Lo chiamano amore, noi lo chiamiamo lavoro non pagato
p. 233-250
Texte intégral
Premessa
1Fuoco del saggio è il percorso di elaborazione teorica condotto, all’interno della vasta rete dei Wages for Housework Groups and Committees, da Lotta Femminista, il gruppo padovano (nato nel 1971, in seguito al distacco di alcune militanti da Potere Operaio) che meglio rappresenta il femminismo operaista degli anni ’70. Un percorso che, introducendo nel dibattito del femminismo marxista le nozioni di lavoro domestico e riproduzione sociale, tentava di articolare genere e classe in una prospettiva unitaria, considerando le relazioni patriarcali come elementi strutturanti dei rapporti di produzione e riproduzione all’interno del sistema capitalista. A differenza delle femministe radicali, LF1 considera le relazioni di potere tra uomo e donna inseparabili dalle condizioni sociali e materiali, e focalizza la propria analisi sulla fase capitalista, quale periodo in cui il patriarcato si rimodella portando a compimento il processo di naturalizzazione delle differenze tra i generi. Concependo la “differenza” non come dato biologico o essenza, ma come condizione sociale e storica, LF respinge la spiegazione dualista dell’oppressione di genere e dello sfruttamento di classe. Rifiuta di separare i meccanismi che determinano la subordinazione delle donne dall’organizzazione e dalla divisione del lavoro nella produzione di merci e dai rapporti che garantiscono la riproduzione della formazione sociale nel suo complesso. Il gruppo si distanzia dalla tradizione marxista e, attraverso il concetto di “fabbrica sociale”2, propone una concezione ampliata di modo di produzione, includendovi il processo di produzione e riproduzione di quella merce speciale che costituisce il segreto e il presupposto del capitalismo: la forza-lavoro, cioè l’operaio. È l’istituzione familiare ad essere individuata quale luogo primario della produzione (procreazione) e riproduzione (allevamento, educazione, cura) della forza-lavoro, istituzione che si regge sul lavoro non salariato dell’“operaia della casa”, su quel lavoro domestico che è lavoro produttivo gratuito, svalutato e invisibile perché naturalizzato e privatizzato. Evidenziando la centralità del lavoro non salariato all’interno della società salariale, e grazie alla campagna per il salario al/contro il lavoro domestico, LF ha fatto compiere un salto epistemologico in avanti tanto alla teoria femminista che a quella marxista: ha espanso la nozione di classe e fatto emergere le diverse forme di sfruttamento all’interno di uno stesso sistema di accumulazione; al tempo stesso, politicizzando una condizione ritenuta estranea ai rapporti di classe, ha sostenuto il potenziale sovversivo delle lotte condotte dalle donne contro il ruolo sociale loro assegnato.
“Radicali” e “politiche”
2Larga parte del femminismo di seconda ondata si concentrò sulla specificità della condizione femminile e tentò di «trouver la source de l’oppression commune à toutes les femmes»3, identificandola nel patriarcato, sistema di dominio maschile autonomo e antecedente rispetto al sistema capitalista, in cui i rapporti di potere si radicavano nella sfera sessuale, domestica e familiare4 e dovevano essere indagati “a partire da sé”, dalla propria vita e dalle proprie relazioni, per mettere in luce la natura politica di ciò che era sempre stato considerato un fatto privato. Sulla base di questi presupposti si era consumata la frattura con le forze della sinistra e del movimento operaio, e i gruppi femministi radicali avevano abbandonato il paradigma marxista ponendo in secondo piano gli aspetti economici dell’oppressione. Accanto a queste, però, non mancarono differenti esperienze che individuavano la base della subordinazione delle donne nella sfera materiale e nella divisione sessuale del lavoro nella società capitalistica.
3Sul piano teorico, la divaricazione tra le femministe “radicali” e le “politiche” si sostanziava nella critica che queste ultime rivolgevano alle prime sul considerare il patriarcato come “nemico principale” comune a tutte le donne: tale postulato correva il rischio di destoricizzare il rapporto di oppressione tra i sessi, per concepirlo come un sistema di dominio universale, astorico e transculturale. Ma non solo: esso produceva una nozione altrettanto stabile e invariante dei soggetti che ne erano vittime, considerando le donne come un gruppo omogeneo e uniforme, in tal modo ricadendo nella definizione di un soggetto astratto e indifferenziato. «In altri termini, oltre a mimare il gesto patriarcale attraverso la costruzione del significante generale Donna, questo tipo di operazione sortisce anche l’effetto di cancellare le differenze singolari tra le donne, costringendole a un’identificazione univoca nella Donna»5. Tale impostazione, che conduceva alla sottovalutazione della problematicità della sorellanza e non teneva in conto di quanto altri elementi – la classe, la razza e l’orientamento sessuale – influissero sia sulle forme di oppressione subita, sia sui processi di soggettivazione politica, secondo le “politiche” non poteva che condurre il movimento femminista all’isolamento.
4La questione della subordinazione delle donne nella sfera materiale e nella divisione sessuale del lavoro nella società capitalistica che, dal canto loro, le “politiche” assumevano come centrale, non era estranea alla tradizione socialista e comunista. Se in Marx, tutto il dominio del lavoro riproduttivo, tutta la questione della divisione sessuale del lavoro, erano totalmente assenti, Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato considerava la condizione delle donne nella società non come un fatto naturale, ma come risultato di un processo storico e sociale. Tuttavia, le mansioni svolte dalla donna all’interno della famiglia apparivano esterne ai rapporti di produzione e prive di valore economico, e l’origine dell’oppressione delle donne era rintracciata proprio nell’esclusione dai rapporti capitalistici. Solo la loro partecipazione alla produzione di merci e, da quella posizione, alla lotta di classe generale contro il sistema capitalistico avrebbe portato alla loro emancipazione: con l’abbattimento del sistema capitalistico, e con esso dei due istituti di famiglia e proprietà privata, i compiti di cura sarebbero stati socializzati e si sarebbe raggiunta una parità sostanziale tra i sessi.
5Su questa posizione teorica e politica erano e restavano attestate le organizzazioni femminili riformiste, ciò almeno fino agli anni Settanta, quando alcune pensatrici decisero di affrontare in modo innovativo il rapporto tra oppressione delle donne e capitalismo, andando oltre un’analisi descrittiva della condizione femminile, per comprendere il ruolo svolto dalla donna all’interno del modo di produzione capitalista, a partire da una reinterpretazione del lavoro domestico. Tale lavoro non pagato, svolto all’interno della famiglia, determinava la posizione e la condizione di tutte le donne nella divisione del lavoro e nella società. Mettendo in dubbio l’assoluta centralità teorica e politica conferita alla sfera della produzione di merci e al lavoro salariato, le femministe materialiste rielaborarono la critica dell’economia politica marxiana per mettere in luce l’importanza della sfera della riproduzione, privatizzata e nascosta, in cui veniva prodotta e riprodotta la forza-lavoro, e ampliarono la nozione di lavoro, estendendo in questo modo le categorie di classe e lotta di classe al di là della fabbrica.
6Tra il 1969 e il 1971 furono pubblicati tre testi che fornivano una lettura materialista del lavoro domestico: The Political Economy of Women’s Liberation (1969) di Margaret Benston, L’ennemi principal (1970) di Christine Dupont (Delphy) e Donne e sovversione sociale (1971) di Mariarosa Dalla Costa6. Secondo Margaret Benston il lavoro domestico, pur producendo valori d’uso, costituiva in ogni caso una produzione socialmente necessaria e indispensabile per l’economia capitalista. Christine Delphy si spinse oltre per affermare che tali servizi erano gratuiti non perché non avessero un valore economico, ma perché erano svolti nella sfera privata e familiare in cui l’uomo, attraverso il contratto matrimoniale, si appropriava del lavoro della donna. Questo rapporto di produzione e di sfruttamento economico era parallelo e indipendente dal rapporto di produzione capitalistico: nella società si poteva distinguere il modo di produzione capitalista, che vigeva nel mercato e nella produzione di merci, e il rapporto di produzione patriarcale, che vigeva all’interno della famiglia, in cui l’uomo e la donna costituivano due classi antagoniste. La concezione del patriarcato e del capitalismo come due sistemi di dominazione autonomi, tuttavia, non forniva una spiegazione delle loro interazioni e della divisione sessuale del lavoro al di fuori dell’ambito familiare. Una teoria unitaria fu invece elaborata da Mariarosa Dalla Costa: indipendentemente dalle riflessioni di Benston e Delphy, ella analizzò la forma capitalistica della famiglia, considerò il genere come un elemento fondamentale per la produzione e la riproduzione del sistema capitalistico, e il lavoro domestico come lavoro produttivo di valore per il capitale. Al centro della sua riflessione erano l’indagine della divisione sessuale del lavoro a partire dalla sfera privata e l’individuazione dell’origine della subordinazione femminile nel lavoro domestico e nel ruolo imposto alle donne dal capitale; il ripensamento dell’articolazione tra produzione e riproduzione, tra lavoro salariato e lavoro non salariato e l’adozione di una nuova definizione di classe.
Da Potere Operaio a Lotta Femminista. Questioni teoriche
7Il primo gruppo di Lotta Femminista – inizialmente Movimento di Lotta Femminile – nacque a Padova nel giugno del 1971, in seguito al distacco di alcune militanti da Potere Operaio. Necessaria, se pure traumatica, era stata la separazione dai compagni maschi, la maggior parte dei quali non considerava la questione dell’oppressione femminile degna di attenzione tanto quanto quella dell’operaio di fabbrica. Di qui, per le attiviste, la scelta di condurre autonomamente la propria analisi e la propria lotta:
[…] i partiti di massa e i gruppi extraparlamentari hanno sostanzialmente represso l’interesse della donna a lottare contro il proprio sfruttamento mentre hanno sempre privilegiato interessi essenzialmente maschili. Lo sfruttamento della donna e la sua collocazione nel ciclo produttivo né apparivano mai nel dibattito politico né raccoglievano attorno a sé alcuno sforzo organizzativo da parte delle varie sinistre7.
Mentre ci collochiamo senza ambiguità tra le forze rivoluzionarie in qualunque paese ci troviamo, riaffermiamo la necessità dell’autonomia del movimento femminista. In apparenza tale autonomia è sembrata limitarsi al rifiuto della sinistra. È in realtà la positiva espressione del livello di lotta della donna. È perché solo un movimento autonomo tende a costituire una leva di potere sociale per le donne che offre la sola possibilità di scoprire gli obiettivi, le forme e i luoghi di tale lotta e perciò di condurlo avanti. Conseguentemente il nostro rapporto con la sinistra, mentre possiamo utilizzare informazioni e contatti, sarà sempre secondario e subordinato a tale autonomia8.
8Se si volesse indicare la data che sancì questo ”strappo”, essa potrebbe essere il 7 luglio del 1972 quando il seminario internazionale di sole donne dedicato a “L’occupazione femminile” e organizzato da Lotta Femminista alla facoltà di Magistero di Roma fu bruscamente interrotto da «un gruppo di sedicenti compagni, che si autodichiaravano di Potere Operaio, [i quali] hanno compiuto una violenta irruzione nell’aula, menando calci, spaccando vetri, lanciando preservativi pieni d’acqua ed altre raffinatezze del genere»9. L’episodio scatenò un duro dibattito che, tra articoli su «Lotta Continua» e «il manifesto», comunicati di PO e documenti redatti da LF, si protrasse fino all’agosto. L’accusa che LF rivolgeva ai militanti delle due organizzazioni riguardava «la superficiale negazione dell’esistenza di un problema e della sua importanza politica, quale quello femminile, in nome di uno schematico appiattimento del discorso rivoluzionario»10 e si accompagnava alla rivendicazione del «salario per il salario e contro il salario»11 al lavoro domestico, «per il potere che esso rappresenta e contro il rapporto capitalistico che esso rappresenta»12.
9Rifiutata o derisa dai compagni, la proposta di Lotta Femminista si muoveva su due piani: in primo luogo, estendere la categoria di classe rivoluzionaria:
dal momento che la vecchia definizione aveva limitato la portata e l’efficacia dell’azione sia della sinistra tradizionale che della nuova sinistra. Questa nuova definizione si basa sulla subordinazione dei lavoratori senza salario ai lavoratori salariati dietro cui si nasconde la produttività cioè lo sfruttamento del lavoro della donna nella casa e la causa del suo più intenso sfruttamento fuori. Tale analisi di classe presuppone una nuova area di lotta, la sovversione non solo della fabbrica e dell’ufficio ma dell’intero contesto sociale. Presuppone parimenti l’interdipendenza ai fini della rivoluzione comunista della lotta nelle due aree di produzione, la casa e la fabbrica, e la distruzione definitiva della natura ancillare della lotta della donna all’interno della lotta di classe13.
10In secondo luogo, integrare il problema della riproduzione della forza lavoro all’interno della lotta contro il capitalismo. A partire dalla considerazione che «[l’] assunzione della natura ancillare della lotta della donna deriva direttamente dalla falsa idea che il lavoro della donna nella casa è ancillare alla riproduzione e allo sviluppo del capitale, falsa idea che per tanto tempo ha ostacolato noi tutte»14, quello che le teoriche femministe sottolineavano era che il lavoro svolto dalle donne costituiva, al contrario, uno dei momenti fondamentali per la stabilità e per la crescita del sistema economico, il pilastro nascosto, «la base invisibile – perché non pagata – su cui poggia l’intera piramide della accumulazione capitalistica»15. Il lavoro invisibile diveniva, insomma, un prisma in grado di rifrangere le contraddizioni e i paradossi della società capitalista e, di conseguenza, di generare modelli interpretativi inconsueti, ma efficaci, capaci di portare in superficie gli arcani ancora sepolti del sistema di sfruttamento e oppressione.
11Se l’analisi marxiana dell’accumulazione si fermava alla produzione di fabbrica, al di là della fabbrica, le femministe materialiste individuavano nell’istituzione familiare che si reggeva sul lavoro non salariato della donna, della casalinga, il luogo primario di produzione (procreazione) e riproduzione (allevamento, educazione, cura) di quella merce speciale che costituiva il segreto del capitalismo: la forza-lavoro, cioè l’operaio. Le prestazioni erogate all’interno della sfera domestica (servire materialmente, affettivamente e sessualmente il lavoratore salariato e partorire, curare, allevare ed educare i suoi figli, formandoli come forza-lavoro futura) sembravano personali e naturali, svolte per amore e in virtù di un’innata predisposizione femminile, all’apparenza esterne ai rapporti di produzione e dirette a un unico beneficiario: l’uomo. Proprio la loro naturalizzazione e privatizzazione aveva fatto sì che queste prestazioni non venissero mai considerate lavoro a tutti gli effetti e che dunque non fossero retribuite; di contro, ci si prefiggeva di passare attraverso una lotta per il riconoscimento di questo lavoro il cui fine non era il salario in sé, bensì la liberazione da un lavoro che separava la donna dalla società e che le consegnava a un destino “naturale” preconfezionato. Lottare per un salario al lavoro domestico significava per tutte le donne, anche per quelle che lavoravano fuori dalle mura domestiche16, ribadire il carattere socialmente necessario del lavoro domestico e il suo essere produttivo di valore per il capitale che se ne appropriava non direttamente, ma mediatamente, attraverso l’operaio. Lottare per il salario non voleva essere un modo per continuare a svolgere lo stesso lavoro di prima, ma il primo modo per rifiutarlo: si lottava non solo contro il lavoro domestico in senso stretto, ma contro il ruolo che era stato imposto alle donne nella divisione del lavoro, costringendo il capitale a ristrutturare i rapporti di produzione in modo più favorevole alle donne. La richiesta di salario era una richiesta di autonomia, di potere e di ricchezza, era una lotta per liberare il proprio tempo di vita tanto dal lavoro gratuito svolto in casa, quanto da quello salariato svolto fuori casa e per riappropriarsi di una parte maggiore di ricchezza sociale.
12Al contempo, quella battaglia aveva il senso di svelare l’inganno e liberare la donna dalla doppia schiavitù: porre l’accento sulla riproduzione, infatti, obbligava a considerare l’estensione reale dello sfruttamento prodotto dal sistema economico e a fare della fabbrica non più luogo di scontro esclusivo, né degli operai maschi la classe rivoluzionaria per eccellenza. La lotta delle donne per la liberazione dal lavoro riproduttivo non era quindi un movimento che, pur mantenendo sfumature distinte, si affiancava alla lotta di classe, ma si rivelava essere un’anima essenziale di quella stessa lotta:
[…] noi rifiutiamo sia la subordinazione della lotta di classe al femminismo sia la subordinazione del femminismo alla lotta di classe. Lotta di classe e femminismo per noi sono una stessa cosa, dal momento che il femminismo esprime la ribellione di quella sezione di classe senza di cui la lotta di classe non può generalizzarsi, allargarsi e approfondirsi. Noi crediamo che queste due posizioni del movimento femminista siano state e siano una risposta alla gestione maschile della lotta di classe; o la nostra acritica accettazione della loro frammentaria teoria e pratica politica, o il nostro acritico rifiuto della classe in risposta a tale accettazione17.
Lotta Femminista
13Tra le “fuoriuscite” da PO vi era appunto Mariarosa Dalla Costa18 la quale, proprio a partire dalla ridefinizione e rielaborazione, in relazione alla condizione della donna, di alcuni temi centrali dell’operaismo giunse a mettere a punto il quadro teorico di riferimento per Lotta Femminista prima e, in seguito, per la rete dei gruppi e Comitati per il salario contro il lavoro domestico, coordinata dal “Collettivo Internazionale Femminista” 19. Fu lei, infatti, a redigere e a sottoporre ad alcune compagne il documento in cui erano raccolte le sue riflessioni sulla condizione femminile e sui limiti dell’impostazione del problema da parte della sinistra istituzionale e extraparlamentare, documento che, con modifiche e integrazioni, sarebbe stato successivamente pubblicato con il titolo Donne e sovversione sociale 20. Nello stesso 1971 il gruppo padovano elaborò altri due documenti politici: il Manifesto programmatico per la lotta della casalinga nel quartiere e Maternità e aborto, testo ripreso e ripubblicato più volte negli anni, in cui si concentrava il nucleo della riflessione politica di Lotta Femminista sui temi della procreazione e della sessualità. Tra il 1971 e il 1972, la nascita di altri gruppi di Lotta Femminista a Venezia, Ferrara, Modena e Trieste diede avvio al dibattito sul salario per il lavoro domestico, questione che sarebbe diventata centrale negli anni successivi. Nel luglio del 1972, sempre a Padova, nacque il “Collettivo Internazionale Femminista”, in occasione di un momento di confronto cui presero parte, oltre a Mariarosa Dalla Costa e ad altre militanti italiane, Selma James, militante anticoloniale e appartenente al “Notting Hill Group of the London Women’s Liberation Workshop”, Silvia Federici, immigrata negli Stati Uniti e attivista nel “Women’s Bail Fund” a New York, e la militante parigina Brigitte Galtier. L’obiettivo di questo incontro era definire una prospettiva comune per costruire un processo di mobilitazione femminista su scala internazionale culminato con la creazione della rete dei “Wages for Housework Groups and Committees”. Donne e sovversione sociale costituiva nuovamente il testo di riferimento per queste discussioni e, insieme a un articolo di Selma James del 1953 intitolato Il posto della donna, venne pubblicato quello stesso anno in un volume dal titolo Potere femminile e sovversione sociale21 e immediatamente tradotto in diverse lingue. Nel 1973 Mariarosa dalla Costa si recò in Nord America insieme a Selma James per partecipare a conferenze e incontri volti ad estendere la rete del “Collettivo Internazionale Femminista”, ma decise di interrompere questo viaggio per tornare a Padova, dove si stava organizzando una mobilitazione per il processo per aborto intentato contro Gigliola Pierobon22. Nel 1974 i gruppi di Lotta Femminista cambiarono denominazione, costituendo la rete dei gruppi e comitati “per il salario al lavoro domestico”23, promotrice della campagna omonima in Italia, e da Padova cominciarono a pubblicare la rivista bimestrale «Le operaie della casa» e una collana di libri presso l’editore Marsilio. Nel 1976 la rete italiana contava gruppi anche a Bologna, Ravenna, Reggio Emilia, Firenze, Varese, Roma, Napoli, Pescara e in Trentino. Su scala internazionale, anche le rivendicazioni dei “Wages for Housework Groups and Committees” si intrecciarono con la mobilitazione su tutti quegli aspetti, quei diritti negati della vita femminile che impedivano alla donna di emergere come persona24.
14La ripresa delle tematiche operaiste e marxiane è, come si è detto, centrale nell’analisi di Lotta Femminista che individua nelle mura domestiche il luogo dello sfruttamento e nelle casalinghe i soggetti sfruttati dal capitale. Secondo l’analisi del gruppo, infatti, l’avvento del capitalismo ha peggiorato le condizioni delle donne riorganizzando la casa e la famiglia attorno alla fabbrica. Questa riorganizzazione ha, da una parte, spinto fuori di casa coloro che ricevono un salario – e quindi prevalentemente gli uomini – allontanandoli dalle mura domestiche e spingendoli appunto verso il centro produttivo della fabbrica dove si trovano confinati per la maggior parte della loro giornata; dall’altra ha apparentemente eletto a regine della casa le donne. Nella realtà però esse si ritrovano isolate e sopraffatte da innumerevoli mansioni che non possono delegare o condividere con gli altri abitanti della casa. È bene infatti ricordare che l’esilio dalle mura domestiche non riguarda solamente gli uomini ma tutte quelle soggettività che non procreano, non si occupano delle faccende domestiche e non rendono dei servizi a coloro che lavorano per un salario.
15Come spiega efficacemente Mariarosa Dalla Costa, «isolata nella casa, la donna è così stata privata della vasta esperienza dell’organizzazione e della pianificazione delle lotte di fabbrica e di lotte di massa in genere»25. Diretta conseguenza di questo isolamento è la mancanza di educazione sociale che è «[…] la prima esperienza da cui possono apprendere le proprie capacità, cioè il proprio potere, e le capacità, quindi il potere, della propria classe». Questa forzata reclusione ha rinforzato lo stereotipo dell’incapacità femminile, perpetuando nelle donne l’idea che null’altro possono fare se non rispondere alla vocazione che per natura viene loro attribuita: la procreazione e la cura. Esse infatti sono state ridotte a cuoche o a badanti, a oggetti da sfruttare senza tenere conto delle inclinazioni personali e della loro soggettività.
16Il gruppo di Lotta Femminista mette in discussione, fino ad arrivare a rifiutare, i ruoli sessuati proposti a uomini e donne già dall’infanzia26. Per loro infatti il lavoro domestico non deve essere necessariamente femminile, dal momento che «nessuna donna si realizza o si stanca meno di un uomo a lavare o pulire»27. Il fatto di aver assegnato alle donne questo ruolo sociale non è altro che un’ulteriore forma di sfruttamento del capitale che, liberando l’uomo da queste mansioni, in realtà lo rende «[…] “libero” per lo sfruttamento diretto, cioè libero di guadagnare abbastanza perché la donna lo riproducesse come forza-lavoro»28.
17Casa e fabbrica sono dunque due facce della stessa medaglia e sono due luoghi di oppressione e sfruttamento, rispettivamente del lavoro riproduttivo e di quello produttivo. Secondo le militanti, però, il ruolo dell’uomo è ambivalente: se è chiaramente ingabbiato nel lavoro salariato e reso schiavo della produzione da e per il capitale, esso è anche oppressore tra le mura domestiche. Le donne di Lotta Femminista sottolineano infatti che non solo gli uomini non si occupano delle faccende domestiche, ma «il marito, i figli, con la loro partecipazione affettiva, diventano i primi controllori, i primi capetti di questo lavoro»29. In altri termini, e parafrasando il famoso slogan dell’epoca che dà il titolo a questo saggio: le faccende legate alla casa o alla cura non vengono mai riconosciute come attività lavorative, ma come una missione legata al buon cuore delle donne e al modo di dimostrare il loro amore per la famiglia. È proprio secondo questa logica che «il marito tende a leggere il giornale e aspettare che il pranzo sia pronto anche quando la moglie lavora con lui e rientra in casa con lui»30.
18Sempre riflettendo sul parallelismo tra casa e fabbrica, non è possibile non prendere in considerazione l’avvento delle nuove tecnologie e l’impatto che possono avere sul lavoro. Se però all’interno dei centri di lavoro salariato questi nuovi elementi possono essere un aiuto e un modo per far guadagnare ore libere ai lavoratori e farli astenere dai lavori più pesanti o pericolosi, l’impatto che le nuove tecnologie hanno sul lavoro domestico non può essere considerato altrettanto positivo. A questo proposito la critica di LF è durissima: «una più alta meccanizzazione dei lavori domestici non “libera” ore per la donna nella misura in cui essa deve, in una situazione di isolamento, procreare, allevare e rimanere responsabile dei bambini. La donna è sempre di turno poiché non esistono macchine che fanno e badano ai bambini»31.
19Appare dunque chiaro che lo scopo principale delle militanti sia accrescere la consapevolezza delle casalinghe, restituendo loro un’identità di donne che esuli dalle mansioni che svolgono. Uno degli obiettivi è dunque quello di mobilitarle, di spingerle fuori dalle mura domestiche e di cambiarne la mentalità. Si vogliono educare le donne a pensare che per avere tempo libero non è necessario essere più efficienti e sbrigare in minor tempo tutte le faccende, ma semplicemente non occorre stirare le lenzuola, lucidare i pavimenti, pulire la casa o preparare i pasti per la famiglia ogni giorno. È necessario che le donne escano dalla casa, che si incontrino tra loro in modo da ricostruire – o da costruire per la prima volta – quella socialità, e dunque quella solidarietà femminile, di cui il capitale le ha private escludendole dai centri di produzione e optando per la loro relegazione.
20Inoltre, «devono, allo stesso tempo, smettere di incontrare anche il marito e i figli come casalinghe, e cioè attorno al tavolo del pranzo o della cena, dopo il rientro dal lavoro»32 e devono riappropriarsi degli spazi cittadini, rifiutando l’isolamento in casa. Per esempio, viene suggerito di incontrare i propri figli a un’assemblea studentesca, il che significherebbe approcciarsi a loro come individui e presentarsi a loro come individui, al di là delle logiche e dei ruoli precostituiti. Abbandonare le mura domestiche viene considerato e proposto come una forma di lotta, perché uscire di casa significa non occuparsi delle faccende quotidiane e della cura della famiglia. A questo proposito, limitare o addirittura astenersi dall’erogazione di alcuni servizi svolti proprio dalle donne e non riconosciuti come veri e propri momenti lavorativi, significa andare a legare le rivendicazioni femminili alla lotta di classe.
21L’intento di Lotta Femminista però non è solo quello di ottenere un salario al lavoro domestico – o meglio è certamente uno degli obiettivi primari – ma si vuole evitare che, attraverso questa richiesta, venga istituzionalizzato il ruolo di casalinga. Proprio per tale motivo le militanti rifiutano e invitano a rifiutare «[…] il lavoro di casa come lavoro femminile, come lavoro imposto, che le donne non hanno mai inventato. Che non è mai stato pagato, che ci hanno obbligato a gestire con tempi assurdi (dodici, tredici ore al giorno) per costringerci a stare in casa»33. E anche «[…] il lavoro di casa perché vogliamo unirci alle altre donne per lottare contro tutte le situazioni che presuppongono che le donne stiano in casa, per collegarci a tutte le situazioni che presuppongono che la gente stia nei ghetti, sia il ghetto l’asilo, la scuola, l’ospedale, l’ospizio o l’area dei baraccati»34.
22Qual è dunque la proposta concreta, rivolta alle donne, per fare in modo che possano evadere dall’isolamento domestico e sociale? Lotta Femminista critica e mette in discussione quella che fino a quel momento è sembrata o viene percepita come l’unica alternativa possibile: il raggiungimento dell’emancipazione delle donne attraverso il raggiungimento di una propria indipendenza economica. Ebbene, le militanti sono convinte che questa non possa essere una soluzione praticabile perché sarebbe solo la riproposizione di identiche logiche di sfruttamento, seppur in un ambiente diverso. Non vogliono infatti che le donne sostituiscano «la prigionia domestica con l’incollatura al tavolino della macchina da scrivere o alla catena di montaggio»35 e rivendicano:
Abbiamo lavorato abbastanza. Abbiamo raccolto milioni di tonnellate di cotone, lavato milioni di piatti, raschiato milioni di pavimenti, dattilografato milioni di parole, messo i fili di milioni di radio, lavato milioni di pannolini con le mani e con le macchine. Ogni volta che ci hanno “aperto delle strade” per entrare in qualche roccaforte maschile, ci hanno aperto un nuovo livello di sfruttamento36.
23Essere casalinghe, occuparsi dei lavori domestici non deve essere considerato dalle donne come un riconoscimento identitario, ma come una mansione. La loro rivendicazione non deve essere volta alla ricezione di un salario per quello che sono – o per l’immagine con cui la società le identifica –, ma per il lavoro che svolgono all’interno della casa. Quella del gruppo formatosi inizialmente nel padovano è sicuramente una lotta femminile e femminista, ma è compresa nel più ampio gruppo delle lotte di classe delle quali le donne non vogliono più essere spettatrici e tantomeno vogliono dover annullare le loro specificità di genere in ragione della causa, sia essa una battaglia combattuta all’interno o all’esterno delle mura domestiche.
Conclusione
24Non è questo il luogo per soffermarsi sullo sviluppo della riflessione del femminismo operaista degli anni Ottanta, anni in cui emerse l’esigenza di approfondire la teoria politica per chiarire alcuni punti che erano stati assunti come validi a partire da un confronto empirico con la realtà storica e con i movimenti che erano sorti in quegli anni37. Resta comunque il fatto che le riflessioni teorico-politiche degli anni Settanta e la campagna per il salario al lavoro domestico, pur non fornendo una teorizzazione sistematica, avevano messo in discussione diversi assunti del pensiero marxista finendo col far compiere un balzo epistemologico in avanti tanto alla teoria femminista quanto a quella marxista. Puntando il dito sulla dialettica tra mercato e nucleo domestico, quell’elaborazione teorica rappresentò non tanto la rivendicazione della remunerazione monetaria della attività delle donne tra le quattro mura domestiche, quanto piuttosto una prospettiva politica sul lavoro a partire dalla collocazione storica delle donne. La questione del salario per il lavoro domestico, peraltro, divenne l’occasione per avviare una rete internazionale, Wages for Housework Groups and Committees (1972), e si intrecciò con la mobilitazione su tutti quegli aspetti, quei diritti negati della vita femminile che impedivano alla donna di emergere come persona38.
Bibliographie
Aa. Vv. (1973), «Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia», n. 1.
Aa. Vv. (1974), 8-9-10 marzo a Mestre - Comitato per il salario alla casalinga, in «Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia», n. 2.
Belotti Gianini, Elena (1973), Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano.
Benston, Margaret (1969), The Political Economy of Women’s Liberation, in «Monthly Review», n. 4.
Cavarero, Adriana - Restaino, Franco (a cura di) (2002), Le filosofie femministe, Mondadori, Milano.
Collectif L’Insoumise (a cura di) (1977), Le foyer de l’insurrection. Textes sur le salaire pour le travail ménager.
Collettivo Internazionale Femminista (1973), Comunicato del Collettivo Internazionale femminista, Padova, Italia, luglio 1972, in «Quaderni di Lotta Femminista», n. 2, Il personale è politico, Musolini Editore, Torino.
Dalla Costa, Mariarosa (1972), Potere femminile e sovversione sociale, Marsilio, Venezia.
Dupont (Delphy), Christine (1970), L’ennemi principal, in «Partisans», n. 54-55, 1970, n. sp. Libération des femmes. Année zéro.
Federici, Silvia (2014), Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista. Ombre corte, Verona.
Fortunati, Leopoldina (1981), L’arcano della riproduzione. Casalinghe, prostitute, operai e capitale. Marsilio, Padova.
Fortunati, Leopoldina - Federici, Silvia (1984), Il grande Calibano. Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale. Franco Angeli, Milano.
Giuliana Pompei (1972), i, Salario per il lavoro domestico, in «Quaderni di Lotta Femminista» n. 1, L’offensiva, Musolini Editore, Torino.
Lotta Femminista (1972), Prefazione a «Quaderni di Lotta Femminista», n. 1, L’offensiva, Musolini Editore, Torino.
Senore, Paola (2017-18), Le operaie della casa: lavoro domestico e riproduzione sociale nell’elaborazione di Lotta Femminista, tesi di laurea triennale in Filosofia, rel. Prof.ssa Daniela Adorni.
Toupin, Louise, (2014), Le salaire au travail ménager. Chronique d’une lutte féministe internationale (1972-1977), Les Éditions du remue-ménage, Montréal.
Toupin, Louise, (2016), Le salaire au travail ménager, 1972-1977: retour sur un courant féministe évanoui, in «Recherches féministes», n. 1.
Notes de bas de page
1 Lotta Femminista, da adesso in poi citata anche come LF.
2 Per “fabbrica sociale” si intende il contesto sociale, e in particolare l’istituzione familiare, in cui la donna produce e riproduce quella merce speciale che è la forza lavoro. Un territorio non libero, ma «ancillare della fabbrica […] integrale al modo di produzione capitalistico, e sempre più […] irreggimentato a livello di fabbrica» (M. Dalla Costa, Prefazione a Ead., Potere femminile e sovversione sociale, Marsilio, Venezia 1972, p. 9).
3 L. Toupin, Le salaire au travail ménager. Chronique d’une lutte féministe internationale (1972-1977), Les Éditions du remue-ménage, Montréal 2014, p. 48. Della stessa autrice cfr. anche: Le salaire au travail ménager, 1972-1977: retour sur un courant féministe évanoui, in «Recherches féministes», n. 1, 2016, pp. 179-198.
4 L’origine di tale potere risiedeva secondo alcune femministe nel controllo degli uomini sul corpo delle donne, a partire dalla sfera della sessualità e della procreazione, secondo altre nella cultura e nell’ideologia sessista.
5 A. Cavarero, F. Restaino (a cura di), Le filosofie femministe, Mondadori, Milano 2002, p. 96.
6 M. Benston, The Political Economy of Women’s Liberation, in «Monthly Review», n. 4, 1969; C. Dupont (Delphy), L’ennemi principal, in «Partisans», n. 54-55, 1970, n. sp. Libération des femmes. Année zéro; M. Dalla Costa, Donne e sovversione sociale, in Ead,, Potere femminile e sovversione sociale cit.
7 Collettivo Internazionale Femminista, Comunicato del Collettivo Internazionale femminista, Padova, Italia, luglio 1972, in «Quaderni di Lotta Femminista», n. 2, Il personale è politico, Musolini Editore, Torino 1973, pp. 7-8.
8 Ivi, p. 9.
9 Lotta Femminista, Prefazione a «Quaderni di Lotta Femminista», n. 1, L’offensiva, Musolini Editore, Torino 1972, p. 12. Il Quaderno contiene la documentazione dello scontro che ne scaturì nonché il materiale che avrebbe dovuto essere discusso nel corso del seminario.
10 Ibid.
11 Ivi, p. 19
12 Ibid.
13 Collettivo Internazionale Femminista, Comunicato del Collettivo Internazionale femminista cit., p. 8.
14 Ivi, p. 9.
15 G. Pompei, Salario per il lavoro domestico, in «Quaderni di Lotta Femminista» n. 1, L’offensiva cit., p. 35.
16 «Tutte le donne sono casalinghe e questo vuol dire che svolgono una doppia funzione per il capitale. Da un lato fanno nascere, allevano e servono, cioè producono la forza-lavoro, dall’altro disciplinano questa stessa forza-lavoro per il lavoro capitalistico. Il contesto sociale di cui la donna è il perno è “l’altra metà dell’organizzazione capitalistica, l’altra area dello sfruttamento capitalistico nascosto, l’altra fonte nascosta di plusvalore”» (Collettivo Internazionale Femminista, Comunicato del Collettivo Internazionale femminista cit., p. 7).
17 Ivi, p. 9.
18 Laureata in Giurisprudenza nel 1967, Dalla Costa era ricercatrice presso l’Università di Padova e collaboratrice di Antonio Negri, titolare dell’insegnamento di Dottrina dello Stato alla Facoltà di Scienze Politiche. Nonostante le fosse stata offerta una cattedra all’Università di Staten Island a New York, rinunciò al trasferimento proprio per non interrompere il lavoro politico con le donne.
19 Il “Collettivo Internazionale Femminista” giunse a comprendere oltre agli italiani, gruppi di attivisti in Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada anglofono, Svizzera e Germania: un’estesa rete transnazionale tale da potere essere definita quale embrione di una Internazionale delle Donne.
20 M. Dalla Costa, Donne e sovversione sociale cit.
21 M. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale cit.
22 La campagna a favore dell’aborto fu un aspetto centrale dell’azione politica di Lotta Femminista, che riconobbe fin da subito l’importanza delle questioni legate al corpo, alla sessualità e alla salute delle donne. Nel 1974 il gruppo aprì a Padova il Centro di Salute della Donna, primo consultorio autogestito in Italia, e negli anni seguenti partecipò all’organizzazione di numerose manifestazioni su questi temi: manifestazione nel febbraio del 1974 davanti al tribunale di Trento, che aveva incriminato 263 donne per aver fatto ricorso all’aborto; nel gennaio del 1975 a Firenze, quando la polizia irruppe in una clinica che praticava aborti; nell’aprile del 1976 a Padova, quando furono occupati gli edifici di Ginecologia dell’Università, in seguito alla morte per aborto di una ragazza (cfr L. Toupin, Le salaire au travail ménager cit., p. 223.).
23 A questo proposito, si vedano i numeri della rivista «Sottosopra» che, a partire dal 1973, ospitò numerosi interventi a firma delle diverse sezioni locali del gruppo (cfr. «Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia», n. 1, 1973, pp. 18-37) e nel 1974 dette spazio al resoconto dei tre giorni di riflessioni e dibattiti sul lavoro femminile organizzati a Mestre da Lotta Femminista, tre giorni il cui risultato fu l’istituzione di un “Comitato per il salario alla casalinga” poi divenuto “Comitato per il salario al lavoro domestico” (cfr. 8-9-10 marzo a Mestre - Comitato per il salario alla casalinga, in «Sottosopra. Esperienze dei gruppi femministi in Italia», n. 2, 1974, pp. 262-294).
24 Cfr. l’antologia curata dal “Collectif L’Insoumise”, Le foyer de l’insurrection. Textes sur le salaire pour le travail ménager, Collectif L’Insoumise, Genève 1977.
25 M. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale cit., p. 24.
26 In merito alla riproposizione dei ruoli in base al genere di appartenenza e all’influenza che i condizionamenti sociali hanno sulle donne sin dai primi anni di vita si rimanda a E. Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 1973.
27 M. Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale cit., p. 28.
28 Ibid.
29 Ivi, p. 30.
30 Ibid.
31 Ivi, p. 23.
32 Ivi, p. 33.
33 Ivi, p. 36.
34 Ibid.
35 Ivi, p. 47.
36 Ibid.
37 Furono, in particolare, Leopoldina Fortunati e Silvia Federici a intraprendere un’opera di rivisitazione e critica da una prospettiva femminista del corpus marxiano: L. Fortunati. L’arcano della riproduzione. Casalinghe, prostitute, operai e capitale. Marsilio, Padova 1981; L. Fortunati, S. Federici. Il grande Calibano. Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale. Franco Angeli, Milano 1984; S. Federici. Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista. Ombre corte, Verona 2014.
38 Basti citare le Family Allowances in Inghilterra, l’Assegno di salario unico in Francia, le Welfare Mothers negli Stati Uniti, tutte misure che rappresentavano un primo concreto livello di retribuzione di quella lunga fatica.
Auteurs
Insegna Storia sociale dell’età contemporanea all’Università di Torino e Storia delle donne e di genere nella Scuola di Studi Superiori ‘Ferdinando Rossi’ di Torino e nel Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere. È stata organizzatrice e relatrice di numerosi seminari e convegni nazionali e internazionali dedicati ai ruoli femminili tra XIX e XX secolo. Tra le sue più recenti pubblicazioni: (con S. Magagnoli), La ‘Cucina Italiana’. Modelli di femminilità fascista, in «Italia contemporanea», f. 286, aprile 2018; Femminismi e sessualità: un dibattito sempre aperto, in Sex & Revolution. Immaginario, utopia, liberazione (1960-1977), a cura di P. Adamo, P.G. Carizzoni, Skira, Milano 2018; Diverse in corpo e in spirito, in Prove di libertà. Donne fuori dalla norma. Dall’antichità all’età contemporanea, a cura di D. Adorni, E. Belligni, Franco Angeli, Milano 2018.
Ha conseguito la laurea in Scienze Storiche, Università degli studi di Torino ed è PhD Candidate all’Università di Napoli ‘L’Orientale’ con un progetto di ricerca riguardante le militanti dell’organizzazione armata Prima Linea. Tra le sue pubblicazioni: Donne in Famiglia. L’ambivalenza del femminile in contesti mafiosi, in La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), a cura di Simona Feci e Laura Schettini, Viella, 2017; Straordinari nascosti e non pagati: donne, cibo e città nell’esperienza di Lotta Femminista, in La città, il viaggio, il turismo. Percezione, produzione e trasformazione, atti dell’VIII Convegno Aisu, a cura di Gemma Belli, Francesca Capano e Maria Ines Pascariello, CIRCE edizioni, 2017; Donne e lotta armata. Le militanti come soggetti politici, in «Hórisma. La violenza politica: una ridefinizione del concetto oltre la depoliticizzazione», Ledizioni, Milano 2018.
Le texte seul est utilisable sous licence Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0. Les autres éléments (illustrations, fichiers annexes importés) sont « Tous droits réservés », sauf mention contraire.
Inchiesta su Gramsci
Quaderni scomparsi, abiure, conversioni, tradimenti: leggende o verità?
Angelo d'Orsi (éd.)
2014
Aspettando il Sessantotto
Continuità e fratture nelle culture politiche italiane dal 1956 al 1968
Chiarotto Francesca (dir.)
2017
Sfumature di rosso
La Rivoluzione russa nella politica italiana del Novecento
Marco Di Maggio (dir.)
2017
Il trauma di Caporetto
Storia, letteratura e arti
Francesca Belviso, Maria Pia De Paulis et Alessandro Giacone (dir.)
2018
1918-2018. Cento anni della Grande Guerra in Italia
Maria Pia De Paulis et Francesca Belviso (dir.)
2020
Contratto o rivoluzione!
L’Autunno caldo tra operaismo e storiografia
Marie Thirion, Elisa Santalena et Christophe Mileschi (dir.)
2021