Sul ’56 in Polonia
p. 61-74
Texte intégral
Ragion di Stato e trasformazione
1Nella storiografia e nella pubblicistica polacche dopo l’89, in particolare in quelle che appaiono affini alla narrazione delle forze politiche attualmente al governo, si tende a sottovalutare l’importanza degli avvenimenti del ’56 nella storia nazionale. Un’eccezione è rappresentata dalle proteste di Poznań, del giugno dello stesso anno, paragonate alle insurrezioni nazionali ottocentesche contro l’oppressore russo oppure assimilate all’inizio della fine del regime comunista. Un regime il cui profilo ideologico sarebbe fortemente in contrasto con lo spirito nazionale e con il carattere più profondo della coscienza comune del popolo. Un inizio della fine, bisogna tuttavia rilevare, durato più di trent’anni.
2Per una parte della storiografia, che potremmo definire “riformista”, il 1956 è l’anno nel quale s’innescò, per i motivi che vedremo fra poco, un processo di cambiamento politico profondo e di conquista di relativa sovranità da parte della Polonia, soprattutto nella politica interna, nei confronti dell’Unione Sovietica. Tale processo terminerebbe alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso con gli accordi della tavola rotonda (Okrągły stół ) tra il regime di Jaruzelski e l’opposizione di Solidarność grazie ai quali avvenne l’uscita dal sistema comunista per via democratica e senza spargimenti di sangue. Il 1956 coinciderebbe con la fine dello stalinismo in Polonia e la nascita di un regime maggiormente tollerante rispetto a quelli degli altri Stati satellite1. Tale sistema definito talora, per rimarcare la distanza dall’Urss, socialista e non comunista, monopartitico-autoritario e non totalitario, avrebbe consentito ai cittadini l’esercizio di alcune libertà fondamentali e lasciato spazio allo sviluppo di una società civile da cui, in ultima analisi, sarebbe scaturita la svolta dell’Ottantanove. L’interpretazione riformista si scontra con quella nazionalista. Per la prima, la svolta del 1956, tra diversi errori e incertezze, segnerebbe l’avvio di una serie di riforme, le uniche sostanzialmente possibili dato il contesto internazionale, in ragione delle quali la Polonia, alla vigilia dell’89, rappresenterebbe una realtà maggiormente avanzata, sul piano dei diritti individuali e dello sviluppo economico, nei confronti degli altri Stati socialisti e sufficientemente pronta ad accogliere le trasformazioni di tipo capitalistico e “occidentale” introdotte alla fine del XX secolo. La via polacca al socialismo, in questo senso, può essere considerata il passaggio meno accidentato, e in ogni caso l’unico realisticamente possibile nella situazione internazionale del secondo dopoguerra, sulla lunga strada verso la liberal-democrazia e l’economia di mercato. Dall’altra parte, per la pubblicistica nazionalista e conservatrice, la Repubblica Popolare sarebbe una parentesi tra la II Repubblica fra le due guerre mondiali e l’attuale, definita terza. Una parentesi in cui a una classe dirigente venduta all’Unione Sovietica si erano contrapposti la Chiesa cattolica, un’impaurita società civile e un manipolo di eroi i cui eredi oggi siedono perlopiù tra i banchi dell’attuale maggioranza di governo o a essa sono vicini.
3Al di là di alcune posizioni storiografiche e pubblicistiche spesso strumentali e faziose, il 1956 è da considerarsi un anno di profondi cambiamenti nella storia contemporanea polacca. Tali cambiamenti hanno riguardato soprattutto la politica interna2. In quel 1956 si riaffermava altresì l’adesione a una particolare idea della ragion di Stato, vale a dire dei modi attraverso i quali la Polonia, sebbene ridimensionata nei suoi confini e nelle sue aspirazioni di sovranità, aveva cercato di mantenere la sua identità territoriale e la sua indipendenza nei confronti degli Stati vicini. Dopo il secondo conflitto bellico mondiale, garante della sopravvivenza della Polonia, e principalmente dei suoi confini occidentali, è l’Unione Sovietica. Per i dirigenti del Partito Operaio Unificato Polacco (Poup) al potere dalla fine degli anni Quaranta, la realizzazione del dovere supremo della sicurezza dello Stato coincide con la salvaguardia del rapporto con l’Unione Sovietica: autentico baluardo non solo di fronte alle mire espansionistiche occidentali ma anche rispetto a un’eventuale ripresa delle ostilità con la Germania relativamente ai territori della Slesia e della Pomerania passati per volontà di Stalin, dopo la fine del secondo conflitto bellico mondiale, alla Polonia. In cima alle preoccupazioni di Gomułka vi è il mantenimento dei confini occidentali acquisiti in seguito agli accordi tra le potenze vincitrici3. Da questo punto di vista, la ragion di Stato dell’Urss, la tutela della sua sicurezza, doveva prevalere, pena lo scomporsi del mosaico uscito fuori dagli accordi tra le potenze dopo la seconda guerra mondiale, su ogni altra considerazione attinente all’equilibrio interno delle singole democrazie o repubbliche popolari nell’Europa centro-orientale. Al netto delle valutazioni sulla sovranità dei singoli Stati e in virtù di un principio squisitamente realistico, delle richieste di maggior autonomia, e quindi d’indipendenza territoriale da parte di ciascuna delle Repubbliche Popolari, avrebbe potuto compromettere inevitabilmente il ruolo guida dell’Urss e condurre a un’uscita dal sistema che inglobava una parte del Vecchio Continente. La sicurezza dell’Urss, e del sistema internazionale di cui era perno, coincideva, sotto questo profilo, con la sicurezza degli altri Stati satelliti. La caduta del sistema poteva avere quale conseguenza una ridefinizione del contesto politico cui era legata la salvaguardia dei confini e della stabilità dello Stato polacco.
4Wladysław Gomułka, il compagno «Wiesław»4, condannato per le sue «tendenze nazionalistico-reazionarie» e passato nel giro di pochi anni dalle prigioni polacche alla guida del Poup, era consapevole di quanto ogni richiesta di autonomia nazionale non potesse scalfire l’autorità e il prestigio dell’Urss in considerazione della minaccia potenziale che poteva giungere ai confini dello Stato polacco. Le riforme che furono introdotte dal 1956 dovevano servire a mantenere l’equilibrio interno di una nazione dipendente dall’Urss, per motivi geopolitici prima che economici. La via polacca al socialismo, in questo senso, si riduce alla ricerca di equilibri interni in ultima analisi connessi all’ordine costruito intorno al Paese fratello. Essa non rappresenta un modello concorrente o alternativo al socialismo sovietico, bensì un progetto a questo funzionale, consequenziale ai patti che le dirigenze comuniste dell’Europa orientale avevano sottoscritto.
5Sullo sfondo delle considerazioni attinenti alla ragion di Stato, vi erano tuttavia diverse questioni irrisolte che contribuivano a incrinare il rapporto con il «Paese-guida»: lo spirito antirusso presente nella società polacca, alimentato dall’aggressione sovietica nel 1939, il velo di falsità steso su alcuni episodi del conflitto bellico, in particolare il massacro di Katyń del 1940, il mancato intervento dei sovietici contro i tedeschi per liberare Varsavia nel 1944, lo scioglimento per volontà di Stalin del partito comunista polacco nel 1938, la conquista del potere da parte di Bierut e di forze essenzialmente minoritarie, ma legate a Mosca, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il 1956 potrebbe essere considerato l’anno in cui sembra momentaneamente erompere il fiume carsico che porta con sé le questioni menzionate e che attraverserà quarant’anni di storia della Repubblica Popolare fino alla trasformazione liberal-democratica e, allo stesso tempo, l’anno in cui in Polonia si sarebbe potuto concretizzare uno scenario simile a quello ungherese e che solo la coscienza e l’abilità politica del gruppo dirigente del Poup, insieme con un fattore contingente legato alla politica internazionale, hanno impedito.
Riformisti e conservatori
6Andrzej Werblan, uno dei massimi storici del periodo stalinista in Polonia e testimone diretto delle dinamiche all’interno del Comitato centrale del Poup in quel 1956, sostiene: «Tutte le crisi politiche nella Repubblica Popolare hanno origine o dal basso, attraverso movimenti rivendicativi di massa, oppure dall’alto: sono causate dalle lotte interne del partito al governo»5. Non vi sono dubbi, secondo Werblan, che la crisi dell’ottobre 1956, che ha portato ai cambiamenti profondi nella Polonia Popolare, sia del secondo tipo. Dopo i fatti di Poznań del giugno 1956 e la repressione nel giro di poche ore della rivolta da parte dell’esercito e della milizia comunista, il Poup aveva riacquistato il controllo della situazione all’interno dei reparti delle fabbriche in sciopero e delle zone in cui era dilagata la protesta. I quasi ottanta morti tra civili e forze di repressione e gli oltre seicento feriti6 nei disordini e nello svilupparsi della protesta non potevano ciò nonostante non avere ripercussioni sulla lotta interna del partito. Sebbene la protesta di giugno non possa essere considerata la causa diretta della crisi di ottobre, essa ne costituisce uno dei fattori che contribuirono a determinare una divaricazione profonda nel Partito Operaio.
7La liberazione di Gomułka nel 1954, la morte di Stalin nel 1953, quella di Bierut nel 1956, il cosiddetto rapporto segreto da parte di Chruščëv al XX Congresso del Pcus e, soprattutto, i fallimenti dal punto di vista economico della centralizzazione burocratica avevano portato alla formazione di due frazioni all’interno del Poup: i “Natolinczycy” e i “Puławianie”. Le denominazioni, che si riferivano ai luoghi della capitale polacca nei quali solevano incontrarsi i rappresentati dei due schieramenti, corrispondevano a due modi di valutare l’esperienza politica staliniana e, soprattutto, di intendere il governo del Paese rispetto al dichiarato “cambio di passo”, soprattutto per quel che concerne i rapporti con l’Occidente, dell’Unione Sovietica dopo l’ascesa di Nikita Chruščëv. Di fronte alla situazione, benché pacificata, tutt’altro che risolta all’interno dei confini nazionali dopo le proteste di giugno, i due schieramenti, che possiamo definire per comodità di esposizione «revisionista» e «conservatore», contrapposti rispetto a molte questioni e attraversati da numerose contraddizioni, convenivano nondimeno su un punto: il mantenimento dello status quo doveva avvenire attraverso l’introduzione di alcune riforme. Lo schieramento conservatore, come scrive Werblan: era composto «nella sua maggioranza da funzionari di estrazione popolare»7 che avevano aderito da giovani al movimento comunista per «motivi di classe e avevano avuto a che fare con la lotta, la miseria e la fame». I conservatori erano idealisti e pronti al sacrificio personale, avevano trascorso lungo tempo in prigione a causa delle loro idee e, malgrado avessero molto studiato, rimanevano tutto sommato grossolani e volgari8. Per loro non vi era alcun motivo di riformare nel profondo il sistema socialista. Ritenevano che, per la perenne validità dei principi di tale sistema, di eventuali fallimenti fossero da incolpare le masse. I conservatori invocavano le maniere forti per quanti, a causa della loro malafede o della semplice insipienza, mettevano a repentaglio il destino di un ideale glorioso. I conservatori erano ben visti a Mosca che li considerava le «forze sane» del partito operaio polacco9.
8La frazione revisionista propugnava l’idea di ottenere una maggiore indipendenza da Mosca, pur restando ancorata, come la frazione conservatrice, a un’idea di dittatura del proletariato e di funzione guida del partito. La frazione revisionistica rivendicava cionondimeno una più ampia libertà di espressione, unitamente a più estese garanzie di fronte alle violenze e ai soprusi della Milicja Obywatelska (mo) e l’introduzione, in alcuni settori, di una limitata libertà d’investimento privato e di regole proprie di un’economia di mercato sulla frazione revisionistica, malgrado le aperture di tipo “liberale”, pesavano le scelte fatte durante il periodo staliniano. In misura superiore rispetto alle file avversarie, in questo schieramento si trovavano i più convinti sostenitori della politica di Bierut tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta. Per questo motivo ai revisionisti, che godevano di un ampio sostegno nelle organizzazioni giovanili del partito, era mossa l’accusa di opportunismo dettato dal mutare delle circostanze e dalla possibile resa dei conti nei confronti dei fiancheggiatori di Bierut che il rapporto segreto di Chruščëv e i cambiamenti in atto in Unione Sovietica avrebbero potuto provocare. Oltre all’accusa di opportunismo, i conservatori non mancavano di sottolineare l’eccessiva presenza di militanti di origine ebrea nella frazione avversa. L’antisemitismo e lo stereotipo nazionalista, che non solo erano largamente penetrati in diversi settori del Poup ma che si accentueranno in modo drammatico nel decennio successivo, affondavano le loro radici nelle campagne contro il partito comunista polacco, poi sciolto da Stalin, orchestrate dalla destra clerical-nazionalista durante la Repubblica tra le due guerre mondiali. L’attività dei comunisti era definita spregiativamente «żydokomuna»10, propria di un partito in mano a gruppi antipatriottici e al servizio di organizzazioni sioniste11.
L’«inaspettata visita» da parte dei sovietici
9Rispetto ai fatti di Poznań, i revisionisti, al pari dei conservatori, avevano sostenuto fermamente la necessità dell’intervento militare e della dura, immediata soppressione della rivolta. Sia i revisionisti sia i conservatori si contendevano l’appoggio di Gomułka il quale, da un punto di vista personale, avrebbe avuto maggior motivo di scegliere i conservatori rispetto ai revisionisti giacché, come già rilevato, i secondi erano corresponsabili della stalinizzazione del partito e indirettamente del suo arresto. Da un punto di vista programmatico, tuttavia, Gomułka manteneva una sua eccentricità rispetto alle due frazioni. Lontano dal condividere l’introduzione di qualsiasi forma di pluralismo, che avrebbe compromesso l’esistenza dello stesso Poup, egli sosteneva una maggior autonomia da Mosca nel quadro della realizzazione di un socialismo su base nazionale ma fedele al potente, fraterno alleato.
10Nella prima metà di ottobre la frazione revisionista chiese di modificare l’ufficio di segreteria del partito, lasciando alla corrente conservatrice un solo membro, e di reintegrare Gomułka affidandogli la guida del Poup12. Gomułka avrebbe dovuto sostituire Edward Ochab, eletto segretario nel marzo precedente, il quale tuttavia era favorevole al ritorno alla segreteria del simbolo dell’antistalinismo polacco. Gomułka era molto popolare tra le masse. La frazione revisionista fece trapelare la notizia di un suo ritorno alla segreteria alla vigilia del plenum del partito, previsto per il 19, che ne avrebbe dovuto sancire l’elezione13. Il «compagno Wiesław» diventava la figura cui il partito si affidava per recuperare un prestigio seriamente compromesso negli ultimi anni. Nikita Chruščëv preoccupato per il repentino “cambio della guardia” ai vertici del partito polacco aveva chiesto che una delegazione del Poup si recasse a Mosca per informare la dirigenza sovietica di quanto stava succedendo a Varsavia. Ochab accolse la richiesta di Chruščëv, ma dichiarò altresì di volersi recare a Mosca soltanto dopo la conclusione dei lavori del plenum14. Tra i conservatori, visto l’atteggiamento sospettoso dei sovietici sulle manovre a Varsavia, si faceva largo l’idea di un colpo di mano che avrebbe dovuto portare all’arresto di settecento militanti della frazione avversaria. Il progetto dell’ala conservatrice del partito tuttavia fallì poiché molti membri delle forze militari e di polizia erano schierati dalla parte dei revisionisti15.
11Rotti gli indugi, alle sette di mattina del 19 ottobre, appena tre ore prima dell’inizio del plenum, giunse all’aeroporto di Varsavia una delegazione del Pcus capeggiata da Nikita Chruščëv. I testimoni dell’incontro all’aeroporto della capitale polacca tra i capi del Poup e quelli sovietici riferiscono di una tensione che si poteva tagliare a fette e del forte imbarazzo al momento dell’accoglienza di Chruščëv da parte dei maggiorenti del partito operaio polacco. Nello scendere dalla scaletta dell’aereo, il poco cerimonioso leader sovietico avrebbe addirittura mostrato il pugno facendolo roteare minaccioso in segno di sfida verso i compagni polacchi16. In barba a qualsiasi protocollo, Chruščëv salutò dapprima i rappresentanti delle forze armate sovietiche di stanza in Polonia e poi i dirigenti del Poup. A Ochab avrebbe detto: «Questo giochetto non vi riuscirà, siamo pronti a intervenire». A Gomułka, formalmente ancora non reintegrato nella segreteria del partito, Chruščëv avrebbe perfino rifiutato di stringere la mano sbottando: «E questo chi è?».
12Dopo il breve incontro con la delegazione sovietica, ebbe inizio il plenum nel quale Gomułka fu proposto come «I sekretarz» (segretario generale) del partito. Alcune unità militari sovietiche in Polonia intanto avevano lasciato la propria base in direzione di Varsavia. La minaccia di una repressione esterna aveva messo in allarme le forze militari polacche e la popolazione della capitale. Si stava preparando una possibile, disperata controffensiva all’operazione militare dei sovietici quando si tenne una riunione tra la delegazione capeggiata da Chruščëv e la dirigenza del Poup, tra cui Gomułka. Fino al 2006 si avevano informazioni piuttosto scarne, frutto più che altro dei ricordi e della testimonianza dei partecipanti, di quella riunione. Grazie ad alcune recenti ricerche, si è venuti in possesso di un verbale redatto da uno dei partecipanti alla riunione, Jan Dzierżyński, figlio di Feliks, comunista polacco e fondatore della Ceka. In quel consesso Dzierżyński svolse anche il ruolo di traduttore, benché i partecipanti conoscessero il russo, nel caso di Gomułka molto bene, per avere trascorso nella patria di Puškin diversi anni in esilio oppure per l’apprendistato comunista. Il confronto tra i due gruppi durò diverse ore e riguardò i rapporti tra i due Stati, compresi quelli commerciali, il periodo stalinista, il ruolo di Bierut negli anni dello stalinismo, lo status degli “esperti” sovietici nei servizi segreti e nell’esercito polacco17.
13Chruščëv aveva chiesto un incontro con tutto il Comitato centrale del partito con l’evidente obiettivo di effettuare una conta delle forze in campo e dividerlo al suo interno. Gomułka respinse la richiesta, bollandola come intollerabile tentativo di esercitare pressione sulla vita interna del Poup. Alcuni passaggi del confronto possono illuminare sullo stato di tensione creatosi tra Mosca e Varsavia e il coraggioso sforzo di Gomułka e i suoi di resistere all’ingerenza della delegazione sovietica. I toni del confronto sono duri. Chruščëv affermò nelle prime battute: «La vostra intenzione è di rimuovere dall’ufficio politico i compagni Rokossowski, Jéwiak, Nowak, Gierek e cooptare Morawski. Non possiamo permetterlo e se ci metterete di fronte al fatto compiuto saremo costretti a intervenire brutalmente»18. Ochab rispose: «I comunisti polacchi sono stati già imprigionati in passato nelle carceri sovietiche, evidentemente lo saranno ancora una volta»19.
14La discussione si spostò successivamente sui rifornimenti di grano alla Polonia e assunse contorni drammatici e, in alcuni passaggi, addirittura macabricome nel caso di Chruščëv il quale, rivolgendosi a Gomułka disse: «Potrei farvi avere, caro compagno Gomułka, la lista delle persone vittime di cannibalismo durante la carestia in Ucraina del 1946/47, quando vi abbiamo fornito il nostro grano […] e l’abbiamo strappato dal corpo vivo della nostra nazione. Ecco qual è il nostro rapporto con la Polonia»20. Toccherà a un altro membro della delegazione sovietica, Anastas Mikojan, intervenire sulle dichiarazioni poco riguardose di alcuni alti funzionari del Poup nei confronti dell’Unione Sovietica. Oltre a queste questioni, Mikojan non manca di affrontare il tema della presenza degli ebrei nel partito:
Il compagno Chruščëv era presente al plenum del Comitato centrale del Poup lo scorso marzo e adesso in Polonia lo definiscono un antisemita. Secondo la nostra opinione non si trattava di antisemitismo, ma di un’appropriata politica nazionale […] Per dimostrare che questo problema esiste e che non si tratta di un’invenzione del compagno Chruščëv, leggerò la lettera risalente al 1948 del compagno Gomułka al compagno Stalin riguardante questa questione21.
Gomułka espresse alcune critiche al culto della personalità, rispetto al quale il Poup non sarebbe stato stato immune, ottenendo in cambio una ramanzina da parte di Chruščëv: «Compagno Gomułka non sputate sul compagno Bierut. Egli era un comunista onesto, straordinario, uno dei migliori figli della nazione polacca. […] ricordatevi che se siete ancora vivo, è per merito di Bierut». Gomułka replicò coraggiosamente con parole che ben rappresentano l’atteggiamento della delegazione polacca, un misto di fondata paura e scatti di orgoglio di chi vorrebbe giocare la sua partita fino in fondo: «Si può arrestare e uccidere un uomo. Non lo si può costringere a dire il falso»22.
15Chruščëv ribadì la rilevanza dei rapporti di amicizia tra Polonia e Urss che avrebbe dovuto rappresentare un valore primario rispetto alle scelte contingenti. Gomułka rispose di avere letto attentamente la lettera del 1948 del Pcus inviata al partito jugoslavo nella quale si utilizzava lo stesso espediente retorico, quello della separazione tra l’amicizia fra le nazioni e i mutati rapporti tra le dirigenze comuniste, per delegittimare Tito. In quel caso, afferma Gomułka, il partito jugoslavo aveva ragione e ottenne l’appoggio del suo popolo23.
16Il confronto toccò successivamente alcuni nodi scoperti nei rapporti tra i due Paesi: la presenza arrogante degli esperti sovietici in Polonia, sovente macchiatisi di torture dei rappresentanti della Resistenza, la dipendenza economica e la sovranità limitata cui si sommavano episodi non chiariti della storia recente, quale lo scioglimento del Kkp, che rinvigorivano un atteggiamento antirusso purtroppo da sempre presente in Polonia. La visita lampo prima del plenum, come sostenuto dai polacchi nel corso della riunione, rafforzava questo atteggiamento.
17La rimozione di Rokossowski, fino al ritorno di Gomułka ministro della difesa nazionale e vicepremier, eroe di guerra e comandante delle forze sovietiche in Polonia, era l’atto politico che i sovietici volevano evitare e rispetto al quale i polacchi tuttavia non retrocessero. Rokossowski, che partecipò all’incontro, dichiarò di volersi dimettere da ogni incarico nel Poup rilevando con amarezza che: «Alla fine della guerra nell’esercito polacco erano presenti diciassettemila ottocento ufficiali sovietici e non ci fu nessuna manifestazione contro di loro. In questo momento gli ufficiali sovietici sono appena quarantanove e ventisei consiglieri»24.
18Il rapporto si chiude con uno scambio di battute tra Chruščëv e Gomułka: il primo affermò che la regia dell’arresto del secondo era stata a Varsavia e non a Mosca. Il leader polacco replicò che la sua carcerazione avvenne per «desiderio di Bierut, ispirato da Stalin»25. Il confronto tra le due delegazioni si concluse quasi con un nulla di fatto per entrambe le parti: i sovietici non avevano ottenuto la conservazione del ruolo di Rokossowski nella segreteria del Poup, Gomułka e i suoi non riuscirono a incassare un chiaro lasciapassare per la politica di rinnovamento che avevano in animo di realizzare. Chruščëv, prima di lasciare la Polonia, redarguì per l’ennesima volta i polacchi affermando che l’incontro avrebbe potuto costituire l’occasione per costruire buoni rapporti tra i due Paesi, «ma questo voi non lo volete. Il responsabile di questa situazione è il compagno Gomułka»26.
Il ruolo della Cina
19Le unità militari sovietiche erano nel frattempo rimaste a circa cento chilometri da Varsavia. Rokossowski, dopo una votazione segreta in seno al plenum, contro la volontà di Chruščëv, fu estromesso dalla dirigenza del partito. Il 24 ottobre, tuttavia, verso le dieci di mattina, Chruščëv comunicò telefonicamente a Gomułka che le unità sovietiche erano tornate alla base27. Il pericolo era scampato, il leader sovietico si era probabilmente reso conto che la leadership di Gomułka, a questo punto, costituiva il male minore. Il ravvedimento di Chruščëv e la temporanea rinuncia all’azione di forza avrebbero tuttavia un’altra causa. Il 23 ottobre era arrivata a Mosca la delegazione cinese28, composta da quattro persone, tra cui Liu Shaqoi e Deng Xiaoping. Il giorno successivo si tenne, all’oscuro della dirigenza polacca, una riunione tra i rappresentanti dei partiti comunisti della Cina, della Bulgaria, della Cecoslovacchia e della Repubblica Democratica Tedesca. Oggetto della riunione era la situazione politica in Polonia. Non abbiamo il resoconto diretto di quella riunione. È certo tuttavia che la delegazione cinese si oppose categoricamente a qualsiasi ipotesi di intervento da parte dell’Unione Sovietica in Polonia minacciando inequivocabili parole di condanna e prese di distanza ufficiali nel caso di operazioni militari gestite unilateralmente dal Cremlino29. Dopo la morte di Stalin, i cinesi volevano stabilire un rapporto di parità con l’Unione Sovietica rivendicando il loro ruolo di potenza a livello mondiale. L’opposizione a un eventuale intervento in Polonia da parte dei sovietici diveniva una prova di forza attraverso la quale la Cina voleva misurare il suo peso nei confronti di Mosca. La delegazione cinese rimase nella capitale sovietica fino al 31 ottobre. Nel corso degli incontri, i sovietici dichiararono di voler stabilire nuovi rapporti, su un piano di maggiore eguaglianza, con gli altri Paesi socialisti. I cinesi ottennero il riconoscimento delle loro ragioni da parte dei sovietici i quali, in cambio, incassarono il loro lasciapassare per l’invasione dell’Ungheria.
20Gomułka seguì con apprensione lo svilupparsi degli avvenimenti a Budapest. Al momento di votare la risoluzione di condanna da parte dell’Onu, proposta dagli Stati Uniti dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, la Polonia tuttavia, come la Cina, votò contro. Gomułka temeva una crisi che avrebbe potuto portare alla dissoluzione del patto di Varsavia.
21Il 1956 in Polonia si chiude con il trionfo di Gomułka. Nella piazza delle sfilate, di fronte al palazzo della cultura regalato da Stalin al popolo polacco che ancora campeggia in una vasta area della capitale polacca, il 24 ottobre di quell’anno accorsero centinaia di migliaia di persone scandendo “Wiesław! Wiesław!” l’uomo nel quale i polacchi riponevano le loro speranze. Nessuno ricevette un sostegno così vasto, né Piłsudski prima né Wałęsa dopo, nella storia contemporanea della Polonia. Gomułka sapeva bene che quell’entusiasmo non era rivolto all’ideale marxista, al quale aveva legato la sua storia personale e pubblica, ma nascondeva un sentimento antisovietico e antirusso molto profondo30 accanto all’auspicio di una ritrovata sovranità.
22In Polonia il ’56 coincise con la fine dell’era stalinista. Fu liberato, dopo tre anni di prigionia, il cardinale Wyszyński, primate di Polonia, e si aprì un dialogo con la chiesa cattolica. Fu limitata l’attività repressiva da parte della polizia: fino al 1968 i prigionieri per motivi politici saranno di poche decine, un numero eccezionale rispetto agli altri Paesi ex comunisti. In quel 1956, Gomułka era riuscito nell’impresa disperata di salvare se stesso, il suo partito, la Polonia da un intervento militare che avrebbe compromesso la risicata sovranità conquistata dopo la fine della seconda guerra mondiale e gli sforzi di costruire autonomamente il socialismo. Come scrive Werblan, Gomułka aveva in mente un socialismo dal volto umano che però «rompesse le mani»31 di chi voleva aggredire il partito operaio, impedire la realizzazione del socialismo e compromettere i rapporti con il fratello sovietico. Nel complesso rapporto tra ragion di Stato e socialismo s’inserisce la traiettoria del compagno «Wieslaw»; la sua specchiata fede comunista, il suo patriottismo, il realismo delle scelte condivise con i suoi compagni. Nella piazza delle sfilate a Varsavia in quell’ottobre del 1956, quando il pericolo di un’invasione era stato scongiurato, Gomułka terminò il suo celebre discorso dinanzi a una folla immensa con le parole: «Basta con le assemblee e le manifestazioni! È tempo di ritornare al lavoro quotidiano, sostenuto dalla coscienza che il partito, unito alla classe operaia e alla nazione, condurrà la Polonia sulla strada nuova verso il socialismo»32.
Bibliographie
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Sitografia
Notes de bas de page
1 P. Dybycz, Polski Październik ’56, in «Przegląd», 43 (2016), pp. 20-24.
2 Eisler (2008), p. 82.
3 S. Ciesielski, Myśl zachodnia Władysława Gomułki (1943-1948), in «Sobotka» 1 (1985), pp. 147-60 (150).
4 Ożóg (1989); Eisler (2014), pp. 167-251.
5 Werblan (2009), p. 157.
6 Codogni (2006), p. 185.
7 Werblan (2009, p. 161 e ss.
8 Ibidem.
9 Ivi, p. 162.
10 Kersten (1992).
11 Machcewicz (1993), p. 216 e ss.
12 R. Łoś, Wokół VIII Plenum Kc Pzpr (19-21 Padźiernika 1956 r.) in «Studia Polityczne» 12 (1996), pp. 123-39 (124).
13 Ivi, p. 126.
14 Ivi, p. 127.
15 Werblan (2009), p. 167.
16 Łoś, Wokół VIII Plenum Kc Pzpr cit., p. 132 e ss.
17 Werblan (2009), p. 169.
18 F. Dzierżyński, Notatka z rozmów delegacji Prezydium Kc Kpzr i członków Biura Politycznego KC Pzpr w Warszawie, 19 października 1956 roku, in Dybicz (2016), pp. 259-323 (p. 259).
19 Ibidem.
20 Ibidem.
21 Ivi, pp. 273-74.
22 Ivi, p. 285.
23 Ivi, p. 282.
24 Ivi, p. 314.
25 Ivi, p. 323.
26 Werblan (2009) cit., p. 169.
27 A. Werblan, Geopolityczne Tło, in Dybicz (2016), p. 24.
28 Ivi, p. 25.
29 Ivi, p. 26.
30 Werblan (2009), p. 184.
31 Ivi, p. 185.
32 www.przemowienia.com/przemowienia-znanych-osob/wladyslaw-gomulka-przemowienie-na-wiecu-w-warszawie/409-wladyslaw-gomulka-przemowienie-na-wiecu-w-warszawie.
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Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche (Università di Foggia). Ha svolto attività di ricerca e di docenza in alcune università e istituti di ricerca europei (Paisley-Glasgow, Istituto Max Planck di Francoforte sul Meno, Dublino, Aberdeen, Presov, Lublino, Rzeszów). Visiting Professor presso l’Università Luiss - “Guido Carli” e presso l’Università di Varsavia. Tra le sue pubblicazioni: Thomas Hobbes. Teoria politica e modernità, (Effatà 2007); Filozofia porzadku polityczno-prawnego w nowozytnosci, (Wydawnictwo uniwersytetu rzeszowskiego 2009), Leon Petrażycki. La vita e le opere (Rubbettino 2012), Le origini del nazionalismo in Polonia (FrancoAngeli 2018), Liberalismo e idea di nazione in Pasquale Stanislao Mancini (Rubbettino 2019).
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