Primavera tiepida, estate torrida e autunno caldo. I conflitti sociali del 1969 e la nascita di Potere operaio e Lotta continua
p. 79-96
Texte intégral
1Le due principali organizzazioni operaiste presenti a cavallo degli anni Sessanta e Settanta furono uno degli esiti del rimescolamento conseguente all’incontro tra talune avanguardie dei movimenti studentesco e operaio e i gruppi dirigenti di preesistenti esperienze politiche. Entrambe le organizzazioni sorsero in seguito alla spaccatura del “movimento” (in realtà della sua leadership) sull’annosa questione del rapporto tra avanguardia e masse, tra un’anima giudicata movimentista-consiliarista (che costruirà Lotta continua), e un’altra valutata come partitista-operaista (che fonderà Potere operaio). L’inconciliabilità dei differenti punti di vista emerse dopo la vertenza sindacale del maggio-giugno 1969 alla Fiat di Torino e gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine del 3 luglio (la cosiddetta rivolta di corso Traiano)1. Se già nel 1966-67 e nel 1968 la classe operaia torinese aveva moltiplicato i focolai di conflittualità, l’agitazione della primavera del 1969, assai combattiva e partecipata, fu inizialmente animata dagli operai del Psiup di diversi reparti e sostenuta dal movimento degli studenti universitari e da pressoché tutti i gruppi cittadini della sinistra rivoluzionaria. In particolare dalle frange che avevano individuato nella fabbrica il proprio terreno d’intervento privilegiato se non esclusivo: il Fronte della gioventù lavoratrice (animato da Romolo Gobbi), la Lega studenti e operai (che già da un anno interveniva davanti agli stabilimenti industriali), gli operaisti “puri” raccolti attorno alla rivista «La Classe» (vero e proprio fulcro della prima fase dell’agitazione)2 e il gruppo del Potere operaio torinese (sorto nel 1968 in collegamento con l’omologo gruppo toscano ma poi spostatosi su posizioni più “oggettiviste”)3. In giugno le lotte proseguirono con maggior intensità, dopo che l’accordo sottoscritto dai sindacati il 28 maggio (ve ne sarà poi un altro – il cosiddetto “accordone” – il 26 giugno) fu respinto dalle maestranze, inaspettatamente attestate sulle posizioni di quei giovani raccolti in un coordinamento unitario e permanente denominato Assemblea operai-studenti (o Assemblea operai e studenti). Tale organismo, che si riuniva all’ospedale delle Molinette in un’aula della facoltà di Medicina, si caratterizzò per l’intenso lavoro agitatorio davanti ai cancelli della Fiat: a ogni turno centinaia di giovani attivisti giunti a Torino da più parti d’Italia distribuivano agli operai volantini che, ricalcando il motto del maggio francese, erano titolati «La lotta continua» o più semplicemente «Lotta continua». E così furono definiti un po’ da tutti: «quelli della lotta continua»4.
2Fu tale struttura di coordinamento a organizzare, con volantini distribuiti alle maestranze torinesi e diffusi nei rioni popolari della città, il corteo del 3 luglio 1969 che, a causa della combattività dei manifestanti e degli interventi “esuberanti” delle autorità preposte al mantenimento dell’ordine pubblico, culminò negli scontri di corso Traiano5. La medesima sigla promosse, anche in ragione del salto di qualità delle dinamiche conflittuali determinato dal 3 luglio, il «convegno nazionale dei comitati e delle avanguardie operaie» (o anche «convegno nazionale dei comitati di base e avanguardie operaie»)6 al Palazzetto dello sport di Torino, nei giorni 26 e 27 luglio 1969. Un’assise, tuttavia, programmata prima degli scontri davanti a Mirafiori, come documentato dalle informative delle autorità di Ps, che, il 27 giugno 1969, dipingevano così la situazione, in una riservata («vista dal ministro» Restivo) del prefetto di Torino:
I risultati ottenuti alla Fiat […] hanno ridato slancio e vigore ai movimenti contestatori, i cui attivisti, […] svolgono un’intensa, continua azione di propaganda e di agitazione, promuovendo riunioni ed incontri, […] sovente con la presenza di dirigenti estremisti, “calati” da tutta Italia […].
Sarebbe stata […] discussa l’opportunità di porre allo studio la possibilità di costituire un partito nel quale dovrebbero confluire, oltre che gli aderenti ai vari gruppi estremisti, tutti coloro che non condividono la moderazione politica della sinistra tradizionale e delle organizzazioni sindacali. […].
Si aggiunge che, nei prossimi giorni, i delegati dei movimenti oltranzisti dovrebbero nuovamente qui riunirsi per discutere la preparazione di una conferenza a livello nazionale, che dovrebbe svolgersi nei mesi venturi in località ancora da stabilire7.
3Nelle intenzioni degli organizzatori, il convegno di fine luglio avrebbe dovuto far compiere un decisivo passo avanti verso un coordinamento stabile delle strutture di avanguardia in vista dello scontro con le istituzioni e le strutture dello Stato. In un volantino del 5 luglio 1969 si poteva infatti leggere:
Sulla base di questa esperienza gli operai torinesi riuniti in assemblea dopo gli scontri del 3 luglio propongono a tutti gli operai italiani di aprire una nuova e più radicale fase della lotta di classe che faccia avanzare, sugli obiettivi avanzati dagli stessi operai, l’unificazione politica di tutte le esperienze autonome di lotta fin qui realizzate.
Per questo verrà indetto a Torino un convegno nazionale dei comitati e delle avanguardie operaie […]. Dalla Fiat di Torino, da Torino a tutta l’Italia per organizzare nel vivo della lotta la marcia verso la presa del potere8.
4Anziché unificare le avanguardie, il convegno di fine luglio (che vide la partecipazione di più di un migliaio di persone) contribuì invece a sancirne la definitiva separazione9. Benché ci fossero reali divergenze sulla questione dell’organizzazione politica di classe, le ragioni della frattura tra “partitisti” e “movimentisti” sono, più probabilmente, da ricercarsi nelle rivalità tra la leadership del gruppo romano-veneto-milanese degli operaisti de «La Classe» (Piperno, Scalzone, Negri e altri) e quella raccolta attorno all’asse “politico-esistenziale” costituito da Sofri e dai leader del movimento studentesco torinese (Viale e Bobbio) e trentino (Boato e Rostagno). In vista dell’ondata di piena dell’autunno 1969, la conquista della posta in palio a breve (l’egemonia politica del proprio gruppo sull’intero movimento) ebbe un peso maggiore rispetto alle considerazioni di tipo strategico che, a parole e a prescindere dalla loro praticabilità, venivano nobilmente enunciate (la sconfitta del governo e della controparte industriale, il logoramento della sinistra tradizionale e, finanche, la presa del potere). Come ricordato da Piperno, intervistato nel 1988: «A esser sinceri, non saprei dire perché ci dividemmo. Differenze fra questo e quel personaggio, forse; i soliti problemi di egemonia e di gestione»10. Di avviso contrario, invece, gli ex di Lc. Per Viale la «polemica non può essere spiegata solo con ambizioni individuali o di gruppo. […] È una battaglia per espellere […] tutto ciò che non riguarda immediatamente la lotta»11. Ciò sembra essere confermato da Adriano Sofri che, intervistato da Aldo Grandi, ribadisce come la «differenza di fondo» fosse politico-programmatica: «noi avevamo una nozione di classe molto più duttile, vasta e ampia […] e dentro questo proletariato facevamo confluire i gruppi e ceti più disparati senza questa specie di scolastica convinzione del primato teologico degli operai della grande fabbrica»12.
5A settembre – in concomitanza con l’inizio dell’Autunno caldo13 – uscì il primo numero del settimanale «Potere operaio». I nuclei che vi confluirono furono più o meno gli stessi che presero parte all’esperienza de «La Classe»: ossia i romani che, provenienti dal movimento studentesco, si erano cimentati nel lavoro operaio con i comitati di base della Fatme, della Voxon e dell’Autovox di Roma (Franco Piperno, Lanfranco Pace e Oreste Scalzone); i veneto-emiliani del Potere operaio veneto-emiliano (già «classe operaia»), attivi nel “triangolo” Padova, Porto Marghera, Bologna (Toni Negri, Emilio Vesce, Guido Bianchini); alcuni militanti milanesi (Sergio Bologna e Giairo Daghini), torinesi (l’ex attivista comunista Alberto Magnaghi e l’ex “trentino” Mario Dalmaviva) e fiorentini (Lapo Berti, Claudio Greppi, Michelangelo Caponetto e Giovanni Contini Bonacossi). Come scritto nell’editoriale del primo numero del settimanale, era necessario andare oltre la «gestione operaia della lotta di fabbrica, […] per impostare una direzione operaia sull’imminente, sul presente e sul futuro ciclo di lotte sociali»14.
6Il nuovo gruppo (che tuttavia non si strutturò immediatamente in un’organizzazione di tipo partitico) balzò quasi subito agli onori delle cronache a causa dell’arresto, il 24 novembre 1969, del direttore responsabile del settimanale, l’ex dirigente socialista padovano Francesco Tolin. In un clima già incandescente e quasi in concomitanza con gli incidenti milanesi del 19 novembre in cui rimase ucciso Antonio Annarumma, giovane agente del 3° celere (commemorato da «Potere operaio» come caduto «proletario»)15, a Tolin vennero contestati, su iniziativa della questura di Roma, numerosi reati, in particolare quello di aver istigato, attraverso vari articoli non firmati pubblicati sui due numeri di «Potere operaio», gli operai italiani alla rivolta contro lo Stato e «gli operai metallurgici della Fiat di Torino a danneggiare le vetture di detto complesso»16. Il conseguente procedimento penale, celebratosi per direttissima a partire dal 26 novembre e conclusosi con la condanna dell’imputato a un anno e cinque mesi di carcere, catalizzò l’interesse dell’opinione pubblica e degli ambiti professionali e intellettuali, suscitando prese di posizione, manifestazioni di solidarietà, dissapori interni e finanche dolorose quanto “storiche” lacerazioni, come nel caso di Magistratura democratica17.
7Nel frattempo l’area politica di Piperno, Negri e Scalzone, attraverso il proprio organo di stampa, si distinse per il suo atteggiamento fortemente critico verso gli altri raggruppamenti della sinistra rivoluzionaria, caratteristica (valutata dagli altri soggetti come «settarismo») propria già dell’esperienza de «La Classe», a cominciare dai marxisti-leninisti, giudicati – e non poteva essere altrimenti – l’incarnazione del peggior idealismo umanitarista. Se la critica al terzomondismo fu – con toni più pacati – altrettanto serrata18, meno virulenta fu la campagna contro le formazioni più “affini”, verso le quali, ad ogni buon conto, non vennero risparmiate caustiche sferzate19.
8In occasione del primo convegno nazionale (Roma, gennaio 1970) furono individuate le coordinate identitarie del gruppo: il rifiuto del lavoro declinato in termini salariali (riduzione dell’orario lavorativo a parità di salario e reddito politico generalizzato); l’implementazione della conflittualità permanente a prescindere dai contratti e dagli accordi (anche se in modo più malleabile rispetto a Lotta continua) e, last but not least, la costruzione del partito in grado di guidare la classe operaia verso l’insurrezione contro lo Stato. Come osservato, Potop non si caratterizzò mai, quantomeno nelle autorappresentazioni, come una formazione «spontaneista», bensì tese a conciliare l’operaismo con una supposta tradizione leninista.
9Chi invece si autorappresentò come fautrice, seppur con cautela, della spontaneità proletaria fu Lotta continua. Le linee guida che le saranno poi proprie (quantomeno della Lc dei “primi tempi”) furono esposte da Sofri già nel settembre 1968, nel suo noto intervento Sull’organizzazione, in merito al dibattito interno al Potere operaio pisano. A ben vedere, si trattava di un leninismo attualizzato e abbondantemente stemperato con dosi di consiliarismo:
C’è in Lenin una definizione storica dell’avanguardia, che è oggi inaccettabile. C’è un insegnamento ben più essenziale, che è la denuncia implacabile di ogni abdicazione ai compiti di direzione politica rivoluzionaria, che va tenuto saldo all’interno di un diverso rapporto avanguardia-masse. […] Ci sono compagni che sostengono […] la necessità di non «prevaricare», di limitarsi a proporre l’autorganizzazione, il rifiuto della delega, la creatività. Questi compagni rappresentano il risvolto omologo del burocratismo contro cui polemizzano […]. In questi compagni il rifiuto giusto di porsi come «avanguardia esterna» si traduce nel rifiuto totale del concetto di avanguardia, e cioè di direzione politica20.
10Nella pratica, tale impianto culturale simil-luxemburghiano venne sperimentato, come abbiamo visto, nelle lotte alla Fiat della primavera-estate 1969. Accanto alle rivendicazioni “salarialiste” care ai redattori de «La Classe», l’assemblea delle Molinette (incarnazione della preconizzata «avanguardia interna») si fece portatrice anche e soprattutto delle istanze della componente sofriana, un’area, indubbiamente maggioritaria, che – al di là delle autorappresentazioni e ricostruzioni postume tese a presentarla come prettamente «esistenzialista» e/o «antioperaista» (caratteristiche presenti ma non così distintive) – era in sintonia con i postulati dell’estremismo classico della “scuola olandese” (di Herman Gorter e Anton Pannekoek). I materiali prodotti dall’assemblea delle Molinette confermerebbero tale inclinazione: esaltazione della spontaneità e dell’autorganizzazione, valorizzazione della democrazia assembleare e centralità della lotta di fabbrica come fulcro per la costituzione dell’organizzazione rivoluzionaria e per l’instaurazione del contropotere operaio (da cui la lotta per la lotta, al di là del raggiungimento degli obiettivi prefissati)21. Un contropotere che doveva essere, a tutti gli effetti e a scanso di equivoci (Lc non fu mai – nonostante alcune ricostruzioni lascino intendere il contrario – anarchicheggiante), un potere alternativo instaurato da una ben determinata organizzazione basata sulla centralità operaia. Su questo aspetto, la sintonia con i militanti che poi diedero vita a Potop fu totale. Infatti, l’impianto del documento preparatorio del convegno di fine luglio, condiviso dalla componente sofriana, non sembra lasciare spazio a dubbi di sorta: «Potere e organizzazione sono i due temi che hanno fatto crescere e sviluppare le lotte alla Fiat, dal primo sciopero per Battipaglia agli scontri di piazza del 3 luglio». L’esigenza dell’organizzazione «nasce quindi all’interno delle lotte operaie e precisamente come il pieno dispiegamento pratico del loro significato politico»22.
11Nei giorni in cui si consumava la rottura tra “consiliaristi” e “partitisti” (ben rappresentati – in sede di convegno – rispettivamente da Viale e da Piperno)23 fu pubblicato, sotto la responsabilità di Salvatore Sechi, un numero unico (concepito a mo’ di lettera aperta ai «compagni meridionali») intitolato «Lotta continua» (sottotitolato: «Lettera degli operai della Fiat ai compagni meridionali»). In esso s’invitavano gli operai settentrionali e meridionali all’unità, si attaccavano i militanti dell’Unione dei comunisti (marxisti-leninisti) accusandoli di essere rivoluzionari solo a parole e, quasi profeticamente, si annunciava la tempesta d’autunno predisponendo un piano d’intervento («in autunno scoppieranno le lotte: è un’occasione per unire tutti gli sfruttati contro il potere dei padroni»)24. Il foglio estivo «Lotta continua» fu uno degli ultimi documenti concepiti unitariamente da sofriani e militanti ancora raccolti attorno a «La Classe». È dunque corretto non considerarlo come uno dei numeri di prova dell’organo di coloro che daranno poi vita a Lc (il cui primo numero unico apparve nel novembre 1969) anche se il contributo dei “lottacontinuisti” ci fu. Come ricordato da Giorgio Pietrostefani, fu sua (e di Emilio Vesce) l’idea di concludere il testo del foglio indirizzato ai «compagni meridionali» con un «Vinceremo»25. Un finale che, sempre secondo la testimonianza di Pietrostefani, fece arrabbiare Adriano Sofri. Anche perché, stando alla documentazione coeva, l’ex leader del Potere operaio pisano non si faceva troppe illusioni sul livello della temperatura autunnale: in un documento ciclostilato, finalizzato alla costruzione del tessuto organizzativo del costituendo gruppo politico, egli puntualizzò la necessità di muoversi con cautela, «senza niente concedere a un catastrofismo avventurista», poiché – concluse con una previsione poi rivelatasi erronea – «non ci sarà il big match quest’autunno»26.
12Se, sotto il piano formale, il gruppo in via di costituzione si rappresentava come “naturale” prosecuzione dell’Assemblea operai-studenti di Torino27, le tappe che condussero alla costituzione di Lc come organizzazione politica coinvolsero anche altre realtà territoriali. E ciò ben prima del convegno di fine luglio e della separazione dall’area leninian-operaista e dell’allontanamento della componente che faceva riferimento a Vittorio Rieser. Il verbale di una riunione del 15 giugno 1969, introdotta da Luigi Bobbio, ci restituisce in tutta la sua freschezza come l’idea di un “noi” e un “loro” (riferito agli attivisti de «La Classe») fosse ben presente. Quantomeno a partire da questa data, un gruppo “nazionale” informale di studenti rivoluzionari che facevano lavoro operaio si riunì periodicamente allo scopo di coordinarsi e di discutere delle prospettive immediate, tra cui due questioni ritenute cruciali: «la costruzione di un’organizzazione operaia dotata di continuità, e l’allargamento del discorso politico di massa al di là dello scontro interno alla fabbrica»28. Stando al verbale in questione, Bobbio, respingendo le accuse di «esistenzialismo», espose più o meno organicamente le idee di fondo della componente consiliarista in procinto di fondare Lc:
L’esigenza di organizzazione e di politicizzazione non viene comunque posta come discorso astratto come vorrebbero far credere quelli della Classe (cioè come discorso sull’uomo nuovo e sul socialismo). […] Da questo punto di vista si impone un confronto sia [con le] posizioni della Classe, che interpreta la lotta della FIAT in modo restrittivo, come lotta fra operai e padrone sul salario e sulle condizioni di lavoro, [sia con le] posizioni dell’Unione, che alla FIAT non è intervenuta, perché ritiene che l’unificazione delle masse avvenga a livello astrattamente ideologico29.
13Secondo Bobbio, tra queste due posizioni che sopravvalutavano o sottovalutavano l’importanza delle lotte di fabbrica, bisognava individuarne una in grado di esplicitare i contenuti politici della lotta. La principale indicazione era quella della «generalizzazione della lotta». Una generalizzazione, tuttavia, che non avrebbe potuto avere successo – come invece avrebbero sostenuto i redattori de «La Classe» – attraverso la simultaneità dello sciopero in tutti i reparti Fiat (una sorta di «anticipazione dei contratti») e la rincorsa (pur al rialzo) degli obiettivi salariali, ma con l’estensione del conflitto al proletariato urbano torinese. Al di là delle rappresentazioni della stampa benpensante – e dell’arbitraria quanto fuorviante divisione tra «guerriglieri» e «moderati»30 – si trattava cioè «di utilizzare tutti i canali esterni alla fabbrica (i paesi, i quartieri, i mezzi di trasporto, la condizione di immigrato, di pendolare, ecc.)» per mettere in discussione la «condizione sociale globale dell’operaio» e per creare reti di collegamento interne ed esterne alla fabbrica: «Ad esempio – precisava Bobbio – l’organizzazione degli immigrati può essere permanente e può avere un carattere direttamente politico, non legato esclusivamente alla scadenza della lotta nelle fabbriche»31. Tale impianto neo-consiliarista non si tradusse tuttavia in pratiche antiverticistiche. Seppur interna alle situazioni di lotta, per i sofriani l’avanguardia era comunque qualcosa di distinto dal resto dei soggetti convolti nella situazione conflittuale. Del resto, il principale leader di Lc non fu mai un antiautoritario. Così, come nel già citato documento del 1968 Sull’organizzazione sostenne la necessità di dotarsi di una «direzione rivoluzionaria organizzata»32, nella menzionata riunione del 15 giugno lo stesso Sofri ricordò ai propri compagni l’indispensabilità di fare in modo che, pur senza prospettare «il numero chiuso», la presenza alle riunioni di coordinamento potesse «essere numericamente più limitata»33. Se tale richiesta non fu prontamente assecondata (occorrerà aspettare fino al gennaio successivo), la successiva e ben più organica proposta di Sofri – individuale ma non certo solitaria – della fondazione di un giornale nazionale di collegamento delle lotte proletarie (espressione, dunque, delle «avanguardie interne») coagulò attorno al gruppo torinese alcune realtà: una componente significativa del movimento studentesco trentino (Marco Boato e Mauro Rostagno), il gruppo del Potere proletario di Pavia (Lanfranco Bolis e Guido Crainz) e, ovviamente, i toscani in sintonia con le posizioni di maggioranza del Potere operaio pisano.
14Se gli sforzi di insediarsi a Milano non sortirono gli effetti auspicati (i tentativi di “aggancio” del movimento studentesco della Cattolica e del Cub della Pirelli fallirono e la presenza rimase sottotraccia), il gruppo di Sofri, Viale e Bobbio strinse rapporti di filiazione con esponenti del movimento studentesco veneziano ruotante attorno a Ca’ Foscari (animato dai fratelli Boato, tra cui Michele), con elementi di Marghera e con gruppi minori a Genova, Bologna Latina e Bagnoli (dove Cesare Moreno aveva cominciato ad organizzare le lotte degli operai dell’Italsider)34. Nell’autunno del 1969, infatti, a ridosso dell’uscita dei primi numeri del settimanale, gli attivisti di Lotta continua (ormai è possibile definirli così, anche se l’organizzazione prese a costituirsi dopo il successo della pubblicazione) organizzarono vere e proprie “carovane” (noleggiando anche, in alcuni casi, dei pullman) verso le principali città centro-settentrionali allo scopo di promuovere il loro progetto associativo con apposite assemblee itineranti (che videro la partecipazione di centinaia e centinaia di militanti)35. Se le autorappresentazioni di dirigenti e attivisti (ma anche di ex che ne hanno ricostruito le gesta) in senso “nuovista” sono comprensibilmente amplificate, è tuttavia vero che Lotta continua venne percepita come una “novità”, come un modo differente – totalizzante e intransigente da un lato, antiautoritario e poliedrico dall’altro – di vivere l’attivismo; come, in definitiva e per usare un’efficace espressione di Viale, uno «stato d’animo»36. E fu questo uno degli elementi del suo successo in termini di espansione quantitativa in un tempo relativamente breve.
Fondi archivistici (e abbreviazioni)
Acs: Archivio centrale dello Stato (Roma)
Mi: Ministero dell’Interno
Gab.: Gabinetto
Fc: Fascicoli correnti
Dps: Dipartimento pubblica sicurezza, Segreteria del Di- partimento
Op: Ufficio ordine pubblico, Categorie permanenti
Associazioni: G Associazioni 1944-1986
b.: busta
f.: fascicolo
sf.: sottofascicolo
Acspg: Archivio del Centro studi Piero Gobetti (Torino)
Ua: Unità archivistica
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Notes de bas de page
1 Sulla conflittualità a Torino e alla Fiat, cfr. E. Pugno, S. Garavini, Gli anni duri alla Fiat. La resistenza sindacale e la ripresa, Einaudi, Torino 1974; M. Revelli, Lavorare in Fiat, Garzanti, Milano 1989; R. Lumley, Dal ’68 agli anni di piombo. Studenti e operai nella crisi italiana, Presentazione di L. Passerini, Giunti, Firenze 1998; V. Castronovo, Fiat. 1899-1999. Un secolo di storia italiana, Rizzoli, Milano 1999, pp. 1174-223 e N. Tranfaglia e B. Mantelli, Apogeo e collasso della «città fabbrica»: Torino dall’autunno caldo alla sconfitta operaia del 1980, in N. Tranfaglia (a cura di), Storia di Torino, vol. IX, Gli anni della Repubblica, Einaudi, Torino 1999, pp. 827-59. Più in generale, sul Sessantotto a Torino cfr. B. Bongiovanni, Il Sessantotto studentesco e operaio, ivi, pp. 777-826. Sul movimento studentesco cfr. G. De Luna, Aspetti del movimento del ’68 a Torino, in A. Agosti, L. Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68, Franco Angeli, Milano 1991, pp. 190-211; M. Revelli, Il ’68 a Torino. Gli esordi: la comunità studentesca di Palazzo Campana, ivi, pp. 219-20 e Id., Il movimento studentesco torinese, in P.P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto: l’evento e la storia, Atti del convegno di Brescia (9-11 marzo 1989), «Annali della Fondazione “Luigi Micheletti”», IV, 1988-89, Brescia 1990, pp. 257-68.
2 Cfr. L. Bobbio, Lotta continua. Storia di una organizzazione rivoluzionaria, Savelli, Milano 1979, pp. 25-30, il quale, benché esponente della componente avversa, riconosce come l’impostazione de «La Classe» avesse «almeno all’inizio, un ruolo prevalente» (ivi, p. 36). Cfr. inoltre L. Castellina, Rapporto sulla Fiat, in «il manifesto», n. 2-3, luglio-agosto 1969. Sul rapporto studenti-operai e sui prodromi dell’Autunno caldo si vedano i risultati dell’inchiesta tra i giovani operai di Mirafiori La Fiat è la nostra Università. Inchiesta fra i giovani lavoratori della Fiat, Feltrinelli, Milano 1969. Sulla Lega studenti e operai, animata da Dario e Liliana Lanzardo, si veda la documentazione conservata in Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Dario Lanzardo e Liliana Guazzo Lanzardo, Ua 28. Sull’antesignana commissione operaia del movimento degli universitari cfr. L. Lanzardo, Cronaca della commissione operaia del Movimento studentesco torinese. Dicembre 1967-maggio 1968, Centro di Documentazione di Pistoia, Pistoia 1997.
3 Cfr. Acs, Mi, Gab., Fc, 1967-1970, b. 5, f. 161P/46/93 «Partito comunista d’Italia. Affari generali», sf. 3 «Gruppo politico “Potere operaio”. Attività», riservata (vista dal ministro) del prefetto di Torino al Gabinetto del ministero dell’Interno del 26 aprile 1969. Ecco quanto comunicava il prefetto torinese a proposito del gruppo: la consistenza «non è notevole (gli aderenti ed i giovani che, comunque, condividono la linea rivoluzionaria di “Potere operaio” si possono ragionevolmente calcolare in circa 300), ma l’azione dei suoi adepti e [sic] sempre improntata alla faziosità ed alla violenza». Ha «nuclei di una certa consistenza negli stabilimenti “Lancia” di Torino e di Chivasso, nonché nella sezione Grandi Motori della Fiat».
4 Sul ruolo delle avanguardie esterne nelle lotte operaie del 1968-1969 e sui rapporti con il sindacato cfr. A. Dina, Un’esperienza di movimento politico di massa: le lotte interne alla Fiat (fine 1968-giugno 1969), in «Classe», n. 2, 1970, pp. 133-50; V. Foa, Note sui gruppi estremisti e le lotte sindacali, in «Problemi del socialismo», n. 41, 1969, pp. 658-70; S. Antoniazzi, Sindacato e contestazione, ivi, pp. 671-82 e L. Della Mea, Sul sindacato e i gruppi estremisti, ivi, n. 42, 1969, pp. 895-907. Sull’impatto dell’immigrazione meridionale sul tessuto operaio torinese, cfr. M. Di Giacomo, Da Porta Nuova a Corso Traiano. Movimento operaio e immigrazione meridionale a Torino. 1955-1969, Prefazione di G. Fofi, Bononia University Press, Bologna 2013. Sull’origine della dizione «lotta continua» si veda. A. Grandi, La generazione degli anni perduti. Storie di Potere Operaio, Einaudi, Torino 2003, p. 73.
5 A riguardo, cfr. l’elenco degli incidenti verificatisi, allegato alla nota del Capo della polizia al Gabinetto del ministero dell’Interno del 19 agosto 1969, in Acs, Mi, Gab., Fc, 1967-1970, b. 39, f. 11001/97 «Incidenti durante manifestazioni politiche o sindacali. Statistica» e D. Giachetti, Il giorno più lungo. La rivolta di Corso Traiano. Torino 3 luglio 1969, Bfs, Pisa 1997.
6 Cfr. Acspg, Donazione Luigi Bobbio, Ciclostilati non ordinati, Operai e studenti, Lotta continua [Convegno nazionale operaio], volantino ciclostilato, [Torino], 23 luglio 1969.
7 Acs, Mi, Gab., Fc, 1967-1970, b. 5, f. 161P/46/93 «Partito comunista d’Italia. Affari generali», sf. 3 «Gruppo politico “Potere operaio”. Attività», riservata (vista dal ministro) del prefetto di Torino al Gabinetto del ministero dell’Interno del 27 giugno 1969.
8 Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21, L’assemblea operaia di Torino, Fiat: la lotta continua, ciclostilato su quattro pagine, Torino, 5 luglio 1969 (tutto maiuscolo, anziché corsivo, nell’originale). Lo slogan citato nel ciclostilato fu ripreso da Nanni Balestrini come titolo del suo libro sui conflitti della primavera-estate 1969 alla Fiat (basato sull’esperienza di Alfonso Natella, operaio meridionale immigrato, organizzatore delle lotte e poi militante di Potere operaio): cfr. N. Balestrini, Vogliamo tutto. Romanzo, Feltrinelli, Milano 1971. Un romanzo, secondo Fofi, in cui la «linearità potoppista è talmente evidente e schematica da risultare quasi patetica» (G. Fofi, Vogliamo tutto meno Balestrini, in «Quaderni piacentini», n. 46, 1972, p. 190).
9 Per i documenti preparatori cfr. Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21, Proposte per un documento, testo ciclostilato, s.l. [Torino], s.d. [post 3 luglio 1969], pp. 14 e ivi, Per il convegno operaio di Torino. 27 luglio ’69, testo ciclostilato, s.l. [ma Torino], 19 luglio 1969, pp. 10. Sul convegno torinese del 26 e 27 luglio 1969 cfr. E. Petricola, I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni settanta. Lotta Continua, Edizioni Associate, Roma 2002, pp. 39-50.
10 P. Virno, Tutto cominciò nelle fabbriche. Conversazione con Franco Piperno sul ruolo di Potere Operaio, in 1968. Ottobre, supplemento a «il manifesto», n. 254, 26 ottobre 1988, p. 16.
11 G. Viale, Il Sessantotto. Tra rivoluzione e restaurazione, Mazzotta, Milano 1978, p. 178.
12 In A. Grandi, La generazione degli anni perduti cit., p. 90. Sulla “personalizzazione” del contrasto era invece convinto il questore torinese, secondo il quale Piperno e Scalzone «avrebbero […] “rotto i ponti” con il noto Sofri, accusato di servirsi del movimento studentesco per mire politiche personali e per estendere l’influenza degli studenti sugli operai» (Lettera del questore di Torino alla Divisione affari riservati del ministero dell’Interno del 21 ottobre 1969, cit. ivi, p. 321).
13 Sull’argomento, tra i numerosi testi, cfr. G. Giugni, L’autunno caldo sindacale, in «il Mulino», n. 207, 1970, pp. 24-43; A. Mangano, 1969. L’anno della rivolta. Uno studio sull’immaginario sociale, M&B, Milano 1999; D. Giachetti, M. Scavino La Fiat in mano agli operai. L’autunno caldo del 1969, Bfs, Pisa 1999; D. Giachetti, L’autunno caldo, Ediesse, Roma 2013. Sulla conflittualità operaia alla Fiat durante l’estate-autunno 1969 cfr. Gruppi di lavoro del Psiup torinese (a cura dei), Per un movimento politico di massa. Raccolta di documenti della lotta di classe e del lavoro politico alla Fiat, Musolini, Torino 1969; R. Gobbi, Quattordici mesi di scioperi alla Fiat Mirafiori (maggio 1969-luglio 1970), in «Contropiano», n. 2, 1970, pp. 311-50 e D. Marconi, Classe operaia e movimento operaio in un anno di lotte alla Fiat, in «Relazioni sociali», n. 3, 1970, pp. 202-33. Sulla centralità della Fiat in un tale contesto è doverosa la lettura dell’inchiesta di G. Polo, I tamburi di Mirafiori. Testimonianze operaie attorno all’autunno caldo alla Fiat, Introduzione di M. Revelli, Cric, Torino 1989. Sulla componente sindacale più vicina ai “contestatori” cfr. l’ampio e documentato studio di F. Loreto, L’«anima bella» del sindacato. Storia della sinistra sindacale (1960-1980), Prefazione di A. Pepe, Ediesse, Roma 2005. Si veda inoltre Id., L’unità sindacale (1968-1972), Ediesse, Roma 2009.
14 Da “La Classe” a “Potere Operaio”, in «Potere operaio», 18 settembre 1969. Il giornale uscì con cadenza settimanale dal 18 settembre all’11 dicembre 1969, momento in cui interruppe le pubblicazioni, per poi riprenderle il 14 febbraio 1970, trasformandosi in quindicinale e poi in mensile, e interromperle definitivamente nel giugno 1972 (anche se nel novembre 1973 uscì un numero “isolato” della stessa testata edito dall’area negriana che si stava strutturando nell’Autonomia operaia organizzata). Dal febbraio 1972 fu affiancato (e poi sostituito) dal settimanale «Potere operaio del lunedì», che fu pubblicato fino al dicembre 1973. Cfr. A.M. Siccardi (a cura di), Archivio del centro di documentazione di Lucca. I periodici politici, Edizioni Regione Toscana, Firenze 1994, pp. 178-80.
15 «È morto il proletario Annarumma, e noi ci togliamo il cappello di fronte al morto. Non dimentichiamo però che in Italia, in 16 anni, sono morti 44.325 operai» (I soli assassini sono i padroni, in «Potere operaio», 27 novembre 1969).
16 In D. Giachetti, M. Scavino, La Fiat in mano agli operai cit., p. 165. Sulle dinamiche che condussero all’arresto di Tolin cfr. D. Negrello, A pugno chiuso. Il Partito comunista padovano dal biennio rosso alla stagione dei movimenti, Franco Angeli, Milano 2000, pp. 157-59. Cenni biografici su Tolin sono in Acs, Mi, Gab., Fc, 1964-1966, b. 410, f. 17031/53 «Padova. Stampa in genere», riservata-raccomandata del prefetto di Padova alla Divisione affari generali della Dgps del 28 ottobre 1966 e ivi, Fc, 1967-1970, b. 5, f. 161P/46/93 «Partito comunista d’Italia. Affari generali», sf. 3 «Gruppo politico “Potere operaio”. Attività», riservata del prefetto di Padova al Gabinetto del ministero dell’Interno del 25 novembre 1968. Sull’arresto di Tolin cfr. ivi, riservata del Capo della polizia al Gabinetto del ministero dell’Interno del 21 novembre 1969.
17 Cfr. Acs, Mi, Gab., Fc, 1967-1970, b. 5, f. 161P/46/93 «Partito comunista d’Italia. Affari generali», sf. 3 «Gruppo politico “Potere operaio”. Attività», riservata del Capo della polizia al Gabinetto del ministero dell’Interno del 28 novembre 1969. Per quanto riguarda Magistratura democratica, proprio un ordine del giorno “garantista” ispirato dalla vicenda (e non, si badi, una mozione di solidarietà verso Tolin, come invece sostenuto quasi in ogni sede), proposto dai “giovani” (vicini alla “contestazione”) e approvato dalla maggioranza dell’assemblea nazionale di Md (Bologna, 30 novembre 1969) fu il casus belli che contribuì al distacco della sua componente “storica” (attestata su posizioni progressiste moderate) che si costituì nella nuova corrente denominata Impegno costituzionale. Su ciò cfr. G. Palombarini, Giudici a sinistra. I 36 anni della storia di Magistratura Democratica: una proposta per una nuova politica per la giustizia, Esi, Napoli 2000, pp. 76-79 e L. Pepino, Appunti per una storia di Magistratura democratica, in «Questione giustizia», n. 1, 2002, pp. 13-14. Su Md si veda anche M. Ramat, Una piccola storia di una grande storia, in Id. (a cura di), Storia di un magistrato. Materiali per una storia di Magistratura democratica, manifestolibri, Roma 1986 e L. Ferrajoli, Per una storia delle idee di Magistratura democratica, in N. Rossi (a cura di), Giudici e democrazia. La magistratura progressista nel mutamento istituzionale, Franco Angeli, Milano 1994.
18 Cfr. No all’ideologia terzomondista, in «Potere operaio», 29 ottobre 1969.
19 Cfr. G. Vettori (a cura di), La sinistra extraparlamentare in Italia. Storia. Documenti. Analisi politica, Newton Compton, Roma 1973, pp. 92-93. Nel numero 6 del settimanale, ad esempio, si accusa il gruppo del Manifesto di veicolare un «neo-trotskismo cinesizzante» e di essere una «sinistra per bene», amica di Riccardo Lombardi, Livio Labor ed Eugenio Scalfari (cfr. ivi, p. 93). Le critiche a Lc cominciano a essere presenti dal marzo 1970 anche se, nell’articolo di presentazione del primo numero è possibile scorgere una “frecciatina” verso la componente sofriana nel passo dove si precisa che il settimanale «rifiuta di presentarsi come organo delle presenti o ancor più future assemblee operai-studenti sia per l’assurdità che per la scorrettezza di un progetto di questo tipo» (Da “La Classe” a “Potere Operaio” cit.). Non appare invece essere Lc il bersaglio dell’articolo de «La Classe» citato polemicamente in G. Viale, Il Sessantotto cit, p. 178. I riferimenti al gruppo politico che organizza «solo poveri diavoli, repressi sessuali, […], studenti in conflitto con la famiglia, mentecatti, disgraziati, cineasti in crisi, nobildonne angosciate, maniaci sessuali, borghesi ansiosi di espiazione, soggetti fobici» (ibidem), lasciano pochi dubbi sul reale obiettivo: ossia «Servire il popolo».
20 A. Sofri, Sull’organizzazione, in «Monthly Review», edizione italiana, n. 3-4, marzo-aprile 1969, pp. ii di copertina, 29-32 e IV di copertina (cit. alle pp. 29-31).
21 Se fino agli inizi di giugno le tematiche salarialiste erano preponderanti, col passare dei giorni, oltre che radicalizzarsi nelle forme, la protesta si politicizzò in senso consiliarista. Ad esempio, in uno dei volantini ciclostilati il 30 giugno 1969 si poteva leggere: «ieri il 2° turno delle linee della carrozzeria è sceso spontaneamente in sciopero con corteo e assemblea continua per otto ore. […] Questo significa che tutti gli operai sono stufi del regime di fabbrica imposto dal padrone; vogliamo imporre in fabbrica il potere operaio» (Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21, Lotta continua, volantino ciclostilato, Torino, 30 giugno 1969; sottolineato o tutto maiuscolo, anziché corsivo, nell’originale).
22 Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21, Proposte per un documento cit. Si veda inoltre ivi, Per il convegno operaio di Torino. 27 luglio ’69 cit. e ivi, Operai e studenti, Lotta continua, volantino ciclostilato, Torino, 18 luglio 1969, con il quale si specificava: «La lotta continuerà anche dopo i contratti sempre più forte, sempre più dura, finché sul potere del padrone avremo imposto il nostro potere» (tutto maiuscolo anziché corsivo nell’originale).
23 Se Piperno spinse per la valorizzazione, in senso leninista, «della tattica sulla strategia», Viale, «influenzato dalle tesi sofriane sull’organizzazione» ribadì la centralità del modello organizzativo basato sulle «avanguardie interne alle singole lotte» (cfr. Il sessantotto. La stagione dei movimenti (1960-1979). Premessa Dizionario Glossario, a cura della Redazione di «Materiali per una nuova sinistra», Edizioni Associate, Roma 1988, pp. 212-13). Per quest’ultimo, la classe operaia avrebbe dovuto potenziare «la capacità di iniziativa soggettiva con cui [sapeva] investire tutti quanti gli aspetti dello scontro»; G. Viale, La Fiat oltre il maggio francese, in «Monthly Review», n. 7, luglio 1969; ora, con il titolo Cinquanta giorni di lotte alla Fiat, in S’avanza uno strano soldato, Introduzione di L. Foa, Edizioni di Lotta continua, Roma 1973, p. 58.
24 Le lotte dell’autunno, in «Lotta continua», «Lettera degli operai della Fiat ai compagni meridionali», numero unico, Torino, agosto 1969. Tale foglio (di appena due pagine) è il primo organo a essere intitolato «Lotta continua». Come direttore responsabile era indicato Salvatore Secchi [recte Sechi]. Il font della testata, scritto tutto in minuscolo, ricordava, nemmeno troppo vagamente, quello di «Lotta comunista». In un volantino del 21 ottobre 1969 (conservato in Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21), la testata è invece simile a quella del successivo quotidiano. Sul periodico «Lotta continua», cfr. A. M. Siccardi (a cura di), Archivio del centro di documentazione di Lucca cit., pp. 157-59.
25 Cfr. A. Cazzullo, I ragazzi che volevano fare la rivoluzione. Storia di Lotta Continua, Sperling & Kupfer, Milano 2006, p. 67.
26 Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 24, Documento Sofri [titolo tracciato a mano], ciclostilato, s.l. [ma Torino], s.d. [ma dopo le ferie estive dell’agosto 1969 e prima della nascita del giornale]. Il documento è altresì noto con il titolo di Proposte dei comitati di base di Pisa e Torino per un giornale nazionale.
27 Cfr. il documento in Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 21, Un gruppo di compagni di Lotta continua, Note per una discussione sul movimento studentesco, testo ciclostilato, Torino, settembre 1969, pp. 7, nel quale si sottolineava come l’espressione «studenti e operai uniti nella lotta» fosse «un rapporto organico che trova[va] la sua espressione in “Lotta continua”, cioè nell’assemblea studenti-operai».
28 Cfr. Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 24, Incontri di coordinamento Torino-Milano. Verbale della discussione di domenica 15 giugno a Torino (note dei compagni di Pavia), s.l. [Pavia], s.d. [post 15 giugno, ante 22 giugno 1969], Relazione iniziale di L. Bobbio.
29 Ibidem (originale senza alcun corsivo).
30 Nel riferire della spaccatura verificatasi in occasione del convegno delle «avanguardie operaie», la classificazione dei cronisti di «Stampa sera» definiva coloro che avrebbero voluto l’estensione del conflitto alla metropoli (ossia quelli che poi diedero vita a Lotta continua) come «guerriglieri» e coloro che intendevano privilegiare la lotta operaia in fabbrica (cioè chi si riconosceva nelle parole d’ordine del gruppo che poi diede vita a Potere operaio) come «moderati»; cfr. P. M. Girola e M. Valabrega, Il congresso dei contestatori chiuso senza una linea comune, in «Stampa sera», 28 luglio 1969.
31 Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 24, Incontri di coordinamento Torino-Milano cit.
32 A. Sofri, Sull’organizzazione cit., IV di copertina.
33 Acspg, Fondo Marcello Vitale, Subfondo Fabio Levi, Ua 24, Incontri di coordinamento Torino-Milano cit., [Intervento di] Sofri.
34 Cfr. L. Bobbio, Lotta continua cit., pp. 41-43.
35 Su ciò cfr D. Giachetti, La carovana di Lotta Continua e l’“eterno” problema dell’organizzazione, in Storia cultura politica, Quaderno n. 22 del Centro di iniziativa politica e culturale, 2002, pp. 5-14.
36 G. Viale, Il Sessantotto cit, p. 214. Secondo la ricostruzione mitologica di Viale, «Lotta continua non [aveva] né ideologia, né teoria, né strutture organizzative, né disciplina di partito, né programma e risoluzioni che ne fiss[assero] i compiti» (ibidem).
Auteur
Laureatosi in Storia contemporanea all’Università di Perugia, discutendo una tesi sugli Arditi del popolo, ha proseguito gli studi con un dottorato di ricerca presso l’Università di Parma (con una ricerca sulla dissidenza trockista italiana) e un secondo dottorato presso l’Università di Padova con un progetto intitolato La sinistra rivoluzionaria in Italia. Politica e organizzazione (1943-1978). Tra i promotori, nel 2002, del progetto “Storie in movimento”, dal 2003 al 2012 ha fatto parte della redazione del suo quadrimestrale «Zapruder. Storie in movimento. Rivista di storia della conflittualità sociale», coordinandone i lavori per i primi 15 numeri. Tra le sue pubblicazioni Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922) (Odradek, 2000 [2003, 2008 e 2009]), L’incudine e il martello. Aspetti pubblici e privati del trockismo italiano tra antifascismo e antistalinismo (1929-1939) (Morlacchi, 2005), Questioni di forza (Morlacchi, 2005). Recentemente, ha curato il numero 44 di «Zapruder», Ottobre rosso. Letture italiane della rivoluzione bolscevica e alcuni saggi sulla sinistra rivoluzionaria degli anni Settanta e sul suo rapporto con la “violenza politica”.
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