Introduzione
p. XIV-XVIII
Texte intégral
1Ci sono anni che pesano come secoli nella bilancia della storia, e indubbiamente il ’56 è uno di quegli anni. Che lo si voglia o meno considerare come “spartiacque” (e se lo si vuole considerare come data in sé periodizzante, probabilmente non lo è)1, quell’anno, per gli avvenimenti che vi si susseguono, per le problematiche che vi si condensano e soprattutto per le conseguenze che ne scaturiranno, sintetizza molte delle questioni del XX secolo. La concomitanza di eventi come la crisi di Suez – che segna l’uscita di Francia e Gran Bretagna dal novero delle potenze decisive per gli assetti internazionali, e innesca il meccanismo di liberazione dei popoli coloniali –, le rivolte in Polonia e in Ungheria che rivelano le profonde incrinature del blocco socialista, del sistema edificato intorno all’Unione Sovietica, e le rivelano, drammaticamente, in forma pubblica, con clamorosi echi internazionali, con la pesante repressione della rivolta di Budapest da parte dell’Armata Rossa (che era già un’espressione datata e persino anacronistica); infine il XX Congresso, con la messa a nudo della debolezza di quell’impero, che fino ad allora poteva sembrare capace di tenere testa al contraltare americano, tenergli testa su ogni piano, da quello economico a quello tecnologico, a quello militare, e invece mostrava la sua fragilità, che la cura-choc della dittatura staliniana aveva soltanto coperto, non certo riparato. E in quel Congresso, il famoso Rapporto segreto di Nikita Chruščev, che apre uno squarcio inquietante sui cosiddetti “crimini di Stalin”, che certamente erano tali, ma dai quali lo stesso nuovo segretario del Pcus non era esente, e con lui la gran parte della nomenklatura sovietica. Quel Rapporto nasceva in realtà all’interno di una lotta di potere, e il suo proclamatore era un modesto statista, culturalmente rozzo, e politicamente incerto, che non reggeva il confronto con Stalin, complice di molte nefandezze ed errori che scaricava sulle spalle del georgiano. Su questi elementi hanno insistito coloro che, a partire da Domenico Losurdo2, hanno provato, con argomenti discutibili ma sempre con qualche fondamento, a demolire il Rapporto, tentando in qualche modo una riabilitazione, pur parziale, di Stalin, sottovalutando però gli elementi positivi dell’iniziativa chruscioviana, che si inseriva nel quadro dell’avviato, complesso percorso di destalinizzazione, ma nell’intento di riuscire a conservare il sistema socialista, che, anche nella sua mediocrissima intelligenza politica, Chruščev considerò sempre, convintamente, non per mero gioco propagandistico anti-occidentale, superiore in ogni senso al sistema capitalistico, come mette in luce qui Agosti.
2Il 1956 dunque svolse lo stesso ruolo del bambino della famosa favola che grida “Il re è nudo!”, mentre la folla finge di lodare il sontuoso vestito dello stolto monarca. Le vicende che si snodano in particolare nella seconda metà dell’anno, e che concernono il mondo “d’Oltrecortina”, sembrano aprire uno squarcio capace di suscitare interrogativi nuovi, che in qualche caso, minoritario, si traducono in bisogno di saperne di più, circa le istituzioni e i rapporti sociali in seno agli Stati del “socialismo reale”; in altri casi, maggioritari, in profonda delusione, in altri casi ancora, in ripulsa e abbandono di quella barricata. In quest’ultimo settore (militanti politici e intellettuali), ci si trova dinnanzi a una bipartizione: ci furono quelli che lasciando quella barricata anticapitalista, rimasero comunque nelle prossimità del Partito comunista, in Italia più che altrove, e ci furono anche invece coloro che se ne allontanarono definitivamente diventando portavoce di un sentimento e di una ideologia anticomunista di antico conio, che veniva rinvigorita e implementata.
3Fu in particolare il combinato disposto tra gli eventi ungheresi, con la rivolta e la repressione, da un lato, e le “rivelazioni” chruscioviane, dall’altro a rendere incandescente quell’anno, e a far vacillare la fiducia nel socialismo reale, al netto delle infiltrazioni di elementi di destra, e dell’azione sotterranea della Cia, in Ungheria, e della palese strumentalizzazione del Rapporto, che doveva rimanere segreto ma giunto “misteriosamente” oltre Oceano, fu reso pubblico, nella versione inglese, dal «New York Times» in data 4 giugno 19563. Oggi sappiamo che il Rapporto conteneva errori e falsificazioni, al di là degli elementi di furbizia di Chruščev, che certo mirava a salvare se stesso, oltre che il sistema, ma sappiamo anche della oggettiva, dirompente forza delle verità contenute, che servirono a mettere in moto il processo di sgretolamento dell’eredità staliniana, e ad avviare una pur difficile, lenta e contraddittoria stagione politica di rinnovamento, che tuttavia fu anche un inesorabile percorso verso la catastrofe del sistema a cui Gorbacëv non seppe opporre rimedio, ma finì per essere un acceleratore. Mentre quel ’56, segnando anche la rottura Pci-Psi avrebbe avviato la lunga marcia del secondo partito della sinistra verso la Democrazia Cristiana, segnando il primo passo verso il futuro Centrosinistra, quello degli anni Sessanta, con i suoi limiti e le sue conquiste. Ma fu Budapest il segno cruciale, il marchio infamante come una lettera scarlatta, di quell’anno. Era la prima volta che il paese-guida del socialismo realizzato, il paese in cui i bolscevichi avevano fatto la rivoluzione vittoriosa, la patria di Lenin, moveva in armi contro un “paese fratello”: lo choc più grande fu quello. Quello fu il trauma che colpì una intera generazione di militanti, e in particolare di intellettuali fino ad allora schierati comunque con l’Unione Sovietica, anche quando erano informati, ben prima delle “rivelazioni” kruscioviane, dei crimini di Stalin, a partire dalle “grandi purghe” degli anni Trenta (in particolare il 1937, annus horribilis della storia europea); ma Stalin era e rimaneva colui che aveva sconfitto la Croce uncinata.
4L’anno del “Grande trauma”, potremmo definire dunque il 1956, riferendoci alla sinistra mondiale. Certo, come nel Rapporto segreto di Nikita Chruščev non era tutto oro quel che riluceva (anzi, tutt’altro!), così nella rivolta ungherese non c’era solo l’ansia genuina di liberazione da un giogo, in nome di un socialismo più vero e autentico. Ma il XX Congresso e la rivolta di Budapest segnarono comunque dei momenti di verità, drammatici, importanti, che servirono a risvegliare coloro che si erano assopiti, appagati dai risultati raggiunti dall’Unione Sovietica, e della sua capacità di tenere testa al moloch americano.
5Fu un risveglio doloroso, ma, va aggiunto, ritornando a Budapest, che gli esiti degli eventi che riprendendo gli spunti forniti dagli avvenimenti del ’56 produssero una inquietante mistura di neoliberismo e ultracapitalismo, di democrazia liberale e di nazionalismo, non furono, se non per qualcuno, quelli che albergavano nei cuori «dei manifestanti e degli insorti dell’autunno del 1956, di quella folla di lavoratori in abiti modesti»4.
6Ma, allora, gli avvenimenti furono una tragica esperienza, a cui seguì per molti l’esilio.Tra le innumerevoli testimonianze, posso ricordare i versi che Sándor Márai ha dedicato all’anno 1956, dall’emigrazione, dove si trovava da tempo (lungamente in Italia), precursore di quella schiera di profughi che il 1956 spinse fuori dai confini della patria. Scriveva dunque Márai, in una lirica intitolata Mennybõl az angyal (ossia “Angelo scendi dalle stelle”):
Sono in molti a non capire
che cosa è questa inondazione,
perché si è mosso l’ordine del mondo?
Un popolo ha urlato. Poi fu il silenzio.
Ma ora tanti stanno a chiedere:
di carne ed ossa chi ha fatto legge?
E lo chiedono molti, sempre di più,
perché non lo afferrano proprio
loro che l’hanno avuto in eredità,
ma allora vale tanto la Libertà?
Notes de bas de page
1 Il riferimento, richiamato anche in esordio (e nel titolo) nel contributo di A. Agosti, in questo volume, è a L. Canfora, 1956. L’anno spartiacque, Sellerio, Palermo 2016.
2 Cfr. D. Losurdo, Rileggendo il Rapporto Chruščev. Un ostacolo da rimuovere per la comprensione dell’Urss di Stalin, in R. Giacomini (cura), Stalin nella storia del Novecento, Teti, Roma 2004. Ma vedi anche di Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, con un saggio di L. Canfora, Carocci, Roma 2008; inoltre il ponderoso (e farraginoso) G. Furr, Krusciov mentì. La prova che tutte le “rivelazioni” sui “crimini” di Stalin (e di Beria) nel famigerato “Rapporto segreto” di Nikita Krusciov al 20. Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica del 25 febbraio 1956, sono dimostrabilmente false (tutte tranne una, che non posso dimostrare se sia vera o non), Prefazione di D. Losurdo, La Città del Sole, Napoli 2016; e infine R. Giacomini, Il processo Stalin, Prefazione di S. Azzarà, Castelvecchi, Roma 2019.
3 Si veda in proposito A. Guerra, Il giorno che Chruščev parlò. Dal XX Congresso alla rivolta ungherese, Editori Riuniti, Roma 1986, con la trad. e commento di D. Massimi, del Rapporto.
4 G. Dalos, Ungheria, 1956, Prefazione di G. Crainz, Donzelli, Roma 2016, p. 192. Un utile volume di documenti consistenti nelle reazioni e nelle valutazioni a caldo dei fatti di Ungheria nell’ambito della sinistra italiana, è Ungheria 1956. Necessità di un bilancio, Lotta Comunista, Milano 2006 (ed. riv.; 1a ed. 1986).
Auteur
Già Ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino, si occupa di storia delle idee e degli intellettuali, di nazionalismo e fascismo, di guerra, e di temi di teoria politica e di metodo storico. È membro dell’Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci e di quella di Antonio Labriola. Ha ideato e dirige le riviste «Historia Magistra» e «Gramsciana». I suoi più recenti titoli sono 1917. L’anno della rivoluzione (Laterza 2016); Gramsci. Una nuova biografia (Feltrinelli 2017; ed. riv. e accr. 2018); L’intellettuale antifascista. Ritratto di Leone Ginzburg (Neri Pozza 2019), Manuale di storiografia (Pearson 2021).
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