Il ruolo della comunicazione nelle performance animali
p. 102-116
Texte intégral
Premessa
1Nella biologia degli esseri viventi la comunicazione è sempre stata una delle componenti fondamentali. Esseri umani e animali, infatti, attraverso una ricca produzione di segnali vocali espletano le principali funzioni come l’advertisement territoriale, l’attrazione di un partner o il mantenimento di una posizione gerarchica. Quando parliamo di comunicazione facciamo riferimento all’idea che individui della stessa specie e non (Zahavi 2008; Farine et al. 2015; Meise, Franks, Bro-Jørgensen 2018) attuano un sistema di interazione reso possibile dalla presenza di un emittente e un ricevente. Ciò significa che affinché la comunicazione vada a buon fine, gli individui coinvolti devono aver mostrato una chiara intenzione comunicativa ma, al contempo, entrambi i protagonisti devono possedere i medesimi sistemi di codifica e decodifica del segnale (Watzlawick, Bavelas, Jackson 1967; Haynes, Yeargan 1999). In campo etologico, infatti, l’efficacia della comunicazione animale può dipendere dalle caratteristiche intrinseche dell’emittente (comunicazione chimica, vocale, olfattiva, visiva) o dalle condizioni ambientali in cui essa si realizza (Schmidt, Dall, van Gills 2010). Le attuali ricerche oggi, ci consentono di avere una nuova visione in merito al funzionamento della comunicazione animale, tanto da farci allontanare dal vecchio paradigma dell’etologia classica secondo cui i segnali emessi erano specificamente orientanti alla fase di accoppiamento o di difesa. Quanto emerge almeno dagli studi di Zahavi (1993, 2008) in poi, è che una larga parte dei segnali vocali prodotti è spesso rivolta ad altre specie animali. Ciò significa che molte specie animali dedicano le loro esibizioni vocali non tanto ai propri conspecifici, quanto ai membri di specie differenti con i quali condividono il territorio. Il significato di questi segnali ha la peculiarità di non dipendere dalla reazione del ricevente bensì dalla qualità di chi lo produce (Zahavi 1993). Affinché questo modello di comunicazione sia ritenuto valido però, è necessario che il segnale prodotto sia attendibile e che il ricevente comprenda il vantaggio celato dietro la scelta manifestata. Se è vero che il trasferimento di informazioni tra due individui è parte integrante del successo di una specie è altrettanto vero, che nel mondo animale la comunicazione tra due individui non comporta necessariamente un vantaggio per entrambi. È probabile, infatti, che in alcuni casi a beneficiare della comunicazione sarà solo uno dei due individui coinvolti (Gillam 2011; Falzone 2012). A ciò va aggiunta la possibilità che vengano prodotti segnali ingannevoli. In tal senso, si potrebbe ipotizzare che per essere dei bravi bugiardi è necessario vincolarsi a quegli universali biosemiotici: socialità, categorizzazione arbitraria, mente, principio di complessità, ritualizzazione, auto ed etero percezione, sintassi percettiva (Cimatti 1998) che garantiscono l’esecuzione dell’inganno.
2L’analisi quantitativa e qualitativa dei segnali acustici e la molteplicità delle loro funzioni rivestono un’attenzione speciale soprattutto quando si cerca di investigare sulla loro efficacia comunicativa in termini di vincoli morfologici. Volendo comprendere l’evoluzione dei sistemi di comunicazione soffermarsi sull’origine del segnale e sui cambiamenti che sono intervenuti nel corso del tempo, specialmente quelli connessi ai meccanismi che regolano la produzione e la comprensione delle informazioni è un passaggio obbligato. Ma cosa spinge un animale a comunicare? Che significato si cela dietro l’emissione di un segnale o di un canto? Le risposte a queste domande non sono poi così scontate. Ad avere avuto un’intuizione in merito alla capacità degli animali di comunicare fu Charles Darwin nel 1872. Nel suo saggio, egli fornisce alcuni dati interessanti non solo in merito alle attività cognitive possedute dagli animali, ma sostiene che le espressioni dell’uomo, come quelle degli altri animali, sono innate, e dunque sono un semplice prodotto dell’evoluzione.
3L’opera di Darwin, pur soffermandosi sul tema della natura universale delle espressioni umane e animali, riserva tuttavia poca attenzione al valore dell’espressione delle emozioni nella comunicazione inter ed intra specifica. Per questo motivo bisogna attendere la nascita del programma interdisciplinare che porterà agli inizi del 900 alla nascita dell’etologia.
4Grazie a Tinbergen (1951) e ai suoi quattro quesiti, per la prima volta si cerca di capire cosa determina lo sviluppo di un determinato comportamento e come debba essere interpretato. Le domande a cui è opportuno saper rispondere riguardano: – quale è il meccanismo fisiologico e quali sono gli stimoli che suscitano una risposta; – l’ontogenesi del comportamento e come varia nel tempo; – quali sono le funzioni biologiche legate alla sopravvivenza o alla riproduzione; – come si è evoluto quel comportamento. Sebbene Tinbergen (1951) ritenesse ragguardevoli le indagini sulle cause remote e prossime di un comportamento, le osservazioni sperimentali dei comportamenti degli animali venivano condotte con lo scopo di spiegarne le ragioni immediate. Per questo motivo i comportamenti di aggregazione sociale sono stati interpretati come comportamenti di rafforzamento dei legami sociali (Lorenz 1966) e non come la causa di un comportamento adattivo.
5Per lungo tempo, quindi, l’etologia è stata prima di tutto interpretazione e classificazione di comportamenti. E anche se quelle di molti animali sono risposte comportamentali automatiche e stereotipate, ciò non impedisce di ricorrere proprio a questi dettagli per avere una maggiore conoscenza del comportamento dell’essere umano. Uno degli aspetti presi in considerazione dall’etologia non a caso è il comportamento rituale (Jones 2013; Bateson P. 2017) in cui la ritualizzazione assume i connotati di una vera e propria performance, basti pensare alle forme di corteggiamento messe in scena da alcuni uccelli. In questo caso, probabilmente, ci renderemo conto di quanto il maschio di alcune specie abbia nettamente superato il sapiens in termini di creatività e pazienza! La ritualizzazione intesa come un ri-orientamento adattivo del comportamento verso funzioni espressive, oltre a essere un prodotto della selezione naturale ci mostra come certi schemi motori perdono, nel corso della filogenesi, la loro specifica funzione originaria e vengono rifunzionalizzati a scopo cerimoniale e simbolico (Bateson G. 1979) valorizzando, di fatto, la comunicazione tra conspecifici (Dissanayake 1979). Un segnale può di fatto perdere il suo valore funzionale (lisciarsi le piume come pulizia) per acquisire un valore ritualizzato (lisciarsi le piume per iniziare il corteggiamento) e ciò è frutto di un processo di trasformazione di un modulo comportamentale che permette di rendere la comunicazione più efficace oltre che inequivocabile.
1. Filogenesi della comunicazione
6Se per gli esseri umani la comunicazione si è potuta finalizzare grazie allo sviluppo del sistema vocalico e linguistico, negli animali non umani, anche in quelli non dotati di un meccanismo vocalico, la comunicazione ha assunto sfaccettature differenti ma comunque funzionali e adattive. Volendo dare una spiegazione evolutiva della comunicazione animale possiamo partire dal presupposto che quando parliamo di linguaggio intendiamo la realizzazione biologica della funzione comunicativa presente in tutte le forme animali. Applicando una linea di ricostruzione filogenetica è possibile compiere una ricerca sistematica delle capacità vocali dei primati non umani e determinare quali specie, in virtù delle caratteristiche morfologiche, fenotipiche o anatomiche, possano essere raggruppate in base alle similarità considerate. Sebbene non esista ancora un elenco definitivo di quali componenti costituiscano la facoltà linguistica (Hauser et al. 2002), è chiaro che essa è un tratto complesso costituito da diversi sottocomponenti quali: – la capacità di costruzione delle conoscenze sul mondo (Hagoort et al. 2004); – una sintassi utile per costruire e comprendere le strutture gerarchiche che caratterizzano il linguaggio (Fitch 2002); – la capacità di attribuire intenzioni e stati di conoscenza agli altri nelle interazioni comunicative (Scott-Phillips 2015). A fronte di quanto premesso, cerchiamo di capire quali siano i possibili tratti su cui fare leva in termini di vantaggiosità e adattamento. Lo studio del nostro sistema di comunicazione richiede, inevitabilmente, una conoscenza di base su come vengano prodotti i suoni e sull’anatomia che li consente. L’aria che inspiriamo e immettiamo nei polmoni per respirare, durante la fonazione viene spinta verso i bronchi e una volta incanalata nel tratto vocale (la faringe, cavità orale e nasale), viene filtrata e infine, spinta verso l’esterno attraverso le narici e le labbra. Le frequenze prodotte durante il passaggio all’interno del condotto vocale sono chiamate formanti e il loro valore è determinato dalla lunghezza e dalla forma del tratto vocale. Esse possono essere modificate rapidamente durante la conversazione mediante il movimento coordinato di articolazioni come la lingua, le labbra e il palato molle, che consentono di generare un’ampia varietà di suoni (Fitch 2000). Il medesimo meccanismo si verifica anche nei primati non umani, i quali possiedono la capacità di variare la configurazione del condotto vocale durante la fonazione (Fitch 1997). La sostanziale differenza tra i primati non umani e l’essere umano non è costituita tanto dalla laringe come struttura, bensì dal suo posizionamento: estremamente bassa nell’uomo e molto più alta, invece, nei primati. Questo dettaglio anatomico conferisce alla capacità fonatoria un ruolo sostanziale per la comprensione dell’evoluzione delle capacità comunicative negli altri animali e per individuare le possibili pressioni selettive che hanno garantito la sua comparsa (Anastasi 2016). In quanto organo responsabile per la fonazione, la laringe rappresenta l’elemento che contraddistingue la specie-specificità della comunicazione linguistica. Proprio questa sua posizione, determina un allungamento della cavità orale, consente una maggiore modulazione dei suoni e quindi, determina la conseguente produzione di suoni diversificati (Fitch 1997; 2000). La capacità di sfruttare la neuro-muscolatura della laringe per fini complessi come quelli del linguaggio verbale è di fatto una conquista evolutiva dell’Homo sapiens. Sebbene la fonazione sia presente anche in altre specie animali, solo l’uomo è stato dotato della possibilità di produrre linguaggio in termini di specializzazione funzionale e questo grazie a vincoli morfologici centrali e periferici (Anastasi 2018; Falzone 2014). La comunicazione poggia quindi le sue basi su strutture anatomiche selezionate per trasmettere informazioni in risposta agli eventi del mondo esterno. L’idea di una evoluzione del linguaggio continua e graduale a partire dai sistemi di comunicazione animale non è sicuramente questione recente (Hockett 1960) ma a mostrarsi fondamentali in ottica di convergenza evolutiva sono stati gli studi paleoantropologici (Lieberman 2007) e i dati etologici (Goodall 1986) che hanno consentito di sfatare il mito secondo cui nella maggior parte degli animali, primati inclusi, la produzione vocale fosse del tutto assente.
7In merito al rapporto tra struttura e funzione, fondamentale è stato il ruolo della biologia evoluzionistica dello sviluppo (Evo-Devo). Grazie a questo approccio è stato possibile dimostrare come gli organismi siano capaci di rispondere alle pressioni selettive cooptando dei tratti già esistenti nati per una certa funzione (o per nessuna), a favore di un’altra anche molto diversa dalla prima. Le strutture dell’organismo di ogni essere vivente costituiscono quindi il piano delle sue possibilità funzionali (Minelli, Baedke 2014; Minelli 2019) e a ragion di questo, possiamo considerare il corpo e le sue attività senso-motorie come ciò che rende possibile una performance che non è ovviamente di tipo artistico, bensì naturale.
8Per rendere al meglio quest’ultimo passaggio non possiamo non prendere in considerazione il contributo del paleoantropologo francese Leroi Gourhan (1964; 1983) verso il quale abbiamo un enorme debito scientifico. Secondo Leroi Gourhan l’evoluzione cognitiva è il risultato di una complessa trasformazione non solo dei cervelli ma di tutto l’organismo nel suo insieme a partire dall’apparato muscolo-scheletrico. La rivoluzione cognitiva ha dunque inizio con l’acquisizione del bipedismo a cui fanno seguito una serie di eventi a cascata che vincoleranno l’essere umano nelle sue possibilità: acquisizione del bipedismo, liberazione delle mani, allargamento del ventaglio corticale con il conseguente accrescimento della massa cerebrale, formazione di un tratto vocale pronto alla modulazione delle formanti (Pennisi 2016). Attraverso questa ricostruzione emerge la lenta evoluzione dei corpi a cui ha però fatto seguito una vera e propria esplosione cognitiva che ha vincolato il corpo alle sue possibilità funzionali. Per ben capirci: senza un tratto vocale rifunzionalizzato a scopo comunicativo, non ci sarebbe stato un cervello linguistico; senza un sistema muscolo-scheletrico che ha reso possibile la liberazione funzionale degli arti superiori, non avremmo avuto un cervello sensomotorio. Tutti questi aspetti non sono altro che tappe dell’evoluzione biologica che hanno condotto il sapiens alla sua attuale forma (Pennisi 2016; Falzone, Anastasi 2018; Falzone 2020) ma che è bene precisare, non rappresentano una condizione di specialità.
2. Primati performer
9Studi comparativi (Fitch 2000, 2002) hanno messo in evidenza come diverse specie animali sono in grado di ottenere una configurazione anatomica del tratto vocale simile a quella umana: con i muscoli laringali, infatti, alcuni animali non umani (cervi, cani, capre, maiali, tamarini, ma anche coccodrilli) riescono con uno sforzo muscolare, a portare la laringe in una posizione bassa, allungando la faringe e ottenendo una cavità orale ampia a sufficienza per produrre frequenze formantiche. Sulla scorta di questa analisi Fitch e Reby (2001) ipotizzano che il tratto vocale umano sia stato selezionato non per vantaggi connessi alla funzione linguistica, ma per ragioni legate alla fitness: produrre suoni definiti e gravi, come consentito dall’abbassamento della laringe, permetterebbe di simulare una stazza corporea maggiore – Size-Exaggeration Theory – e quindi il maschio risulterebbe più appetibile per le femmine del gruppo, che stimano le dimensioni corporee mediante la percezione uditiva del segnale. Dati del genere ci permettono di affermare con una certa sicurezza che la flessibilità della laringe è presente in tutte le specie e quindi che un tratto anatomico non può essere garanzia dell’unicità del linguaggio umano, come diverse ipotesi evoluzionistiche hanno sostenuto in passato. Lo studio di Watson e collaboratori (2015) condotto su un gruppo di scimpanzé in merito alla loro scarsa flessibilità vocale ha mostrato come i richiami riferiti al cibo non hanno una struttura fissa come si riteneva in passato: quando sono a contatto con un nuovo gruppo sociale, gli scimpanzé possono cambiare i propri richiami in modo da conformarsi al nuovo gruppo. Sebbene la stragrande maggioranza delle specie non umane utilizzi alcune funzioni pragmatiche associate alla voce, l’uso dell’articolazione vocale come la modulazione prosodica delle formanti altro non è che un indicatore pragmatico (Pennisi, Falzone 2016). Studi di questo tipo oltre a supportare l’ipotesi che le unità elementari da cui si è strutturato il linguaggio fossero già presenti negli antenati comuni di esseri umani e primati non umani, contribuiscono alla tesi che la modulazione vocale, ampiamente condivisa dalle specie animali, possa aver sostenuto l’evoluzione del linguaggio. Le capacità verbali umane vanno quindi interpretate come adattamenti biologici dovuti alla selezione naturale.
10Chiaramente la comunicazione ha un costo sia in termini di energie spese che di rischi che si possono correre. Pertanto, i benefici ottenuti con una comunicazione devono superare gli svantaggi. Inviare un messaggio, un segnale, deve valerne davvero la pena, non solo per il segnalatore, ma anche per il ricevente. A proposito di segnali costosi, un fenomeno estremamente rilevante nell’ottica dell’evoluzione della comunicazione ci giunge dai cosiddetti primati cantanti la cui capacità di produrre dei veri e propri canti è stata intesa come l’origine del protolinguaggio musicale (Fitch 2013; Brown 2017; Anastasi 2016).
11Il caso dei primati cantanti interessa circa il 10% dei generi e delle specie e questa ristretta cerchia di individui vanta tra i suoi protagonisti principali i lemuri del Madagascar (Indri indri) e i gibboni dell’Asia sud-orientale (Hylobatidae). Considerando che la comunicazione è una parte essenziale nella quotidianità di una specie vocale cerchiamo di capire chi sono i primati cantanti e perché sono importanti per la tesi qui sostenuta. Tipicamente, il canto dei gibboni ha una durata che va dai 10 ai 30 minuti e di norma viene articolato nelle prime ore del mattino, tuttavia, non è insolito sentirli cantare anche nel resto della giornata. Quelli dei gibboni sono definibili come canti stereotipati, oltre che sesso-specifici e specie-specifici, poiché le caratterizzazioni vocali di questi canti rendono possibile l’identificazione delle diverse specie appartenenti alla famiglia degli Hylobatidae (Geissman 1993). Elemento da non sottovalutare è la capacità di questi primati di compiere dei veri e propri duetti che mostrano un estremo livello di accuratezza. I maschi di gibbone, ad esempio, durante la loro esecuzione tendono a modulare la composizione delle frasi che compongono il canto in maniera graduale ovvero, si va dall’esecuzione di “frasi” semplici fino ad arrivare a quelle più complesse. Le femmine, invece, emettono una chiamata forte e stereotipata che, in genere, si accompagna a una forma di locomozione quando questa giunge al suo culmine. Il maschio, infine, può contribuire al duetto mediante una sequenza vocale detta “coda”, che gli consente di accompagnare il richiamo della femmina (Geissman 2002). Il duetto dei gibboni è probabilmente il canto musicale più complesso di un vertebrato di terra, oltre a quello prodotto dall’uomo. A renderlo speciale è il fatto che esso potrebbe fornire una cornice concettuale entro cui ricostruire il processo che ha portato dal sistema comunicativo basato sul canto, al linguaggio parlato. Le elaborazioni delle frasi che compongono il duetto sarebbero, secondo Geissmann (2000), la prova di un vero e proprio percorso filogenetico del canto: da un canto inizialmente comune a entrambi i sessi è possibile che sia prima avvenuta una separazione in canto maschio-specifico e femmina-specifico noto come song-splitting. Le specie soliste deriverebbero pertanto da quelle duettanti e il canto solista sarebbe connesso alla distribuzione sul territorio delle diverse specie di gibboni. All’idea di un percorso filogenetico del duetto si oppone, però, l’ipotesi che esso sia frutto della capacità imitativa e di apprendimento dei gibboni che, nello specifico, avrebbero fuso i canti prodotti da altre specie fino a creare il loro canto (Geissman 2002).
12Per quanto concerne, invece, il canto di Indri è noto che si tratti di un comportamento vocale complesso per la sua intensità che può essere emesso in almeno due differenti contesti: coesione tra gli individui di un gruppo e advertisement territoriale. Anche in questo caso siamo in presenza di un canto dimorfico le cui differenze si giocano in termini di note e struttura acustica (Mittermeier et al. 2006). Le tecniche di registrazione oggi utilizzate sul campo hanno consentito agli studiosi di Indri di poter osservare le diverse tipologie di canto sulla base della loro frequenza, arrivando a individuare ben otto diversi tipi di vocalizzazione oltre al canto vero e proprio che rappresenta la più intensa e complessa vocalizzazione emessa dai membri dell’intero gruppo (Pollock 1986; Baker-Medard 2013; Gamba et al. 2016). Interessanti differenze sono state dimostrate tra il canto maschile e quello femminile. In generale, le femmine hanno una maggiore modulazione di frequenza delle note rispetto ai maschi e usano un maggior numero di note rispetto ai maschi (7:5) in ogni sequenza cantata. I maschi, invece, possono vantare la capacità di mantenere le emissioni per un tempo più prolungato e ciò è probabilmente dovuto a una sottile differenza morfologica nella sacca vocale di Indri che sarebbe determinante non solo nell’intensità della chiamata, ma anche nella sua durata (Mittermeier et al. 2006; Giacoma et al. 2010).
13Proprio come accade nei gibboni, anche il canto di Indri non è un canto solitario bensì avviene mediante una sincronizzazione di coppia. Si assiste quindi a un vero e proprio duetto tra maschio e femmina all’interno del quale talvolta è possibile udire una terza voce; si tratta dei membri più giovani del gruppo che tendono a inserirsi all’interno di questo coordinamento di coppia con delle regole loro. Il canto è caratterizzato da molte note diverse, di tipo armonico, che seguono una struttura grammaticale ben precisa ma a renderlo singolare, probabilmente, è il fatto che non si tratta di un canto d’amore bensì di un canto territoriale che serve a regolare i rapporti con i gruppi vicini e con i membri all’interno del gruppo (Gamba et al. 2011). Durante l’esecuzione del canto, Indri emette una serie di vocalizzazioni armoniche che mostrano di avere strutture acustiche complesse in base al diverso grado di apertura della bocca. Così come dimostrano gli studi sugli esseri umani cantanti, che condividono con Indri il tono particolarmente elevato del loro canto, i cantanti umani allargano la bocca al fine di sintonizzare il tratto vocale a determinate frequenze e produrre toni così alti e potenti da poter essere uditi in lontananza. Qualcosa di simile avverrebbe durante il canto di Indri (Favaro et al. 2008). Performance vocali di questa portata mostrano come il processamento vocale è la condizione necessaria per instaurare e mantenere legami all’interno del gruppo perciò, così come gli esseri umani modulano la loro voce nei contesti sociali per comunicare o accentuare tratti che sono ritenuti importanti al fine di suscitare un determinato comportamento, allo stesso modo, le vocalizzazioni emesse durante uno stato di eccitazione influenzano la reazione dei conspecifici o di membri di altre specie che hanno intercettato il segnale. Ciò ci suggerisce che siamo davanti a un meccanismo biologicamente radicato e quindi ampiamente condiviso sia dall’uomo che dagli animali non umani dotati di capacità vocale. La dimensione sociale potrebbe allora giustificare in termini evoluzionistici la presenza di una funzione cognitiva complessa come il linguaggio nel sapiens e le performance vocali nelle altre specie animali. In specie altamente sociali come i primati cantanti, la comunicazione non solo rappresenta uno strumento di scambio di informazioni ma spesso costituisce le fondamenta dell’organizzazione sociale stessa. Nel momento in cui l’organizzazione sociale diviene complessa è infatti necessario attingere a un mezzo di comunicazione mediante cui articolare i bisogni e i meccanismi sociali del gruppo. Garantire il mantenimento del proprio sistema sociale potrebbe essere stato l’innesco che ha consentito una proficua contingenza per l’utilizzo di quella struttura speech ready (Fitch et al. 2016) mostratasi fondamentale per il linguaggio.
14Stando a questa ricostruzione, la capacità di produrre vocalizzazioni complesse rappresenta a tutti gli effetti, un vincolo sociale di natura biologica. Ne potremmo convenire quindi, che il linguaggio non solo racchiude le possibilità articolatorie che contraddistinguono la nostra cognizione linguistica, ma ha una modalità capace di garantire lo sviluppo di una socialità fondata su comportamenti, rituali e sistemi di conoscenze tali da assicurare la cementificazione sociale tra conspecifici. La dimensione sociale, vincolata al sistema linguistico posseduto e al rapporto con l’Umwelt (Anastasi, Giallongo 2015) determinerà biologicamente e cognitivamente la modalità di espressione utile alla realizzazione del perfetto equilibrio ecologico della specie.
Bibliographie
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Auteur
È Dottore di ricerca in Scienze Cognitive e cultrice della materia in Filosofia ed Etologia del linguaggio presso il dipartimento COSPECS (Università di Messina). I suoi interessi di ricerca si concentrano principalmente sullo studio delle prospettive evolutive nella scienza del linguaggio come la comparazione etologica delle componenti specie-specifiche della cognizione. Ha pubblicato numerosi articoli in riviste nazionali e internazionali ed è revisore di riviste come Biology & Philosophy e Brain Sciences. Il suo ultimo libro è Protomusic: The role of Prosodic Modulation in the Emergence of Language (Vernon Press 2022).
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