L’Ungheria: rivoluzione democratica o controrivoluzione. Un dibattito ancora in corso
p. 50-60
Texte intégral
L’attualità
1In occasione del sessantesimo anniversario dell’insurrezione del 1956, il governo ungherese conservatore, guidato da Viktor Orbán, ha concepito una serie di celebrazioni aventi al centro le figure dei giovani che combatterono per le strade di Budapest. L’ha fatto ignorando gli studenti universitari e gli intellettuali che furono al centro delle manifestazioni sfociate negli scontri svoltisi in seguito, e ignorando Imre Nagy e gli altri membri del governo insorto che furono condannati a morte e giustiziati nel 1958.
2È noto che l’attuale governo ungherese è impegnato in un’opera di riscrittura della storia del Paese, soprattutto di quella contemporanea, e lo fa con l’ausilio di istituzioni quali il centro di studi storici significativamente denominato «Veritas». Già mesi prima dell’anniversario celebrato il 23 ottobre 2016, Budapest e le altre città del Paese avevano visto comparire sui loro muri le foto dei combattenti celebrati dall’esecutivo e dai suoi sostenitori come unica vera forza liberatrice all’epoca esistente in Ungheria. Come unica realtà capace di convogliare energie purificatrici per liberare il territorio ungherese dal giogo comunista di una potenza definita asiatica, e cercare di realizzare le aspirazioni di un popolo che si sentiva oppresso. Una lotta che, secondo il governo, si ripete nel tempo: ieri contro l’Unione Sovietica, oggi contro un’altra Unione, quella europea e contro tutti i poteri esterni che vorrebbero impedire all’Ungheria di prendere in mano le redini del suo destino.
3I giovani che combatterono per le strade di Budapest nell’autunno del 1956 sono stati quindi al centro delle celebrazioni ufficiali e la loro vicenda è stata portata a esempio dall’esecutivo guidato da Orbán, ed enfatizzata come tentativo di liberazione del Paese omettendo ogni riferimento alla volontà, dei governanti di allora, di realizzare un percorso democratico. Nell’occasione, secondo László Eörsi1, già studioso presso l’Istituto di studi sul 19562 di Budapest – che negli anni scorsi ha cessato di esistere nella forma in cui aveva operato a lungo3 – , figlio del poeta e scrittore dissidente István Eörsi4, sia l’esecutivo che la destra – oggi considerata moderata – rappresentata dal partito Jobbik e gli ambienti conservatori e nazionalisti hanno sottolineato il coraggio e il sacrificio di questi giovani distorcendo ancora una volta il senso di pagine importanti della storia contemporanea ungherese. Quasi che coloro i quali presero le armi fossero mossi dal desiderio di cacciare i sovietici e i comunisti ungheresi per riportare in auge i valori esistenti in terra magiara al tempo di Miklós Horthy, quelli di un’Ungheria nazionalista, conservatrice e fondamentalmente chiusa.
4La maggior parte degli storici ungheresi sottolinea invece il fatto che gli intenti di coloro i quali si resero protagonisti dell’insurrezione erano ben diversi. Lo storico László Eörsi sostiene che almeno il novanta per cento degli insorti che almeno il novanta per cento degli insorti non aveva alcuna intenzione di riportare in vita il sistema di Horthy e ripristinare l’influenza che la Chiesa aveva all’epoca sulla società ungherese. Eörsi afferma che «almeno il 90% di essi intendeva realizzare gli ideali di sinistra ma con l’abbattimento dello stalinismo. Voleva realizzare, insieme all’indipendenza, l’autogestione operaia e la riforma agraria. Gli ideali liberali erano tutt’al più presenti nell’aspirazione a libere elezioni, ma, in generale, non hanno caratterizzato gli obiettivi dell’insurrezione»5.
5Anche se con interpretazioni e deduzioni differenti, la destra governativa e Jobbik; e questo è in fondo un parere trasversale anche a livello di opinione pubblica. Secondo Eörsi, sono soprattutto i kádáristi, i nostalgici dell’epoca di János Kádár, e cita a titolo di esempio Zsófia Havas, esponente dell’Mszp, Partito Socialista Ungherese, a qualificare come controrivoluzionari gli eventi di allora. Ma lo studioso è dell’avviso che a condividere questo punto di vista sia il quindici-venti per cento dell’opinione pubblica.
6In generale i socialisti dell’Mszp tacciono, preferibilmente, su quanto è accaduto nel 1956 e si sentono eredi di Imre Nagy, figura evidentemente non gradita al governo e alle destre, in quanto è quella di un comunista, sebbene riformista. Il quadro delineato a grandi linee intende dimostrare che in Ungheria, Paese diviso sotto molti aspetti, non c’è condivisione neppure sul modo di elaborare e di celebrare la memoria dei fatti dell’autunno 1956.
Gli storici
7Nella seconda metà degli anni Ottanta gli storici hanno avuto un ruolo importante nel rendere la memoria del 1956 un riferimento politico. A tal punto che essa ha agito da collante sociale in un’epoca nella quale il regime di Kádár era comunque ormai quasi arrivato al capolinea. La memoria dei fatti del 1956, che tali storici definivano «rivoluzionari», prometteva di divenire un valore unificante. Nel ricordare quell’epoca, lo storico János M. Rainer, direttore dell’Istituto di studi sul 1956 e autore di una biografia di Imre Nagy, dice: «I funerali solenni di Imre Nagy e dei suoi compagni martiri nel giugno del 1989 si confermò punto cruciale – sia storico che psicologico – nella storia dei cambiamenti democratici ungheresi. Passato però il grande momento storico, la memoria del 1956 è diventata piuttosto fattore disgregante nella società, fonte di conflitti politici e sociali»6. Lo studioso sottolinea il fatto che le divisioni fra i partecipanti al dibattito politico, la veemenza dei loro interventi, hanno creato disagio e quasi timore all’interno dell’opinione pubblica che si aspettava un cambiamento da vivere all’insegna della pace e della concordia. Così non è stato, e «all’immagine del 1956 si è legato un caos crescente»7 e aggiungeremmo, una serie di tensioni che caratterizzano la situazione politica e sociale dell’Ungheria di oggi.
8Al di là di questi aspetti, c’è da aggiungere che, all’oblio durato poco più di tre decenni sui fatti del 1956, ha fatto seguito una riscoperta, una rivalutazione di quegli eventi che, a partire dal 1989, sarebbero entrati a far parte dei valori celebrati dal Paese. Come già precisato, in questo contesto hanno avuto un ruolo importante gli storici, anche se, soprattutto a livello di opinione pubblica, la testimonianza dei reduci del 1956, è risultata essere più influente e forse maggiormente capace di intercettare e catalizzare le aspettative legate al cambiamento. In altre parole, questi ultimi hanno avuto un ruolo di particolare rilievo in quelli che, dieci anni fa, lo storico ungherese Pál Germuska definiva «canonizzazione dei termini tecnici degli eventi del ’56».8 Il dibattito apertosi all’indomani della caduta del regime di Kádár è stato caratterizzato da una tendenza alla valorizzazione delle tradizioni ungheresi più che da approcci tecnico-storiografici. Cosicché, se, in riferimento al ’56, nella storiografia occidentale si erano affermati termini tecnici del tipo «prima rivoluzione socialista vera e propria», «rivoluzione democratica», «movimento antitotalitario» e ancora «insurrezione antibolscevica», «rivoluzione della terza via», «rivoluzione puramente politica»9, in Ungheria si è affermato il termine «rivoluzione e lotta per l’indipendenza», in uso tuttora sul piano della terminologia ufficiale. Si tratta di una denominazione ispirata alla memoria dei moti risorgimentali ungheresi del 1848-1849 e quindi legata ad aspetti aventi a che fare con l’identità nazionale ungherese.
9Ma gli eventi svoltisi in Ungheria nell’autunno del 1956 e, in generale l’esperienza storica cui essi fanno capo, è qualcosa di complesso che assume connotazioni diverse nell’immaginario collettivo. È interessante, da questo punto di vista, citare il saggio dello storico György Litván – direttore dell’Istituto del ’56 prima di Rainer – Miti e leggende sul 1956 10, nel quale passa in rassegna tali miti: «il mito della città rivoluzionaria», «il mito dei ragazzi di Pest» o dei «Pesti srácok» in ungherese, celebrati in modo particolare dai nazionalisti, e ancora «il mito degli scrittori», «il mito dei consigli operai», «il mito dell’unità nazionale senza precedenti», «il mito della rivoluzione borghese» e quello della «controrivoluzione».
10Il giornalista e politologo ungherese naturalizzato francese, François (Ferenc) Fejtő, attribuiva agli eventi prodottisi in Ungheria nell’autunno del 1956 un carattere autenticamente popolare e rivoluzionario che avrebbe determinato, in quelle giornate di sessant’anni fa, anche una componente caotica. In disaccordo con Jean-Paul Sartre che aveva visto nell’insurrezione ungherese un approccio di destra, Fejtő riteneva invece che essa fosse ispirata da esponenti dell’intellighenzia rivoluzionaria e da membri della classe operaia rivoluzionaria che si erano schierati contro il comunismo burocratico e d’apparato, un comunismo fatto di favoritismi, opportunismo e sostanzialmente ormai estraneo alle istanze delle masse. Fejtő individuava, quindi, due tipi di comunismo: del primo sarebbero stati rappresentanti eccellenti Władisław Gomułka in Polonia e Imre Nagy in Ungheria, del secondo, Mátyás Rákosi, protagonista dell’epoca del «csengőfrász» ossia del «terrore del campanello», in riferimento alle visite che gli uomini della polizia segreta facevano a casa dei dissidenti o presunti tali.
11Fejtő ammetteva, comunque, la esistenza, nella seconda fase dell’insurrezione, di presenze sostanzialmente estranee alla spinta iniziale data alla medesima. Parlava del ruolo svolto da «certi emigrati, legittimisti, vecchi proprietari terrieri sedicenti cattolici ma di fatto reazionari neri»11 che ruotavano intorno alla figura del cardinale József Mindszenty. È quindi tra costoro che andrebbe cercata la componente controrivoluzionaria “dei fatti d’Ungheria”. Secondo la maggior parte degli storici ungheresi si tratterebbe comunque, come già precisato, di una minoranza.
12Per «Socialisme ou Barbarie», la crisi polacca e la sollevazione popolare ungherese avevano sottolineato la crisi del regime burocratico che perdeva sempre più credibilità, si dimostrava incapace di concepire un progetto politico con il quale guardare al futuro e realizzare il benessere delle masse, e con la pianificazione economica agiva in modo simile alla borghesia e si trasformava in una classe intenta a sfruttare il proletariato, invece di rappresentarlo, e difenderne gli interessi in quanto sua emanazione. Quindi, secondo la rivista trimestrale diretta all’epoca da Guillaume Rousseau, che si segnalava come soggetto attivo sul fronte della critica e orientazione rivoluzionaria, “i fatti d’Ungheria” andavano considerati come una reazione al comunismo burocratico e le parole d’ordine democratiche e nazionali che avevano caratterizzato l’insurrezione, dovevano rappresentare delle rivendicazioni nei confronti della macchina dello Stato totalitario. Ancora, «Socialisme ou Barbarie» parla di «rivoluzione» ispirata da valori autenticamente proletari e socialisti, avvenuta contro la burocrazia sfruttatrice che si sarebbe così sostituita al padronato borghese. In La révolution prolétarienne contre la bureaucratie 12, Pierre Chaulieu afferma che la rivoluzione proletaria contro la burocrazia era cominciata a Budapest e che, per la prima volta, dalla guerra civile di Spagna, la classe operaia aveva creato i suoi organismi autonomi di massa, e che questo era avvenuto in Ungheria.
13È necessario ricordare il fatto che il XX Congresso del Partito comunista sovietico, e in particolare l’intervento fatto da Nikita Chruščëv a porte chiuse sui crimini di Stalin e sulla degenerazione del culto della personalità, aveva inaugurato una nuova fase nella storia delle democrazie popolari. Essa aveva dato luogo a momenti di apertura in termini di riabilitazione dei dissidenti che erano stati condannati o emarginati, e di amnistia a beneficio dei prigionieri politici13. Tali aspetti, però, non mettevano in discussione la compattezza del blocco sovietico e il ruolo guida del partito unico. La destalinizzazione poteva comunque significare, in Ungheria, la fine del sistema gestito da Rákosi ossia da colui che veniva definito in patria «il miglior allievo di Stalin»14.
Imre Nagy
14Nelle sue riflessioni sui fatti dell’autunno del 195615, Imre Nagy accusava i dirigenti stalinisti della situazione che si era venuta a creare in Ungheria e sosteneva che se la dirigenza del partito avesse cercato una soluzione pacifica e democratica al contrasto tra l’opinione pubblica e le autorità, ossia la dirigenza politica, non si sarebbe arrivati allo scontro e, di conseguenza, all’intervento delle truppe sovietiche. Nagy sottolineava ripetutamente nei suoi scritti che in Ungheria la situazione era precipitata a causa della dirigenza stalinista e del grave stato di insoddisfazione che essa aveva determinato nella società ungherese.
15Il primo ministro faceva poi riferimento al governo quadripartito formatosi nel corso dell’insurrezione – un esecutivo composto da comunisti, socialdemocratici, nazionalcontadini e piccoli proprietari – e al suo impegno a dare all’Ungheria una nuova collocazione in campo internazionale. Nagy affermava che questa coalizione si era impegnata a preservare le conquiste di tipo socialista realizzate fino a quel momento nel Paese e a difenderle da qualsiasi tendenza o aspirazione reazionaria. In questo modo Nagy negava in modo chiaro il carattere controrivoluzionario della sollevazione popolare e del governo che aveva sostenuto le ragioni degli insorti e che si era impegnato nel processo democratico di distensione e di soluzione della crisi in Ungheria, e cominciato a realizzare, secondo quanto da questi affermato per iscritto, condizioni normali di vita e di lavoro16.
16L’autore ritorna sull’analisi dell’accusa di controrivoluzione rivolta agli insorti ungheresi e la considera come un pretesto atto a giustificare la decisione di intervenire militarmente sul loro territorio. Nagy afferma chiaramente che per motivare l’intervento sovietico e l’occupazione manu militari dell’Ungheria era stata inventata la tesi della «controrivoluzione». Tesi certamente appoggiata in modo integrale dai dirigenti stalinisti. In pratica è come se Nagy volesse dire che per l’Unione Sovietica il problema sollevato dall’Ungheria non fosse di carattere ideologico e che la preoccupazione di Mosca non fosse rivolta al rispetto dei principi socialisti sui quali si basava l’alleanza fra i Paesi del blocco, ma al fatto che l’insurrezione magiara minacciava l’integrità del campo socialista e del Patto di Varsavia ossia della sfera di influenza sovietica. Nagy sottolinea il fatto che il governo da lui presieduto considerava la sollevazione come rivoluzione popolare e lotta per la libertà sulla base di principi socialisti ai quali il Cremlino, nella circostanza, non aveva dato peso. L’autore aggiunge che la tesi della controrivoluzione era stata sposata in un secondo momento anche da Kádár che all’inizio lo aveva appoggiato e che poi si sarebbe schierato dall’altra parte, presiedendo, tra l’altro, un governo voluto dalla dirigenza sovietica. Nagy parla di «riduzione dei fatti d’Ungheria a controrivoluzione», di menzogne e di gravi errori commessi dai partiti fratelli all’interno del blocco socialista; di metodi stalinisti ed errori e interpretazioni antimarxiste degli equilibri all’interno del blocco, che sono stati all’origine della sollevazione ungherese. Nagy aggiunge che bollare i fatti d’Ungheria come controrivoluzione, significa non avere il coraggio di considerare la realtà e di affrontarla, rifiutarsi di riconoscere la vera natura dell’esperienza ungherese e continuare, all’interno del blocco socialista, a impostare i rapporti tra i Paesi fratelli su vecchie basi:
17A questo punto Nagy si riferisce alle aspirazioni ungheresi e a una via nazionale al socialismo sul modello jugoslavo: «Coloro i quali non lo sanno o non vogliono riconoscerlo e considerano o spiegano i fatti svoltisi in Ungheria come “controrivoluzione”, negano la sostanza marxista della questione nazionale e si impegnano a ricostruire la vecchia situazione stalinista di dipendenza nei rapporti tra Paesi, popoli e partiti comunisti. Questi sono i veri controrivoluzionari, perché trascinano la causa del socialismo verso la catastrofe mondiale»17.
18Nell’edizione degli scritti di Nagy figurano anche le lettere che questi aveva scritto, a Snagov, in Romania, a dirigenti comunisti europei, tra i quali Togliatti. Eccone uno stralcio riguardante la difesa del carattere rivoluzionario “dei fatti d’Ungheria”:
È necessario un effettivo chiarimento da parte di una commissione internazionale anche perché sulla base della concezione “controrivoluzionaria”, applicata ai fatti d’Ungheria, si prevedono numerose condanne senza un’analisi pacificatrice. Senza la possibilità di un chiarimento politico-ideologico ci saranno ritorsioni illegali anche se non siamo traditori e controrivoluzionari, come sempre più frequentemente si afferma, ma rivoluzionari marxisti-leninisti, vecchi membri del partito comunista.
Desidero, Stimato compagno Togliatti, richiamare la Sua attenzione e quella della Commissione Centrale del Partito Comunista Italiano sulla richiesta di contribuire al chiarimento politico-ideologico dei fatti d’Ungheria. Confido nell’aiuto dei partiti fratelli. Questo è quanto possiamo fare, nella nostra situazione, noi comunisti ungheresi costretti a soggiornare nel territorio della Repubblica Popolare Romena (quaranta persone comprese le famiglie). Privati della nostra libertà, purtroppo non possiamo fare altro.
Snagov, 21 gennaio 1957
Saluti comunisti
Imre Nagy18.
19È noto che il Pci si schierò sul fronte della condanna di tali fatti giudicandoli sostanzialmente controrivoluzionari19. Tale posizione non fu condivisa da tutti gli ambienti che si collocavano entro un orizzonte culturale marxista. Un esempio è quello di Azione Comunista20 che il 25 ottobre 1956 scrive: «Come già avevamo espresso solidarietà agli operai polacchi di Poznań così solidarizziamo con quei lavoratori che oggi si muovono per affermare il diritto di prendere nelle loro mani la direzione della lotta per la loro emancipazione e per il socialismo». E però aggiunge: «Ci rendiamo certamente conto, e mettiamo in guardia i compagni, del possibile sbandamento di tali avvenimenti su posizioni nazionaliste e anticomuniste che intaccherebbero ulteriormente il fronte internazionale dei lavoratori a tutto vantaggio delle forze capitaliste reazionarie»21. Quindi questo pericolo era avvertito già in quei giorni e, di fatto, esponenti di ambienti reazionari sarebbero entrati in azione inquinando un movimento tendenzialmente orientato a sinistra, desideroso di dar luogo all’affermazione delle conquiste socialiste anche se all’interno di un progetto basato sulla realizzazione di una via nazionale al socialismo, cosa non contemplata dalle logiche del Patto di Varsavia.
Bibliographie
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Eörsi, László (2006), Köztársaság tér 1956, 1956-os Intézet, Budapest.
Fedele, Santi - Fornaro, Pasquale (2007) (cura), L’autunno del comunismo. Riflessioni sulla rivoluzione ungherese del 1956, Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemini, Messina.
Hanák, Péter (1996) (cura), Storia dell’Ungheria, Franco Angeli, Milano.
Litván, György (2000), Mítoszok és legendák 1956-ról, Évkönyv VIII, 1956- Intézet, Budapest Nagy, Imre (2006), Snagovi jegyzetek. Gondolatok, emlékezések. 1956-1957, Gondolat Kiadó - Nagy Imre Alapítvány, Budapest.
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Ungheria 1956. Necessità di un bilancio (1986) Edizioni Lotta Comunista, Milano.
Notes de bas de page
1 László Eörsi si è a lungo impegnato in ricerche atte a ricostruire la storia della resistenza popolare alle truppe sovietiche in determinate zone di Budapest.
2 1956-os Intézet.
3 Risulta che dal giugno del 2019, per volere del governo Orbán, l’Istituto di studi sul 1956 avrebbe dovuto cessare di esistere come istituzione autonoma per essere inglobato nell’Istituto Veritas, vera e propria emanazione governativa. Quest’ultimo è un centro di ricerche storiche creato, come suggerisce il nome stesso, per ristabilire la verità sul vissuto storico del Paese. Di fatto, riferisce László Eörsi, gli storici dell’Istituto di studi sul 1956 si sono rifiutati di lavorare per il Veritas e la fusione non ha avuto luogo. Per iniziativa dello storico János M. Rainer, già direttore dell’istituzione finita nel mirino dell’esecutivo, è stata creata la Fondazione dell’Istituto di studi sul 1956 che, grazie ai fondi concessi da organizzazioni che nulla hanno a che fare col governo Orbán e dal magnate statunitense di origine ungherese George Soros, dà luogo a diverse pubblicazioni.
4 1931-2005, scrittore, poeta, traduttore e pubblicista, condannato a otto anni di reclusione per aver sostenuto gli insorti e poi amnistiato.
5 M. Congiu, Oggi negano lo spirito del ’56, intervista a László Eörsi, in «Il manifesto», 23 ottobre 2016, pp. 8-9.
6 P. Germuska, Miti, illusioni, verità? Il dibattito sul ’56 nella storiografia ungherese, in Fedele - Fornaro (2007), p. 70.
7 Ibidem.
8 Ivi, p. 71.
9 Ivi, p. 72.
10 Litván (2000).
11 M. Degl’innocenti, L’ora dei socialisti e la lezione di Budapest, in Fedele - Fornaro (2007), p. 182.
12 «Socialisme ou Barbarie», vol. IV, n. 20, dicembre 1956-febbraio 1957, p. 170.
13 Sottolineando il fatto che «la delegittimazione dello stalinismo apriva la strada in ottobre a disordini e proteste in Polonia e alla rivoluzione in Ungheria», Giovanna Cigliano aggiunge: «La denuncia di Chruščëv, che destò sensazione fra i delegati, fu un’iniziativa coraggiosa, se non temeraria, che nondimeno, nei contenuti e nelle modalità, era il frutto di un attento calcolo politico, e dunque si configurò come una commistione di scioccanti verità a lungo taciute, importanti omissioni e in qualche caso anche menzogne. La condanna era incentrata sulle repressioni compiute nel periodo successivo alla morte di Kirov, soprattutto ai danni di funzionari dello Stato, del partito, dell’esercito, e tralasciava accuratamente le violenze perpetrate nel periodo del Primo piano quinquennale e della collettivizzazione: ciò avrebbe significato delegittimare le fondamenta del sistema economico e sociale dell’epoca […] Chruščëv insomma procedeva allo smantellamento del mito di Stalin come condottiero vittorioso nella Grande guerra patriottica, consolidato in patria e nel mondo. Egli stesso si preoccupò che resoconti del rapporto segreto pervenissero alla stampa nazionale e internazionale e l’impatto delle notizie fu tale da portare il suo nome in poco tempo alla ribalta della scena mondiale». Cigliano (2005).
14 «Sztálin legjobb magyar tanítványa».
15 Nagy (2006).
16 Imre Nagy era già stato primo ministro tra il 1953 e il 1955, periodo durante il quale si era impegnato in un’opera di distensione che fece seguito ad una fase caratterizzata da processi politici dei quali erano state vittime soprattutto uomini della dirigenza politica. «Nel 1953 apparve un barlume di speranza che lasciò intravvedere un cambiamento radicale nei metodi politici del governo. Un certo disgelo seguito alla morte di Stalin in Unione Sovietica permise al comunista riformatore Imre Nagy di accedere al posto di primo ministro. Nonostante ciò, le fondamenta del dogmatismo staliniano erano ancora solide e il rovesciamento della situazione nel 1955 – anno in cui Imre Nagy venne allontanato ed escluso dal Partito dei lavoratori ungheresi per esser sostituito dai sostenitori della dittatura e dal loro vecchio capo Mátyás Rákosi – ne fu la prova evidente. La fazione guidata da Rákosi rifiutò, anche all’indomani del XX Congresso del Pcus, di tenere conto dell’accrescersi delle tensioni e della necessità di introdurre delle riforme». Hanák (1996).
17 Nagy (2006). NB: Gli scritti di Imre Nagy sono tuttora in corso di traduzione in italiano e il brano riportato in questo saggio non può considerarsi definitivo.
18 Ivi, pp. 273, 274, 275. NB: Gli scritti di Imre Nagy sono tuttora in corso di traduzione in italiano e il brano riportato in questo saggio non può considerarsi definitivo.
19 In data 25 ottobre 1956 «l’Unità» titolava: «Le bande controrivoluzionarie vengono costrette alla resa dopo i loro sanguinosi attacchi contro il potere socialista» e il 5 novembre successivo titolava: «Le truppe sovietiche intervengono in Ungheria per porre fine all’anarchia e al terrore bianco». Sulla posizione del Pci, cfr. i contributi di Alexander Höbel e Cecilia Novelli nel presente volume.
20 «Il raggruppamento che va sotto il nome di Azione Comunista appare per la prima volta, come espressione della dissidenza operaia del Pci, il 1° gennaio 1955, in occasione della IV Conferenza Nazionale di questo partito. In una lettera aperta, i firmatari compagni di Azione Comunista lamentavano l’assente iniziativa politica del Pci nelle fabbriche ed il mancato ricorso allo sciopero generale». Ungheria 1956 (1986), p. 71.
21 Ibidem.
Auteur
Giornalista, studioso di geopolitica dell’Europa centro-orientale, laureato in Storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, segue con particolare attenzione l’Ungheria dal 1995, paese in cui ha vissuto per oltre due decenni. Scrive per il Manifesto, MicroMega, collabora a Historia Magistra, Diritti Globali, Radio Mir, L’Humanité. È curatore dell’Osservatorio Sociale Mitteleuropeo, membro del Comitato Scientifico del CESPI, analista presso lo IAI (Istituto Affari Internazionali) per l’area in questione ed è inoltre curatore di rubriche per il Manifesto e lo IAI e autore di diversi libri e saggi di analisi storico-politica e di indagine sociale riguardanti in particolare l’Ungheria.
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