Animali vivi, animali finti, animali morti. Figure e figurazioni tra arti visive e performative
p. 149-161
Texte intégral
E tu? Mi guardi e vivi. Vivi e basta.
Noi abbiamo la coscienza di vivere, non come voi che vivete e basta, e che, appunto per questo, siete additati come bestie. Vivere e basta è bestiale, è una vita da bestie.
(Cuocolo/Bosetti, Roberta va sulla luna 2016)1
Premessa
1Il seguente contributo non intende offrire un repertorio, o al contrario una selezione di manifestazioni performative legate alla presenza animale in scena2. Il percorso proposto è per contro più simile a un itinerario per stazioni iconografiche, che balza da un ambito artistico a un altro per collegamenti associativi oppure per suggestioni visive, giungendo a conclusioni del tutto provvisorie e aperte.
2Il titolo intanto prende le mosse dall’incipit dalla creazione di Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Roberta va sulla luna (2016), il cui sottotitolo: How to explain theatre to a living dog è una esplicita citazione della nota performance del 1974 How to explain pictures to a dead hare di Joseph Beuys. Come buona parte delle produzioni della coppia nostrana di artisti, anche questa sezione del ciclo ribattezzato Interor Sites Project è una autobio-peregrinazione ai limiti della rappresentazione teatrale, sorta di non-non-fiction, che interroga il senso della performance nell’indissolubile intreccio di realtà, vita e finzione3. Per la prima volta in scena, e per la prima volta in un loro spettacolo, appare il cane Nuvola, bichon frisé che la coppia aveva da poco adottato. Inserito – in modo inevitabile: per prossimità e affezione – nel processo creativo, esso si fa concorrente ideativo e collaboratore bio-drammaturgico oltre che partner scenico4. Un “improvvisatore” totalmente imprevedibile, in quanto non addestrato a seguire una partitura d’azioni, bensì lasciato libero di muoversi tra gli spettatori – con tutto quello che può comportare la sua libertà – e di agire istintivamente nel corridoio dell’aire du jeu. In scena tuttavia ci sono almeno tre declinazioni animali – quasi si trattasse di una citazione esplicita di One and Three Chairs di Joseph Kosuth – che rappresentano indicativamente la nostra (occidentale) esperienza dell’essere animale: oltre al cane Nuvola, l’animale vivo, ne compaiono altre espressioni, vale a dire quella di cui è foriera l’attrice Roberta Bosetti, che indossa una pelliccia di famiglia, a indicare l’animale morto, e quella che rappresenta Renato Cuocolo, travestito da orso polare, seduto e immobile per tutto il tempo fino alla svestizione finale, in qualità di animale finto. Ed è proprio intorno a queste tre categorie: vivo, morto, finto, che si articola la loro riflessione sulla magia della rappresentazione e sul suo potere trasformativo. L’animale dunque, attraverso queste tre manifestazioni o enunciazioni figurali, non funge da escamotage o da pretesto alle riflessioni che si vanno dipanando nel monologo di Roberta Bosetti, esso si presta piuttosto a essere del gioco del teatro una metafora perfetta.
1. Nel nome degli animali
3Tuttavia il nostro discorso trae la sua fonte di ispirazione profonda in Dumbo, l’elefante volante creato dalla Disney nel 1941. Si tratta di un film d’animazione tra i più visti e amati da diverse generazioni di bambine e di bambini, tra cui chi scrive, ma non è questo il punto: non è per ragioni di notorietà, oppure meramente affettive, che qui lo convochiamo, quanto piuttosto perché emblematico delle tesi che vorremmo esporre in questa sede. Lo sforzo sarà allora di dimenticarci della nostra memoria emotiva del film e di attivare uno sguardo lucido, che non prenda in considerazione la vicenda narrata ma le enunciazioni che dell’animale (e degli animali, più in generale) vengono fatte.
4In primo luogo Dumbo della Disney non è un elefante. E infatti si tratta dell’immagine di un cucciolo di elefante, ovvero di una sua rappresentazione. Meglio ancora: della sua ombra, di un simulacro dell’originale vivente. Tale figura esiste in qualche modo di per sé, in quanto tale, ovvero come personaggio (quindi finto o fittizio) della storia animata; ma il suo valore è dato dal legame che intrattiene con la realtà: ovvero come doppio (animato) di un cucciolo (vero) di elefante. Dumbo sostituisce o rimanda al vero e riproduce di fatto un elefantino, tuttavia porta in sé non solo l’idea dell’animale, ma anche l’idea che l’uomo ha dell’animale tout court. Più concretamente, ma anche concettualmente, egli dimostra come la nostra cultura fa “vivere” e quindi come concepisce, nella finzione e oltre, un elefante, e con lui il mondo animale lì convocato.
5Nella fattispecie, gli animali Disney denunciano un processo materiale di antropomorfismo che non è, rispetto a quanto avveniva in passato, o almeno fino alla metà del XIX secolo, espressione della prossimità uomo-animale, bensì il contrario: la loro somiglianza con l’uomo, col padrone. Sulla scorta di John Berger, che sulle rappresentazioni animali ha raccolto significativi interventi5, riconosciamo nell’ambientazione circense – al pari del giardino zoologico e dell’unità abitativa moderna – non tanto o non solo l’espressione di una marginalizzazione fisica degli animali, quanto piuttosto una loro «marginalizzazione culturale», la loro riduzione ad «animali della mente […] cooptati nella famiglia e nello spettacolo» (Berger 2017, 27). Attraverso la loro rappresentazione, i comportamenti umani vengono universalizzati proiettandoli nel regno animale, mentre gli animali reali si dissolvono nelle immagini che di loro vengono fabbricate: giocattoli, cartoni animati, fotografie in libri strenna, documentari, addobbi etc.
6Stando alla realtà animata del personaggio, Dumbo rappresenta un elefante particolare, affetto, com’è noto, da una malformazione. Esso è dunque un soggetto svantaggiato, diverso, un piccolo mostro adatto a essere esposto come un freak, a suscitare il riso, a essere ridicolizzato. Pur tuttavia l’elefantino, grazie alla comunità animale che lo circonda e al suo aiutante magico di nome Timoteo – badate bene: un topolino, che notoriamente spaventa i ritrosi pachidermi del tendone, e rappresenta nella classifica umana degli animali un vero e proprio paria – riuscirà a volare e fare di questo tentativo dell’impossibile l’occasione di un riscatto, la ragione del suo successo, la sua legittimazione in quanto divo.
7La storia della Disney non è del resto totalmente inventata ma trova agganci con la realtà storica di un vero elefante di origine africane, Jumbo, grande come un mammut (questa era la sua “mostruosità”, tale da restituirgli unicità e fama), che visse allo zoo di Londra fra il 1865 e il 1882. Fu la vedette del Barnum & Bailey Circus, che viaggiò in lungo e in largo per l’America, dove l’animale trovò la morte in un incidente ferroviario. Il suo nome gli è però sopravvissuto per indicare oggetti di proporzioni gigantesche, perché Jumbo è entrato nell’immaginario collettivo, prima star del mondo non umano di cui si abbia notizia, icona e monumento nei paesi anglo-americani6. Malgrado la sua celebrità, dell’animale oggi resta però solo il nome a detrimento dell’essenza dell’elefante Jumbo, di cui analisi e studi condotti sui suoi resti organici hanno evidenziato un’esistenza carica di sofferenze e afflizioni fisiche. Jumbo è oggi perlopiù una sopravvivenza linguistica che della sua fonte, vera e vivente, può in qualche modo fare a meno, se stiamo per esempio alle moderne etichette italiane delle arachidi, prodotto alimentare che del suo nome proprio si fregiano espungendolo però dall’icona che le sponsorizza7. Di questa riduzione linguistica che interessa gli animali in generale, ne resta forte traccia nel formulario, nelle espressioni idiomatiche, nelle locuzioni proverbiali di diverse lingue. Nell’italiano corrente, le varie specie animali ricorrono spesso a mo’ di metafore o come modelli per il comportamento umano8. E se l’uomo è simile all’animale, lo era anticamente in termini positivi, perché modellava la sua vita imitando la natura, oggi invece la maggior parte di queste espressioni hanno acquisito un’accezione dispregiativa, quasi l’animale fornisse un polo negativo. Appare tuttavia evidente che la ricchezza di formule che lo includono denotano un rapporto di prossimità uomo-animale stretto, profondo, ancestrale, di reale riconoscimento identitario, sebbene oggi dimenticato, forse perduto per sempre9.
2. Dai margini alle figure
8Ebbene Dumbo, sia come personaggio sia per ciò-che-rappresenta, ovvero un elefante del circo, è un soggetto marginale tra soggetti resi marginali – poiché scomparsi dalla nostra (umana) vita, ora oggetti di contemplazione come opere d’arte in un museo, ora abitanti di set artificiali circondati da oggetti di scena – e a cui neanche il nostro sguardo potrà restituire centralità.
9Nel saggio del 1977 Perché guardiamo gli animali? ancoraBerger osserva che «in uno zoo la visione è sempre difettosa» (Berger 2017, 37), ovvero:
a essere osservati sono sempre gli animali. Il fatto che essi possano osservare noi ha perso ogni importanza. Gli animali sono l’oggetto del nostro sapere in costante ampliamento. Ciò che scopriamo di loro è un indice del nostro potere, e dunque un indice di ciò che ci separa da loro. Più li conosciamo e più sono distanti. (ivi, 29)
Eppure, in uno zoo, il visitatore non incontrerà mai lo sguardo di un animale. Al massimo, quello sguardo è un lampo passeggero. Gli animali guardano obliquamente. Guardano ciecamente al di là. Scrutano meccanicamente. Sono stati immunizzati dall’incontro perché nulla può più occupare un luogo centrale nella loro attenzione. È questa la conseguenza estrema della loro marginalizzazione. (ivi, 42).
10Dumbo, in conclusione, è marginale tre volte: come animale deforme, come animale del circo, come cartone animato.
11La domanda che ci preme a questo punto, riportandoci all’occasione che ha sollecitato le riflessioni appena tracciate e che seguiranno, è se le arti performative siano in grado di riabilitare lo sguardo animale, ovvero superare il nostro sguardo contemplativo, la nostra monofocalità; se cioè un’arte dal vivo possa ricostituire un rapporto interrotto. Il teatro, lo spettacolo, le live arts sono attività essenzialmente umane, prodotte da essere umani per esseri umani: ma l’impostazione antropocentrica che le fonda e le istruisce è in qualche modo vincolante e inevitabile?
12Anche lo spettacolo più rispettoso nei confronti degli esseri animali coinvolti rischia di perpetuare l’impossibilità di un incontro mentre l’inclinazione più diffusa nella creazione scenica attuale tende a usare l’animale in scena come figura oppure quale simbolo di qualcos’altro. La sua spettacolarizzazione (per esempio nell’opera, visiva e performativa, di Jan Fabre) ovvero la sua “riduzione” a immagine nelle citazioni letterarie e visive che offre Romeo Castellucci (il cavallo massaggiato col latte in Marsiglia#9 di Tragedia Endogonidia, i lupi danteschi nell’incipit di Inferno o ancora, tra gli altri, il serpente dell’origine della tragedia nietzschiana nell’ouverture di Parsifal) ribadiscono l’unilateralità dello sguardo tra esseri viventi. C’è sempre un osservatore (l’essere umano) e un osservato (l’essere animale), ora simbolo, ora citazione, ora figura tra figure.
13Malgrado un’attenzione vieppiù sensibile al loro trattamento, la scena continua a usare – difficile trovare una parola alternativa – esseri animali all’interno di progettualità e demiurgie estetiche forti. Animali quindi destinati ad assolvere una funzione decorativa, corredo del o dei perfomer per la loro emblematicità, oppure presenti per aderenza ai contenuti della rappresentazione, altrimenti illustrazioni didascaliche al testo. Per fare almeno un esempio, riporto il caso emblematico, tra altri simili10, dello spettacolo L’arte dell’attore, scritto e diretto da Pascal Rambert nel 2007 e presentato al pubblico italiano nel 2017 con Paolo Musio11. Qui il protagonista, un attore in tuta e pantofole, si confessa in un lungo monologo che è in realtà un duologo. Il passivo e inerme interlocutore è infatti il suo (nella finzione) cane che si mostra al pubblico italiano nella sinuosa silhouette di un levriero borzoi. Il cane, vivo e attivo in scena, e non una riproduzione finta e immobile, è essenziale al monologo. Come si può leggere nella presentazione: «Rambert presenta L’arte del teatro che mostra un attore spiegare al suo cane in cosa consiste l’arte dell’essere attori. «[…]Affidando il suo monologo all’ascolto silenzioso del “migliore amico dell’uomo”, l’attore di Rambert in realtà consegna a noi spettatori un’autentica dichiarazione d’amore per il teatro»12.
14L’animale richiesto da copione potrebbe in effetti essere finto, caricando il monodramma di ulteriori significati e solitudini, ma l’autore, che firma anche la regia, sceglie invece un animale vivente che interagisca con l’attore assecondando alcuni appuntamenti scenici. Tale scelta è tuttavia contraddetta dai crediti artistici, dove si indica che lo spettacolo è (solo) con Paolo Musio, mentre «si ringraziano per la collaborazione Elena Trevisan e il suo cane Ladies of the lake’s Galitsine»13. Un’occasione persa, se vogliamo, anche per il senso del testo e il valore del teatro che va enunciando: un teatro – riportando liberamente passaggi dal foglio di sala – che riscopra i suoi valori autentici, per realizzare un incontro umano che viva nella dimensione privilegiata del “qui e ora”. Un incontro umano, per l’appunto, più che un incontro tra viventi, in cui l’animale, gli animali possono essere solo muti e silenziosi, dei simpatici ascoltatori, a volte divertiti, spesso annoiati, selezionati a seconda delle esigenze di cast ma pur sempre scelti per la loro figuralità in scena14.
15Se in questo tipo di attività l’incontro uomo-animale sembra dunque destinato a mancare, non sono meno fallimentari tutte quelle proposte in cui gli animali vengono surrogati da immagini, evitando le conseguenze di una prossimità che altrimenti sarebbe impossibile. La maggior parte delle compagnie di nouveau cirque ha espunto per ragioni ideologiche numeri con animali propri del tendone tradizionale. Alcune realtà si sono così convertite sostituendone la presenza con una loro spettacolarizzazione visiva. Lo storico Circus Roncalli, che opera in Germania dal 1976, ha abbracciato tematiche ambientali e animaliste promuovendo un circo cruelty-free e, grazie a un massiccio investimento tecnologico, una delle loro principali attrazioni è oggi rappresentata dagli ologrammi di pesci, cavalli ed elefanti, destinati ad amplificare, insieme alla smaterializzazione virtuale di clown e acrobati, l’esperienza dello spettatore. Anche in questo caso la missione educativa e la benemerita politica antisfruttamento vira verso la spettacolarità e marginalizza di fatto l’animale, riducendolo a un simulacro del desiderio.
16Appare chiaro che finché indugiamo in questa condizione contemplativa, l’incontro non potrà che essere mediato, schermato e di conseguenza esclusivo di quanti quella relazione dal vivo, tra viventi, possono ancora sinergicamente intrattenerla.
3. Ni con chicos ni con perros
17Il celebre monito di Hitchcock con cui titoliamo questo paragrafo15 sembrerebbe essere smentito da un topos iconografico e letterario ricorrente nella ritrattistica e aneddotica teatrale: l’attrice col cagnolino.
Non avrà finito la reprensione, che dal fondo della sala si udrà la voce della Prima Attrice. […] È tutta vestita di bianco, con un cappellone spavaldo in capo e un grazioso cagnolino tra le braccia; corre attraverso il corridojo delle poltrone e salirà in gran fretta una delle scalette. […] Poi chiamando il Direttore di scena e consegnandogli il cagnolino:
Per piacere, me lo chiuda nel camerino.
Il capocomico (borbottando): Anche il cagnolino! Come se fossimo pochi i cani qua.
(Pirandello 1966, 32)
18La presenza di animali da compagnia rende gustosi gli aneddoti e le biografie di piccole e grandi star dello spettacolo. D’altronde è costume – lo è tutt’oggi – farsi ritrarre col proprio inseparabile amico a quattro zampe, come nelle pagine finemente illustrate e sulle copertine della rivista «Il Dramma» di Lucio Ridenti durante il Ventennio16. Tra le molte accompagnate dal loro beniamino, vi è anche Emma Gramatica col cane Jack, che con l’amata padrona divideva gli applausi e aveva dimostrato di possedere uno speciale talento comico quando le fa da comprimario nell’allestimento della versione italiana della commedia americana di successo Peg del mio cuore di Manners.
19Le attrici non fanno che ribadire le ultime tendenze in fatto di moda, che, negli anni Venti, usava completare l’abbigliamento femminile con cani da passeggio, quasi fossero accessori indispensabili. Dall’americano «Vogue» alla nostrana «Lidel», la formula è sempre la stessa e ricalca i modelli italo-francesi del ritratto fashion alla Boldini: cani a volontà, levrieri in special modo, scelti questi ultimi per la loro silhouette rispondente a una linea snella e sensuale, ma anche per l’eleganza del portamento, al pari delle mises delle loro padrone. Tale presenza restituisce un tocco raffinato e signorile all’accompagnatrice oltre a corrisponderla nel carattere, perfino a rassomigliarla fisicamente, o viceversa. Ne sono a tutti gli effetti una appendice, una loro estensione. E se l’animale non è al guinzaglio, lo è indossato: manicotti, colli, scialli e pellicce incorniciano volti e profilano i bordi di vestaglie e cappotti (Municchi 1992).
20Questi esempi ben attestano un processo che al tempo si era praticamente concluso: quello della scomparsa degli animali dalla vita di tutti i giorni e della loro riduzione in pets, animali da compagnia nella vita metropolitana. È un processo che inizia nella prima metà del xix secolo con la seconda rivoluzione industriale e l’apparizione di innumerevoli invenzioni produttive (come la ferrovia, l’elettricità, l’automobile, il nastro trasportatore, i fertilizzanti chimici etc.). Della trasformazione paesaggistica, per cui l’animale viene sempre più marginalizzato, mentre il suo habitat naturale eroso da una progressiva antropizzazione, ne reca traccia l’iconografia del tempo, dalla grafica pubblicitaria alle icone di famosi locali, i cui nomi attingono al mondo animale superstite. È il caso del celebre cabaret artistique Le Chat Noir, inaugurato nel 1881 da Rodolphe Salis a Montmartre, e celebrato nella canzone omonima del suo cantante di riferimento, Aristide Bruant, che fa del gatto nero, simbolo del locale, l’emblema della bohème che lo frequenta e dello spirito del quartiere; oppure, sempre nel xviii arrondissement parigino, nei pressi del Maquis, lo storico cabaret e trattoria Au Lapin Agile – specialità della casa il coniglio, non a caso – dall’insegna caratteristica a opera del caricaturista André Gill, che nel 1875 dà i natali al locale17; o, ancora, Le Rat mort, café di rango in Place Pigalle, così chiamato per l’inconfondibile fetore dei dintorni.
21Altrettanto eloquenti sono i poster e le grafiche di Théophile-Alexandre Steinlen, il vero interprete della libera collina di Montmartre. Noto affichiste di origine svizzere, Steinlen nutriva una speciale predilezione per i gatti, che non ha esitato a inserire in molti suoi cartelloni pubblicitari, come il celebre Lait pur stérilisé de la Vingeanne (1894), ma la grafica prodotta per la rivista dello Chat Noir è ricchissima di vignette che anticipano il fumetto e il cinema e aventi per soggetto il gatto. Sulla scia dei contemporanei Muybridge e Marey, anche Steinlen si avvicina allo studio del movimento eleggendo a suo motivo ricorrente il felino. Lo rappresenta in svariate situazioni, pose e atteggiamenti: bianco e nero, di giorno e di notte, alle prese con pesci rossi, cani e gazze ladre. La figura del gatto diventa però un esercizio di stile grazie alle sue curve dorsali e alla linea sinuosa dalle ascendenze giapponesi (chiaro il debito verso Utagawa Kuniyoshi e le ukiyo-e circolanti alle Esposizioni universali). Si perde in qualche modo l’essenza del gatto, la sua condizione animale; resta invece il randagio cittadino che canta alla luna, che è un però uno stereotipo.
22Di questa città che avanza e divora la campagna dei sobborghi, sempre Steinlen ce ne restituisce una narrazione avvincente col manifesto litografico Motocycles Comiot (1899): una giovane donna a cavallo di una bicicletta nuova fiammante si lascia alle spalle un piccolo villaggio rurale, ne attraversa i campi su stradine sterrate, ai cui margini contadini e braccianti sono curvi da ore. Essa fende l’aria spedita verso orizzonti mondani e taglia la strada a uno stormo di oche impaurite e starnazzanti. La giovane donna – probabilmente una delle tante sartine che si reca a lavorare nella capitale – guarda ridente al futuro della metropoli e col suo passaggio spazza via un mondo che è anche un modo di vivere. Gli anatidi in primo piano, travolti e quasi investiti dalla frenesia del progresso che essa porta con sé, diventano gli ultimi sopravvissuti di un mondo al tramonto. Sono destinati a farsi nostalgica illustrazione campestre, specialità culinaria delle antiche fattorie, presenza selvaggia nelle anse della Senna o nelle riserve verdi ai limiti del centro. Anche loro destinati a sparire dietro il sogno di un’immagine e a sopravvivere nei simulacri di uno spettacolo senza fine.
Bibliographie
AA. VV. 2016, Guide du Musée de Montmartre, Somogy, Musée de Montmartre, Paris
Agamben G. 2002, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino
Aliverti M.I. 2017, Ritratti d’attrici ne «Il Dramma» del Ventennio, in F Mazzocchi, S. Mei, A. Pietrini (a cura di), Il laboratorio di Lucio Ridenti. Cultura teatrale e mondo dell’arte in Italia attraverso «Il Dramma» (1925-1973), atti del convegno di studi (Torino, 18-19 marzo 2016), Accademia, Torino, pp. 171-199
Berger J. 2016, Perché guardiamo gli animali. Dodici inviti a scoprire l’uomo attraverso le altre specie viventi, Il Saggiatore, Milano
Berger J. 2017, Sul guardare, Il Saggiatore, Milano
Bevione L. (a cura di) 2017, Interior Sites Project. Il teatro di Cuocolo/Bosetti. IRAA Theatre, Titivillus, Corazzano (Pisa)
Kezich T. 1954, Animali, in Enciclopedia dello Spettacolo, Le Maschere, Roma, vol. 1, colonne 633-648
Marchiori F. 2010, Negli occhi delle bestie. Visioni e movenze animali nel teatro della scrittura, Carocci, Roma
Mei S. 2021, Étienne Saglio: la magia come modus vivendi, «Juggling Magazine», XXIV, 93, p. 21
Municchi A. 1992, Signore in pelliccia (1900-1940), Zanfi, Modena
Pirandello L. 1966, Sei personaggi in cerca d’autore [1921], Oscar Mondadori, Milano
Rambert P. 2017, L’arte del teatro, Cue Press, Imola
Trovato S. 2020, Perché diciamo così. Origine e significato dei modi di dire italiani, Newton Compton, Roma
Sitografia
Cuocolo/Bosetti IRAA Theatre, Roberta va sulla luna, scheda dello spettacolo, https://emiliaromagnateatro.com/production/roberta-va-sulla-luna/
“Jumbo”, in Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Jumbo_(elefante)
Étienne Saglio/Monstre(s), Le Bruit des loups, scheda dello spettacolo, https://www.theatredurondpoint.fr/spectacle/le-bruit-des-loups/
Pascal Rambert, L’arte del teatro, scheda dello spettacolo, https://emiliaromagnateatro.com/production/larte-del-teatro/
Pascal Rambert, L’Art du Théâtre, scheda dello spettacolo, https://structureproduction.com/?portfolio=lart-du-theatre
Notes de bas de page
1 Testo inedito. Si ringraziano Renato Cuocolo e Roberta Bosetti per la gentile concessione del copione in lettura.
2 Resoconto che, tuttavia, sarebbe necessario, pur nell’inevitabile lista di casi riferibili alle pratiche performative; e che si può scorrere nelle voci enciclopediche di settore. Si veda fra tutte, nella letteratura italiana sul tema, la voce “Animali” redatta da Tullio Kezich (1954) per l’Enciclopedia dello Spettacolo. Tra gli studi e i saggi che hanno tentato di affrontare in modo più sistematico l’argomento, o comunque esponendolo nella complessità dei suoi riverberi antropologico-filosofici con riferimenti allo scenario teatrale e performativo del Novecento, si veda Marchiori 2010.
3 Cfr. Bevione 2017, 130-134.
4 Nei dati artistici dello spettacolo si specifica che lo spettacolo è «di e con Roberta Bosetti e Renato Cuocolo con la partecipazione del Cane Nuvola». Cfr. https://emiliaromagnateatro.com/production/roberta-va-sulla-luna/ (consultazione: 5 dicembre 2021).
5 Cfr. Berger 2016.
6 Per economia di riferimenti, rimando all’informata voce di Wikipedia, “Jumbo (elefante)”, https://it.wikipedia.org/wiki/Jumbo (elefante) (consultazione: 5 dicembre 2021).
7 Il legame tra le arachidi e l’elefante non ha basi nella dieta naturale dell’animale, ma riposa nell’usanza di offrire ai pachidermi dei circhi e degli zoo questa appetibile frutta, totalmente sconsigliata per i grassi che contiene ma irrinunciabile ghiottoneria per gli esemplari in cattività.
8 Cfr. l’esteso capitolo “Il mondo degli animali” nel repertorio commentato di modi di dire di Trovato 2020, 78-92.
9 Sul rapporto uomo-animale e sulla natura animale dell’uomo, si veda Agamben 2002.
10 Più recentemente, segnaliamo Le Bruit de loups (2019) di Étienne Saglio, spettacolo di magie nouvelle, di cui abbiamo recentemente riferito (Mei 2021, 21), ma rispetto al quale non abbiamo avuto modo di entrare nel merito del trattamento e della rappresentazione del mondo animale (con esemplari di topi, volpi, furetti, scoiattoli, lupi e cervi, sia vivi che in pelliccia che riprodotti in ologrammi). Stando alle motivazioni e ai propositi esposti dall’artista - oggi autore associato al Théâtre du Rond-Point - l’esito finale suscita molte riserve e meriterebbe un’accurata critica, soprattutto per la destinazione tout public e per il suo inevitabile valore educativo,
cfr. https://www.theatredurondpoint.fr/spectacle/le-bruit-des-loups/ (consultazione: 5 dicembre 2021).
11 Il testo è stato pubblicato, in traduzione, da Cue Press (Imola) in occasione della produzione italiana.
12 Dalla presentazione dello spettacolo, per cui cfr. https://emiliaromagnateatro.com/production/larte-del-teatro/ (consultazione: 5 dicembre 2021).
13 Ibid. Bisogna tuttavia osservare che, nella nuova edizione francese interpretata da Arthur Nauzyciel, compare, a seconda dei contesti in cui viene presentato e nelle relative schede artistiche, il nome del cane che affianca l’attore ma senza specificare che si tratta di un cane – cfr. il dossier de production in https://structureproduction.com/?portfolio=lart-du-theatre (consultazione: 5 dicembre 2021) – oppure indicando soltanto «Animal Trainer: Stéphane Coichot» – si tratta della scheda artistica dello spettacolo presentato al Princeton’s French Theatre Festival, per cui cfr. https://arts.princeton.edu/events/seuls-en-scene-presents-lart-du-theatre-le-debut-de-la/2017-09-20/ (consultazione: 5 dicembre 2021) – la coach che, altrove, figura senza specifica nei ringraziamenti.
14 Nella ripresa francese del 2017 con Nauzyciel, l’esemplare scelto, Neo, è un terranova.
15 Preferiamo la versione spagnola, più aforistica: «Nunca trabajes ni con niños, ni con animales ni con Charles Laughton»; rispetto alla traduzione italiana, che recita: «Dico sempre che le cose più difficili da riprendere sono i cani, i bambini, i motoscafi, Charles Laughton (pace all’anima sua) e gli attori di maniera».
16 Ne riferisce in dettaglio, con svariati esempi e lunghe citazioni, Aliverti 2017, 183-185.
17 Sulla storia del nome del locale, cfr. la relativa scheda in AA.VV, 2016, 68.
Auteur
È ricercatrice in Discipline dello Spettacolo presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia. La sua ricerca storica è rivolta alle forme del teatro “irregolare” nella Parigi fin de siècle; si occupa inoltre di iconografia teatrale e fotografia per il teatro. Ha recentemente pubblicato L’ultima onda. Nuova scena anni Zero (2020); Drammaturgie dello sguardo. Studi di iconografia dello spettacolo (Edizioni di Pagina 2020) mentre nel 2018 è apparsa la sua prima monografia, Essere artista. Eleonora Duse e Yvette Guilbert: storia di un’amicizia (Editoria e Spettacolo).
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