in Performing Nature. Exploration in Ecology and the Arts, G. Giannachi, N. Stewart (eds.), Peter Lang, Pieterlen-Berne, pp. 103-124, già in «Modern Drama» (2003), 46, 4, pp. 646-662
Chaudhuri U. 2009, ‘Of All Nonsensical Things’: Performance and Animal Life, «PMLA» 124, 2, pp. 520-525
Chaudhuri U. 2017, The Stage Lives of Animals. Zooësis and Performance, Routledge, Abingdon-New York
10.4324/9781315745237 :Cimatti F. 2013, Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma-Bari
Cimatti F. 2021, Il postanimale. La natura dopo l’Antropocene, DeriveApprodi, Roma
Cull L. 2015, From Homo Performans to Interspecies Collaboration. Expanding the Concept of Performance to Include Animals, in Performing Animality. Animals in Performance Practices, L. Orozco, J. Parker-Starbuck (eds.),Palgrave Macmillan, New York, pp. 19-36
10.1057/9781137373137 :Cuscunà M. 2019, Resistenze femminili. Una trilogia, Forum, Udine
Deleuze G., Guattari F. 2002, Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma
Derrida J. 2006, L’animale che dunque sono, Jaca Book, Milano
Di Gianantonio A., Peteani G. 2012, Ondina Peteani. La lotta partigiana, la deportazione ad Auschwitz, l’impegno sociale: una vita per la libertà, Mursia, Milano
Filippi M. 2016, L’invenzione della specie. Sovvertire la norma, divenire mostri, Ombrecorte, Verona
Foucault M. 1969, Nascita della clinica, Einaudi, Torino
Giannachi G., Stewart N. (a cura di) 2006, Performing Nature. Exploration in Ecology and the Arts, Peter Lang, Pieterlen-Berne
10.3726/978-3-0353-0375-9 :Guccini G. (a cura di) 2005, La bottega dei narratori. Storie, laboratori e metodi di: Marco Baliani, Ascanio Celestini, Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Dino Audino, Roma
Haraway D. 2003, The Companion Species Manifesto: Dogs, People, and Significant Otherness, Prickly Paradigm, Chicago
10.5749/minnesota/9780816650477.001.0001 :Haraway D. 2008, When Species Meet, University of Minnesota Press, Minneapolis
10.4324/9781003262619 :Haraway D. 2016, (2019) Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene, Duke University Press, Durham-London (trad. it. parziale di C. Colasanti, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero Press, Roma, 2019)
Huysmans J.-K. 2004, À rebours, Flammarion, Paris (ed. or. 1884)
Jardine A.A. 1986, Gynesis: Configuration of Woman and Modernity, Cornel University Press, Ithaca NY
10.2307/464680 :Latour B. 2013, Facing Gaia. Six lectures on the political theology of nature. Being the Gifford Lectures on Natural Religion, Edinburgh, 18th-28th of February, https://eportfolios.macaulay.cuny.edu/wakefield15/files/2015/01/LATOUR-GIFFORD-SIX-LECTURES_1.pdf, (consultazione 10 febbraio 2022)
Lovelock J. 1979, Gaia. A New Look at Life on Earth, Oxford University Press, Oxford
Lowenhaupt Tsing A. 2015, The Mushroom at the End of the World. On the Possibility of Life in Capitalist Ruins, Princeton University Press, Princeton (trad. it. Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, Keller, Rovereto)
Marchesini R. 2019, Estetica postumanista, Meltemi, Milano
Martín Clavijo M. (a cura di) 2015, Donne che non seguono il copione. Antologia di Teatro italo-spagnolo, Aracne, Roma
Miéville C. 2020, Tesi sui mostri in Divenire invertebrato. Dalla grande scimmia all’antispecismo viscido, a cura di M. Filippi, E. Monacelli,Ombrecorte, Verona
Molinari R. (a cura di) 2000, Di canti, storie e autori, «il Patalogo», 26
Paolin G. 1998, Lo spazio del silenzio. Monacazioni forzate clausura e proposte di vita religiosa femminile nell’età moderna, Feltrinelli, Milano
Pasqualicchio N. (a cura di) 2006, L’attore solista nel teatro italiano, Bulzoni, Roma
Pradier J.-M. 2000, Animals, Angel and Performance, «Performance Research», 5, 2, pp. 11-22
Spirito P. 2000, Le indemoniate di Verzegnis, Guanda, Parma
Tarabotti A. 1990, L’inferno monacale, a cura di F. Medioli, Rosenberg & Selliers, Torino
Tarabotti A. 2007, La semplicità ingannata, a cura di S. Bortot, Il Poligrafo, Padova
Timeto F. 2017, La specie è un ossimoro. L’estetica con l’animale nella filosofia di Donna Haraway, «Studi Culturali», 14, 2, pp. 241-262
Timeto F. 2020, Nella danza del pensare-sentire. Una conversazione con Donna Haraway, in Ead., Bestiario Haraway. Per un femminismo multispecie, Mimesis, Milano-Udine, pp. 29-42
Timeto F. 2021, La classe zero: introdurre i Critical Animal Studies attraverso quello che non sono, «Liberazioni», 44, pp. 35-45, http://www.liberazioni.eu/liberazioni-n-44/ (consultazione 3 maggio 2022)
Valenti C. 2008, Teatro, informazione e controinformazione,«Prove di drammaturgia», 14, 1, pp. 17-18
Teatrografia di Marta Cuscunà
2009 È bello vivere liberi!- un progetto di teatro civile per un’attrice, cinque burattini e un pupazzo, ideazione, drammaturgia, regia e interpretazione Marta Cuscunà, assistente alla regia, luci e audio Marco Rogante, oggetti di scena Belinda De Vito. Liberamente ispirato alla storia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana, deportata ad Auschwitz e sopravvissuta al campo di concentramento. La drammaturgia è pubblicata in Martín Clavijo 2015
2012 La semplicità ingannata. Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne – di e con Marta Cuscunà, assistente alla regia Marco Rogante, realizzazioni scenografiche Delta Studios, Elisabetta Ferrandino, realizzazione costumi Antonella Guglielmi, coproduzione Centrale Fies, Operaestate Festival Veneto. Liberamente ispirato alle opere letterarie di Arcangela Tarabotti e alle vicende delle Clarisse di Udine
2016 Sorry, boys. Dialoghi su un patto segreto per 12 teste mozze – di e con Marta Cuscunà, progettazione e realizzazione teste mozze Paola Villani, assistente alla regia Marco Rogante, disegno luci Claudio “Poldo” Parrino, disegno del suono Alessandro Sdrigotti, animazioni grafiche Andre Pizzalis, costumi di scena Andrea Ravielli, coproduzione Centrale Fies. Ispirato alla storia delle 18 ragazze del Massachusetts.
Le drammaturgie dei tre spettacoli sono raccolte nel volume Cuscunà 2019.
2021 Earthbound, ovvero le storie delle Camille – di e con Marta Cuscunà, scena Paola Villani, assistente alla regia Marco Rogante, progettazione animatronica Paola Villani, realizzazione animatronica Paola Villani e Marco Rogante, scultura creature animatroniche João Rapaz, Janaína Drummond, Mariana Fonseca, Rodrigo Pereira, Catarina Santiago, Francisco Tomàs (Oldskull FX-Lisbona), dramaturg Giacomo Raffaelli, disegno del suono Michele Braga, disegno delle luci Claudio “Poldo” Parrino. Liberamente ispirato a Staying with the Trouble di Donna Haraway
Notes de bas de page
1 Cfr. i servizi di TGCom 24, https://www.youtube.com/watch?v=qXQbvzh Lc [lik non più disponibile: 28/12/2022]; de “La Repubblica”, https://www.youtube.com/watch?v=wMAE-_YXBao; le photogallery di Rai news: https://www.rainews.it/archivio-rainews/media/Coronavirus-Cervi-capre-anatre-e-pavoni-gli-animali-all-avventura-nelle-citta-in-lockdown-ffd7e9b3-32df-43aa-814b-835dc4d70da7.html#foto-1; di Sky tg 24, https://tg24.sky.it/mondo/2020/04/08/coronavirus-india-foto#00 (consultazione 20 maggio 2021).
2 https://www.3bmeteo.com/giornale-meteo/coronavirus-e-ambiente--animali-liberi-si+riprendono-i+loro-spazi+--anche-+in+citt+deo-326854 (consultazione 20 aprile 2022).
3 L’associazione Essere Animali ha filmato la strage dei visoni colpiti dal virus Sars-CoV-2, https://www.essereanimali.org/2020/12/filmata-strage-dei-visoni-allevamento-colpito-dal-covid-19/ (consultazione 10 gennaio 2022). La sede inglese della PETA dà notizia dei 17 milioni di visoni uccisi in Danimarca, https:// www.peta.org.uk/blog/denmark-covid19-minks/ (consultazione 20 marzo 2022).
4 Rinvio anche a Cimatti 2013.
5 Si segnala il reportage fotografico sugli zoo di F. Cortonesi, Reclusi - Storie di persone innocenti arrestate, realizzato in collaborazione con la Leal - Lega Antivivisezionista nel 2015. L’Autore sta producendo Zoout, il primo documentario di denuncia sugli zoo italiani, nei quali la situazione durante il lockdown è peggiorata.
6 Cfr. anche Foucault 1969.
7 Cfr. anche Haraway 2008, 17.
8 Cfr. anche Chaudhuri 2017, 36.
9 Intorno al rapporto che si viene a istituire tra performance e interazioni con le specie compagne ruotano vari saggi della raccolta di Chaudhuri 2017.
10 Alla voragine, 2021, scritto e diretto da Pietro Babina, con Pietro Babina e Tamara Balducci, voce di Mesmer Mila Vanzini, scene, costumi e luci Pietro Babina, assistente alla regia Mila Vanzini, assistente ai costumi Eleonora Terzi, direttore tecnico Massimo Gianaroli, direttore di scena e capo macchinista Mauro Fronzi, produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione. Sullo spettacolo: https;//www.ilfattoquotidiano.it/2021/06/23/alla-voragine-quando-il-teatro-si-.fa-ecologia-disperata/6239289/ (consultazione 2 aprile 2022).
11 Termine che si ispira a “naturecultures” di Haraway.
12 Terriens nel francese di Latour, cfr. Haraway 2019, 204.
13 Il termine deriva dal nome del ragno californiano Pimoa Cthulhu. Mentre Antropocene è una definizione chiusa in se stessa, incapace di rendere conto della complessità eterogenea del ’mondo, Chthulucene richiama le concatenazioni tra umano, altro da umano e humus, e la generatività rischiosa dei processi simpoietici.
14 La teoria della simbiogenesi è stata elaborata agli inizi del Novecento dal botanico russo K. Mereschkowski e approfondita dalla biologa statunitense L. Margulis negli anni Settanta. Secondo queste teorie gli organismi eucarioti si sono evoluti dalla funzione simbiotica con organismi procarioti, in particolare batteri e archei. In biologia si definisce eucariote un organismo costituito da cellule dotate di un nucleo delimitato da una membrana, all’interno del quale è racchiuso il materiale genetico; sono organismi eucarioti gli animali, le piante, i funghi e i protozoi. Si definisce procariote un organismo le cui cellule non hanno un nucleo morfologicamente distinto, in quanto è privo di membrana nucleare e non si riproduce per mitosi.
15 Haraway riprende il tema della lotta femminista rispetto all’idea di spezzare il legame tra parentela e riproduzione: lo scopo è intrecciare daccapo relazioni affettive e materiali.
16 Un riferimento forte per Haraway è il saggio di Lowenhaupt Tsing (2015).
17 Il personaggio è tratto dal manga di H. Miyazaki (Haraway 2019, 173). Nausicaä haispirato anche Leonardo Delogu per le puntate radiofoniche realizzate durante la pandemia, https://www.spreaker.com/show/nausicaa-vivere-tra-le-rovine-dom (consultazione 31 marzo 2022).
18 Il termine olobionte indica un organismo caratterizzato dalla convivenza simbiotica di agenti biologici che non condividono lo stesso DNA.
19 Rinvio infra a Teatrologia di M. Cuscunà.
20 Gaia (Marta Cuscunà) è il sistema operativo.
21 Si rinvia al blog di M. Cuscunà, https://storiedellecamille.blogspot.com/(consultazione 31 marzo 2022). Earthbound ha richiesto una lunga ricerca per la costruzione delle creature animatroniche per il palcoscenico che si è sviluppata durante le residenze artistiche di Lisbona presso A Tarumba-Teatro de Marionetas, con la collaborazione di João Rapaz, artista di effetti speciali per il cinema.
22 https://www.youtube,com/watch?v=J36z7AnhvOM [link non disponibile: 2/01/2023]
23 Sito di Cuscunà, http://martacuscuna.blogspot.com/search/label/biografia (consultazione 30 marzo 2022).
24 Cuscunà, intervista rilasciata a chi scrive, giugno 2021.
25 Cuscunà, È bello vivere liberi! 2009 (cfr. infra Teatrologia di Marta Cuscunà). Su Ondina Peteani cfr. Di Giannantonio- Peteani 2011.
26 Cuscunà, La semplicità ingannata,2019 (cfr. infra Teatrologia di Marta Cuscunà).
27 Cuscunà, Sorry, boys, 2016 (cfr. infra Teatrologia di Marta Cuscunà). Le tre drammaturgie sono state raccolte in Cuscunà 2019.
28 Cuscunà ha utilizzato due documentari su questo tema: The Gloucester 18 di J.M. Williams, 2013, https://gloucester18.com (consultazione 10 gennaio 2022); e Breaking our Silence. Gloucester Men Speak Out Against Domestic Abuse, realizzato nel 2002 da un gruppo di attivisti della città di Gloucester MA, https://hchlibrary.kanopy.com/product/breaking-our-silence (consultazione 10 giugno 2022).
29 Cuscunà, Indemoniate,2007- drammaturgia Carlo Tolazzi e Giuliana Musso, regia Massimo Somaglino, con Sandra Cosatto, Marta Cuscunà, Fabiano Fantini, Riccardo Maranzana, Federico Scridel, Massimo Somaglino, elementi di scena e costumi Belinda de Vito, musiche e disegno luci Claudio Parrino, produzione Teatro Club Udine e Rossetti TeatroStabile del Friuli Venezia Giulia. Ispirato a un caso di possessione collettiva che esplose in Carnia, nel piccolo comune di Verzegnis nella primavera del 1878, come una vera e propria epidemia, cfr. Spirito 2000.
30 Cfr. Valenti 2008; Molinari 2000; Guccini 2005.
31 J. Baixas è direttore del Teatre de La Claca e professore all’Institut del Teatre di Barcellona; nel 1978 ideò, con Jean Mirò, Mori el Merma, rappresentato alla morte di Francisco Franco.
32 Cuscunà esplora con rigore le fonti storiche, ad esempio, per il tema della monacazione forzata, si fonda sul saggio di Paolin 1998 e sulle opere della monaca veneziana del XVII sec. Arcangela Tarabotti (1990, 2007).
33 Cuscunà, intervista rilasciata a chi scrive, giugno 2021.
34 Cuscunà, intervista rilasciata chi scrive, giugno 2021.
35 È una teoria formulata per la prima volta dallo scienziato inglese Lovelock, 1979, e co-sviluppata dalla microbiologa statunitense Lynn Margulis. L’ipotesi Gaia descrive il pianeta Terra, con tutte le sue funzioni, come un unico superorganismo.
36 Cuscunà, intervista rilasciata chi scrive, giugno 2021.
37 Patricia Piccinini è un’ artista australiana di origini italiane nata in Sierra Leone, a Freetown, nel 1965.
38 Cfr.https://www.artribune.com/television/2019/08/video-a-world-of-love-patricia-piccinini/ (consultazione, 30 marzo 2022).
Auteur
È docente di Scenografia presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna e di Drammaturgia presso il dipartimento PRO.GE.AS dell’Università di Firenze. Gli interessi di ricerca intrecciano teatro e antropologia e sono rivolti in particolare agli aspetti performativi dei rituali. Ha condotto ricerche in Mali e in Etiopia sui culti di possessione relativamente ai quali ha curato pubblicazioni e realizzato documentari etnografici. Su questo tema è autrice di due volumi: Michel Leiris. Il teatro della possessione (Pàtron 2017) e Michel Leiris sui palcoscenici della possessione. Etiopia e Haiti 1930-1983 (Pàtron 2017). Altro tema di ricerca è l’animalità sulla scena contemporanea e nella storia del teatro e della performance, nella cornice degli Animal Performance Studies, su cui ha scritto vari contributi, tra i quali: Il caso di Jackie the Baboon. Dalla teoria della performance agli Animal Performance Studies, «Mimesis Journal. Scritture della performance», 8, 2, (2019), pp. 31-53, Performing horses. Cavalli in scena tra Ottocento e Novecento, «Mimesis Journal. Scritture della performance», 9,1(2020), pp. 5-38.
Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Teorie e visioni dell'esperienza "teatrale"
L'arte performativa tra natura e culture
Edoardo Giovanni Carlotti
2014
La nascita del teatro ebraico
Persone, testi e spettacoli dai primi esperimenti al 1948
Raffaele Esposito
2016
Le jardin
Récits et réflexions sur le travail para-théâtral de Jerzy Grotowski entre 1973 et 1985
François Kahn
2016